Spirit
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Intervista a Roberto Bignoli.

Roberto Bignoli, classe 1956, cantautore italiano di musica cristiana.

Questa la definizione di Wikipedia all’inizio della pagina a lui dedicata. Ma si tratta di un incipit molto semplicistico, infatti prima della melodia c’è uno straordinario percorso di fatica, di sofferenza, di conversione, di redenzione. E le splendide canzoni che oggi Roberto canta non sono altro che l’inno alla vita e alla speranza, un invito rivolto a chiunque lo ascolti a non arrendersi mai e a confidare in Dio che, avrà anche i suoi tempi, ma prima o poi mantiene le promesse.

Raccontaci la tua vita, l’infanzia partendo dalle vicissitudini dei primi anni, la malattia da piccolo, il giro degli istituti…

E’ un’infanzia molto travagliata e intensa, comunque vissuta nella sua normalità tra il calore famigliare ma anche attorno a una moltitudine di persone che si davano da fare per me per la mia condizione fisica di poliomielitico e per il mio mantenimento.

Dall’età di un anno fino a sette anni la mia abitazione, condivisa con altri bambini, è un’ala dell’Ospedale Maggiore di Novara, una sorta di istituto che mi dava la possibilità di frequentare la scuola, con maestri e insegnanti che ci istruivano, e poi c’erano quelli che ho sempre definito benefattori che venivano a farci visita e oltre a portarci dolcetti e giocattolini ci facevano compagnia, coprivano i vuoti affettivi, ci volevano bene.

Ero figlio di una ragazza madre, con dei grossi problemi, perchè siamo nel ’56 e a quei tempi era considerata quasi un colpa, quasi una “condanna”. In questo ospedale nasce il desiderio della musica. Già allora riuscivo a comporre delle cose graziose e ho iniziato ad apprezzare la musica d’autore. Andavo infatti a trovare nell’altra ala dell’ospedale un ragazzo gravemente malato, che aveva nella sua stanza un giradischi. E rimasi colpito da un cantautore, un Fabrizio De Andrè agli inizi della sua carriera. Quella voce calda venata di tristezza mi ha fatto scattare un feeling con lui che non è mai terminato. La mia musica è nata lì.

Qualcuno si accorse presto della tua voce?

Beh, la voce è cresciuta e maturata negli anni, la gavetta e l’esperienza ti fanno crescere, ti fan capire dove puoi arrivare e dove ti devi fermare, io ho capito qual era la mia estensione vocale e crescendo i miei generi sono stati molto “americani”: Pink Floyd, Jimi Hendrix, e tutto il pop rock americano.

In questa infanzia difficile, la tua voglia di cantare era dovuta a sentimenti di gioia o di malinconia?

Un po’ a tutto. La malinconia veniva dalla situazione in cui vivevo: non ero circondato dalla mia famiglia perché avevo una condizione precaria che non permetteva a loro di avvicinarsi. Queste cose però le capisci solo crescendo, ti rendi conto che c’era una sofferenza anche dall’altra parte. Il mio mondo era fatto di volontari, di persone che venivano a trovare questi bambini con problemi, e a un certo punto mi sono fatto regalare una chitarra, ho imparato i miei quattro accordi e strimpellando cercavo di comporre delle canzoni.

Hai pure scoperto che il tuo cognome non era quello del tuo padre naturale…

L’ho saputo dopo parecchio tempo, perché attorno a me fino all’età di 14 anni ruotava un piccolo gruppo di Dame di San Vincenzo, in modo particolare due donne straordinarie che si sono sempre occupate di trovare i collegi che facessero per me, anche dopo l’ultimo a Milano, portandomi a Novara dove io tra l’altro sono nato, in un centro studentesco cattolico e mi hanno trovato il primo impiego. Allora lavoravo sui primi computer. Lavoravo e studiavo grazie a queste donne. Le quali poi mi hanno anche raccontato certi fatti che non conoscevo, per esempio che c’era questo Bignoli che ha incontrato e sposato mia mamma dandomi il cognome che porto.

Hai mai provato rancore per tuo padre che se n’era andato?

No, solo in alcuni momenti di sconforto in cui te la prendi col mondo, ma questi sono stati dei momenti, non mi sono trascinato dei cattivi pensieri, anche perché sono una persona che di fronte al disagio e alle difficoltà cerca sempre di superarli e di trovare il lato positivo, qualcosa che va oltre. Anzi, crescendo e capendo la situazione comprendi il dramma, il dolore e la sofferenza. Non giustifichi ciò che ti è capitato ma capisci che non hai sofferto solo tu.

Quando hai conosciuto Gesù?

Sono cresciuto in vari istituti religiosi, l’ultimo in particolare di quel grande santo che era don Carlo Gnocchi. Quindi un’educazione cristiana l’ho ricevuta. Poi nel tempo l’ho un po’ abbandonata, quando decidi che vuoi scegliere tu quale strada prendere, quali amici frequentare…

E qui inizia la fase diciamo “buia” della tua vita.

