Quella coppia di sposi che bussa alle porte del sinodo

Ludmila e Stanislaw Grygiel insegnano nell'istituto pontificio di studi sulla famiglia creato da papa Karol Wojtyla, loro amico di una vita. Non sono stati invitati. Ma avevano molto da dire ai padri sinodali. E l'hanno detto. Con chiarezza e coraggio

di Sandro Magister

"L'AVVENIRE DELL'UMANITÀ PASSA ATTRAVERSO LA FAMIGLIA"
(Familiaris consortio, 86)

di Stanislaw Grygiel


[…] L'ignorare l'amore "per sempre" di cui Cristo parla alla Samaritana come del "dono di Dio" (Gv 4, 7-10) fa sì che i coniugi e le famiglie, e in essi le società, smarriscano "la diritta via" e vadano errando "per una selva oscura" come nell'Inferno di Dante, secondo le indicazioni di un cuore indurito, "sklerocardia" (Mt 19, 8).

Una "misericordiosa" indulgenza, richiesta da alcuni teologi, non è in grado di frenare l'avanzata della sclerosi dei cuori che non ricordano come siano le cose "dal principio". L'assunto marxista secondo cui la filosofia dovrebbe cambiare il mondo piuttosto che contemplarlo si è fatta strada nel pensiero di certi teologi sì che questi, più o meno consapevolmente, invece di guardare l'uomo e il mondo alla luce della Parola eterna del Dio vivente, guardano questa Parola nella prospettiva di effimere, sociologiche tendenze. Di conseguenza giustificano a seconda dei casi gli atti dei "cuori duri" e parlano della misericordia di Dio così come se si sfrattasse di tolleranza tinta di commiserazione.

In una teologia così fatta si avverte un disprezzo per l'uomo. Per questi teologi l'uomo non è ancora abbastanza maturo da poter guardare con coraggio, alla luce della misericordia divina, la verità del proprio diventare amore, così come "dal principio" è questa stessa verità (Mt 19, 8). Non conoscendo "il dono di Dio", essi adeguano la Parola divina ai desideri dei cuori sclerotici. È possibile che non si rendano conto di star proponendo inconsciamente a Dio la prassi pastorale da loro elaborata, come via che potrà condurLo alla gente. […]

Giovanni Paolo II si avvicinava a ogni matrimonio, anche a quelli spezzati, come Mosè si avvicinava al roveto ardente sul monte Oreb. Non entrava nella loro dimora senza essersi prima tolto i sandali dai piedi, poiché intravedeva presente in essa il "centro della storia e dell'universo". […] Perciò egli non s'inchinava davanti alle circostanze e non adattava ad esse la sua prassi pastorale. […] Rischiando di essere criticato, insisteva sul fatto che non sono le circostanze a dar forma al matrimonio e alla famiglia ma che sono invece questi a darla alle circostanze. Prima accoglieva la verità e soltanto dopo le circostanze. Mai permetteva che la verità dovesse fare anticamera. Coltivava la terra dell'umanità non per effimeri successi ma per una vittoria imperitura. Egli cercava la cultura del "dono di Dio", cioè la cultura dell'amore per sempre.

La bellezza in cui si rivela l'amore che chiama l'uomo e la donna a rinascere in "una carne" è difficile. Il dono esige un sacrificio, senza di esso non è dono. […] Gli apostoli, non riuscendo a comprendere l'interiore disciplina del matrimonio, dicono apertamente: "Se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi". Allora Gesù dice qualcosa che costringe l'uomo a guardare sopra di sé, se vuole conoscere chi egli stesso sia: "Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso… Chi può capire, capisca" (Mt 19, 10-12).

Una sera nella sua casa, erano gli anni Sessanta, il cardinale Karol Wojtyla era rimasto a lungo in silenzioso ascolto degli interventi di alcuni intellettuali cattolici che prevedevano una inevitabile laicizzazione della società. […] Quando quei suoi interlocutori finirono di parlare, egli disse soltanto queste parole: "Nemmeno una volta è stata da voi pronunciata la parola grazia". Ciò che egli disse allora, lo ricordo ogni volta che leggo gli interventi di teologi che parlano dl matrimonio nell'oblio dell'amore che avviene nella bellezza della grazia. L'amore è grazia, è "dono di Dio". […]

Se così stanno le cose con l'amore, l'inserire nei ragionamenti teologici il pietoso ma contrario alla misericordia adagio "nemo ad heroismum obligatur", nessuno è obbligato ad essere eroe, avvilisce l'uomo. L'avvilisce contraddicendo Cristo che sul monte delle beatitudini dice a tutti gli uomini: "Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt , 48).

Con i matrimoni e le famiglie spezzati bisogna com-patire e non invece averne pietà. In questo caso la pietà ha in sé qualcosa di dispregiativo per l'uomo. Non lo aiuta ad aprirsi all'infinito amore al quale Dio l'ha orientato "prima della creazione del mondo" (Ef 1, 4). Il sentimentalismo pietoso è dimentico di come sono "dal principio" le cose dell'uomo, mentre la com-passione, essendo un soffrire con quelli che si sono smarriti "nella selva oscura", ridesta in loro la memoria del Principio e indica la via del ritorno ad esso. Questa via è il Decalogo osservato nei pensieri e nelle azioni: "Non uccidere! Non fornicare! Non rubare te stesso alla persona alla quale ti sei donato per sempre! Non desiderare la moglie del tuo vicino!". […] Il Decalogo inciso nel cuore dell'uomo difende la verità della sua identità, che si compie nel suo amare per sempre. […]

In una delle nostre conversazioni su questi dolorosi problemi Giovanni Paolo II mi disse: "Ci sono cose che devono essere dette senza riguardo per le reazioni del mondo". […] I cristiani che per paura di essere riprovati come nemici dell'umanità si piegano a compromessi diplomatici con il mondo deformano il carattere sacramentale della Chiesa. Il mondo, ben conoscendo le debolezze dell'uomo, ha colpito innanzitutto "l'una carne" di Adamo e di Eva. Cerca di deformare in primo luogo il sacramento dell'amore coniugale e a partire da questa deformazione cercherà di deformare tutti gli altri sacramenti. Questi costituiscono infatti l'unità dei luoghi dell'incontro di Dio con l'uomo. […] Se i cristiani si lasceranno convincere dal mondo che il dono della libertà recato loro da Gesù rende difficile e persino insopportabile la loro vita, si porranno al seguito del Grande Inquisitore dei "Fratelli Karamazov" e metteranno Gesù al bando. Allora che cosa accadrà all'uomo? Che cosa accadrà a Dio che è diventato uomo?

Prima di essere ucciso Gesù dice ai discepoli. "L'ora viene che chiunque vi ucciderà crederà di rendere un culto a Dio… Al mondo avrete tribolazione, ma fatevi coraggio, io ho vinto il mondo" (Gv 16, 2.33).

Facciamoci coraggio, non confondiamo l'intelligenza mondana della ragione calcolante con la saggezza dell'intelletto che si allarga sino ai confini che uniscono l'uomo con Dio. Erode ed Erodiade erano forse intelligenti, di certo però non erano saggi. Saggio era san Giovanni Battista. Lui, non loro, aveva saputo riconoscere la via, la verità e la vita.
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