L'anima mia è triste

• Il fatto storico

• Spiegazione

• Cause della tristezza di Gesù

• Commento dei santi padri

• Insegnamenti

Introduzione

San Francesco d'Assisi ( † 1226) lo possiamo chiamare « il più grande devoto della passione di Gesù Cristo, l'essere umano che più si avvicinò a Gesù crocifisso ».

Chiese a Gesù Cristo due grazie: « Signor mio Gesù Cristo, ti chiedo due grazie prima che io muoia:

• che in vita mia io senta nell'anima e nel mio corpo — quanto è possibile — quel dolore che tu sostenesti nell'ora della tua acerbissima passione;

• che io senta nel mio cuore — quanto è possibile — quell'eccessivo amore del quale tu eri acceso a sostenere volentieri tanta passione per noi peccatori ».

Gesù l'esaudì.

1) Gli diede il ricordo perenne della sua passione:
• gli apparve come era stato crocifisso sul Calvario ;

• gl'impresse nel cuore la sua passione così fortemente, che ogni qualvolta Francesco pensava alla passione di Gesù, scoppiava in un dirotto pianto;

e) a san Damiano il crocifisso parlò direttamente a Francesco, e da quell'ora la compassione per il Crocifisso lo penetrò talmente, che tutto il tempo della sua vita, i dolori di Cristo gli stettero continuamente dinanzi agli occhi;

d) sovente esclamava: « Io piango la passione del Crocifisso redentore, e vorrei percorrere tutto il mondo così piangendo, in modo da riempirlo del lamento per la passione del mio Signore »;

e) si rivestì egli stesso della croce, scegliendo un abito da penitente, che della croce rappresentasse la figura.

2) Gesù diede a san Francesco una fiamma di quell'eccessivo amore di cui ardeva per noi durante la sua passione e morte.

Alla Verna, due anni prima della sua morte, nel 1224, Francesco ricevette dal Crocifisso le stimmate : nelle sue membra si videro i chiodi neri, miracolosamente fabbricati da Dio nella sua carne; sul suo petto fu trovata una piaga simile alla piaga che Cristo ebbe sul suo petto, dopo la lanciata di Longino.

Mentre Francesco riceveva le sacre stimmate, tutto il monte della Verna s'infiammò al punto da sembrare che una fiamma immensa e splendente ardesse, illuminando i monti e le valli d'intorno, come se sopra la terra vi fosse il sole.

Era il secondo « sì » di Gesù alla seconda grazia chiesta da san Francesco; era il fuoco di Dio, acceso da Cristo col calore della sua passione redentrice.

Ora Francesco poteva dirsi pago nei suoi desideri: era diventato un altro Cristo crocifisso.

Questi segni preziosi della passione di Gesù, visti dai frati nel giorno del transito di san Francesco alla Porziuncola, ci dicono quanto noi siamo lontani dal Crocifisso !

Eppure se non assomiglieremo a Cristo nella sua passione e morte, non potremo assomigliare a lui nella gloriosa risurrezione.

Ecco la necessità di avere sempre dinanzi allo sguardo il dramma doloroso della passione e morte di Gesù Cristo.

In questa lettura mediteremo la « tristezza di Gesù sofferta nell'orto degli olivi ».

I. Il fatto storico

Giunto al giardino del Getsemani, Gesù invitò gli apostoli ad accomodarsi alla meglio per passare la notte ; poi soggiunse : « Restate qui, mentre io vado più in là a pregare. Pregate per non cadere in tentazione » ( 1 ).

Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni — i tre prediletti che assistettero alla sua trasfigurazione sul monte Tabor — li condusse verso il luogo ove voleva pregare.

Gesù si fermò sotto gli alberi. I tre videro Gesù in volto : un volto che esprimeva paura e orrore. Le mani lunghe e sottili tremavano ; i lineamenti sembravano grigi ; la bocca era tremula; gli occhi dilatati da una visione agli altri preclusa ( 2 ).

I tre cercarono di consolarlo ; ma l'aiuto umano non poteva essergli di alcun giovamento. Gesù strinse le mani a pugno e se le portò al petto ; poi a voce alta, con tristezza disse : « Io sono immerso nella sofferenza, tanto da sentirmi spezzare il cuore. Restate qui e vegliate » ( 3 ).

