Il culto ai sette Arcangeli - alcune notizie storiche

Numerosi sono i riferimenti sugli Angeli nella Bibbia, sia nel Nuovo che nel Vecchio Testamento.

In particolare ne vengono citati, con il rispettivo nome, soltanto tre:
Libro di TOBIA: XV-15 …. io sono l’Angelo
RAFFAELE, uno dei sette che stanno davanti al Signore.
DANIELE: X-1 …………. ma
MICHELE uno dei primari Principi, venne in mio soccorso.
LUCA: I-1 ……………….. ma il sesto mese fu mandato l’Angelo
GABRIELE.
E poi, senza citazione del nome, in ZACCARIA I-9,11,12,13,14,18; IV-1,10.
APOCALISSE di Giovanni: I-1,4,20; IV-5; XIV-6,8,9,10,15,17,18.

E dappertutto ricorre sempre il numero di Sette.
Da principio la Chiesa primitiva, come sottolinea Caterina Bernardi Salvetti (vedasi bibliografia), conosceva unicamente rappresentazioni angeliche ispirate ad avvenimenti biblici.
La più antica immagine angelica cristiana risale al II secolo nelle Catacombe di Priscilla in Roma e rappresenta l’Annunciazione dell’Arcangelo Gabriele.
Il Principe degli Angeli S. Michele ebbe, nel 312-328, la prima chiesa dedicata al suo nome in Alessandria, edificata da Alessandro patriarca di quella città.
Esteso ed antichissimo era il culto degli Angeli in Oriente.
La Chiesa ortodossa egiziana, fin dal III e IV secolo invocava nella sua liturgia oltre che i tre Arcangeli Michele, Raffaele e Gabriele, anche l’Arcangelo URIELE, nominato nei libri apocrifi di Henoc.
Ugualmente facevano la Chiesa Coopta ed Etiopica, mentre in Siria e in Palestina gli Angeli si veneravano fin dai primi secoli, come dimostrano i recenti scavi in queste regioni.
L’imperatore Costantino fece fabbricare in onore di S. Michele una prima chiesa in Costantinopoli, dove esistevano ben quattro chiese dedicate al Principe degli Apostoli. E tutti gli imperatori bizantini furono in genere devoti degli Angeli.
Molti di questi portano il nome dell’invitto Arcangelo Michele e negli splendidi mosaici dei templi da essi instaurati, figurarono le maestose e severe effigi di Angeli che costituiscono una delle più nobili espressioni dell’arte bizantina: da S. Sofia di Costantinopoli (Arcangelo Gabriele) al Duomo di Cefalù (Arcangeli dell’abside) a S. Apollinare in Classe, S. Apollinare Nuovo a Ravenna, fino alle numerose icone russo-orientali in cui l’arte è il più possibile aderente alla grande tradizione biblico-ecclesiastica.
Sette Angeli con lo scettro, secondo la più antica tradizione bizantina dell’iconografia angelica, erano tra le figurazioni in mosaico che rivestivano la volta dell’altar maggiore in S. Marco a Venezia nel 1543, da cui fu ritratto il quadro della Vergine con i Sette Angeli, che vediamo in S. Maria degli Angeli in Roma.
Antonino Mongitore che stampò nel 1726 a Palermo il suo libro “Il Monastero dei Sette Angeli”, rifà la storia delle sette immagini di Angeli con i loro nomi, venute alla luce a Palermo nel 1516 nella chiesina di S. Angelo e della copia di esse esistenti nel quadro che vediamo tuttora nella Cattedrale di Palermo.
A Vasto, provincia di Chieti nella chiesa parrocchiale di S. Michele figurano i Sette Arcangeli con Uriele, Barachiele, Sealtiele, Geudiele. In S. Cecilia in Trastevere a Roma, un affresco del XIII secolo rappresenta il Salvatore in trono contornato da sette Angeli con ai lati la Vergine e S. Giovanni Battista, opera del Cavallini, pittore che seguì gli schemi iconografici dei mosaicisti bizantineggianti che lo precedettero.
Ad Assisi in S. Maria degli Angeli, nella Annunciazione, sono raffigurati in alto, secondo il noto schema bizantineggiante, l’Eterno Padre tra sei angeli, di cui il settimo, Gabriele, in ginocchio dinanzi alla Vergine.
Nel libro edito a Bruxelles nel 1707 di padre Andrea Serrano, “Los siete Principes” (vedasi Bibliografia,) sono raffigurati i sette Arcangeli con gli stessi nomi di quelli della chiesina di S. Angelo in Palermo:
MICHELE, con una lancia e un vessillo crociato, nella sinistra una palma e sotto i piedi il dragone vinto;
RAFFAELE, con in mano una pisside di aromi medicinali e vicino il piccolo Tobia;
URIELE, con in mano una spada nuda;
GABRIELE, con uno specchio di diaspro e una lanterna;
SEALTIELE, in atto di pregare;
GEUDIELE, con una corona e un flagello;
BARACHIELE, con un serto di rose.
Verso la fine del 1600 nella Biblioteca Vaticana venne ritrovato un antichissimo codice ebraico in cui oltre agli Arcangeli Michele, Gabriele, Raffaele, venivano nominati Uriele, Sealtiele. Geudiele e Barachiele.
Il Cistercense Giulio Bartolocci (vedasi Bibliografia) parlando delle immagini di Palermo e del quadro di S. Maria degli Angeli in Roma, dice che “le iscrizioni che sorreggono questi sette angeli specificano il ministero di ciascuno di essi e si può accertare il nome, dall’ebraico, degli stessi” e cioè quei medesimi nomi ed epiteti che figuravano ai piedi di ognuna delle immagini dei sette Angeli venuti in luce nel 1516 a Palermo.
Michele – Vittorioso, e nel quadro di S. Maria degli Angeli: “Paratus ad anima suscipienda”.
Raffaele - Medico,e nel quadro suddetto: “Viator comitor; infirmos medico”.
Geudiele – Remuneratore, e nel quadro suddetto: “Deum laudantibus; praemia retribuo”
Gabriele - Nunzio, e nel quadro suddetto: “Spiritus Sanctus superveniat in te”
Uriele - Forte alleato (Luce di Dio), e nel quadro suddetto: “Flammescat igne Caritas”.
Barachiele – Tutore, e nel quadro suddetto: “Adiutor ne derelinquas nos”.
Sealtiele - Oratore, e nel quadro suddetto, “Oro, supples, acclinis”.
Per altri i suddetti “sette” nomi provengono da dottrine basiliane ed Essene.

