CRISTOREGNI
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LA MORTE INGLORIOSA DEI PRIMI PERSECUTORI DEI CRISTIANI

PRIME PERSECUZIONI DEI CRISTIANI

Ø ALCUNI DETTAGLI STORICI

Le persecuzioni suscitate contro ai cristiani per arrestar i progressi del Vangelo furono almeno dieci, e tutte terribilmente sanguinose; la prima fu mossa dall'imperatore Nerone.
Tutti fecero una morte orrenda e sono ricordati tutt’oggi come uomini del male.


1) Nerone non men vile che feroce, dalla soverchia paura parve tratto di senno; punto più non badando a migliorar il suo destino, fuggì da Roma di mezzanotte involto in un vile {50[208]} mantello, per ritirarsi così travisato nella casa villereccia di Faone, uno de' suoi liberti a distanza di circa tre miglia dalla città.
Oppresso nella fuga dalla sete, e costretto a bere acqua limacciosa nel cavo della mano, non poté tenersi dal farne querela dicendo: «questi sono i liquori di Nerone?» Il domani ebbe notizia, che il Senato dopo averlo proscritto, lo condannava a spirar sotto le verghe.
Poco appresso vide il suo asilo invaso dà suoi persecutori.
Per scansare il supplizio si trapassò da sé stesso col pugnale la gola, e morì l’anno sessantesimottavo di Gesù Cristo il nove di giugno, il medesimo dì che aveva fatto morir sua madre, in età di 31 anni,
dopo averne regnati 13 e mezzo; mostro di crudeltà, che in sì breve corso di vita trovò modo di fare inorridire del suo nome i tiranni medesimi; il più empio degli uomini, che perciò meritava d' essere il primo persecutore di una religione la più santa.


2) Domiziano successore, che aveva tutti i vizi di Nerone, ebbe anche lo stesso odio contro del cristianesimo.
Una pressoché innumerabile moltitudine di persone d'ogni età e d'ogni condizione fu vittima della sua crudeltà, non eccettuati alcuni de' suoi più prossimi parenti.
Ma ciò che rese più celebre la persecuzione di Domiziano, fu il martirio di s. Giovanni l’Evangelista.
Questi fu immerso in una caldaia d'olio bollente, senza che però egli ne ricevesse alcun male.
Il miracolo avvenne in Roma vicino {57[215]} alla porta Latina (an. 93).
S. Giovanni avendo così sfuggito la morte, fu relegato da Domiziano a Patmos isola dell'Arcipelago, dove
nel silenzio della solitudine ebbe meravigliose rivelazioni, che egli scrisse e formano il libro dell’Apocalissi.
Questo santo Apostolo dopo la morte di Domiziano ritornò in Efeso, dove visse sino al finir del primo secolo,
e morì colla consolazione di veder la semenza del Vangelo produr benefici frutti per tutto il mondo, in età d'oltre cent'anni nel 104.
La sorte di Domiziano fu segnata quando gli uomini a lui più vicini lo tradirono.
Un complotto di senatori, che garantirono a
Nerva la successione all'impero, coinvolse la moglie Domizia
e il procuratore Stefano, i cortigiani Partenio e Sigerio, il segretario Entello e i prefetti del pretorio Norbano
e Petronio.
Il 18 settembre Partenio annunciò all'imperatore che Stefano era latore di un importante messaggio.
Fingendosi ferito a un braccio, questi nascondeva nelle bende un pugnale.
Il falso messaggio rivelava a Domiziano l'esistenza di una congiura ai suoi danni.
Mentre l'imperatore leggeva, Stefano lo colpì all'inguine: malgrado la ferita, Domiziano reagì con grande energia, gettandosi su Stefano, ma intervennero altri congiurati, che lo finirono con altre sette pugnalate.


