Francesco I
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La solitudine di Bergoglio

Dall’Argentina agli Stati Uniti cala la popolarità di Jorge Mario Bergoglio tra scandali, errori, epurazioni e faide interne che spaccano la Curia

Stecca argentina

di Luigi Bisignani


Caro direttore, dall’Argentina all’Australia, fino alle segrete stanze delle logge vaticane, soffia impetuoso il vento che rischia di far volare via lo zucchetto bianco di Papa Bergoglio. L’ultima novità è la sostituzione dall’ex Sant’Uffizio del conservatore Gerhard Müller con l’arcivescovo Luis Ladaria Ferrer, un gesuita spagnolo che avrà il compito «rivoluzionario» di aprire prima al diaconato e poi al sacerdozio femminile.
In Argentina la contestazione sta montando, a rischio anche di incidente diplomatico, da quando è stato ufficialmente confermato che a gennaio 2018 Francesco tornerà, sì, “alla fine del mondo” ma per raggiungere la sconosciuta cittadina di Temuco, in Cile. Per gli argentini, da sempre in contenzioso con i cileni, questo non tornare nella Cattedrale di Buenos Aires da Papa è considerata una provocazione inaccettabile, a tutto vantaggio della Chiesa Evangelica. C’è chi sussurra di un Bergoglio talmente in polemica con il suo Paese, da essere addirittura preoccupato da possibili contestazioni pubbliche, pare, infatti, che alle autorità cilene sia arrivata la notizia di non gradire ospiti civili o religiosi argentini e neppure i suoi parenti.
L’immagine di Francesco che aveva i numeri per porsi come “leader continentale morale”, senza l’ombrello di Barack Obama sta velocemente entrando in crisi nonostante lo straordinario lavoro del Segretario di Stato Pietro Parolin: a Cuba, con Trump, la diplomazia vaticana balbetta; in Colombia il referendum per la pace è stato rovinosamente perso perché gli evangelici del Paese lo hanno sabotato; in Venezuela tutte le parti politiche sono concordi nel dire che il tentativo di pacificazione vaticano ha aggravato piuttosto che migliorare la situazione; e infine in Brasile, dopo il successo per la giornata mondiale della gioventù, Rio de Janeiro ha un sindaco-vescovo evangelico, anticattolico e soprattutto critico con la Conferenza Episcopale.
Davanti a questo scenario internazionale si può iniziare a tirare un primo bilancio sui quattro anni di pontificato, azzardando anche paragoni tra Francesco e i suoi predecessori.
Quanto avvenuto dopo la rinuncia di Benedetto XVI è molto simile al passaggio tra Papa Pio XII ed il suo successore Giovanni XXIII.

Dopo aver cavalcato una campagna stampa che trasformava in idolo il Papa Argentino, ci si sta rendendo conto che, in fondo, il lavoro di Ratzinger è stato profondamente sottovalutato. In un Vaticano diviso da faide, il Papa tedesco ha portato lo Ior nella white list, ha posto tolleranza zero verso la pedofilia e ha impostato un profondo studio delle criticità della Chiesa moderna davanti alle sfide future. Francesco, pertanto, è arrivato con un assist senza precedenti di cui forse neanche lui si è reso conto, circondato da un modesto cerchio magico che gli toglie visione e che non gli evidenza criticità che rischiano di assumere dimensioni sempre più grandi, allontanandolo anche dai suoi predecessori. Quasi un Matteo Renzi in veste bianca.

Forte di una intuizione rara, Bergoglio almeno mette le mani avanti quando si ferma davanti alla Madonna di Fatima e chiede scusa per «il cattivo gusto che ho avuto nello scegliere i collaboratori».

Il Cardinale australiano George Pell, allontanato negli ultimi giorni, fu l’uomo di punta dello squadrone argentino scelto da Bergoglio. Ma, pedofilia a parte, la posizione di Pell si è aggravata perché, dopo averle chiamate in Vaticano, non è riuscito a controllare le società di revisione che stanno facendo le pulci ai conti passati e presenti della Chiesa.

Con alcune di queste, aveva firmato dei preliminari di contratti per la creazione del Vam (Vatican Asset Management) sul quale far confluire tutti i beni immobili della Chiesa (anche quelli di Londra, Parigi, New York e Hong Kong) e ora questi battono cassa. Mentre il Revisore dei conti della Santa Sede, Libero Milone, scelto proprio da Pell, pare sia stato defenestrato perché non voleva avallare il bilancio della Segreteria delle Comunicazioni con voci milionarie che coinvolgono anche Raiway.

Per non parlare della modestia dei nuovi vescovi italiani. In città chiave come Palermo, Padova, Brescia e Bologna, suggeriti in gran parte dal cerchio magico (Sant’Egidio, Monsignor Dario Viganò e quelli che scherzosamente vengono definiti i neo massoni del “Nouvel observateur”) sono stati indicati onesti parroci di quartiere, non preparati però a gestire realtà complesse delle quali rischiano di diventare vittime.

Sempre restando in Italia, nessuno ha ben capito ancora il disastro finanziario attorno all’Ospedale del Bambino Gesù. In soli due anni di nuovo corso si sono bruciate decine di milioni di euro, sotto la gestione dell’osannata Mariella Enoc.

Tempi duri aspettano Papa Francesco, la piazza non è più gremita come un tempo, le tanto proclamate riforme si sono eclissate in piccole nomine e a poco servono gli slogan per tenere alta la tensione mediatica. La Chiesa americana gli ha già voltato le spalle, così come quella africana, e la solitudine di un Papa che ai suoi dice «Vado avanti da solo» si scontra contro la parabola del buon pastore che si ferma per recuperare fino all’ultima pecorella smarrita. Che si verifichi nuovamente l’anno dei tre Papi come nel 1978? In questo caso però sarebbero tutti vivi e, dunque, con l’auspicio che Bergoglio si prenda dieci minuti per riflettere, restiamo nella tradizione cattolica e auguriamo lunga vita ai Papi.

Fonte: Il Tempo, domenica 2 luglio 2017
america latina,
Walter
Sa cosa fare? Come massone, seguire le lusinghe del mondo... non fidatevi...
Sancte Joseph
Ma per carità che tre papi ce li abbiamo già: uno è quello benedetto dal Signore, l'altro è quello che vive a Santa Marta e l'ultimo è quello che dice buongiorno e buonpranzo! Il quarto è sempre quello che ci fa dormire poco, buonanotte