Fatima.
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LA SETTIMANA SANTA CON GESU’

Brani tratti dal libro “IN QUELLA CASA C’ERO ANCH’IO”
di Ferdinando Rancan

SABATO SANTO: L’ATTESA

IL SABATO DOPO LA SEPOLTURA
Quel sabato vide il “riposo di Dio”. Dal giorno della creazione nessun altro sabato conobbe un simile “riposo”. Gesù, Figlio di Dio, Verbo del Padre, colui per il quale tutto è stato creato, giaceva nel sepolcro. Era stata portata a termine la Redenzione. Tutto dunque era compiuto, il tempo era chiuso, non restava che attendere l’eternità. Tutto questo lo sappiamo ora, ma in quel giorno ben altri sentimenti occupavano il nostro cuore. Quanti eravamo nella casa di Marco ci sentivamo in balia dei pensieri più diversi. I discepoli consideravano ormai definitivamente crollato il progetto di Regno che essi avevano accarezzato in cuor loro; a quel punto, eravamo tutti convinti che l’unica cosa che potevamo fare era di tornare in Galilea, come Maria ci aveva ricordato, e attendere.

Attendere! In mezzo a quella repentina e assurda catastrofe era questa l’unica cosa che riuscivamo a capire. Attendere, perché eravamo convinti che sulle ceneri delle nostre speranze e dei nostri progetti qualcosa doveva nascere, qualcosa doveva accadere. Non poteva essere un inganno o un’illusione tutto quello che avevamo visto e udito in Gesù; due anni e mezzo di meraviglie, di prodigi, di sapienza così nuova e così alta, non potevano essere cancellati in quel modo. I discepoli tuttavia non riuscivano a dire una parola su tutto questo, si sentivano vuoti e come storditi, e d’altra parte non avevano la più pallida idea di ciò che li attendeva.
Conoscendo Gesù fin dalla nascita e avendo assistito ai fatti più importanti della sua vita, quelli segnati dal sigillo del Padre e dal soffio dello Spirito, io ero sicuro che le cose non sarebbero finite lì, ma cercavo di saperne di più. Perciò durante quel sabato mi tenni il più possibile vicino a Maria; speravo di cogliere da lei qualche accenno su quello che sarebbe accaduto dopo tutto il dolore e tutte le lacrime del giorno precedente. Sì, dovevamo andare in Galilea e attendere, ma attendere che cosa? Attendere Gesù? Sarebbe forse risorto anche lui alla maniera di Lazzaro? Sarebbe poi venuto in Galilea da solo o accompagnato da qualcuno? E avrebbe ricominciato lì il suo ministero? In che modo?... Queste e molte altre erano le domande che si affollavano alla mia mente e che erano nascoste in quell’attesa. Ma da Maria non una parola, non un cenno. Era in mezzo a noi la più serena; si preoccupava di tutti, cercava che fossimo fiduciosi e uniti, e anche che ci riposassimo e ci rifocillassimo; era lei l’unica che in mezzo a quella catastrofe conservava la fede. Tuttavia nessun accenno da parte sua a una qualche previsione.

Notizie ci giunsero invece da fuori. Nel tardo pomeriggio arrivò da noi Giovanna, la moglie di Cusa. Era molto agitata e impensierita. Ci disse che era passato da lei Giuda in preda a una forte agitazione; aveva la borsa con molto denaro e voleva consegnarla a lei, ma ella non sapendo che cosa pensare, aveva rifiutato di accettarla e gli suggerì di usare il denaro, come tante volte aveva detto lui stesso, per i poveri. Se n’era andato, sconvolto.
A completare le notizie, arrivò poco dopo Nicodemo. Veniva dal Tempio dove si era incontrato con i sacerdoti e con gli altri del Sinedrio; si mostravano tutti preoccupati come se una strana inquietudine li avesse contagiati. I sacerdoti in particolare apparivano profondamente turbati e scossi da quanto era accaduto la sera precedente. Era accaduto che verso l’ora nona, l’ora della morte di Gesù, si era udito un sordo boato che scosse le fondamenta del Tempio, e un bagliore simile a uno strano lampo si era abbattuto sulla parte più interna del Tempio. Dopo qualche esitazione il sacerdote di turno entrò nel “Santo” dove si trova l’altare dell’incenso per il sacrificio vespertino; enorme fu la sua sorpresa quando vide lacerata da cima a fondo la cortina che separava il “Santo” dal “Santo dei Santi”, che è l’aula più interna e più sacra del Tempio. Era come se fosse stata annullata la separazione, che doveva essere rigorosissima, tra i due luoghi più sacri del Tempio. Quella cortina, impressionante per la grandezza e preziosità, era di un tessuto spesso, pesante, tutta ricamata d’oro, difficilissima quindi da lacerare. Perciò nei sacerdoti, allo stupore si aggiunse il tremore, come se una oscura minaccia gravasse sul Tempio.

