Divina Misericordia - Omelia Domenica in Albis 2018

In quel tempo, la sera di quel giorno, il primo della settimana, essendo, per paura dei Giudei, chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli, venne Gesù, si presentò in mezzo a loro e disse: Pace a voi! E detto ciò mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono nel vedere il Signore. Ed egli disse loro di nuovo: Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, così anch’io mando voi. E detto questo, soffiò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; a chi li riterrete, essi saranno ritenuti. E uno dei dodici, Tommaso, detto Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Ora gli altri discepoli gli dissero: Abbiamo visto il Signore. Ma egli rispose loro: Non crederò se non dopo aver visto nelle sue mani la piaga fatta dai chiodi e aver messo il mio dito dove erano i chiodi e la mia mano nella ferita del costato. Otto giorni dopo i discepoli si trovavano di nuovo in casa e Tommaso era con loro. Venne Gesù a porte chiuse e stando in mezzo a loro disse: Pace a voi! Poi disse a Tommaso: Metti qua il tuo dito, e guarda le mie mani; accosta anche la tua mano e mettila nel mio costato; e non voler essere incredulo, ma fedele. Tommaso gli rispose: Signore mio e Dio mio! E Gesù: Tommaso, tu hai creduto perché mi hai visto con i tuoi occhi; beati coloro che non vedono eppure credono. Gesù fece ancora, in presenza dei suoi discepoli, molti altri miracoli, che non sono stati scritti in questo libro. Queste cose sono state scritte, affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e affinché credendo, abbiate vita nel nome di lui.

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OMELIA II

[Bonomelli: Omelie, vol. II, om. XVI]

È sì bello, sì caro questo racconto, tutto spirante un’aria di semplicità e di candore senza esempio, che mi tarda di venire, non ad una spiegazione, della quale non v’è bisogno, ma alla pratica considerazione delle singole parti, che riusciranno dolci e fruttuose, se vi compiacerete porgere, come siete soliti, tutta la vostra attenzione. – “Allorché fu sera, in quello stesso primo giorno della settimana, cioè la nostra Domenica, ed essendo chiuse le porte del luogo dov’erano radunati i discepoli per timore dei Giudei, Gesù venne e stette in mezzo a loro, e disse: Pace a voi ! „ – Era la sera del giorno della risurrezione, cioè la domenica stessa della Pasqua, dopo le nove circa; perché sappiamo da S. Luca (C. XXIV, 33 seg.) che erano presenti i due ritornati quella sera stessa da Emmaus, e non potevano aver compiuto il loro cammino in meno di tre ore, come dicemmo. I due discepoli avevano appena narrata l’apparizione di Gesù ai dieci Apostoli e agli altri ivi raccolti, e udito dell’apparizione fatta a Pietro: eran ancora tutti in preda ad una grande agitazione conseguenza naturale dei fatti di quella giornata, della speranza, del dubbio ed anche del timore e, come suole avvenire, dovevano vivamente discutere tra loro, ed ecco Gesù, nella sua forma naturale, senza rumore alcuno, apparire in mezzo a loro, pronunciando il saluto solito, degli Ebrei: Schalom, “la pace a voi. „ – Come rimanessero tutti quei discepoli è facile immaginarlo. Parmi vederli immoti, quasi estatici, fermi gli occhi sul volto di Gesù, impotenti a pronunciare una parola, per poco senza respiro, come inconsci di se stessi, ondeggianti tra la gioia di vedere il Maestro, e il timore d’avere innanzi a sé un’ombra, uno spirito, Per incorarli e accertarli della verità, Gesù mostrò loro le cicatrici delle mani e del fianco, e ripeté il saluto: “Pace a voi” e, come narra S. Luca, completando il racconto, disse