La fase buia è iniziata con la malattia all’età di un anno ma è un giudizio che posso dare a posteriori perché, come detto, vivendola quotidianamente era diventata normale. A un certo punto però ho fatto delle scelte mie, sbagliate, ho vissuto l’esperienza della droga. Stavo con degli amici con cui condividevo momenti forti e intensi. Io la droga allora non pensavo che fosse qualcosa di cattivo, si sta insieme, si parla, si ride, si scherza, al momento non ti rendi conto che quel che stai facendo è sbagliato.

Finchè sei stato costretto a fermarti a meditare…

Ventiquattro giorni, a San Vittore. Avevo meno di vent’anni. Ma nonostante la situazione in questo periodo vissuto da recluso ho trovato intorno a me una grande solidarietà da parte degli altri detenuti, c’era una grande attenzione nei miei confronti, non avendo soldi per comprare le sigarette, per acquistare anche altre cose, c’erano sempre questi compagni di viaggio che, per qualsiasi cosa di cui avessi bisogno erano sempre pronti e disponibili. E mi hanno così alleggerito la permanenza nel carcere milanese.

Sono nate delle amicizie in questi giorni dietro le sbarre?

Una volta uscito non ho più frequentato quei compagni di sventura tranne un ragazzo, dentro anche lui per motivi di droga, che è stato colui che poi mi ha accolto. Fuori dal carcere non avevo una dimora, una casa, un lavoro. E lui che era figlio di gente benestante, aveva un suo appartamentino e mi ha accolto e ospitato.

E vi siete dati una regolata o il “buio” di cui parlavamo prima è continuato?

Abbiamo continuato a sballare, a vivere di espedienti, prendere la “roba” e venderla, tutte cose che non vorresti fare ma devi in qualche modo sopravvivere e… ci caschi, anche se non vorresti sei comunque dentro un giro. E quando sei sulla strada vivi di espedienti.

Dopo quell’esperienza on the road ho conosciuto delle persone che poi mi hanno invitato a casa loro a Varese, dove ho conosciuto una donna straordinaria e questa signora mi trovò un lavoro, una casa, una sistemazione.

Si chiamava Anna, aveva un figlio spastico oggi avvocato e poiché si occupava anche di disabili spianò la mia strada facendomi trovare lavoro presso il comune di Varese, prima in ragioneria e poi in biblioteca, trovandomi poi anche l’appartamento. In pratica è stata come una mamma che mi ha sempre aiutato in tutto. Avevo ciò che mi serviva per cercare di rimettermi in gioco e di riprendermi dalle esperienze negative vissute. Però è anche vero questo, che quando vivi certi momenti, accumuli tanta rabbia che non è che la smaltisci perché hai incontrato il buon samaritano che ti dà ciò che ti serve per la svolta nella tua vita. Così, pur avendo una casa e ciò che mi serviva, questa rabbia mi ha poi portato a frequentare quel che era il mondo giovanile della politica. Prima Lotta Continua, poi Autonomia Operaia, che era la frangia più estrema della sinistra extra parlamentare, e ho vissuto seppur per breve tempo pensando che fosse giusta la lotta, che il mondo era cattivo, che avevo vissuto tempi infelici quindi era giusto che giocassi a fare il rivoluzionario.

Una fase che fortunatamente è durata poco.

Perché poi ho capito che la violenza non può risolvere i problemi, così ho pensato che la rivoluzione dovevo farla ma dentro di me.

E dentro di te hai trovato il ricordo dei quattro accordi strimpellati da bambino…

Sì la musica, la canzone, così ho iniziato a darmi da fare davvero, a fare dei concorsi, a incontrare dei produttori, a inserirmi in certi ambienti, crescevo e facevo esperienza, cominciavo davvero a suonare sul serio e le cose andavano bene.

Invece la dura realtà ha bussato ancora alla tua porta.

Una grande delusione perché mi sono consumato girando l’Italia in lungo e in largo, per poi sentirmi dire che ero un disabile, che non potevo avere successo. E a quel punto ti casca addosso il mondo. Finalmente riesci ad allontanarti da un vissuto infelice, cerchi di realizzare qualcosa che avevi intuito essere il tuo futuro e improvvisamente ti dicono che non hai l’immagine…

Alcuni carissimi amici mi hanno fatto capire che con la mia disabilità non potevo sfondare: Una bella presa per i fondelli.

E qui davvero ti assale lo sconforto, entri in un vortice di grande delusione, di tristezza, tutto sembra perduto.

