Dissertazione in punta di diritto sulla tesi di Socci e la replica di Boni (di Guido Ferro Canale)

DISSERTAZIONE IN PUNTA DI DIRITTO CANONICO SULLA TESI DI SOCCI E LA REPLICA DI BONI

di Guido Ferro Canale

Dopo la pubblicazione dell’ormai celebre Non è Francesco, la tesi di Antonio Socci sull’invalidità dell’elezione del Card. Bergoglio a Sommo Pontefice è stata confutata, inter cetera, da Cerrelli e Introvigne per La Nuova Bussola Quotidiana, nonché dalla prof.ssa Geraldina Boni per il sito di Sandro Magister; a lei ha replicato p. Bugnolo del blog From Rome; inoltre, lo stesso Socci è tornato in argomento, segnalando due nuove irregolarità del Conclave, che avrebbero anch’esse portata invalidante.

In seguito a quest’ultimo articolo, anch’io, che già mi sono occupato del tema, ho ritenuto che fosse il caso di tornarvi sopra per considerare i nuovi rilievi di Socci e tracciare un primo bilancio del dibattito; l’ho formulato come replica alla Prof.ssa Boni, autrice della critica più approfondita, perché credo che – sotto il profilo giuridico e salva l’indispensabile verifica dei fatti – la tesi socciana sia sostanzialmente fondata.

Anzitutto, la ricapitolo per comodità del lettore: stando a quanto riferito dalla giornalista argentina Elisabetta Piqué, la sera del secondo giorno di Conclave, alla quarta ed ultima votazione in programma (quinta di tutto il Conclave), sarebbe accaduto quanto segue.

«Dopo la votazione e prima della lettura dei foglietti, il cardinale scrutatore, che per prima cosa mescola i foglietti deposti nell’urna, si accorge che ce n’è uno in più: sono 116 e non 115 come dovrebbero essere. Sembra che, per errore, un porporato abbia deposto due foglietti nell’urna: uno con il nome del suo prescelto e uno in bianco, che era rimasto attaccato al primo. Cose che succedono. Niente da fare, questa votazione viene subito annullata, i foglietti verranno bruciati più tardi senza essere stati visti, e si procede a una sesta votazione».

L’annullamento suppone che si applichi il n. 68 della Cost. Ap. Universi Dominici Gregis,[1] che commina la nullità della votazione quando il numero delle schede è maggiore di quello degli elettori; quindi si è proceduto ad una nuova votazione (sesta di tutto il Conclave, quinta della giornata), da cui è risultato eletto Bergoglio.

Invece, ad avviso di Socci, la nullità non sussisteva, perché il caso in cui due schede (o più) siano riconducibili ad uno stesso Cardinale è disciplinato dal n. 69 e non dal 68,[2] e comunque il nuovo voto, essendo il quinto della giornata, avrebbe violato UDG 63, che prevede soltanto quattro votazioni in un giorno. Ora, la stessa Costituzione Apostolica, al n. 76, recita: “Se l’elezione fosse avvenuta altrimenti da come è prescritto nella presente Costituzione o non fossero state osservate le condizioni qui stabilite, l’elezione è per ciò stesso nulla e invalida, senza che intervenga alcuna dichiarazione in proposito e, quindi, essa non conferisce alcun diritto alla persona eletta.”.[3]

La premessa di fatto sul rinvenimento delle schede non forma oggetto di particolari contestazioni: i critici, pur esprimendo legittime riserve sull’attendibilità dell’articolo della Piqué (che, del resto, non menziona la propria fonte), lo accettano almeno come ipotesi e ragionano sulle conseguenze giuridiche.

Tuttavia, mi sembra opportuno rilevare che esiste almeno un elemento di conferma a questa versione dei fatti: avendo, come milioni di fedeli, seguito in diretta la serata dell’elezione, ricordo molto bene che la fumata finale si è fatta attendere a lungo e che i commentatori si chiedevano il perché di questo ritardo nell’esito della quarta votazione della giornata. Che io sappia, esso non è mai stato spiegato; ma si spiega benissimo se effettivamente si è dovuto rivotare.

Infine e per completezza, vorrei esprimermi su una delle obiezioni più comuni: “Se così fosse, come mai nessun Cardinale ha sollevato pubblicamente il problema?”. Domanda lecita, essendo almeno probabile che, in un caso del genere, si sia tenuti, non al segreto del Conclave, ma piuttosto a palesare il possibile vizio. Ma mi pare che la risposta stia nella legge: siccome la UDG non dice a chi spetti dichiarare che una votazione è nulla, si applica la disciplina generale del Codice di Diritto Canonico (cfr. can. 173 §2); quindi, supponendo vera l’ipotesi di Socci, ogni decisione è stata presa dai tre scrutatori, insieme con il Card. Decano (al massimo, anche con i Revisori), e il resto degli elettori, secondo ogni logica, si è semplicemente sentito dire “Dobbiamo rivotare, c’era una scheda in più”. Quindi, non possono né confermare né smentire la sussistenza del vizio, perché non sono a conoscenza del dettaglio decisivo: le schede erano piegate insieme, oppure no? C’è da augurarsi che esso sia almeno descritto nella relazione sull’esito delle votazioni (cfr. UDG 71 §2) e che, prima o poi, ci si decida ad aprirla.[4]
Tanto premesso, veniamo ad rem: intendo considerare, anzitutto, la prima delle nuove irregolarità rilevate da Socci, che riguarda l’apertura stessa del Conclave; quindi il complesso delle censure sulla famosa votazione, incluso il secondo profilo nuovo.