(1) Me, XIV, 32; Le., XXII, 39-40.

(2) Jim Bishop, Il giorno in cui Cristo mori, p. 239.

(3) Mt., XXVI, 36.

II. Spiegazione
1. Le passioni nell'uomo

Per comprendere bene la tristezza di Gesù nell'orto degli olivi, è necessario conoscere le varie specie di passioni umane.

Nell'uomo abbiamo:

a) le passioni del corpo: la fame, la sete, la stanchezza, la morte;

b) le passioni dell'anima: la tristezza, la paura, l'ira, l'amore, la gioia;

c)) le passioni innocenti, le passioni colpevoli, secondo se sono o no soggette a malizia.

2. Le passioni in Gesù Cristo

• L'anima di Cristo fu soggetta alle passioni dell'anima. Infatti fu soggetto alla tristezza, all'affanno, all'ira, all'amore, alla gioia, al dolore. Le passioni dell'anima appartengono alla natura umana. Cristo era vero uomo. Dunque queste passioni erano naturali anche a lui.

• Cristo fu soggetto alle passioni corporee essenziali alla natura umana, come la fame, la sete, la stanchezza, la morte. Come vero uomo dovevano essergli connaturali.

• Cristo non fu soggetto alle passioni corporee non essenziali, come le malattie, le indisposizioni fìsiche. Esse sono passioni difettose. Queste non poterono essere in Cristo, la cui natura umana era perfettissima.

• Le passioni dell'anima in Cristo vi furono perché volute da lui quindi in nessun modo umilianti per lui. Anzi erano per lui preannunzi di gloria (").

In noi le passioni nascono senza di noi, ci sono umilianti per il loro effetto : offuscano la nostra ragione, non rispettano la nostra volontà, la indeboliscono ; turbano e dominano il nostro cuore, lo trascinano alla colpa; ci fanno commettere bassezze, infamie.

In Gesù Cristo nulla di tutto ciò. Le passioni in lui furono sottomesse nel loro principio ; innocenti nella loro natura; sante nel loro effetto :

a) somma passione nella parte inferiore, piena libertà nella parte superiore;

b) la sua tristezza è profonda, ma la sua risoluzione è fermissima;

c) il suo dolore è intenso, acuto, penetrante, ma il suo coraggio non è scemato, la sua prontezza non ha subito ritardi, il suo proponimento di immolarsi per noi non si è scosso;

d) sente ripugnanza della morte, ma non cessa di richiederla, di bramarla;

e) trema in faccia alla morte, e corre egli stesso incontro a coloro che gliela danno;

f) prega il suo divin Padre perché allontani da lui il calice amaro, ma subito soggiunge: « Sia fatta non la mia, ma la tua volontà ».

(4) 1 Pietro, I, 11.

Come si vede, in tutte le passioni di nostro Signore, la ragione domina, ne determina i confini e l'intensità, ne limita la durata ; non v'è nulla che non sia puro, santo, solo quello che egli volle che avvenisse. La sua volontà era la volontà di Dio.

3. Cristo dovette essere simile a noi suoi fratelli

L'anima di Gesù Cristo godeva la chiara vi sione di Dio, la quale porta seco l'esenzione di ogni pena e il godimento di ogni gioia. Tuttavia Cristo volle essere in tutto simile a noi, per diventare misericordioso e fedele sacer dote nelle cose divine, affinchè fossero espiate le colpe del popolo ( 5 ).

Perciò, con la stessa libertà e potenza con cui impedì che nel corpo si diffondesse la beatitudine per poter patire e morire nel corpo, allo stesso modo impedì che in tutta l'anima ridondasse il suo gaudio divino, per poter attristarsi e dolersi nell'anima.

In Gesù Cristo nulla è effetto di necessità, ma tutto è effetto della sua potenza, della sua libertà, della sua volontà. Egli è veramente il padrone assoluto di sé.

(5) Ebrei, II, 17.

Si fece uomo perché volle farsi uomo. Soffrì perché volle soffrire. Morì perché volle morire. Durante tutta la sua vita terrena avvenne solo quello che egli volle che avvenisse. La sua volontà era la volontà di Dio.

4. Il perché delle sue umiliazioni

In Gesù Cristo le passioni dell'anima, i difetti naturali fisici furono assunti volontariamen te da lui :

a) per espiare i peccati degli uomini, in loro vece;

b) per manifestare la realtà della sua natura
umana;

c) per dare agli uomini un esempio di pazienza nel sopportare i dolori e le infermità ( 6 ).