3) Traiano , sebbene la storia lodi la sua clemenza, contribuì alle crudeltà che si esercitarono nella terza persecuzione. Egli volle che le sanguinose leggi de ‘suoi predecessori fossero mantenute in vigore,
ed eseguite nell'impero.
Noi ne abbiamo una prova nella risposta di questo Principe a Plinio il giovine {58[216]} governatore della Bitinia. Plinio aveva scritto a Traiano per consultarlo sulla condotta che tener doveva riguardo ai cristiani: «tutta la colpa loro, egli dice, consiste nel cantar inni in onore di Cristo, essi sono in numero grandissimo, di ogni età,
e d' ogni condizione, nella città e nelle campagne, a segno che i Tempi dei nostri Dei sono quasi deserti».
Tale fu la testimonianza che un persecutore rendeva del numero, e della santità dei cristiani.
Traiano gli rispose «che non occorreva fare ricerche di cristiani; ma che qualora essi fossero accusati,
e convinti, come tali si dovessero punire colla pena di morte».
Risposta veramente assurda.
I due martiri più illustri fatti da questa persecuzione, furono s. Ignazio Vescovo di Antiochia, e s. Simeone.
S. Ignazio già da 40 anni formava l'edificazione del suo gregge, che esso aveva saputo conservar saldo
nella fede durante tutta la tremenda persecuzione di Domiziano.
Traiano fu colpito da una immediata e terribile paralisi e morì solo all’età di 60anni.


4) Marco Aurelio rinnovò gli editti di persecuzione (an. 162).
Le prime violenze si esercitarono a Smirne,
e furono orribili assai. Ma nel mezzo di questi tormenti i cristiani si mostravano talmente imperturbabili,
e costanti, che gli spettatori erano inteneriti infino alle lagrime, solamente questi generosi soldati di Gesù Cristo si presentavano con gioia al supplizio, e non aprivano bocca, se non per lodare e benedire il Signore.
Un giovanetto di nome Germanico, faceva animo agli altri col suo esempio. Prima che fosse esposto alle bestie, il giudice facendo l'ultimo sforzo per guadagnarlo; il santo martire gli rispose: che amerebbe meglio perdere mille vite, che conservarne una al prezzo della sua innocenza; quindi avanzandosi verso un leone che gli veniva {62[220]} incontro, e cercando la morte nelle fauci, e fra i denti di quest'animale furioso, si affrettò di uscire da un mondo in cui cotanto trionfa il delitto e l’empietà.
Fu pure in questa persecuzione, che s. Policarpo discepolo dell'Apostolo san Giovanni, e Vescovo di Smirne
fu condannato ad essere bruciato vivo, rendendo così una gloriosa testimonianza alla divinità di Gesù Cristo.
la persecuzione si riaccese nella Francia, e scoppiò specialmente nella città di Autun, dove il giovane s. Sinfoniano segnalò il suo coraggio, e nella città di Lione dove s. Fotino primo Vescovo di questa città fu coronato del martirio in onore della santa fede con un gran numero di fedeli.
L’imperatore Marco Aurelio non sopravvisse molto ai martiri immolati nelle Gallie per l’abuso del suo potere. Raccontano che gli sia stato dato un lento veleno dal suo figliuolo Commodo, onde caduto in una malinconia che intimamente {65[223]} l’affliggeva, bramando piuttosto morire, che menare una vita che gli tornava di tanto peso, infelicemente morì di volontaria fame l’anno di Gesù Cristo 180, in età di 59 anni.