Gli elettori mancanti

Nel suo nuovo articolo in argomento, il giornalista toscano segnala che i Cardinali si sono avvalsi della facoltà di entrare in Conclave prima dei quindici giorni dalla Sede vacante – facoltà accordata da Benedetto XVI con il m.p. Normas nonnullas – senza però rispettare il requisito indicato dalla legge stessa (UDG 37 come modificato):[5] “si constat omnes Cardinales electores adesse”. Di fatto, gli elettori non erano tutti presenti, ma ne mancavano due, O’ Brien e l’indonesiano Darmaatmadja, che avevano comunicato che non avrebbero preso parte al Conclave. Poiché, però, un Cardinale elettore dev’essere ammesso al voto anche se arrivasse a Conclave già iniziato, ragiona sempre Socci, non è possibile anticipare l’apertura. Ne segue che il giorno in cui Bergoglio è stato eletto… non si sarebbe neanche potuto votare.

Credo, però, che il profilo di illegittimità non sussista.

Anzitutto, un rilievo solo apparentemente formale: il nuovo testo di UDG 37 dice “se tutti i Cardinali sono presenti”… ma non dice “solo se”. Farglielo dire è un’interpretazione, precisamente un’interpretazione a contrario: la legge parla del caso X, quindi gli altri, non menzionati, debbono intendersi esclusi.
Il can. 17, elencando i molteplici criteri di interpretazione della legge, ci ricorda che le cose non sono così semplici.
Anzitutto, per essere cogente, questa lettura dovrebbe fondarsi su un rapporto di eccezione a regola: quando si dice “l’eccezione conferma la regola”, si intende appunto che questa va applicata in tutti i casi non eccettuati esplicitamente (exceptio firmat regulam in casibus non exceptis: cfr. can. 18).
Certo, i quindici giorni potrebbero appunto essere la regola, e questa l’eccezione. Inoltre, e sembra la lettura di Socci, UDG 37 restringe il diritto del Cardinale elettore, quindi dovrebbe sottostare ad interpretazione stretta (cfr. can. 18).
Ma in contrario depongono sia “il fine e le circostanze della legge”, sia il contesto normativo (cfr. can. 17).
Anzitutto, la preoccupazione dominante di UDG 37 è acceleratoria: rispetto ai tre mesi accordati dal can. 165, qui il tempo massimo di attesa è ridotto a venti giorni, pur in presenza di gravi cause. Se ne desume che, al ventunesimo giorno, il Conclave si dovrebbe aprire anche se mancasse, magari per buone ragioni, un gran numero di elettori. Questi, semmai, potrebbero entrare a Conclave iniziato.

Esiste, poi, anche la preoccupazione di dar loro il tempo di arrivare: i giorni di attesa, dieci sotto la disciplina di S. Pio X, sono stati portati a quindici con il m.p. Cum proxime di Pio XI, perché gli americani si erano giustamente lamentati di non aver avuto modo di arrivare prima della sua elezione. Si comprende, quindi, perché UDG 37 ammetta che non si faccia luogo a dilazione se gli elettori son già tutti presenti.

Ma quid se gli assenti sono giustificati?

Il n. 38 stabilisce che l’impedimento dev’essere riconosciuto dal Sacro Collegio[6] e il 39, che sembra pensato soprattutto per gli impediti, ammette al voto in Sistina qualunque elettore sopraggiunga a Conclave iniziato.
Ma allora non si potrebbe, in linea di principio, rimandare l’ingresso in Conclave per attendere uno o due malati che, nel frattempo, fossero guariti e stessero annunciando l’arrivo. Altrimenti detto: una volta che l’impedimento sia stato riconosciuto, si può procedere oltre.[7] A mio avviso, anche anticipando l’apertura del Conclave: inutile attendere chi ha già detto che non verrà, con ragioni valide e riconosciute tali. Casomai arrivasse, potrebbe entrare comunque. Ergo, deve prevalere la preoccupazione dominante: provvedere in fretta all’elezione.
Né si può ritener leso il diritto dell’elettore: non stiamo parlando di un anticipo arbitrario; i soli soggetti potenzialmente lesi si sono essi stessi dichiarati impediti. Se fossero stati affetti da infermità acute ma passeggere, o altra causa transitoria, che renda rilevante il periodo di attesa, non avrebbero forse pregato i loro colleghi di attendere? Oppure avrebbero potuto non comunicare nulla e arrivare a Roma entro i quindici giorni. L’impedimento si comunica – e viene approvato – proprio a salvaguardia del diritto degli altri elettori di entrare in Conclave, senza essere trattenuti dall’incertezza sul possibile arrivo di Tizio o di Caio.[8]
In ogni caso, come Socci stesso ricorda, il Sacro Collegio ha dato atto delle due assenze. Quindi, decidendo comunque di entrare in Conclave, ha esercitato il potere interpretativo accordatogli da UDG 5 – sul quale torneremo – e interpretato il nuovo testo di UDG 37 in termini (suppongo) analoghi ai miei. A che serve UDG 5, se non proprio per questi casi dubbi?

Ma anche a voler supporre il vizio, non ne seguirebbe la nullità. Soprattutto perché si creerebbe una grave disparità di trattamento. UDG non dice nulla su un vizio ben più grave, cioè che qualche elettore non sia convocato; si applica, quindi, la disciplina del Codice (can. 166), secondo cui l’elezione è nulla solo se è stato pretermesso – e sia di fatto mancato all’appuntamento – più di un terzo degli elettori; altrimenti è solo annullabile, purché gli interessati ricorrano, a tal fine, entro tre giorni dall’elezione stessa. (L’autorità competente non può essere che il Sacro Collegio stesso).
Onestamente, resterei perplesso di fronte a una lettura che ci darebbe un Papa legittimo se, diciamo, venti elettori non fossero stati convocati e non avessero reclamato, ma renderebbe insanabilmente nulla l’elezione perché due elettori, impediti e con impedimento riconosciuto, avrebbero anche potuto cambiare idea…