Invece l’incontro con dei giovani, una provocazione e lì inizia una bellissima storia, una nuova vita. Siamo nel 1983, e mi trovo a frequentare un gruppo del “Rinnovamento nello Spirito”. E dopo aver partecipato a tre loro meeting ho pure la soddisfazione di cantare in uno di questi. Di raccontare quel che stava succedendo; e mi sentivo felice, gratificato, accolto, e poi c’è stata quell’esperienza inaspettata, da gran curioso…

Questa esperienza si chiama Medjugorje. Una nuova vita che si apre all’orizzonte, una storia sempre più frequente nei racconti di tante persone che a un certo punto della loro esistenza arrivano in Erzegovina per una chiamata.

Nell’estate del 1984 sono arrivato là in macchina con tre amici, senza sapere dove andare a dormire, senza sapere che cosa fare, e seduto sui gradini della sacrestia un braccio, che poi si rivela quello di padre Stanko Vasilij, mi invita a entrare nella cappellina. Mi ritrovo così lì dentro coi 6 veggenti ragazzini senza aspettarmi nulla né pretendere niente. Solo mi son detto, “ora sei qui, se è una cosa vera la Madonna una grazia la faccia pure a me!”. Non era la ricerca della guarigione fisica, cercavo magari di poter stare un po’ bene.

E da questo evento inaspettato nasce la musica cristiana di Roberto Bignoli.

Intanto posso dirti una cosa, che sono stato il primo a cantare l’inno di Medjugorje, proprio perché è stato fra Stanko Vasilij, l’autore, a chiedermelo.

Poi nel 1987 esce il primo album pop, folk, rock, blues, tutto dedicato alla Madonna, “Canzone per Maria” dove è inserito l’inno di Medjugorje, “Alla madre Regina della pace”.

Dopo questo primo viaggio a Medjugorje, hai conosciuto tua moglie.

Subito dopo Medjugorje. Sapeva che ero amico di Alberto Fortis che spesso veniva a casa mia e lei ne era “innamorata”. Io conoscevo la madre di Paola che con quella scusa ci ha fatti conoscere e… ci siamo innamorati noi. Oggi siamo sposati e abbiamo due splendide figlie.

Fortis l’avevo conosciuto mentre stava realizzando il suo primo album, siamo diventati molto amici, ci siamo frequentati per parecchio tempo, mi chiamava alle sue presentazioni. Poi all’epoca ho conosciuto altri cantautori insieme a lui, con cui è rimasta una bella amicizia.

Da San Giacomo di Medjugorje come è poi decollata la tua carriera musicale?

Venni chiamato a fare la gavetta, a fare la “spalla”, cioè colui che apre i concerti.

Spesso i miei concerti avvenivano nei festival dell’Unità e dell’Avanti, e io facevo appunto la spalla. Arrivavano Vecchioni, Endrigo, la Bertè e io li introducevo suonando le mie canzoni. Mi andava bene così, era tutta esperienza che poi mi è servita anche per conoscere gli artisti.

Ho conosciuto molto bene Pino Daniele e i suoi musicisti, Tony Esposito, Tullio De Piscopo, tantissimi nomi della musica italiana, perché quando stai nel backstage incontri tutti. Anche produttori, manager, impresari… Così imparavo e mi facevo conoscere.

Quando hai poi iniziato con la musica cristiana sono rimasti i legami professionali con quel mondo?

Tutti i miei oltre 13 album sono stati realizzati con musicisti professionisti di altissimo livello. Un grande chitarrista e musicista, Mario Ferrara, l’arrangiatore quasi ufficiale. Un altro con cui ho fatto dei lavori è l’“amico” di Laura Pausini, il chitarrista Paolo Carta, per non parlare di “mostri sacri” come il chitarrista Marcello Surace, il tastierista Massimo Idaa, e questi musicisti mi sono stati di grande aiuto in tutti i sensi.

Tredici album e più di un centinaio di canzoni, a quale album e a quale canzone sei più legato?

Ogni album ha una sua storia, ha una sua canzone regina. Sono molto affezionato a “Canzone per Maria” perché è stata la prima canzone che ho scritto nella mia vita. Semplice e apprezzata, a molti era apparsa quasi la descrizione di una visione, e in effetti è stata una visione del cuore.

La tua canzone più celebre è anche tra le più ascoltate in assoluto… Basta accendere la radio che prima o poi salta fuori! “Una luce irradia il mondo, è la madre di nostro Signore…”.

“Ballata per Maria”. Non l’avevo scritta per la radio, è poi capitato che è diventata la sigla di Radio Maria.

Le tue sono canzoni cristiane ma, a differenza di altri autori come Claudio Chieffo, Marco Frisina, oppure gruppi come i “Gen”, non hai scritto brani liturgici.

Non l’ho mai fatto per il timore di svilire, abbruttire, renderli banali. Altri sono capaci e lo fanno molto bene, io ho scritto canzoni religiose seppur in versione “cantautorale” come la stessa “Ballata per Maria”, ma dichiaratamente liturgiche mai.