III. Cause della tristezza di Gesù

Quali furono le cause della tristezza di Gesù?

Le principali furono tre : la vista dei suoi tormenti, che dovevano essere lunghi e orribili ; la vista dei nostri peccati, dei quali portava l'enorme peso; la vista della durezza degli uomini, dei quali pochi compatirebbero i suoi dolori e ne approfitterebbero.

(6) Summa theologica, III, q. XIV, a. 2.

1. La vista dei suoi tormenti

Gesù si pone dinanzi agli occhi, come in un quadro, tutte le umiliazioni, tutti i tormenti che, dal suo arresto al suo ultimo respiro, lo assaliranno e lo tortureranno con la rabbia di un odio attizzato dall'inferno.

Vede le verghe abbattersi sul suo corpo, piagare le sue carni, lacerare le sue membra, aprire le sue vene; vede il suo viso livido, smorto, sfigurato, insozza to di polvere, di sudore e di sangue; vede il suo capo cinto da una corona di spine, che i soldati infliggono a colpi di bastone; vede i suoi occhi bendati, i capelli e la barba arruffati, le spalle coperte di uno straccio di porpora, colmato di ingiurie e di colpi; vede le sue mani e i suoi piedi forati da chiodi, pendenti dalla croce da quattro orrende piaghe, e nel suo corpo non un punto senza ferite, non un membro senza torture, non una fibra non lacerata.

Gesù conosce il numero e la violenza dei colpi, il dolore di ogni ferita, nella sua intensità e durata; le risente tutte simultaneamente, con l'estrema sensibilità dell'anima la più delicata che Dio abbia creato.

Gesù ode gli insulti, gli oltraggi, le beffe, i sarcasmi come se le sue orecchie ne fossero attualmente colpite; ode le false testimonianze, le calunnie, le maledizioni, le bestemmie con cui sarà perseguitato fra breve da una folla ebbra di odio e di sangue.

Gesù conosce l'abbandono dei discepoli, l'indifferenza degli amici, l'ingratitudine dei beneficati, il tradimento di Giuda, il rinnegamento di Pietro; conosce l'odio dei sacerdoti, l'invidia dei dottori, la ferocia del popolo, la viltà di Pilato, la crudeltà dei carnefici; tutti i sentimenti più vili e più malvagi dei quali sono ripieni i suoi nemici, gli sono davanti, come uno spettacolo di orrore e di disgusto, dal quale non può distogliere lo sguardo.

Nello stesso tempo Gesù conosce la piena ed integra coscienza della sua perfetta innocenza, della sua infinita santità, della sua illimitata bontà; del suo diritto all'adorazione, alla sottomissione, all'amore di tutte le creature, al godimento di una sconfinata felicità. Doloroso contrasto ohe accresce il dolore.

Da ultimo Gesù vede avanzare, minacciosa, implacabile, la morte. La morte! Fra tutti gli istinti depositati in noi dal Creatore, il più profondo, il più imperioso, è il bisogno di vivere, il desiderio della conservazione, l'orrore della morte. Quando la morte poggia la sua mano sul cuore del povero agonizzante per soffocarne l'ultimo battito, le labbra di costui si contraggono in un'angoscia suprema, due grosse lacrime brillano in fondo agli occhi, dando al suo sguardo una espressione di infinita tristezza.

La stessa impressione provò l'anima del divin Salvatore dalla previsione della sua agonia e della sua morte. Morte che suo Padre non ha fatto, che è opera di satana, suo nemico, e che ora, senz'alcun dirit to, pesa sulla sua persona adorabile, contro la quale protestano la sua vita purissima, le sue virtù mirabili. Essa è il più bello fra tutti gli omaggi che Dio possa ricevere da una creatura umana. Essa merita una ricompensa infinita in cielo.

Alla vista di un tale cumulo di sofferenze, l'anima di Gesù è invasa da terrore, le sue membra s'agghiacciano di spavento, le sue ginocchia si piegano, le sue spalle si curvano, le sue braccia pendono inerti, il suo sguardo si fa vitreo, e Gesù cade in una specie di stupore e di costernazione.