Scheda in più e annullamento delle votazioni

Giova premettere che, a norma di UDG 66, lo scrutinio si articola in tre fasi: il voto vero e proprio, ossia la deposizione delle schede nell’urna; estrazione e conteggio delle schede stesse; solo successivamente, loro apertura. Il n. 68, occupandosi del conteggio, stabilisce che, “Se il numero delle schede non corrisponde a quello degli elettori [perché esse sono di più o di meno], bisogna bruciarle tutte” e ripetere la votazione; invece, il 69, che riguarda il momento dello spoglio, prevede il caso delle due schede “ita complicatas, ut ab uno tantum datas esse appareat” e salva la validità della votazione.
Dal resoconto della Piqué, non è chiarissimo quando sia stata scoperta la doppia scheda: da un lato, si riferisce il numero totale (116 anziché 115), il che fa pensare che il conteggio fosse ultimato; dall’altro, l’indicazione “Dopo la votazione e prima della lettura dei foglietti, il cardinale scrutatore, che per prima cosa mescola i foglietti deposti nell’urna, si accorge…” fa pensare al mescolamento, che precede lo stesso conteggio (cfr UDG 68: “Dopo che tutti i Cardinali elettori avranno deposto la loro scheda nell’urna, il primo Scrutatore l’agita più volte per mescolare le schede e, subito dopo, l’ultimo Scrutatore procede al conteggio di esse, prendendole in maniera visibile una ad una dall’urna e riponendole in un altro recipiente vuoto, già preparato a tale scopo”). Di conseguenza, a rigore, il numero totale – 116 e non 115 – sarebbe frutto di una deduzione dalla presenza di una scheda in più, non dell’avvenuto conteggio.

A mio avviso, la lettura più rispondente al resoconto porta a far scoprire le due schede allo Scrutatore mentre agita l’urna e vede le due schede attaccate. Del resto, questa è anche l’ipotesi più interessante: se il vizio fosse emerso a conteggio finito, non ci sarebbe storia, si rientrerebbe nella fase dello spoglio e si dovrebbe applicare UDG 69. Che succede, invece, se emerge prima? Prevale la fase in cui ci si trova, e quindi si applica il n. 68, oppure l’identità di fattispecie con il n. 69?

Questo è un classico problema di interpretazione della legge, perché il fatto, così come si assume avvenuto, non è espressamente previsto in tutti i suoi elementi da nessuna disposizione. Potrebbe rientrare o nell’una o nell’altra.
Proprio per affrontare questo genere di problemi, UDG 5 stabilisce: “Qualora sorgessero dubbi circa le prescrizioni contenute in questa Costituzione, o circa il modo di attuarle, dispongo formalmente che ogni potere di emettere un giudizio al riguardo spetti al Collegio dei Cardinali, cui pertanto attribuisco la facoltà di interpretarne i punti dubbi o controversi, stabilendo che quando occorra deliberare su queste ed altre simili questioni, eccetto l’atto dell’elezione, sia sufficiente che la maggioranza dei Cardinali congregati convenga sulla stessa opinione.”. Tuttavia, non si è fatto ricorso a questo potere; l’annullamento è stato disposto dagli Scrutatori e dal Decano, non dal Collegio… del resto, stando alla lettera di UDG 5, si sarebbe dovuto interpellare l’intero Collegio, compresi i Cardinali non elettori, cosa impossibile senza un’interruzione del Conclave.[9] Quindi, la decisione di applicare il n. 68 anziché il 69, giusta o sbagliata che sia, non è espressione di questa potestà interpretativa…[10] e potrebbe, almeno in astratto, essere sindacata da chi ne è titolare, ossia proprio il Sacro Collegio.

Per la verità, la Prof.ssa Boni, su questo punto, propugna una lettura ben diversa: UDG 5 “esclude esplicitamente la possibilità di interpretazione dell’atto dell’elezione, dovendo le norme essere applicate così come suonano”. Ne seguirebbe che il n. 68 dovrebbe comprendere tutte le ipotesi di rinvenimento di schede in più nella fase del conteggio,[11] anche se, come ella stessa rileva, ha ragione Socci a sostenere che, così, ogni Cardinale può tenere il Conclave in sospeso ad infinitum, semplicemente piegando due schede insieme e facendo annullare la votazione. Stesso discorso per la possibile violazione del n. 63: si verrebbe a sindacare l’atto stesso dell’elezione.
Non ho avuto modo di consultare il commento del Card. Pompedda, cui la Boni rimanda in proposito;[12] ma l’ipotesi che l’inciso “eccetto l’atto dell’elezione” escluda la potestà interpretativa e di dirimere i dubbi proprio sull’atto più importante di tutti (!) mi sembra sostenibile solo rispetto alla trad. italiana, ma non al testo ufficiale latino.[13] Anche per Miñambres, se lo intendo rettamente, esso eccettua, non dalla potestà, ma dalla maggioranza semplice e dai quorum: “La risoluzione delle questioni […] spetta ai cardinali, che, tranne per quello che riguarda l’elezione del Pontefice, silente la norma, seguiranno i quorum generalmente richiesti per la presa di ogni tipo di decisione collegiale [dai due Codici, latino e orientale]”.[14]

In altri termini: se si deve risolvere un dubbio che coinvolge l’atto stesso dell’elezione e la sua validità, bisogna osservare le stesse regole previste per l’elezione stessa, quindi la maggioranza dei due terzi. E’ il principio dell’actus contrarius: un atto si modifica o invalida con la stessa procedura usata per adottarlo. Per la stessa ragione, l’inciso “excepto ipso electionis actu” probabilmente deroga anche alla competenza dell’intero Collegio, riservandola, in tale ipotesi, ai soli Cardinali elettori; ma, siccome può restare un dubbio sul punto, al riguardo occorrerebbe una decisione preliminare di tutti gli Eminentissimi sulla portata dell’inciso stesso.