loro: Palpatemi e vedete: perché uno spirito non ha né ossa, né carne come mi vedete avere. – Poi domandò da mangiare, e mangiò un po’ di pesce e di miele. — Allora finalmente gli Apostoli e i discepoli smisero ogni timore ed ogni dubbio, e dovettero prorompere in grida di gioia e cadere ai suoi piedi e baciarglieli e sciogliersi in lacrime, come ciascuno può immaginare. Tutto ciò il Vangelista, ch’era presente, espresse con la solita sua parsimonia di linguaggio in queste cinque parole : “Gavisi sunt discipuli, viso Domino”! — I discepoli, visto il Signore, ne gioirono. Dopo la tempesta la calma, dopo il dolore la gioia, dopo gli strazi e le agonie il tripudio e la letizia più pura: la vista di Gesù tutto fa dimenticare a questi poveri discepoli, e certo non v’ebbe mai sulla terra gioia eguale alla loro. Miei cari, non dimentichiamo mai che la nostra vita quaggiù è una serie continua di pene e di gioie, di amarezze e di dolcezze, di giorni sereni e di giorni procellosi, e allorché questi imperversano, attendiamo quelli fidenti e tranquilli, e allorché questi brillano sopra di noi, prepariamoci alle ore della prova. – Gesù, dice il Vangelo, entrò, essendo chiuse le porte per timore dei Giudei. E come il corpo, il vero corpo di Gesù Cristo passò attraverso le porte o alle pareti? Se la voce nostra passa attraverso le porte e le pareti: se il raggio del sole passa attraverso l’acqua ed il cristallo: se ora la scienza ha scoperto raggi di luce che attraversano anche corpi solidi ed opachi, perché altrettanto non potrebbe fare un corpo glorioso e fatto spirituale, come dice S. Paolo? Tal era il corpo di Cristo. Egli, dice il Crisostomo, non bussò alla porta, non l’aperse, né sfondò per non atterrire gli Apostoli: “Januas non pulsavìt, ne turbarentur”. Quanta delicatezza! quanto amore per i suoi cari! Noi non sappiamo ciò comprendere, è vero, ma confessiamo, soggiunge S. Agostino, che Dio può fare cose che noi non intendiamo: ci basti il sapere che Dio può tutto, e non cerchiamo più oltre! – Ora sappiate, o cari, che vi furono e vivono tuttora, uomini ai quali non fanno difetto né ingegno, né dottrina, i quali osarono affermare, che i buoni Apostoli, in quella sera, furono vittima d’una illusione, credettero vedere e udire Gesù risorto, e non videro, né udirono che un fantasma, un’ombra creata dalla loro fantasia e dall’ardente loro brama di vedere ed udire redivivo il Maestro. Ma ci dicano questi dotti, ci dicano in nome del cielo: gli Apostoli e i discepoli, colà raccolti, che dovevano essere più di dodici persone, erano tutti vittima della propria fantasia? E tutti insieme, proprio nello stesso momento? Credere di vedere tutti, nello stesso momento, una persona, di udire tutti la stessa parola, e non vedere, non udire che un’ombra? E vederla sì da vicino e nella stessa figura e ingannarsi? Non solo vederla e udirla per pochi istanti, ma per qualche tempo, vedere le cicatrici delle mani e dei piedi e del costato e toccarle, e vederlo mangiare ed essere sempre e tutto giuoco della fantasia? Ed aver tale persuasione d’aver veduto Cristo risorto da non dubitarne mai, da patire e morire per Lui? E notate che gli Apostoli erano sì poco disposti a credere che fosse veramente risorto che, vedendolo, dubitavano e sospettavano che fosse un fantasma. E poi questa apparizione fatta la sera della Pasqua non bisogna separarla dalle tante altre che avvennero dopo, fino all’ultima solenne, allorché salì al cielo. San Paolo attesta che Gesù Cristo si mostrò risuscitato a circa 500 persone, nel periodo di quaranta giorni, in diversi luoghi e in diverse maniere: il dire od anche solo il sospettare che tutte queste