2. La vista dei nostri peccati

Nella sua agonia Gesù alza lo sguardo al cie lo, ma subito lo abbassa : gli è apparso il suo divin Padre col volto d'un padrone irritato, di un giudice spietato, risoluto a colpirlo coi più spaventevoli castighi.

Perche mai?

Perché Gesù s'è caricato di tutti i nostri peccati ; ed ora egli sta dinanzi al suo divin Pa dre, tremante e confuso, come il più spregevole dei giudicandi sta dinanzi al più inesorabile fra i giudici.

Dal primo peccato di Adamo fino all'ultimo grido di ribellione dell'ultimo suo discendente, tutti i peccati pesano sull'anima di Gesù, la schiacciano, le strappano gemiti di dolore; sono dinanzi a lui, come altrettanti testimoni che l'accusano, l'opprimono, chiedono la sua morte.

Di più, egli, come Dio, conosce la natura e la gravita d'ogni peccato, la santità infinita di Dio offeso. E questo Dio offeso è suo padre, e suo padre lo guarda, lo contempla coperto delle nostre iniquità.

A tali sentimenti aggiungiamo il pentimento delle colpe commesse, parte essenziale della riparazione. Gesù Cristo doveva espiare tutti i peccati del mondo, quindi ne doveva sentire un dolore proporzionato, cioè un dolore infinito.

Ecco quello che noi non potremo mai im maginare. « Povero cuore di Gesù! Dove mai potè trovare posto per tanti dolori che lo trafiggono, per tanti rimorsi che lo straziano? » ( 7 ).
3. La vista dell'ingratitudine umana

Almeno Gesù potesse dire a se stesso che il suo sangue, sparso sulla terra, farà produrre, in tutti i luoghi e in tutti i tempi, i frutti di penitenza e di innocenza; e che tutti gli uomini, senza eccezione, si salveranno ; e giunti in cie- lo, lo benediranno. Ma no.

Dal cielo, ove contempla il suo Padre offeso e irritato; dalla terra, che vede piena di sozzure e di iniquità, il suo sguardo si abbassa nell'inferno, dove vede una folla immensa di dannati vomitare contro di lui le più orrende bestemmie. E questi dannati sono i suoi figli, per i quali egli sta morendo.

Ecco, esclama dentro di sé, ecco il risultato della mia passione e morte. Tante preghiere, tante fatiche, tante umiliazioni; tanto amore, un sì generoso sacrificio, tutto e per sempre inutile e perduto. Anzi divenuto, per la moltitudine dei reprobi, occasione della loro eterna dannazione.

(7) Bossuet.

4. Riepilogo

Da qualunque parte Gesù volga lo sguardo, non scorge che argomenti di afflizione :

a) in cielo il Padre irritato, che lo persegue con
tutto il rigore della sua giustizia;

b) sulla terra i suoi nemici che gli preparano la
morte più crudele e più infamante;

c) nel corso dei secoli i suoi amici odiati, perseguitati, condannati a morte;

d) nell'inferno un'immensa moltitudine di dannati, che lo bestemmieranno per tutta l'eternità.

A tale spettacolo, sotto il peso di sì grandi mali, Gesù cade in uno stato di languore, di abbattimento.

Col viso pallido, i grandi occhi aperti, pieno di spavento, tremante in tutta la persona, Gesù guarda i tre apostoli, e, con voce mesta, dice ad essi : « L'anima mia è triste fino alla morte ».

IV. Commento dei santi padri

Vediamo come i santi padri hanno interpretato la tristezza e la paura della morte di Gesù nel Getsemani.

1. La tristezza

Sant'Agostino: « Non vi meravigliate della tristezza di Gesù, nell'orto degli olivi. Questa sua infermità a fianco della virtù, divina; questa sua indicibile malin conia, a fianco di un gaudio infinito, fu l'effetto di un miracolo del suo infinito potere » ( 8 ).

San Pier Damìani: « Le passioni che noi abbiamo per debolezza, Gesù Cristo le ha per virtù; le passioni che in noi spesso comandano, in Gesù Cristo obbediscono; le passioni che in noi prevengono la ragione, in Gesù Cristo la seguono; le passioni che in noi sono nel nascere indipendenti dalla volontà, in Gesù Cristo vi sono sottomesse. Nulla è in lui effetto di necessità, ma tutto è effetto di potenza e di libertà » ( 9 ).