5) Settimo Severo che parve {67[225]} sulle prime favorevole ai cristiani; nel decimo anno del suo regno pubblicò contro di loro sanguinosi editti, i quali furono eseguiti con tanto rigore, che molti credettero
che fosse giunto il tempo dell’Anticristo. La persecuzione si estese fin nella Francia, e s' accese principalmente nella città di Lione, ove era Vescovo s. Ireneo discepolo di s. Policarpo. L’imperatore vedendo la città divenuta quasi tutta cristiana per le cure di questo santo Prelato, prese una risoluzione ben degna della crudeltà d' un persecutore.
Diede egli ordine di attorniare la città, e far man bassa su tutti coloro che avessero osato profferire: io son cristiano.
La strage fu generale. S. Ireneo fu condotto davanti al Principe, che lo fece metter a morte, vantandosi
d'aver fatto trucidar il pastore ed il gregge. Un’antica iscrizione che si vede ancora in Lione, mostra che
senza annoverarsi donne e fanciulli, il {68[226]} i martiri monta a diciannove mila (an. 203).
Furono inventate le più nere calunnie contro ai cristiani di quel tempo. Erano riguardati come tanti sacrileghi, nemici pubblici, gente infame, e capace d' ogni misfatto; questo si diceva senza però esaminare se fosse verità o menzogna. Ma Iddio suscitò uomini grandi sia per scienza, che per santità, i quali seppero valorosamente difendere i misteri e la morale del cristianesimo.
Morì in Britannia, in guerra, ossessionato e impazzito in una grotta abbandonata nell'anno 268.

I successori di Settimo Severo lasciarono alquanto in pace i cristiani; anzi l’imperatore Alessandro si mostrò molto propenso a favorirli.
Egli onorava Gesù Cristo come uno de' suoi Dei, ed aveva posta una sua statua dentro una specie di tempio domestico.
Quest'inclinazione d'Alessandro pe' cristiani fu per Massimino di lui successore un motivo di odiarli.


6) Massimino . Questo Principe naturalmente feroce principiò contro di loro una persecuzione che
si conta per la sesta, {74[232]} e che aveva specialmente di mira i Vescovi, ed i Sacerdoti.
In essa subirono segnalato martirio s. Barbara, e i due Pontefici s. Antero, e s. Ponziano.
Quest'ultimo dopo il pontificato di cinque anni morì esiliato nell'isola di Sardegna.
Questa persecuzione sarebbe stata assai più lunga, se Iddio non avesse vendicati gli oltraggi che il barbaro Massimino gli faceva. Marciava egli contro Aquileia, che si era ribellata, e gli aveva chiuse le porte.
Egli l'assaltò più volte sempre inutilmente; accagionava i soldati de' suoi cattivi successi, e qual forsennato
si lasciava trasportar dagl’impeti del suo furore, e dalla sua brutalità. Finalmente una calca di soldati si avventarono contro di lui, e lo trucidarono in mezzo alla sua tenda, e ne mandarono la testa a Roma.
Così finì la sesta persecuzione (an. 227).


7) DECIO. La settima persecuzione fu suscitata dall'imperatore Decio (an. 230).
Fin dal principio del suo regno egli pubblicò un editto che venne eseguito con un rigore estremo.
Le sferze, gli uncini di ferro, il fuoco, le bestie feroci, la pece bollente, le tenaglie infuocate, ogni sorta di supplizio fu messo in opera per tormentar i confessori della fede. Il numero di quelli che subirono il martirio
in questa persecuzione è sì grande, che riuscirebbe difficile l'annoverarli; sono in special modo rinomati san Poliutto nell'Armenia, san Alessandro Vescovo di Cappadocia, il magnanimo s. Pionio sacerdote della Chiesa
di Smirne, s. Agata in Catania nella Sicilia, s. Vittoria nella Toscana, il celebre Acacio Vescovo d'una città d'Antiochia, e finalmente una delle principali vittime del furore di Decio fu pure s. Fabiano Papa, il quale dopo tredici anni di faticoso pontificato fu gloriosamente coronato del martirio l’anno 250. {76[234]}
Quest'orrenda persecuzione avrebbe infierito assai più, se quella man divina che attenta veglia sulla sua Chiesa non avesse tolto dal mondo chi ne era il primo motore. Decio combatteva contro i barbari presso il Danubio,
e giudicando già sua la vittoria, s' inoltrò inconsideratamente in una palude per meglio aver i nemici a sua discrezione, ma oppresso dalla calca dei combattenti perì miseramente con suo figlio in un pantano; e così ebbe fine la persecuzione di Decio (an. 253).