apparizioni fossero effetto d’una allucinazione, è cosa sì strana, sì enorme, sì incredibile da mettere in dubbio tutti i fatti della storia più certi, da gettarci in uno scetticismo universale, e da urtare contro le leggi del senso comune in guisa da credere ragionevolmente essere allucinati davvero gli spacciatori di siffatte ipotesi e favole. – Ma è da ritornare al nostro racconto evangelico. Poiché Gesù ebbe ripetuto la cara parola “Pace a voi, „ soggiunge: “Siccome il Padre mandò me, così Io mando voi. „ Questa forma di parlare sì alta e sublime vuole essere spiegata: essa importa che la missione degli Apostoli e dei discepoli è, non solo simile, ma eguale, per quanto lo può essere, a quella che ebbe Cristo dal Padre: essa afferma l’identità della missione, ossia dell’ufficio di Cristo e dei suoi Apostoli, l’identità del fine, dei mezzi e del modo. Il Padre, così si ha da intendere la espressione di Cristo, il Padre ha mandato me con piena autorità di ammaestrare, di sciogliere i peccati, di dare la grazia di offrire il divin Sacrificio, ed Io do a voi la stessa autorità, sotto di me: “siete vicari miei [gli Apostoli ed i loro successori nella Sede Apostolica e nell’episcopato sono vicari di Cristo e non successori, perché il vicario ha il potere istesso di colui del quale è vicario, ma ne deve usare nel modo e nella misura che gli è determinata; mentreché il successore può anche modificare le cose stabilite da colui del quale è successore. Il Papa è vicario di Gesù Cristo, non successore, perché la sua potestà è delegata e circoscritta dai limiti posti da Cristo stesso.]: il Padre ha mandato me per santificare e salvare le anime, e voi pure santificate e salvate le anime: il Padre ha mandato me per vincere e guadagnare i cuori non con la forza, ma con la carità, con la persuasione, e così fate voi pure: il Padre mi ha mandato perché dia la mia vita per la salute del mondo: altrettanto fate voi: il Padre ha mandato me come un agnello in mezzo ai lupi, e così Io mando voi come agnelli in mezzo ai lupi: in una parola, voi avete lo stesso potere, che tengo Io dal Padre, e voi lo eserciterete nel modo stesso che l’ho esercitato io. Carissimi! comprendete la grandezza e l’eccellenza veramente divina della potestà della Chiesa, che risiede nel Capo in tutta la sua pienezza, e si spande da Lui in tutti i gradi della gerarchia in diversa misura! Nella Chiesa riguardiamo sempre Cristo vivente, operante, ammaestrante e santificante: si mutano gli uomini, che esercitano il potere, ma il potere è sempre quello: è come l’acqua d’un fiume, che muta il letto e le rive entro le quali scorre; ma è sempre la stessa: è come una gemma, che muta le persone che se ne adornano, ma essa non muta mai. “Come Gesù ebbe ciò detto, alitò sopra di loro, e disse: Ricevete lo Spirito santo. „ – E perché Gesù Cristo alitò loro in volto? Poiché Iddio a principio ebbe formato di poca argilla il corpo del primo uomo, gli alitò in volto, infuse in esso la vita del corpo, e quella troppo più preziosa dell’anima: doppia vita dell’anima e del corpo che doveva propagarsi nella futura generazione: qui, l’Uomo-Dio, il secondo Adamo, alita in volto ai suoi Apostoli e discepoli, rappresentanti la sua Chiesa, e infonde in essi quel soffio di vita divina, che essi dovranno propagare nella nuova generazione fino al termine dei secoli. Mirabile riscontro fra quel primo soffio di vita, che viene da Dio, e questo secondo, che viene dall’Uomo-Dio [“Qui initio naturam nostram, creavit et Spiritu sancto signavit, rursus in initio renovandæ natura sufflatione Spiritum discipulis largitur ut sicut creati ab initio fuimus, sic etìam renovaremur (S. Cyrill. Alex, in Joan.)