(8) Con. Faust.

(9) De fide, III.

Sant'Ilario: « II significato delle parole di Gesù : " Triste è l'anima mia fino alla morte ", è questo: tale è la mestizia e lo spavento che io provo nell'intimo mio cuore, che, se la presenza della mia virtù divina non venisse in sostegno della debolezza umana, io non potrei sopravvivervi; dovrei assolutamente morire» ( 10 ).

Sant'Agostino: « Per ben comprendere la tristezza di Gesù bisogna ricordare che il peccato di Adorno era tale, che non si doveva espiare se non nell'uomo e dall'uomo che lo aveva commesso. La verità della redenzione dipende, dunque, dalla verità dell'incarnazione. Se il Verbo di Dio non ha veramente presa la natura dell'uomo, la natura umana non ha in Gesù Cristo e con Gesù Cristo né pregato, né patito, né soddisfatto. Essa è estranea all'azione riparatrice del Mediatore divino, non ha alcuna parte al suo sacrifìcio, non è redenta ».

San Leone Magno: « Noi siamo stati redenti, in quanto che, dal nostro ovile, fu tolta la vittima che s'immolò sul Calvario; in quanto che, la carne immacolata partorita da Maria Vergine, è veramente e propriamente la nostra carne, la quale fu crocifissa dai giudei. Perciò Gesù Cristo ha trattato, nella sua passione e morte, la nostra causa, perche tutti noi eravamo riuniti e rappresentati in lui stesso, nella sua natura umana senza colpa » (11).

Sant'Agostino: « Vicino a morire, Gesù Cristo — se avesse voluto — avrebbe potuto allontanare da se la tristezza. Ma non volle. Anzi volle provarla, per dimo strare che veramente portava in se la inferma natura dì noi miseri peccatori » ( 12 ).

San Giovanni Crisostomo: « Per prevenire l'eresia degli eretici, negatori della sua vera umanità, Gesù Cristo volle assoggettarsi alle nostre miserie; volle sentire la fame, la sete, la stanchezza; vicino a morire, dimostrò ripugnanza ed ambascia. Volle, insomma, soffrire da uomo, per convincerci che egli era anche vero uomo » (13).

(10) In Ut., XXVI.

(11) Sermoni, Vili, XIII.

(12) In Salmo, XXX.

(13) Omelia XLVIII, In Ut.

Sant'Ambrogio: « Notate che Gesù Cristo non disse: io sono afflitto, ma l'anima mia è afflitta. Maniera di esprimersi bellissima, piena di sapienza; giacche con essa il Salvatore divino ci rivelò che la tristezza era nella sua anima umana, e non nella sua natura divina; che egli, nel farsi uomo, non prese solamente un corpo, ma ancora un'anima umana, una umanità perfetta come la nostra » ( 14 ).

Santuario: « Il Signore si mostrò malinconico, tìmido, afflitto, piangente, non per avere dagli uomini un conforto, ma per dimostrare ad essi e convincerli di avere assunta una vera umanità » ( 15 ).

Sant'Agostino: « Gesù Cristo si assoggettò ai nostri sentimenti dì debolezza, non costretto da necessità, ma spinto liberamente da eccesso di misericordia» (16).

Sant'Ambrogio: « Come noi sapremmo che Gesù Cristo è nostro redentore, se avesse rigettato i nostri sentimenti ed affetti, come indegni di lui? Invece, assoggettandosi al timore, alla tristezza, alla malinconia — sentimenti propri dell'uomo infermo — noi siamo sicuri che egli si afflisse e temette per noi » (17).

2. La paura della morte

Sant'Agostino: « Il timore della morte non è l'effetto di una vana opinione o di un funesto pregiudizio: è un sentimento naturalissimo all'uomo, che ha per autore Dio stesso. Se il morire fosse cosa comoda o indifferente, la gloria dei martiri sarebbe chimerica; poiché essi avrebbero sacrificato a Dio un vano terrore » ( 18 ).

(14) Libro X, In Le.

(15) De Trinitate, X.

(16) In Salmo, LXXXVII.

(17) In Salmo, VI; In Le.

(18) Sermone CLXXII, De Verbo ap.; Trattato CXXIII, In Gv.