Inoltre, che i Cardinali possano sindacare la validità dell’elezione era pacificamente ammesso, quando vigeva la Cost. Ap. Vacantis Apostolicae Sedis di Pio XII (che sul punto si esprime in termini del tutto simili),[15] tanto da esser menzionato, senza riserve, perfino in un compendio per studenti: “Se il dubbio probabile riguarda la validità dell’elezione, il Papa non è validamente eletto. Affinché il R. Pontefice ottenga la giurisdizione suprema si richiede che egli sia legittimamente eletto; ora l’elezione dubbiamente valida non è legittima. Se però il dubbio oggettivo è probabile e non universale, ma di difficile soluzione, il giudizio spetta al Collegio dei Cardinali a norma della Cost. ‘Vacantis Apostolicae Sedis‘ nn. 3-4.”.[16]

Del resto, se ho capito bene, anche la Boni riconosce che potrebbe darsi il caso di Papa dubbio, inteso proprio come dubie electus.[17] Se c’è un dubbio, dev’esserci anche chi lo possa risolvere.
Chiarito, quindi, che anche i nn. 68 e 69 (e ogni altro punto della UDG che possa riguardare ipsum electionis actum) sono passibili di interpretazione, torniamo al dilemma principale: prevale il momento in cui si scopre la scheda, oppure il fatto che si tratti di due schede ripiegate?

Debbo confessare di non aver proprio compreso perché, secondo i critici, sarebbe così importante il riparto in fasi. Dato che la legge si interpreta tenendo conto anche del fine e delle circostanze, quale interesse fondamentale verrebbe salvaguardato da una scansione tanto rigida da impedire di applicare il n. 69 a due schede ripiegate emerse in fase di conteggio?[18]

Inoltre, soprattutto riguardo a testi come la UDG, sostanzialmente riproduttivi di leggi anteriori, ha un gran peso l’argomento storico, che, in caso di dubbio, riporta il testo al senso (più chiaro) del precedente (cfr. cann. 6 e 20). La Boni non affronta quest’aspetto, perché ha escluso in radice la stessa possibilità di interpretazione, quando si tratti dell’atto stesso dell’elezione; più singolare che lo trascurino anche Cerrelli e Introvigne, la cui linea argomentativa è diversa. Eppure, Socci è risalito alla versione originaria dell’attuale n. 69 e afferma che il suo scopo consiste proprio nell’impedire che un Cardinale possa tenere in stallo il Conclave. Anche se avesse torto sul piano storico, mi sembra che l’argomento sia comunque sufficiente a far preferire la sua interpretazione.

Del resto, la votazione viene annullata se le schede sono meno degli elettori, perché non si vuole ammettere l’astensione dal voto (al più la scheda bianca); se invece le schede sono di più, il rischio è che abbia votato un non-elettore (cfr. can. 169), o che qualcuno abbia votato più volte. Ma se si trovano piegate insieme, il rischio non sussiste, perché si possono ricondurre ad uno stesso elettore. E quindi non c’è ragione di ritenere nulla la votazione.[19]

Il tetto alle votazioni

Siano o non siano validi gli argomenti di Socci sui nn. 68 e 69, è indubbio che, secondo la ricostruzione dei fatti da tutti presupposta, si sarebbero materialmente avute cinque votazioni in una giornata. Resta da capire perché questo non costituirebbe una violazione di UDG 63, che ne prevede soltanto quattro, due mattutine e due pomeridiane.

Cerrelli e Introvigne, fidandosi della traduzione italiana, ritengono che il n. 68 imponga di procedere “subito” ad una nuova votazione; Socci giustamente replica che tale avverbio è assente nel testo latino (e il punto ha una sua importanza, di cui infra). Inoltre, secondo loro, “ – applicando elementari principi generali del diritto, anche canonico – l’articolo 63 si riferisce a quattro votazioni valide e complete, cioè arrivate fino allo spoglio”, e intendono lo spoglio completato. Anche in questo caso, però, incorrono in un infortunio con il testo latino: la “votazione completa”, a termini di UDG 66, è detta scrutinium e va, effettivamente, dall’immissione nelle schede fino allo spoglio completato;[20] ma il limite numerico del n. 63 §2 si riferisce al suffragium (“duo suffragia erunt ferenda, tum mane tum vespere”). Questo è il voto del singolo Cardinale;[21] nel contesto del n. 63, può solo indicare due momenti in cui si vota – due espressioni di suffragium – quindi due deposizioni di schede nell’urna.[22]

Più lineare l’argomento della Prof.ssa Boni: “tale quarta votazione dal punto di vista giuridico è incontestabilmente ‘tamquam non esset’, non andava quindi inclusa e computata fra quelle effettive”. Per la verità, qui ella sta derogando al suo stesso principio di letteralità pura e semplice: siccome il tamquam non esset non si legge in nessun punto di UDG, la sua lettura costituisce un’interpretazione che, in questo caso, riguarda l’atto stesso dell’elezione… appunto ciò che, a suo dire, sarebbe precluso. Ma non voglio insistere su quella che mi pare una contraddizione (o poco meno), perché riconosco che l’argomento in sé ha un suo pregio.

Tuttavia, non mi sembra convincente, per quattro ragioni.

1) Il fine del n. 63 e della scansione temporale da esso recata consiste nell’assicurar l’equilibrio tra le esigenze di celerità e quelle di riflessione. Quindi dovrebbe applicarsi a tutte le materiali espressioni di voto, ciascuna delle quali dev’essere ponderata, anche se poi, in ipotesi, fosse nullo lo scrutinio. Anzi a fortiori, mi verrebbe da dire: la nullità può sembrare un mero incidente di percorso cui occorre rimediare (a vantaggio del candidato in testa, presumibile “vittima” della procedura.