! E perché Gesù alitò in volto ai suoi discepoli? L’alito è una cotale emanazione che esce da noi, una cotale effusione del nostro essere, che si comunica ad altri. Ora la fede ci insegna che lo Spirito santo è lo Spirito, ossia l’Emanazione amorosa del Padre nel Figlio e del Figlio nel Padre, consustanziale ad entrambi, e perciò assai opportunamente con quell’alito Gesù Cristo adombrò lo Spirito Santo, non già che quell’alito materiale fosse lo stesso Spirito Santo (cosa, più che assurda, ridicola), ma molto bene lo raffigurava. Certamente con quell’alito Gesù Cristo diede agli Apostoli e ai loro successori il potere divino, di cui tosto si parla. L’uomo, perché composto di spirito e di corpo, ha sempre bisogno di alcun che di sensibile per conoscere ciò che è spirituale, e non riceve questo che per mezzo di quello. Voi ora ricevete la verità, che è invisibile, ma la ricevete per mezzo della mia parola, che è sensibile: voi ricevete la grazia invisibile, ma sempre per mezzo dei Sacramenti, che sono mezzi visibili, noi ci uniamo a Dio per mezzo di Gesù Cristo, che è Dio, ma anche Uomo. Che più? Noi vediamo che l’autorità stessa umana si dà agli uomini con segni visibili, che saranno una divisa militare, un diploma, una corona, uno scettro. Era dunque ben naturale che Gesù Cristo, volendo dare agli Apostoli il suo potere, alitasse sopra di loro, quasi per significare, che come il suo soffio passava da Lui in loro, così con esso e per esso passava in loro il suo potere. – Ora vediamo, o dilettissimi, qual sia il potere che Gesù col misterioso suo soffio volle dare agli apostoli. Udite: “Quelli ai quali rimetterete i peccati, saranno rimessi: quelli ai quali li riterrete, saranno ritenuti. „ Se dovessi spiegarvi ampiamente questa sentenza di nostro Signore si richiederebbe un lungo discorso: mi restringerò a ciò che è necessario e voi raddoppiate la vostra attenzione, che l’argomento lo esige. Gesù Cristo non dà qui il potere di predicare la verità, di consacrare il suo corpo adorabile, di reggere la Chiesa od altro: dà il potere di rimettere o perdonare i peccati, di ritenerli ossia di rifiutare di perdonarli. L’oggetto dunque di questo potere divino sono i peccati, tutti i peccati, sempre e senza eccezione. Ma come si deve esercitare questo potere di perdonare o non perdonare i peccati? Porse col predicare la divina verità e con essa eccitare la fede e quindi ottenere la remissione dei peccati, come già dissero i fratelli nostri protestanti ? No, per fermo: se così fosse, il potere dato da Cristo di ritenere i peccati avrebbe significato il potere di non predicare, mentre Cristo comandò espressamente di predicare a tutte le genti. Più: se il potere di annunziare la verità è il potere stesso di perdonare i peccati, chiunque ammaestra nelle cose della fede, sia uomo, sia donna, sia cristiano, sia pagano, sia laico, sia prete, può rimettere i peccati; anzi potrebbero perdonare i peccati anche i libri, perché anche i libri, come gli uomini, e talora meglio degli uomini, ci insegnano le eterne verità. È dunque cosa manifesta che qui Gesù Cristo non diede il potere di predicare, ma un altro potere ben diverso. E quale? Considerate che Gesù Cristo conferisce agli Apostoli un doppio potere, quello di rimettere e quello di non rimettere i peccati. In qual maniera si deve esercitare questo potere? A caso? a capriccio? Andando per le vie gli Apostoli potranno dire agli uni, come loro talenta: “A voi sono rimessi i peccati”; e agli altri: “A voi non sono rimessi”? Certamente no; sarebbe cosa stolta, indegna di uomini che si rispettano, quanto più di Dio, che è la stessa