San Giovanni Crisostomo: « / santi che desiderarono morire per unirsi a Cristo, non amarono la morte per se stessa; se la invocarono, fu solo per il desiderio di deporre la corruzione e la concupiscenza della carne, che è opera del peccato; ma non odiarono il corpo, che è opera di Dio; vollero svestirsi di ciò che era loro alieno, ma non vollero perdere ciò che era loro proprio » (19).

San Tommaso: « L'uomo non può espellere dall'animo il desiderio di vivere sempre; perciò il morire sarà sempre per lui naturalmente cosa orribile » ( 20 ).

San Giovanni Crisostomo: « Nostro Signore dimostrò ribrezzo e orrore della morte per convincerci che, tutto ciò che è proprio e naturale dell'uomo, egli l'aveva preso per dimostrare che era vero figlio di Adamo, di cui si apprestava ad espiare il peccato; che era un vero agnello dell'ovile per cui s'immolava » ( 21 ).

Teofilatto: « Il Signore scelse quali testimoni della sua agonia gli stessi apostoli, che furono testimoni della sua trasfigurazione sul monte Tabor, afflnchè potessero attestare al mondo che essi lo conobbero vero Dio sul Tabor e vero uomo nel Getsemani » ( 22 ).

Concludendo, tutti i santi padri affermano che Gesù Cristo volle subire, nel Getsemani, la paura, il timore, la tristezza, l'orrore della morte per assomigliare, in tutto, agli uomini, al fine di essere misericordioso verso di essi (23).

(19) Sermone XXXIII, De Resur.

(20) III p., q. XLVI, a. 6.

(21) In Mt., XLVI.

(22) In Mt.

(23) Ebrei, II, 17.

V. Insegnamenti

Gesù, che è l'allegrezza del cielo, si rattrista sulla terra; egli, che è la gioia degli angeli, appare mesto fra gli uomini! Il coraggio trema, la fortezza vacilla, la virtù è inferma, l'autore della vita palpita all'approssimarsi della morte! Colui, che prometteva ad altri la sua forza, il suo aiuto, si dichiara triste, spaventato, bisognoso di aiuto!

Caro lettore, non scandalizzarti : « Fu necessario ch'egli fosse così, per assomigliarsi a noi, affinchè potesse essere misericordioso con noi ».

Quindi lungi dal trame scandalo, impariamo da lui una grande lezione : « Beati quelli che piangono, poiché le loro lacrime saranno tra mutate in gaudio sempiterno. Guai a coloro che quaggiù ridono, perché piangeranno ».

Dunque bisogna soffrire, dobbiamo soffrire.

Da principio non era così; l'anima umana poteva dispensare le proprie ricchezze senza sforzo, spontaneamente, come un fiore esala il suo profumo.

Ora non più : il peccato originale ha capovol to la situazione dell'uomo. L'anima cresce nel peccato, il male la riveste tutta, ed essa ha bisogno che sia ridotta in frantumi per rivelare i propri tesori.

La terra è una valle di lacrime, è un immenso tino ; le anime vi sono ammonticchiate, aspettando ciascuna il suo turno. La macina gira e rigira, passa e ripassa, schiaccia ancora, stritola sempre ; nessuno vi si può sottrarre : « Dio stesso gira la macina e non lascia passare nessuno ».

Felici coloro che, durante la loro vita terrena, si associeranno a Gesù nell'amarezza, deli ziandosi nella tristezza della solitudine, nella fuga del mondo, nel silenzio della preghiera, nelle privazioni della penitenza e della mortificazione cristiana.

« Beati quelli che piangono », poiché la loro tristezza, la loro solitudine, la loro fuga dal mondo, le loro preghiere e privazioni — che il mondo insulta e deride, perché non ne conosce il pregio, né la ricompensa — saranno cambiate, un giorno, in gaudio perfetto, in gloria immortale ( 24 ).

Preghiera - Gesù, hai avuto paura, mentre poco prima incoraggiavi gli apostoli! Hai patito tristezza, mentre sei la beatitudine, la gioia degli angeli!

Ma tutto ciò facesti per amor nostro. Quando si trattò di patire per noi, nulla per te fu troppo!

Signore, grazie infinite. Illumina la nostra mente, rafforza il nostro desiderio, affinchè ti possiamo seguire, con amore e con dolore, in tutti i misteri della tua santissima passione e morte.

(24) Ut., V, 5; Gv., XVI, 20.