Chiese vuote? Meno festival e convegni, e più preghiere

30 maggio 2017

Avete presente Salman Abedi, il terrorista che lunedì sera si è fatto esplodere alla Manchester Arena causando la morte di 22 persone e il ferimento di altre 120? Bene. Costui pregava in una ex chiesa convertita in moschea (in foto). Un “dettaglio” che vale più di mille parole, come ha giustamente fatto presente l’ottimo Giulio Meotti, che ha scritto di questo sul Foglio. E che a mio avviso va considerato accanto ad un altro dato di cronaca apparentemente marginale, a proposito del fatto che, proprio a pochi chilometri da Manchester, alla Saint Thomas in Werneth a Oldham, pare oggi non vi sia neanche uno studente – non uno -, oggi, disposto a definirsi cristiano.

Che significa tutto questo? Semplice: che Fallaci o non Fallaci, Salvini o non Salvini, la temuta invasione eurabica è un processo in corso. E anche se secondo il Pew Research Center i mussulmani, nel 2050, non saranno che il 10,2% della popolazione europea, è la tendenza che ci deve preoccupare. Soprattutto perché – qui sta il punto vero, su cui vorrei soffermarmi – mentre tutto ciò accade, mentre l’Europa è periodicamente insanguinata dal terrorismo, accade un fatto, cui ho già indirettamente accennato: le chiese, in Occidente e soprattutto nel Vecchio Continente, si svuotano. Sempre più.

Non, attenzione, perché in senso assoluto la religione non abbia futuro – è semmai l’ateismo a non averne, secondo un recente studio apparso su Evolutionary Psychological Science, dove si spiega il declino demografico dei non credenti -, ma perché sembra non averne in Europa. Il che non è un problema, insisto, per le religioni che a livello mondiale sono sempre più diffuse – oggi oltre l’80% delle persone non solamente crede, ma si riconosce pure in una religione o chiesa, mentre gli atei e gli agnostici dichiarati s’aggirano sul 5% (The Global Religious Awakening, ISI Books 2015) -, ma per noi, come europei. Perché, appunto, le chiese si stanno svuotando. Anno dopo anno.

Si pensava per esempio che il pontificato di Papa Francesco, così "misericordioso" e all’insegna dell’apertura, potesse invertire la rotta.

Per nulla: secondo l’Istat, le cui stime sono spesso eccessive, se nel 2007 una persona su tre (esattamente il 33,43 per cento) dichiarava di frequentare luoghi di culto almeno una volta alla settimana, oggi la percentuale è scesa al 27,5%, minimo storico degli ultimi dieci anni. Posto che la percentuale effettiva è molto più bassa (non si arriva manco al 20%, quanto alla popolazione che frequenta la messa domenicale), il quadro è fin troppo chiaro. E sopratutto è fin troppo chiaro ciò che dovremmo fare, come cristiani.

E cioè? E cioè meno chiacchiere, meno convegni, se serve anche meno Festival biblici, e tornare a pregare. In chiesa. Perché, piaccia o non piaccia, come europei non possiamo riprenderci il futuro se non ci riprendiamo le chiese, ritrovano il coraggio di credere. È difficile, anzi impossibile, mi si obietterà. Bene. Allora apprestiamoci, senza più giri di parole, a celebrare il funerale dell’Europa perché più chiese si svuotano e più chiese vengono sconsacrate, e più si fa ripida la rinascita di un Continente la cui prima crisi, oltre che demografica, è spirituale. E addolora che tra tante parole sul dialogo, sull’abbattimento dei muri e queste così, a quasi nessuno venga in mente di questo dramma. Con l’amarissimo risultato che nella chiesa dove siamo cresciuti, domani, potrebbero addestrare un kamikaze.
Questo nonostante lo sbandierato “effetto Francesco”.
(Ph: mirror.co.uk)

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