8) VALERIANO. Fu la pura e cieca crudeltà dell'imperatore Valeriano, il quale si lasciò persuadere dai Sacerdoti de' falsi Dei, che per riuscir in una guerra che era per intraprendere, doveva si affatto annientar
il cristianesimo. A tal fine egli pubblicò un editto di persecuzione, la quale come le antecedenti procurò
la gloria del martirio ad un gran numero di cristiani (an. 257).
Fra i più illustri si annovera s. Cipriano Vescovo
di Cartagine, e s. Lorenzo primo Diacono della Chiesa romana, e s. Sito Papa, il quale fu decapitato il 6 agosto {80[238]} l'anno 258.
Mentre era condotto al supplizio s. Lorenzo l'accompagnava, e colle lagrime agli occhi: «ah dove te ne vai, disse, o padre santo, senza di me tuo ministro?» Rispose il santo Pontefice: «fatti animo, entro tre giorni mi seguirai». Così avvenne, poiché tre giorni dopo il prefetto di Roma sdegnato contro Lorenzo perché non poteva aver i tesori della Chiesa, i quali erano stati distribuiti ai poveri, comandò distenderlo sopra una graticola infuocata. Il santo martire sembrava insensibile al dolore, e scorso un poco di tempo, diceva al tiranno:
«fammi voltare, sono arrostito abbastanza da questa parte»; voltato che fu: «il boccone è cotto,
soggiunse, sei a tempo di mangiarlo». Quest'eroica fermezza conservò sino all'ultimo respiro tra le fiamme.
Questo Principe che pensava di riportare una gloriosa vittoria, mediante l’annientamento del cristianesimo, rovinò sé stesso con trionfo di quel Dio, che de' cristiani è padre e sostenitore.
In una battaglia contro Sapore re di Persia cadde in mano del nemico, il quale lo fece porre in catene, lasciandogli indosso gli ornamenti imperiali per maggiormente umiliarlo. Quando montava a cavallo lo costringeva a prostrarsi dinanzi a lui, gli poneva il piede sul collo invece di servirsi di staffa.
Per ultimo ordinò che fosse scorticato vivo, che il suo corpo venisse salato, e la sua pelle tinta in rosso fosse conservata in eterno monumento dell'obbrobrio di questo persecutor del nome cristiano.
Pare, che questo Principe abbia provocato la divina maledizione non solo sopra sé stesso, ma altresì su tutta
la sua stirpe, giacché suo figlio, che dopo {84[242]} di lui fu gridato imperatore, venne sconfitto e trucidato dall'esercito dell'Illiria. Gli succedette Gallieno, che fu pure tolto di vita; indi tosto furono precipitati dall’alto del Campidoglio il figlio ed il fratello di Gallieno, ultimi avanzi della razza di Valeriano, che rimase così tutta spenta.


9) AURELIANO. L'imperator Aureliano, che nei primi anni del suo regno non era contrario ai cristiani, si cangiò tutto ad un tratto. Era in punto di sottoscrivere un terribile editto contro di loro, allorché fu trattenuto da un fulmine caduto a suoi piedi. Lo spavento da cui fu sorpreso l’indusse per allora a tralasciar il suo disegno. Qualche tempo dopo lo eseguì; e fra gli altri martiri si annovera segnatamente san Dionigi primo Vescovo di Parigi, e san Felice Papa, il quale dopo aver esortati molti a perseverare nei tormenti, alla fine {85[243]}
fu egli pure a parte del loro trionfo. Ma non andò guarì, che Aureliano venne assassinato dal suo proprio segretario (an. 275).
In mezzo alle tante calamità che Chiesa santa affliggevano, insorse la mostruosa eresia de' manichei, che più d'ogni altra fu durevole e dannosa alla religione. Manete che ne fu l'autore era nato schiavo nella Persia; una vedova mossa a compassione di lui, non avendo prole, lo adottò, e l’allevò come suo figlio, istituendolo erede
di tutto il suo avere. Fra le altre cose si trovò un libro, dal quale trasse le più infami stravaganze. Credendosi perciò uomo divino addimandatasi lo Spirito Santo, ossia lume del genere umano. Insegnava esistere due Iddii, l’uno buono e operator del bene, l’altro cattivo e operator del male. Proscriveva la limosina, i Sacramenti,
il culto delle sante immagini, {86[244]} negava che Gesù Cristo si fosse incarnato. Col capo pieno di queste stravaganti abbominazioni, giunse perfino a pretendere il dono dei miracoli. Il pazzo osò vantarsi, che guarirebbe il figliuolo del suo re, il quale trovava si pericolosamente ammalato, il fanciullo morì; e l’impostore messo in prigione, trovò modo alla fuga, e uscì dal regno. Intanto disseminando i suoi errori venne a disputar col Vescovo di Cesarea, poscia con S. Trifone, ma rimasto sempre coperto di confusione.
Il popolo irritato dalle sue bestemmie minacciò lapidarlo; egli prese la fuga, ricacciassi nella Persia, e ricadde nelle mani del suo re, che ordinò fosse scorticato vivo. Il suo corpo fu gettato alle fiere, e la sua pelle attaccata ad una porta della città (an. 277).