sapienza! È dunque chiaro che gli Apostoli debbono perdonare i peccati o ritenerli secondo ragione, ossia debbono perdonarli a quelli ai quali è giusto perdonarli, e ritenerli a quelli ai quali è giusto ritenerli, e perciò devono avere una norma, una regola sicura, secondo la quale rimetterli o non rimetterli. Ora perché gli Apostoli e loro successori potessero sapere se si doveva dare il perdono o no secondo la regola evangelica, era assolutamente necessario che conoscessero le colpe di ciascuno e le disposizioni dell’animo, in una parola, era necessario che potessero entrare nei segreti della coscienza: solo allora avrebbero potuto sapere con sicurezza se dovessero assolvere o non assolvere. – Ma come entrare nei penetrali della coscienza senza la confessione volontaria dei propri peccati? Gesù Cristo dunque col dare quel doppio potere di rimettere o non rimettere i peccati, istituì necessariamente la Confessione, come mezzo indispensabile per esercitare ragionevolmente o l’uno o l’altro dei due poteri. Una similitudine chiarirà la cosa. – Il capo supremo di giustizia costituisce un giudice, gli assegna il campo della sua giurisdizione, egli dice: Giudicate, assolvete o condannate quanti saranno condotti innanzi al vostro tribunale. — Ditemi, o cari: potrà egli il giudice assolvere o condannare gli accusati come meglio gli piace, senza conoscere lo stato delle cose, udire l’accusato, esaminare le prove? No, sicuramente: sarebbe un insulto alla giustizia e al buon senso. Quelle parole del capo supremo della giustizia: “Assolvete o condannate gli accusati, „ vanno intese così: Udite, esaminate, conoscete debitamente lo stato degli accusati, accertatevi della loro innocenza o della loro reità, e allora usate del vostro potere di assolvere o di condannare, a norma di giustizia. Ecco come si debbono intendere le parole di Gesù Cristo, il sommo ed eterno Giudice: Quelli, ai quali, rimetterete i peccati, saranno rimessi; quelli, ai quali li riterrete saranno ritenuti. — Esse domandano da parte degli Apostoli e di quanti eserciteranno il loro ufficio la cognizione della causa, ossia la manifestazione della coscienza, ossia la Confessione, affinché si possa pronunciare sentenza secondo ragione e giustizia, e dire: “Ti assolvo, … non ti assolvo”. — Cristo dunque, dando il potere di assolvere o non assolvere i peccati, impose manifestamente ai peccatori l’obbligo di manifestare la loro coscienza, come condizione necessaria per l’esercizio del potere stesso. La cosa è sì chiara che non vi spendo intorno altre parole. – S. Giovanni continua il suo racconto, e dice: “Ma Tommaso, uno dei dodici, chiamato Didimo, non era con loro, quando venne Gesù; il Vangelo non dice per qual ragione Tommaso, che si chiamava anche Didimo, cioè gemello (forse perché gemello), era assente, né importa cercarla. Appena i discepoli l’ebbero visto, il primo loro saluto, come è facile immaginare, fu il grido che eruppe spontaneo dal loro cuore: “Abbiamo veduto il Signore. „ Sì lieto annunzio, sembra a noi, doveva ricolmare di gioia l’afflitto Tommaso: eppure non ne fu nulla. Misteri del cuore umano! Gli si assicurava dai compagni, che i desideri sì ardenti del suo cuore erano adempiuti, che Gesù era risorto, ed egli rifiuta ogni loro fede, si ostina a consumarsi nel dubbio e nel dolore, e pronuncia queste parole:” S’io non vedo nelle mani di Gesù la squarciatura dei chiodi e non vi metto il mio dito e non pongo la mia mano sul suo costato, non crederò. „ Era un linguaggio pieno di presunzione, di superbia, di caparbietà e oltraggioso verso i suoi fratelli. Era un dir loro sul viso, che li riputava tutti allucinati, visionari, fanatici, o