2) Il n. 68 potrebbe smentirmi, ovviamente, se imponesse la ripetizione immediata, con una deroga implicita al n. 63. Ma, come ha già rilevato Socci, esso non dice “subito”, bensì “iterum, id est altera vice, ad suffragia ferenda procedatur”. “Si voti di nuovo, ossia una seconda volta”.
Se questa è la seconda, qual è la prima?
Può solo trattarsi di quella annullata.
Supponiamo, infatti, che venga annullato il primo scrutinio del giorno: se fosse davvero tamquam non esset al punto di non venire neppure conteggiato, non si potrebbe votare una seconda volta… sarebbe di nuovo una “prima”.
Quindi, lo stesso n. 68 implica che la votazione nulla rilevi a qualche fine, che entri in un computo. Lo ha correttamente rilevato p. Bugnolo.
Allora perché non in quello del n. 63?

3) Nel caso del n. 69, il suffragium del singolo Cardinale espresso con due schede, se è nullo, «però, ha significato giuridico in quanto viene contato nel totale dei voti espressi e contribuisce a determinare, al pari di quello in bianco, la maggioranza richiesta dei due terzi».[23] Un singolo voto si computa nel quorum, anche se nullo, e una votazione intera si dissolve nell’aria?

4) L’assenza dell’avverbio “subito” e l’espressione “altera vice” si spiegano molto bene se si considera che, probabilmente, sarebbe impossibile ripetere immediatamente la votazione. Infatti, a norma di UDG 64, i Cerimonieri, distribuendo le schede, debbono darne ad ogni elettore “almeno due o tre”, “saltem duas vel tres”.[24] Quindi, possono abbondare, ma basta che ne distribuiscano due. Ecco perché UDG 68 dice “altera vice”: una terza votazione, un terzo suffragium ferre, non sarebbe possibile, occorrerebbe tornare al pre-scrutinio e distribuire nuovamente le schede. Viceversa, se il legislatore avesse inteso consentire questo terzo voto, non avrebbe spiegato “iterum” con “altera vice” (il cui senso può solo essere restrittivo: due e non di più), o avrebbe formulato diversamente il n. 64, oppure disposto che si ripetesse l’intera procedura.
O, magari, aggiunto in UDG 68 quell’avverbio statim che, invece, compare in UDG 70:[25] terminato lo spoglio, le schede si bruciano subito (statim), a meno che non si debba procedere subito al secondo scrutinio (“Si tamen secundum scrutinium statim est agendum”), nel qual caso vengono accantonate e bruciate con quelle dello spoglio successivo.[26] Quindi, lo scrutinio si può e si deve ripetere “subito” solo se è il secondo nella coppia prevista da UDG 63.

Con il che, sono giunto all’altro nuovo profilo rilevato da Socci.

Quando si bruciano le schede?
L’argomento viene in subordine rispetto a quelli sull’applicabilità del n. 69: supposto che siano infondati e che il n. 68 si sia applicato con ragione, tuttavia è stato violato nella parte in cui prescrive che le schede si brucino subito e che poi si rivoti. Non si è vista nessuna fumata nera, ergo sono state bruciate dopo, con quelle del nuovo spoglio.
Probabilmente, Scrutatori e Decano hanno ragionato come la Boni: se si considera tamquam non esset la votazione nulla, si deve applicare UDG 70, perché quella nuova è comunque la seconda della serata. Quindi, si rivota e poi le schede si bruciano tutte assieme.
In realtà questo è sicuramente un errore, dato che crea un conflitto tra norme: in quella stessa ipotesi, infatti, si voterebbe altera vice, dunque dovrebbe applicarsi UDG 68.
Che viceversa rischia di non applicarsi mai: non alla nullità della prima votazione, perché, dato il tamquam non esset, non si voterebbe altera vice; e neppure alla nullità della seconda, perché prevarrebbe UDG 70.
Superfluo osservare che il Sacro Collegio non ha il potere di abrogare neppure una virgola di UDG; molto meno, dunque, Decano e Scrutatori, per tacere della dottrina. L’interpretatio abrogans, almeno in questo caso, va respinta per definizione. E, lo dico per inciso, questo conferma una volta di più che la votazione nulla si deve conteggiare (almeno ai fini di UDG 68, dunque, secondo me, anche di UDG 63).
Insomma, ammesso che una votazione sia stata annullata, ha ragione Socci: è stato violato il n. 68.
Ma, a questo punto, il resoconto della Piqué crea un problema di validità in tutti i casi possibili: se la doppia scheda è emersa in fase di spoglio, è stato violato il n. 69; (secondo me anche se le due schede erano comunque attaccate, ma,) se invece si è applicato correttamente il n. 68, lo si è però violato non bruciando subito le schede della votazione annullata.

E’ il momento, quindi, di ragionare sulle conseguenze delle irregolarità discusse fin qui, ossia sulla portata della nullità prevista in UDG 76.

Quando è nulla l’elezione del Papa?