10) Diocleziano e Massimiano...
Questi due Principi, che tra tutti due racchiudevano in sé il complesso di {87[245]} tutti i vizi, suscitarono
contro i cristiani la decima persecuzione, che di tutte le antecedenti fu la più lunga, e la più crudele.
Vi furono esercitate tali e sì inaudite crudeltà, che si chiamò quest'epoca l'era dei martiri.
Un sol fatto può sufficientemente indicare il carattere delle barbarie esercitate in questa persecuzione.
S. Claudio della Cilicia venne il primo condotto alla presenza del proconsole Lisai, e dichiarandosi risoluto a
patir tutti i supplizi piuttosto di rinunziar a Gesù Cristo, il proconsole diede ordine fosse messo sull'eculeo,
ossia cavaletto (era un istrumento, che tendeva i membri del paziente a segno, che quasi si rompevano), gli fece metter fuoco sotto i piedi, tagliar pezzi di carne ai talloni, e porgergli sotto gli occhi: «questa non è perdita che affligga, disse Claudio veggendoli, questi apparenti mali sono uno dei beni eterni». Lisia comandò straziarlo colle unghie di {88[246]} ferro, fregar le sue piaghe con acuti uncini, ed accostargli alla nuda carne fiaccole accese; finalmente sottoposto a tutte le torture, venne condotto fuori la città dove fu crocifisso (an. 284).
Tale fu il tenore ordinario di questa orrenda persecuzione, che infierì per lo spazio di oltre trent'anni.
Gli uni erano sospesi col capo all'ingiù, e soffocati da un lento fuoco, oppur arrostiti sopra graticole, altri tanagliati, ad altri si conficcavano delle canne acute dissotto alle unghie, e si versava sulla nuda loro carne
del piombo liquefatto.
Nella Frigia una città intera, di cui tutti gli abitanti erano cristiani, fu investita dai soldati, che vi posero il fuoco; gli uomini, le donne, i fanciulli, tutti morirono nelle fiamme invocando il nome di Gesù Cristo. In un sol giorno contanti diciassette mila cristiani coronati della palma del martirio, {89[247]} tra quali s. Marcellino Papa, che intrepido incoraggi gli altri a durarle ne' tormenti sinché ebbe respiro.
Tutta la terra, dice un autor di quei tempi, da oriente in occidente fu inondata di sangue cristiano.
Diocleziano venne da Dio percosso in ogni più, commovente maniera;
la salute di lui alterandosi in modo vituperevole al maggior segno, egli venne a perdere quasi affatto l'uso della ragione, e ne conservò solo quel poco che gli bastava per sentir tutte le miserie e i dolori del suo stato. Insultato con beffe, e con sarcasmi i più mordenti dal popolo, malgrado i rigori dell'inverno dovette ritirarsi a Nicomedia, dove giunto fu assalito da un umor bilioso che lo divorava. Languente, tristo, agitato da perpetue inquietudini, non pigliando quasi alimento di sorta, non riposava il giorno, né dormiva lungo la notte. Sovente rompeva in gemiti, si vedeva spessissime volte lagrimar con tutta la debolezza d'un fanciullo. Oppresso dalle sue pene, o meglio {95[253]} dai colpi
della celeste vendetta, si abbandonò alle più violente agitazioni della disperazione, e cieco nella sua frenesia
si percuoteva da sé medesimo, si voltolava per terra mettendo spaventevoli grida, e finalmente bramando terminar l’infelice sua vita con una presta morte, disperatamente si lasciò morir di fame.
Tale fu la morte
del crudele Diocleziano persecutor dei cristiani.
Massimiano dopo d' aver in varie guise disonorata la sua imperiale dignità coll'attentato di far assassinar
il proprio suo figlio, qual forsennato andava vagando dall'Italia nella Gallia e viceversa; si voltò pure contro Costantino il Grande suo generoso genero, ma rimase vinto, e cadde nelle di lui mani. Il barbaro Massimiano non era ancora sazio di crudeltà, e a dispetto dei molti contrassegni di clemenza che il genero gli usava,
fermò il reo disegno {96[254]} di scannarlo nel suo letto. Egli andò la notte, e mise a morte uno sciagurato eunuco postovi in luogo di suo genero; e in quella che consumava il suo delitto Costantino apparve intorniato dalle sue guardie, fece imprigionar l'assassino, con facoltà d' eleggersi qual genere di morte voleva.
Massimiano trascelse vilmente quello d' essere strangolato, e lo pose colle proprie mani in esecuzione.