I Sinedriti, invece, erano interessati a un ben diverso problema. Si erano riuniti per deliberare su una questione, a loro parere, importantissima: si ricordarono che Gesù aveva parlato di risurrezione e, poiché lo giudicavano un impostore, temevano un colpo di mano da parte dei discepoli, che avrebbero potuto far sparire il corpo di Gesù dando adito alla falsa notizia della sua risurrezione. Deliberarono quindi di inviare una richiesta a Pilato perché sigillasse il sepolcro e vi mettesse a guardia un picchetto di soldati. Dopo quello che aveva concesso, Pilato non ebbe alcuna difficoltà a concedere anche questo.
“Stavo uscendo da quell’incontro - continuò Nicodemo - quando vidi Giuda arrivare di corsa; era trafelato e sconvolto da mettere paura. Lo chiamai: ‘Giuda!’, ma non rispose. Si infilò dov’erano i sacerdoti gridando: ‘Ho tradito! Ho tradito l’innocente! Prendetevi il vostro denaro, non voglio più saperne!’, e agitava la borsa col suo peso maledetto. I sacerdoti lo guardarono - era uno sguardo di ghiaccio - e con un sorriso tra il beffardo e il compiaciuto: ‘Non è questo - dissero - il compenso che hai pattuito? Il nostro impegno noi l’abbiamo assolto; il resto non ci interessa. Non è affare nostro’. A quelle parole Giuda scagliò la borsa verso di loro con gli occhi divorati dal rimorso. I sicli d’argento, usciti dalla borsa, sghignazzarono sul pavimento. Avrei voluto fermare Giuda che, voltatosi, stava dandosi a una fuga disperata. Ma sentivo su di me gli occhi dei Sinedriti pronti a giudicare ogni mia mossa che fosse contraria alla loro legge. Perciò restai fermo, ma li guardai a uno a uno in silenzio. Allora il principe dei sacerdoti: ‘È denaro di sangue, - disse, facendo raccogliere le monete da un inserviente per non contaminarsi - non possiamo usarlo per il Tempio. Avevamo il programma di acquistare un terreno per farne un cimitero per gli stranieri: lo useremo per questo’.”. Nicodemo tacque, ma il silenzio della sala si riempì di nuovi interrogativi e di nuovo tremore.

Verso sera arrivarono Marta e Maria di Lazzaro per prendere accordi con Myriam e Salome su come completare la sepoltura di Gesù e avere anch’esse la possibilità di vedere, almeno per l’ultima volta, il Maestro. Sarebbero passate di buon mattino ad acquistare gli aromi necessari ed altre bende per poi recarsi insieme al sepolcro. Maria seguiva tutti quei discorsi in silenzio, continuando a occuparsi dei lavori di casa, e a incoraggiare Pietro e gli altri. Alle donne suggerì soltanto di non fare troppe spese per la sepoltura di Gesù, perché essa non esigeva più di quanto era già stato fatto. Il giorno dopo ci rendemmo conto del perché di questa raccomandazione: Gesù non ne avrebbe più avuto bisogno.
Alla sera ci invitò tutti alla preghiera. Scelse i salmi della fiducia e della speranza. Alla fine ci distribuimmo tutti nelle varie stanze, anche se quasi tutti eravamo ben poco convinti di poter prendere sonno. Solo a tarda sera ebbe il sopravvento la stanchezza.