Fatima.
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La penitenza dà luce e agilità di spirito perché doma la piovra della umanità che tiene confitti al fondo, vi svelle dal basso e vi lancia incontro all’Amore.

Valtorta – quaderni – 13 novembre 1943

(monito ai sacerdoti)

(…) Chiedete a Dio, attraverso ad una penitenza di vita che vi lavi da tanta umanità, che un serafino vi purifichi continuamente col carbone acceso preso dall’altare dall’Agnello, potrei dire: dal Cuore dell’Agnello, che arde dall’eternità per lo zelo di Dio e delle anime.

La penitenza non uccide altro che ciò che va ucciso.

Non temete per la vostra carne che dovreste amare per quel che merita: pochissimo, e che amate come cosa preziosa.

I miei penitenti non muoiono di questo.

Muoiono per la Carità che li arde. È la Carità che li consuma, non sono i cilizi e le discipline.

Prova ne sia che talora giungono alle età longeve e con una integrità fisica che i solleciti protettori della carne non raggiungono.

I miei santi spenti in età giovanile sono gli arsi nel rogo dell’Amore, non i distrutti dalle austerità.

La penitenza dà luce e agilità di spirito perché doma la piovra dell’umanità che tiene confitti al fondo. La penitenza vi svelle dal basso e vi lancia in alto, incontro all’Amore.

Semplicità, carità, castità, umiltà, amore al dolore, sono le cinque gemme maggiori della corona sacerdotale.

Distacco dalle sollecitudini, longanimità, costanza, pazienza, sono le altre gemme minori. Fanno una corona di gemme pontute che stringono in un cerchio il cuore.

Ma è proprio dall’essere stretto così, rimanendone ferito, che quel cuore aumenta il suo splendore e diviene rubino vivo fra un serto di diamanti.

Non vi dico neppure: “Abbiate il cuore del mio Pietro”; vi dico: “Abbiate il cuore del mio Giovanni”. Voglio quel cuore in voi perché fu il cuore apostolico perfetto dall’alba del suo sacerdozio alla sua sera.

La mente di Pietro la infondo Io ai miei Vicari, ma il cuore ve lo dovete fare da voi.

E quel cuore è indispensabile in chi mi è sacerdote: dall’altissimo mio Santo che è candido d’anima e di pensiero come di veste a che è l’Ostia maggiore in questa cruenta messa che la Terra celebra, al più piccolo mio ministro che spezza il Pane e la Parola in un paesello sperduto: una spruzzata di case che il mondo ignora di portare sulla sua superficie, ma che l’Eucarestia e la Croce fanno augusto come una reggia, più di una reggia: lo fanno simile al massimo


Tempio della Cristianità perché, in ciborio di oro tempestato di perle o in misero ciborio, è lo stesso Cristo Figlio di Dio, e le anime che a Lui si prostrano ‑ vestite della porpora cardinalizia e di manto regale, o ricoperte di umile tonaca e di poveri panni ‑ sono per Me uguali.

Io guardo allo spirito,
figli. E benedico là dove è merito.

Non mi lascio sedurre da ciò che è mondo, come sovente voi fate.

Mutatevi il cuore, sacerdoti.


La salvezza di questa umanità sta molto nelle vostre mani.

Non fate che nel grande Giorno Io debba fulminare folte schiere di consacrati responsabili di rovine immense che dai cuori hanno dilagato sul mondo