Galerio sempre furibondo contro ai cristiani, fu colto nella città di Sardi da piaga incurabile e vergognosa; si vollero applicar rimedi, e si risolse in un orribile cancrena, la quale si distese in tutte le parti del corpo anche le più intestine. Vi si formò un formicaio di vermi, da cui esalava una puzza insopportabile. Nessuna operazione, nessun trovato dell'arte poté menomamente mitigare i suoi dolori, sicché egli disperato, e adoperando da insensato {97[255]} condannava a morte i suoi medici. Crescendo il male ogni di più, si durava gran fatica in trovar chi volesse, o potesse sopportar la puzza che esalava; giacché il suo corpo era divenuto quello d' un mostro; quello che non era piaga, era uno scheletro coperto di una pelle tirata a forza sopra le ossa.
Non pertanto si trovò un medico coraggioso, che lo avverti che quella malattia era assolutamente impossibile poterla guarire coi rimedi ordinari; «vi ricordi, o signore, gli disse quel medico, ciò che avete fatto contro i servi di Dio: e cercate il rimedio dei vostri mali in ciò che ne è stato il principio». Domato dall'eccesso del suo male, quel superbo tiranno confessò per vero il Dio de' cristiani, e che egli l’aveva oltraggiato; perciò andava gridando che farebbe cessar la persecuzione, e rimetterebbe in onore il culto del vero Dio.
Questo diceva mosso non da rincrescimento {98[256]} di aver offeso Iddio, ma dagli spasimanti dolori, dai quali era straziato. Onde dopo di un anno di sì orrenda malattia, in pena dei tanti dolori fatti patir ai martiri di Gesù Cristo, essendo tutto il suo corpo ridotto in vermi e fracide, e cadendo a pezzi, spirò.