bugiardi: era un dubitare delle promesse del divino Maestro e un pretendere che si mostrasse direttamente anche a lui; e notate che questa ostinazione dell’Apostolo durò per otto giorni. Egli voleva vedere e toccare le ferite delle mani e del costato del Maestro prima di credere: ma non le avevano vedute e toccate i suoi compagni? I loro occhi e le loro mani non valevano bene i suoi occhi e le sue mani? Perché quell’orgoglioso e ostinato: “Non credo? „ Io sono d’avviso che il buon Tommaso non si rendesse ragione del fallo, di cui si rendeva colpevole, e che dinanzi alla sua coscienza fosse immune da peccato grave: penso anche che, sopraffatto dal dolore per la morte del Maestro, non sapesse riaversi dal profondo scoramento in cui era caduto, né aprire il cuore alla speranza; ma, se mi è lecito dire un mio pensiero, in fondo a quell’anima afflitta e un po’ caparbia v’era un’altra causa, che lo teneva fermo nella sua ostinazione e che aveva la radice in una delle tante debolezze del cuore umano. Il povero Tommaso udiva che Gesù era apparso alle donne, a Pietro, a Giacomo, ai due che se ne andavano ad Emmaus, ai dieci suoi compagni nell’onore dell’apostolato: vedeva d’essere ormai il solo quasi dimenticato da Gesù: si sentiva umiliato e il suo cuore n’era punto sul vivo. Era naturale un risentimento, un certo dispetto di gelosia, d’amor proprio offeso, che cercava dissimulare e coprire dicendo: “Se non lo vedo, se non lo tocco anch’io, non crederò. „ Ma l’amoroso Gesù, pieno di compatimento pel suo caro Apostolo, permise la sua ostinazione per dare a lui una prova del suo affetto, e raffermare lui e gli altri tutti nella certezza della propria risurrezione. – “Otto giorni appresso (precisamente come oggi, ottava della Pasqua), i suoi discepoli erano ancora dentro quella casa e Tommaso con loro. Venne Gesù a porte chiuse, e stette in mezzo, e disse: Pace a voi! „ Ciascuno di noi comprende come a quella apparizione improvvisa il buon Tommaso, più che gli altri, dovesse sentirsi rimescolare il sangue, martellare il cuore e confondere tutte le idee: gioia e timore, rimorsi e giubilo, come le onde sopra uno scoglio, si avvicendavano nell’anima sua. Quel Gesù, che si era ostinato a negare risorto, ricusando fede alle sue promesse e alle affermazioni dei fratelli, era lì, a due passi; i suoi occhi, in un primo istante, incontratisi con quelli del Maestro, confusi, umiliati, si erano chinati a terra. I pensieri dei suoi compagni si riflettevano nell’anima sua, sentiva di meritare i loro rimproveri e più ancora quelli del Maestro, e li aspettava ed aspri…. Che cuore fu il tuo, o Tommaso, allorché in mezzo a quel solenne silenzio aspettavi di udire la parola di Gesù, parola severa, parola di duro e meritato rimprovero? Ma conosceva il Maestro, il suo cuore, la sua bontà, e temendo pure sperava. Quella voce, dolce e sì cara, in fondo alla quale si sentiva un lamento, un rimprovero, ma paterno, si fe’ udire: “Tommaso: qua il tuo dito (era un richiamo delicato alle sue proteste); qua il tuo dito e vedi le mie mani: stendi la tua mano e mettila sul mio costato [Bisogna dire che quel colpo di lancia, che trapassò il petto di Gesù già morto in croce, fosse rimasto profondamente fitto nella fantasia e nella memoria di Tommaso e di tutti gli Apostoli, perché lo notano in modo speciale] e fa di essere non incredulo, ma credente. „ Oh bontà, oh benignità, oh tenerezza del divino Maestro! Non un rimprovero, non un accento di sdegno contro l’Apostolo sì ostinato. Anzi Gesù lo invita a fare ciò che desiderava e a pigliarsi quella prova che esigeva qual condizione della sua fede e a smettere così la sua