Che cosa pensi della musica che si canta e suona oggi in chiesa?

La musica liturgica ha una sua importanza e una sua funzionalità, io sono però più attratto da una liturgia più popolare perché il popolo deve cantare, in un’assemblea deve esserci la coralità nella preghiera ma anche nel canto. Per esempio, quando mi capita di sentir cantare l’Ave Maria di Lourdes trovandomi là, insieme alla folla coi flambeau in processione, mi commuovo per questa coralità, per questo canto che coinvolge tutti.

Nel Concilio Vaticano II si era messo in chiaro che le canzoni di chiesa debbano attenersi alle Scritture, lo si dice chiaramente anche in un’ Istruzione post conciliare, ma di fatto poi sono entrati testi a dir poco “creativi” arrangiati con tamburi e chitarre…

La cosiddetta “messa beat”, che in quel periodo s’è affermata spontaneamente. Bisogna pensare che i diversi movimenti hanno espresso ciascuno il proprio cantante e la propria musica. Così i tamburi e le chitarre sono entrati in chiesa, perché col tempo certe proposte e certe novità si sono fatte strada. Io rimango dell’idea che la musica liturgica debba essere fatta per un popolo che canta. La gente deve seguire coralmente, partecipare e pregare mentre canta, meglio se accompagnati da un organo.

Tu hai scritto, come detto, la sigla di Radio Maria, quindi quella musica la conoscono tutti, ma la musica cristiana è un mondo parallelo. Fuori da certi ambienti ecclesiali, specialmente dai movimenti, si ignora questa realtà. Quanto la musica cristiana è conosciuta qui da noi?

In Italia c’è gente che la segue, c’è un ottimo sottobosco di artisti anche giovani, c’è anche una grossa produzione, sconosciuta ma c’è, però quando parliamo di musica cristiana dobbiamo pensare a un panorama americano, brasiliano, anche europeo con un vasto mercato, concerti partecipati da migliaia di giovani, e in Brasile ci sono multinazionali che hanno sotto contratto artisti cristiani, laici e religiosi. In Polonia c’è una realtà di musica cristiana che viene presa in considerazione anche dalla TV nazionale, per non parlare dei festival.

Anche nell’America Latina questa musica ha una sua forza.

In Italia invece si pensa che sia legata all’oratorio, alla sacrestia, quindi è molto più difficile proporla, però ci sono movimenti e parrocchie dove la musica cristiana è valorizzata.

Hai ricevuto ben 5 “Unity Awards” dall'United Catholic Music and Video Association nel campo della musica cristiana. “Ho bisogno di te” (2001), “Là c'è un posto” (2005) e “Dulcis Maria Totus Tuus” (2007) sono le tre canzoni premiate, più due riconoscimenti come miglior artista. Unity Award, il Grammy della musica cristiana, il massimo riconoscimento internazionale!

Sì, oltretutto negli USA la musica cristiana è considerata al pari degli altri generi musicali anche dalle case discografiche, quindi una bella soddisfazione!

Cosa pensi della musica leggera italiana? Hai seguito Sanremo?

Non guardo il festival, non vedo grosse novità. Ci sono certamente ottime proposte, X Factor, The Voice, Sanremo, Amici, ci fanno conoscere tantissimi artisti capaci, tante bellissime voci, ma non basta. Per emergere ci vuole una marcia in più, saper bucare, come si suol dire, dare quelle emozioni che rendono una canzone immortale.

Già, lo penso ogni volta che a una festa paesana, una fiera, un luna park, sento suonare musiche anni ’80, Loredana Bertè, Umberto Tozzi, Renato Zero, i loro brani immortali che trasmettono ancora emozioni a distanza di trent’anni…

Non solo, anche i migliori cantanti oggi escono con delle cover perché mancano le belle canzoni, non c’è più niente! Poi però se vai a cercare in rete trovi qualcosa, ottimi prodotti che magari non verranno mai valorizzati.

Roberto Bignoli ha raccontato la sua emozionante storia nel libro “Il mio cuore canta”, edito da Piemme.

E’ poi appena uscito con “Shalom”, un doppio cd: “Le mie canzoni per Maria”, con l’orchestra diretta da Maurizio Mune.

“Nessuno mi ha mai portato sulla cattiva strada, sono scelte che ho fatto io. L’incontro con Giovanni Paolo II mi ha fatto capire che la croce diventa un inno alla vita”.

In sostanza la vita di Roberto Bignoli è “spiegata” da una bellissima frase di Santa Teresa d’Avila, di cui quest’anno ricorre il cinquecentesimo anniversario della nascita: “Dio fa una promessa, anche se mille accidenti sembrano vanificarla, non bisogna restarne turbati e neppure dubitare del buon esito”.

Attilio Negrini