Il dramma della morale: frutto di culture arcaiche o rivelazione divina sempre attuale?

«Subito dopo il Concilio si cominciò a discutere se esistessero norme morali specificamente cristiane. Alcuni arrivarono a concludere che tutte le norme si possono trovare anche fuori dell’etica cristiana e che, di fatto, la maggior parte di quelle cristiane è stata presa da altre culture, in particolare dalla antica filosofia classica, la stoica in particolare.

Da questo falso punto di partenza si arrivò ineluttabilmente all’idea che la morale sia da costruire unicamente sulla base della ragione e che questa autonomia della ragione sia valida anche per i credenti. Non più Magistero, dunque, non più il Dio della Rivelazione con i suoi comandamenti, con il suo decalogo. In effetti, ci sono oggi moralisti “cattolici” i quali sostengono che quel decalogo, sul quale la Chiesa ha costruito la sua morale oggettiva, non sarebbe che un “prodotto culturale” legato all’antico Medio Oriente semita.

Dunque, una regola relativa, dipendente da un’antropologia, da una storia che non sono più nostre. Torna qui, dunque, la negazione dell’unità della Scrittura, si riaffaccia l’antica eresia che dichiarava l’Antico Testamento (luogo della “Legge”) superato e respinto dal Nuovo (regno della “Grazia”). Ma per il cattolico la Bibbia è un tutto unitario, le Beatitudini di Gesù non annullano il decalogo consegnato da Dio a Mosè e, in lui, agli uomini di ogni tempo. Invece, stando a questi nuovi moralisti noi, uomini “ormai adulti e liberati”, dovremmo cercare da soli altre norme di comportamento».

(Joseph Ratzinger, "Rapporto sulla Fede", 1985)