Il lavoro dell’amore. . Continuando il mio solito stato, ma pieno di amarezze e di privazioni, onde avendo fatto la comunione stavo lamentandomi col benedetto Gesù del modo come lui mi aveva lasciato …Altro
Il lavoro dell’amore.
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Continuando il mio solito stato, ma pieno di amarezze e di privazioni, onde avendo fatto la comunione stavo lamentandomi col benedetto Gesù del modo come lui mi aveva lasciato e dell’inutilità del mio stato. E lui avendo compassione dei miei lamenti mi ha detto:
“Figlia mia, niente ha sminuito i beni che sono tra me e te, perché tutto il bene sta nel principio del fondamento. Quando due persone si uniscono in vincolo d’amicizia o in unione di sposalizio, e a parte si son fatti i doni e si sono amati tanto da rendersi indivisibili tanto che l’uno ha preso ed ha copiato tanto l’altro da sentire in sé stesso l’essere della persona amata, se per stretta necessità sono costretti a stare l’uno lontano dall’altro, si vengono forse a sminuire quei doni o a decrescere nell’amore? Niente affatto, anzi la lontananza fa crescere più nell’amore e fa conservare con più cautela i doni ricevuti, aspettando nel ritorno qualche imprevisto dono maggiore. Anzi c’è di più, avendo copiato in sé la persona amata, pare che per lei non c’è lontananza, perché si sente nella sua voce scorrere la voce dell’amato, avendolo imitato; se lo sente scorrere nella sua mente, nelle sue opere, nei suoi passi, sicché è lontano e vicino, lo guarda e le sfugge, lo tocca e non può stringerlo, sicché l’anima è in continuo martirio d’amore. Onde se la giustizia mi costringe a privarti di me ed a stare per qualche tempo lontano, puoi dire che ti ho tolto i doni e che c’è diminuzione d’amore?”
Ed io: “È troppo duro il mio stato, cara mia vita, ed a che pro starmene se non mi fate soffrire per risparmiare il mio prossimo dai castighi? Avete detto tante volte di non far piovere8, e non piove; sicché non posso più vincervi in niente. Quel che dite fate, mentre se vi avessi vicino come prima vi direi tanto che mi fareste vincere. Come dite che non è niente la lontananza?”
E lui: “È per questo, appunto, che son costretto a starmene lontano, per non darti la vinta e dar luogo alla giustizia. Ma però col tenerti [in questo stato] c’è anche un bene, perché la mancanza dell’acqua chiamerà la carestia, ed i popoli in questo tempo resteranno umiliati; e succedendo le stragi e le guerre, la grazia li troverà più disposti a salvarli; non è anche un bene questo, che mentre le guerre stavano per primeggiare [sul]la carestia, mentre col tenerti [in questo stato] saranno prolungate [soltanto] per altro poco le guerre, e così saranno più anime salvate? ”
Poi ha soggiunto: “L’amore non dice mai basta, ancorché l’amore la13 flagellasse, la facesse a brandelli, quei brandelli griderebbero amore; l’amore non dice basta, non è contento ancora; quei brandelli li spolverizza, li riduce al nulla, ed in quel nulla vi soffia il suo fuoco, le14 dà la sua stessa forma, niente vi mescola d’umano, ma tutto di divino; ed allora l’amore canta le sue glorie, le sue prodezze, i suoi prodigi e dice: ‘Son contento, il mio amore ha vinto, ha distrutto l’umano ed ha edificato il divino’.
Succede all’amore come a quel valente artefice che avendo tanti oggetti che non gli gradiscono15, li fa in pezzi, li mette sul fuoco e li fa tanto stare fino a liquefarli e far loro perdere tutta la loro forma, e poi vi forma tanti altri oggetti bellissimi e piacevoli, degni della sua valentia. È pur vero che per l’umano è troppo duro questo agire dell’amore, ma quando vedrà il suo acquisto vedrà d’avere sottentrato16 la bellezza alla bruttezza, la ricchezza alla povertà, la nobiltà alla ruvidezza. Anche essa17 canterà le glorie dell’amore”.

Agosto 10, 1908 (41)
Vol 8 Libro di Cielo