Massenzio degno figlio di Massimiano fuggiva armato in Roma per sottrarsi dall'esercito di Costantino che temerariamente aveva assalito; ma giunto sopra un ponte che egli aveva fatto fare sul Tevere ad insidia dei nemici; gravato dalla calca infinita di fuggiaschi si ruppe il ponte, cadde nell'acqua dove annegò. Il corpo di lui vestito d' una pesante corazza fu ritrovato il giorno seguente molto innanzi nella fanghiglia. Gli fu spiccata la testa, e portata in cima ad una lancia alla vista di tutto il popolo in trionfo nella città. {100[258]}
Massimino Erculeo sconfitto da suoi nemici fuggi nella città di Tarso, dove non vedendo scampo per sé,
risolse d' inghiottir il veleno, che non tolse di vita, ma solo gli cagionava spasimi ineffabili. Si sentiva ardere
le viscere si, che metteva grida, o piuttosto ululati spaventevoli; s'avvoltolava sulla terra, che egli mordeva
di rabbia, batteva del capo contro alle muraglie con tal furore, che uscitine gli occhi perdé affatto la vista.
Ma i rimorsi di lui erano il più crudele dei suoi tormenti.
Gli pareva veder Gesù Cristo assiso sul formidabile tribunale per giudicarlo; si udiva come se gli rispondesse gridar orribilmente, e a guisa di malfattore posto alla tortura: «non sono stato io; ciò fu a mio malgrado».
In altri momenti facendo la confessione di delitti obbrobriosi simili chiedeva misericordia; dopo aver trascorsi quattro giorni in {101[259]} tali ambasce, morì in codesto stato cotanto simile ad un inferno anticipato.
Questa fu la fine funesta di tutta la stirpe di questi ultimi persecutori dei cristiani, che prima di esalar l'anima provarono la maggior parte di quei tormenti che contro ai martiri avevano decretati.


L’imperatore Costantino che favorì il Cristianesimo.
La conversione di Costantino il Grande, figliuolo di Cloro Augusto, contribuì efficacemente a donar la pace
alla Chiesa, a dilatar il Vangelo, e dar l'ultimo crollo al paganesimo. Morto il di lui padre nella Bretagna
(ora Inghilterra) l’anno 306, di unanime consenso di tutto l’esercito venne gridato imperatore. Ecco come avvenne la sua conversione. Massenzio tiranno fattosi padrone di Roma, disputava la corona imperiale a Costantino. Questi s' avviò alla volta di Roma per combattere il suo rivale, e intanto già prevenuto a favor
dei cristiani, scongiurava il loro Dio a farseli conoscere.
Il cuore di lui era retto e giusto, e fu esaudito. Poco dopo il mezzodì marciando Costantino in capo al suo esercito, essendo il tempo tranquillo e sereno, vide in mezzo al cielo una croce raggiante di {106[264]} luce, nella quale in caratteri luminosi si leggevano queste parole: in hoc segno vinces, con questo segno vincerai. Tutto l’esercito, non solamente l’imperatore, vide quello strano fenomeno, e tutti facevano le loro considerazioni; ma più colpito, più attonito d'ogni altro il Principe pensò il rimanente del dì a quello che mai potesse presagire quella meraviglia. Gesù Cristo la notte gli apparve con quel medesimo segno, gli comandò che facesse uno stendardo in forma di quella croce, e che lo portasse nelle battaglie come una salvaguardia contro gli assalti de' suoi nemici.
La mattina per tempismo il Principe chiamò a sé gli operai, e diede loro il disegno dello stendardo, il quale ordinò, che da cinquanta de' suoi più prodi e religiosi fosse alternativamente portato in campo di battaglia.
Una sì manifesta protezione del Cielo ispirò al cuore del capitano e di tutto l’esercito il più intrepido {107[265]} coraggio. Animati tutti a vicenda, e ansiosi di combattere, attaccarono il nemico, il quale costretto a prender vergognosa fuga, cadde (come si è detto) e annegò nel Tevere. Roma tosto apri le porte
a Costantino, il quale d'allora in poi ebbe in grand' onore la vera fede, e la protesse pubblicamente.
Egli si applicò interamente a por rimedio ai mali cagionati dà suoi antecessori. Richiamò gli esiliati, ordinò di restituire le Chiese ai cristiani, ne fece fabbricar delle nuove, e addobbare magnificamente. Trattò i ministri della religione con ogni sorta d' onore, e specialmente i romani Pontefici, i quali sino allora avevano sempre dovuto sostener persecuzioni. I cristiani miravano queste meraviglie della potenza divina, e ne rendevano grazie a Dio. La vera religione era divenuta rispettabile {108[266]} agli stessi idolatri, soprattutto nel rimirar l’imperatore a praticarne tutte le osservanze. Il suo esempio ne tirò un gran numero al cristianesimo.
Allorché fece la sua entrata in Roma volle che la croce, la quale era stata pegno della sua vittoria, fosse il più bell'ornamento del suo trionfo. Ella venne posta in cima del suo diadema, e fu inalberata sino sul Campidoglio, quasi per annunziare al mondo tutto il trionfo di un Dio crocifisso.