pervicacia. Poteva essere più benigno e più indulgente? Quelle parole, come una punta acuta penetrarono nel cuore di Tommaso, lo riempirono di dolore, di gioia e di gratitudine, e fuor di sé, nell’impeto dell’amore onde riboccava, con gli occhi gonfi di lacrime, e con voce rotta dai singulti, cadde ai piedi di Gesù, esclamando: “Signor mio e mio Dio! „ In queste parole non c’è neppure un verbo, ma esse dicono tutto. Esse volevano dire: O Signore, o Dio mio! vi credo, vi amo, mi pento, vi ringrazio, vi benedico, vi adoro, sono vostro, tutto vostro, perdonatemi, fate di me ciò che volete. Notate quella professione sì chiara di Tommaso: Dio mio! Vede un uomo, e protesta che quest’uomo è suo Dio! Il miracolo della risurrezione, congiunto a tutti gli altri miracoli, dei quali egli stesso era stato testimonio, alla dottrina, che aveva udita da Gesù Cristo, gli fece sentire e vedere in Gesù Cristo, in quell’uomo, che gli stava innanzi, il Figlio di Dio, e gli strappò quelle parole eloquentissime : “Signor mio e Dio mio [“Videbat tangebatque hominem et confitebatur Deum, quem non videbat neque tangebat? Sed per hoc quod videbat atque tangebat, illud, jam remota dubitatione, credebant” – S. August., Tract. 121]! „ Quanta carità e soavità in quella esortazione di Gesù Cristo: “Fa di essere non incredulo, ma credente” e poco dopo in quelle altre: “Perché hai veduto, o Tommaso, hai creduto: beati coloro, che non hanno veduto ed hanno creduto.” Questa sentenza deve tornare carissima a noi, o figliuoli dilettissimi. Noi non abbiamo veduto, non abbiamo udito, non abbiamo toccato Gesù Cristo nella sua umanità risorta, eppure abbiamo creduto e crediamo fermamente alla sua risurrezione e alla sua divinità, che ci fu annunziata dagli Apostoli e ci si ripete dalla Chiesa, e più felici di Tommaso, noi siamo da Cristo stesso dichiarati beati. – Siamo alla chiusa del nostro Evangelo. “Molti altri miracoli fece Gesù alla presenza dei suoi discepoli, che non sono scritti in questo libro, ma questi sono stati scritti affinché crediate che Gesù è il Cristo, Figlio di Dio, e affinché credendo, abbiate, nel nome di Lui, la vita eterna. „ – Da queste parole di S. Giovanni apprendiamo, che Gesù operò molti altri miracoli, oltre a quelli da Lui e negli altri tre Evangeli registrati, che Giovanni senza dubbio conosceva; perché voi, o cari, non potete ignorare che non tutto ciò che Gesù disse e fece fu scritto negli Evangeli, ma solo ciò che allo Spirito Santo parve necessario ed utile a nostro ammaestramento; il resto, in parte almeno, giunse a noi per la viva tradizione che si conserva nella Chiesa. S. Giovanni poi, in quest’ultimo versetto ci dice il fine o la ragione che lo mosse a scrivere il Vangelo, che fu quello che i lettori credessero Gesù essere il Cristo, cioè il Messia aspettato, il Figlio di Dio, eguale al Padre, e credendo questo, che è il fondamento della fede e vivendo conformemente a questa fede, potessero ottenere la vita eterna, meta ultima della fede e speranza nostra, vita eterna, che Iddio misericordioso conceda a me, a voi, a tutti gli uomini. [Qui è necessaria una avvertenza. È cosa evidente che qui si chiudeva il Vangelo di S. Giovanni. Come sta che segue dopo un altro capo, che è l’ultimo? In esso si narra distesamente un’altra apparizione avvenuta sul lago di Genesaret. Questo capo XXI, ora ultimo, certamente fu scritto da S. Giovanni dopo qualche tempo, quasi appendice. Per qual motivo? Per distruggere l’opinione, divenuta quasi generale, ch’egli, Giovanni, non avesse a morire fino alla seconda venuta di Cristo. In questo capo egli spiega le parole di Cristo, che, malintese, diedero occasione all’errore].