La Boni non si sofferma su questo problema, superfluo nell’economia della sua argomentazione; nulla dice Miñambres,[27] mentre, come detto, non ho potuto consultare Pompedda.
Si sono espressi, invece, Cerrelli e Introvigne, che, muovendo dalla condivisibile premessa secondo cui le ipotesi di invalidità vanno circoscritte e certamente non si potrebbe attribuire tale portata ad ogni minima violazione, sostengono che la formula “Se l’elezione fosse avvenuta altrimenti” (“Si electio aliter celebrata fuerit”) “e il riferimento alle «condizioni» si riferisc[ono soltanto] allo schema essenziale del conclave, e non a singoli elementi”; quindi, sarebbe “sufficiente che il procedimento sia stato segreto e che si sia avuto con consenso naturalmente sufficiente. Non rendono nullo il voto, pertanto, né l’errore, né la paura: e neppure un fatto gravissimo come la simonia (art. 78 della costituzione).”.
Riguardo alla paura – tra i giuristi solitamente chiamata “timore” – veramente avrei qualche dubbio: il Concilio di Costanza, nel decreto Frequens (la cui approvazione da parte di Martino V è certa, avendovi egli dato esecuzione), ha esplicitamente disposto che il timore grave rende nulla l’elezione del Papa, senza che sia possibile la ratifica successiva per tacito consenso dei Cardinali, una volta cessato l’errore. E anche supponendo che la disposizione si debba ritenere abrogata, anche se non saprei da quale, il can. 170 del Codice dichiara nulla qualsiasi elezione la cui libertà sia stata effettivamente impedita. Del resto, in ipotesi di errore essenziale o di timore grave, come si potrebbe parlare di “consenso naturalmente sufficiente”? Già solo per questo, la lettura mi sembra troppo restrittiva.[28]
L’argomento storico, inoltre, porta in un’altra direzione: nei testi normativi anteriori, l’avverbio “altrimenti” e le “condizioni” si riferivano alle tre diverse forme di elezione previste, per scrutinio, per compromesso o per acclamazione. Abolite le ultime due da Giovanni Paolo II, debbono per forza indicare la procedura di scrutinio e non semplicemente i requisiti del consenso o del segreto. Tanto più che l’insistenza del Pontefice sull’importanza della procedura e del suo rispetto scrupoloso[29] impedisce di ritenere che egli abbia voluto restringere i casi di nullità e suggerisce, semmai, la lettura opposta, di una clausola volutamente ampia.
A mio avviso, il n. 76 si può, quindi, intendere comprensivo di tutti e soli i vizi che abbiano avuto un’incidenza causale sull’atto dell’elezione, sull’esito del Conclave.

Le irregolarità qui considerate vi rientrano?

Non quella sull’apertura anticipata del Conclave, se pur fosse un vizio: è tutto da dimostrare che Bergoglio non sarebbe stato eletto, o che l’iter delle votazioni si sarebbe svolto altrimenti.
Diverso il caso per i nn. 63 e 68.
Molto opportunamente, Socci ha rilevato che, tra la sera e la mattina, molte candidature si fanno e si disfano: se i Cardinali, annullata la votazione, si fossero ritirati a riflettere a pregare, avrebbero potuto circolare informazioni più accurate sul candidato in testa; invece, la ripetizione, con buona probabilità, ha convogliato anche gli indecisi su chi appariva vincente. E comunque, se la votazione non poteva essere ripetuta, l’actum electionis è invalido.[30] Lo sarebbe perfino se Bergoglio fosse già stato eletto alla quarta votazione, perché il suo spoglio non è mai stato completato.
Invece, occorre fare un distinguo quanto alla bruciatura delle schede annullate. Lo scopo della norma è chiaro: impedire che si confondano le schede dell’uno o dell’altro scrutinio. Data l’entità del pericolo, la violazione ha sicuramente portata invalidante… a meno che il pericolo stesso, in concreto, non sussistesse, perché, p.es., le schede erano già state infilate nella stufa o comunque allontanate in modo tale da escludere ogni possibilità di confusione. Ma nel dubbio di fatto su come siano andate le cose, anche sotto questo profilo l’elezione non è legittima.
Concordo con la Boni,[31] invece, sull’assenza di portata invalidante di un altro rilievo di Socci: se effettivamente la scheda ripiegata è stata “scoperta” in fase di conteggio, vuol dire che lo scrutatore lo ha aperta, anche se avrebbe potuto farlo solo in fase di spoglio. In realtà, un divieto esplicito di aprirle prima non c’è e, in ipotesi, sussisteva certo una causa più che ragionevole. Non so, però, se questa lettura si accordi bene anche con l’insistenza della Boni sulla rigidità della scansione in fasi.

Accettazione universale

Resta da esaminare l’ultimo argomento della Boni, che escluderebbe la sussistenza di qualsiasi invalidità: “la canonistica ha costantemente e coralmente ammaestrato che la pacifica ‘universalis ecclesiae adhaesio‘ è segno ed effetto infallibile di un’elezione valida e di un papato legittimo: e l’adesione a papa Francesco del popolo di Dio non può essere messa in alcun modo in dubbio.” (rimanda, sul punto, a Wernz-Vidal e al Card. Billot).[32]

Mi permetto di mettere in dubbio sia l’adesione del popolo di Dio, sia la bontà della tesi, sia il sostegno costante e corale di cui godrebbe.

Quanto all’ultimo punto, proprio Wernz-Vidal, nel luogo richiamato dalla Boni, attestano la vivacità delle discussioni su quando si dia un Papa dubius: il senso dell’argomento è proprio escludere in radice la possibilità del dubbio.[33] E ciò su un fondamento teologico: il Card. Billot spiega molto chiaramente che, siccome il Papa è “la regola vivente della Fede”, Dio non può permettere che tutta la Chiesa segua per tale colui che non è veramente Papa; sarebbe come se la Chiesa intera sbagliasse nella Fede.[34] Quindi, se di fatto tutti sono convinti che Tizio sia il Papa, allora siamo infallibilmente certi che l’elezione è valida.
Non è un caso che il Billot tratti l’argomento riguardo all’ipotesi del Pontefice eretico. In effetti, secondo me, il suo argomento ha pregio solo se vi è un rischio concreto di induzione dei fedeli nell’eresia (un Papa non canonicamente eletto potrebbe, però, essere del tutto ortodosso); ma non vale comunque a neutralizzare di fatto questo rischio. Ci assicura, semmai, che è impossibile che la Chiesa intera segua nell’errore un Papa eretico; e anche per Billot, che pure tratta il caso come meramente ipotetico, questi decadrebbe ipso facto dalla carica. Ma allora, per un verso l’adesione universale precedente non varrebbe come garanzia contro cadute successive; per altro, l’eretico si manifesterebbe comunque per tale da occupante della Suprema Cattedra e per questa via travierebbe un gran numero di fedeli; infine, ma non da ultimo… se le cose stanno così, a che pro’ ritenere l’adesione universale segno infallibile di elezione legittima? Dov’è, non dico il vantaggio, ma la necessità teologica cogente che impone di far appello all’indefettibilità?
Ma non basta. Quest’argomento è contrario al diritto positivo.