Quanto più avvenne funesta e spaventosa la morte dei persecutori dei cristiani, altrettanto dolce e consolante quella di questo zelante protettore della vera fede.

Vedendo i suoi ufficiali che a calde lagrime piangevano intorno al suo letto, disse loro con un aspetto di tranquillità e di contentezza: « vedo con occhio diverso dal vostro la vera felicità, e ben lontano dall'affliggermi, godo assai perchè {123[281]} son giunto al momento in cui io spero d' andarne al possesso ».
Diede gli ordini convenevoli per mantener la pace nel suo impero, fecesi dar giuramento solenne dai militari che non dovessero intraprendere cosa alcuna contro la Chiesa, e colla pace dei giusti morì l’anno 64 di sua età, 31 del suo regno nel 337. La sua morte fu universalmente compianta, lamentando ognuno nella perdita
del suo monarca quella d' un tenero padre.


ERODE IL GRANDE , dopo la strage degli innocenti muore colpito da una gravissima malattia (la gangrena di Fournier).
Erode il Grande morì a Gerico a settanta anni circa d'età, trentasette anni di regno.
Alcuni studiosi autorevoli sostengono tuttavia la data tradizionale
del 1 a.C. per la morte di Erode.
Filmer e Steinmann, ad esempio, affermano che Erode morì nel 1 a.C.,
e che i suoi eredi retrodatarono i loro regni al 4 o 3 a.C. per affermare una sovrapposizione con il regno di Erode, e rafforzare la propria legittimità.
Dopo l’eclisse di Luna avvenuta nel giorno dell’esecuzione dei rivoltosi, le condizioni di Erode cominciarono a diventare sempre più gravi. Molto probabilmente a causa della sua vita dissoluta,
fu colpito da una malattia ripugnante accompagnata da febbre e
– per citare Giuseppe Flavio –
“da un prurito insopportabile su tutta la pelle e continui dolori intestinali, gonfiori ai piedi come per idropisia, infiammazione dell’addome e cancrena dei genitali con formazione di vermi, e inoltre difficoltà a respirare se non in posizione eretta, e spasmi di tutte le membra.” (Guerra Giudaica, I, 656 [XXXIII, 5]).
Inoltre aggiunge: “Da uomini di Dio e da coloro la cui saggezza portava a pronunciarsi in questa materia,

si diceva che si trattava del castigo con il quale Dio ripagava il re per la sua grande empietà .”
(Antichità Giudaiche, XVII, 170 [VI, 5-6]).


La gangrena di Fournier è una forma di fascite necrotizzante, una grave infezione dei tessuti molli che

colpisce gli organi genitali esterni maschili.
È detta anche "gangrena idiopatica dello scroto", "gangrena scrotale streptococcica", "flemmone perineale".
La sindrome è stata descritta per la prima volta nel 1764, da Baurienne, come una gangrena dei tessuti molli
dei genitali maschili, da cause ignote e dalla rapida progressione ed estensione.
La gangrena deve il suo nome al dermatologo francese Jean-Alfred Fournier (1832-1914),
che ne presentò un caso in un giovane uomo durante una lezione clinica nel 1883.
Tra i personaggi storici che si pensa possano essere morti per la gangrena di Fournier Erode il Grande
e l'imperatore romano Galerio.


Notizie tratte da : STORIA ECCLESIASTICA AD USO DELLA GIOVENTÙ UTILE AD OGNI GRADO Di PERSONE del sacerdote GIOVANNI BOSCO .
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