Ho già menzionato il decreto Frequens, sulla nullità dell’elezione viziata da timore grave, nullità non sanabile neppure per comportamento concludente dei Cardinali. E’ ovvio che, se questi non protestano in qualche modo, nessuno avrà argomenti concreti con cui impugnare l’elezione papale, ergo si darà la universalis adhaesio; ma il Concilio Ecumenico ragiona in termini diametralmente opposti ad una sua efficacia sanante o probante la validità.
Ancor più precisa, poi, la Bolla di Paolo IV Cum ex Apostolatus, che espressamente dispone che, se mai venisse eletto al Pontificato un eretico, l’elezione sarebbe nulla e non potrebbero supplire né il possesso della carica, né il riconoscimento universale.[35] Mi permetto di pensare che al Billot sia sfuggita: egli reputava impossibile che, nelle leggi universali (come quelle per il Conclave), i Papi potessero statuire in termini non conformi al diritto divino, avrebbe rivisto il proprio argomento. Se il riconoscimento universale chiama in causa l’indefettibilità, è in gioco il diritto divino, la fedeltà di Cristo alle Sue promesse alla Chiesa; Paolo IV avrebbe commesso un errore dottrinale a non riconoscerlo. Lo stesso dicasi per i testi normativi sul Conclave anteriori alla riforma di S. Pio X, che contenevano formule di minaccia gravissime per lo pseudo-Pontefice – fuori del caso di eresia, cioè eletto in difformità dalle norme irritanti – e chiunque gli prestasse adesione, senza minimamente accennare a questa sicurezza infallibile derivante dall’adesione stessa, se universale.[36]

Inoltre, il canonista deve, in linea di principio, considerare il diritto vigente prima, e il consenso della dottrina solo come criterio suppletivo (cfr. can. 19); e, a mio parere, la Bolla di Paolo IV è tuttora in vigore. Certamente lo era al tempo in cui scriveva il Billot, poiché figura tra le fonti del Codice del 1917.[37] Ma siccome sia questo sia il nuovo (cfr., rispettivamente, can. 153 e can. 149) lasciano alle leggi particolari il compito di dettare i requisiti di idoneità necessari per il tale ufficio e anche i casi in cui la loro mancanza rende invalido il conferimento, direi che non si pone neanche il problema di una sua abrogazione. Ne segue che l’argomento della universalis adhaesio contrasta con la normativa in vigore, almeno quanto all’ipotesi del Papa eretico (l’unica, a mio avviso, per cui esso abbia un senso).
Infine, è così pacifico che vi sia, quest’adesione universale?

Certo, finché non è apparso il libro di Socci, nessuno nutriva dubbi precisi sulla validità dell’elezione; ma se è in gioco il principio per cui “Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”… ebbene, le pecore perplesse non sono mai mancate, fin dal primo apparire di Bergoglio al balcone; anzi, le abbiamo viste crescere di numero, come le preoccupazioni in intensità. Questo non conta nulla?[38]

Nella logica sottesa all’adesione universale, io credo che debba contare.
Condizioni ed ambito della supplenza; il futuro Conclave

Veniamo, ora, ad un altro problema, posteriore nell’ordine logico: se effettivamente l’elezione è invalida, qual è la sorte degli atti compiuti da Bergoglio?

Osservo, peraltro, che esso si intreccia comunque con l’argomento dell’adesione universale, la cui ragion d’essere cade anche se il Papa illegittimo non è Papa, ma i suoi atti sono comunque validi, inclusi quelli magisteriali: allora, infatti, non si può dire che la Chiesa stia seguendo un falso Pastore. E la legislazione della Chiesa prevede appunto che, a certe condizioni, chi non sia titolare di un ufficio disponga comunque della giurisdizione, o potere di governo, che gli viene supplito dalla Chiesa.[39] Si badi bene: la supplenza non è una sanatoria; non “sana” l’elezione invalida e non impedisce, anzi esige che vi si ponga rimedio. Ma, per evitare danni maggiori alle anime, attribuisce un potere che non si possiede, ad alcune condizioni. In effetti, e salvo miglior giudizio, credo che l’adesione universale sia stata escogitata per sfuggire alle intricate controversie del diritto precodiciale su casi e limiti della supplenza, nonché sulla possibilità che eretici o scismatici avessero comunque giurisdizione.[40] Tuttavia, il Codice del 1917, risolvendo queste controversie nel senso più favorevole alla supplenza, ha reso quest’argomento, lato sensu tuziorista, del tutto inattuale. Ci si può chiedere, semmai, se sia tornato di attualità con il Codice del 1983. Ma andiamo con ordine ed esaminiamo, sinteticamente, lo sviluppo dei casi in cui la Chiesa supplisce la giurisdizione. Questo permetterà anche di rispondere alla domanda:

Secondo l’opinione di gran lunga prevalente prima del Codice del ’17, la supplenza richiedeva l’errore comune e il titolo colorato: ossia, che una parte cospicua della comunità interessata reputasse, erroneamente, Tizio detentore della tal carica o munito dei tali poteri, e che il suo possesso della/gli stessa/i fosse coonestato da un titolo apparente (p.es., Tizio è un eretico, ma il Vescovo non lo sa e lo ha nominato Parroco). S. Alfonso ha affermato espressamente che, in caso di elezione nulla per simonia occulta, la supplenza di giurisdizione si sarebbe applicata anche al Papa, attribuendo perfino l’infallibilità agli atti che la richiedevano.[41]

Tuttavia, il diffondersi del dubbio sulla legittimità dell’elezione avrebbe fatto venire meno il titulus coloratus, e con esso la supplenza, anche se la maggior parte dei fedeli fosse stata ancora in errore: è possibile che questo abbia fatto preferire ad alcuni l’adesione universale come mezzo per escludere tali dubbi. Considerato, però, che, secondo tutti gli autori, il can. 209 del Codice del 1917 ha abolito il titolo colorato e si accontentava dell’errore comune, la difficoltà oggi non si porrebbe. Dopotutto, “Non è il Papa, ma tutti credono che lo sia” sarebbe esattamente la nostra ipotesi.[42] Per inciso: la potestà supplita si estenderebbe anche a coloro che sono sicuri che non sia il Papa, poiché la supplenza è funzionale al bene comune, non a quello personale del singolo errante: attribuisce un vero potere di governo, efficace anche verso chi è consapevole dell’illegittimità.

Ma, purtroppo, un problema c’è ancora.

Diversamente dal vecchio Codice, il nuovo distingue la potestà di governo in legislativa, esecutiva e giudiziaria… e prevede la supplenza soltanto per quella esecutiva (cfr. can. 144 §1).[43]
Dunque, le nomine – espressamente qualificate dal Codie come atti della potestà esecutiva – sono salve, incluse le creazioni cardinalizie; quindi disponiamo tuttora di un Sacro Collegio validamente costituito e i Cardinali creati da Bergoglio, se venissero chiamati ad esprimersi sulla validità della sua elezione, non giudicherebbero in causa propria, perché resterebbero comunque Cardinali. Anche i provvedimenti della Curia Romana emanati previa approvazione pontificia sono pienamente validi (di sicuro se l’approvazione è in forma comune; ma penso anche quella in forma specifica, perché restano atti della potestà esecutiva, sia pure piena e suprema (cfr. can. 1732).
Ma nulla è previsto per gli atti legislativi, giudiziari o di Magistero.

Siccome la supplenza è comunque un istituto eccezionale rispetto alle regole ordinarie su attribuzione e riparto del potere, il silenzio vale esclusione.[44]

Fortunatamente, la Rota Romana e la Segnatura Apostolica giudicano con potestà propria e le loro sentenze non verrebbero inficiate in alcun modo; ma la Congregazione per la Dottrina della Fede sottopone molte decisioni in materia penale al giudizio diretto del Papa. Nessun problema se si tratta di provvedimenti assunti in via amministrativa, rientrano nella potestà esecutiva; non così se hanno forma di sentenza o decreto giudiziale. Anche le canonizzazioni, trattandosi di definire processi veri e propri sebbene sui generis, dovrebbero rientrare nelle sentenze. Fortunatamente, l’attività legislativa è rimasta circoscritta al riassetto della Curia; eventuali atti amministrativi da essa derivati beneficerebbero della supplenza per errore comune, quindi gli inconvenienti sembrano, tutto sommato, circoscritti… ad un notevole danno per l’immagine della Sede Apostolica. Facile osservare che i danni si evitano con un maggior rigore nell’osservanza della legge, non celando la polvere sotto il tappeto a pasticcio avvenuto.
In questi casi, come per gli atti magisteriali, non essendovi un rimedio rebus sic stantibus, spetterà al nuovo Pontefice scegliere quali atti confermare, modificare o lasciar cadere. Nel frattempo, l’errore comune, se non supplisce la potestà mancante, scusa però dal peccato chi prenda le leggi per vere leggi e gli atti di Magistero per ciò che pretendono di essere (…forse: sono noti i dubbi sollevati riguardo alla Evangelii gaudium).

E con ciò, siamo arrivati al problema del nuovo Papa.

Come si dovrebbe procedere ad un nuovo Conclave?
Secondo logica, prima di tutto bisognerebbe dirimere il dubbio sulla validità dell’elezione di Bergoglio. E questo anche se la Sede vacasse per sua morte o rinunzia, perché UDG 33 prevede che godano di elettorato attivo i Cardinali che non avevano compiuto ottant’anni il giorno in cui la Sede si è resa vacante… e, nella nostra ipotesi, quel giorno sarebbe ancora, sempre, il 28 febbraio 2013. Anzi, prima ancora, occorre che il Collegio intero chiarisca se il potere previsto da UDG 5 spetti a tutti i Cardinali, o solo agli elettori, quando è in gioco la validità dell’elezione: non è possibile rivolgersi ad altri organi, come il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, perché Papa dubius Papa nullus, quindi la Sede dovrebbe considerarsi vacante fino a soluzione del dubbio (la cui sussistenza sarebbe indiscutibile, se davvero venisse convocato il Sacro Collegio per discuterne). Naturalmente, se la decisione fosse in favore di Bergoglio, nessun problema; in caso contrario, ben si potrebbe applicare UDG 37 e, se fossero presenti (o assenti giustificati), tutti gli elettori, aprire subito il Conclave. Sarebbe opportuno che il Card. Decano, nelle lettere di convocazione, informasse subito i Porporati di tale possibilità.
Indubbiamente, a vista umana sembra molto inverosimile che due terzi dei Cardinali, o anche solo degli elettori, votino contro la legittimità del detentore della Sede Apostolica (perfino se fosse appena morto, o avesse rinunziato); ma la storia della Chiesa è ricca di sorprese…

Guido Ferro Canale

www.antoniosocci.com/sullinvalidita-…