Se i quattro nomi di Uriele, Sealtiele, Geudiele e Barachiele non hanno ricevuto ancora approvazione ufficiale da parte della Chiesa, come Michele, Gabriele e Raffaele, ciò nonostante i Padri della Chiesa ritengono molto fondato il culto dei Sette Angeli.

Il culto dei sopraddetti quattro angeli fu proibito durante il Concilio di Laodicea nell’anno 745 dal pontefice greco Zaccaria (741-752), nato a S. Severino in Calabria, che condannò gli eretici Adalberto e Clemente che erano caduti in una quasi idolatria dei sette angeli.
Bisognerà attendere il 1500, secolo in cui si verificherà una speciale diffusione del particolare culto dei Sette Angeli principali, dovuta ad una singolare figura di sacerdote che di questo culto fu apostolo: Antonio Lo Duca.
Come riferisce R. Lefevre (vedasi Bibliografia), già il Pastor ebbe a fare il nome di questo prete siciliano che, infiammato per il culto degli angeli, aveva messo su, tra le rovine delle Terme di Diocleziano in Roma, una cappella portatile con un quadro della Madonna attorniata dai Sette Angeli che si era fatto dipingere a Venezia traendolo da un mosaico della Basilica di S. Marco (ora non più esistente) e che ogni sera veniva riportato nell’attuale chiesa di S. Bernardo, a suo tempo a guisa di torrione, cedutogli temporaneamente dal cardinale Jean Du Bellay, che in quella zona aveva la sua residenza di campagna, orti e villa, frequentata da tutta la nobile gioventù sfaccendata di Roma.
C’è poi un gustoso episodio, dettato da Gustavo Colonna Brigante per la “Strenna dei Romanisti” del 1956 che, divagando tra “Angeli, diavoli, bufali”, intorno all’architetto Jacopo Del Duca, (nipote del prete di Cefalù), allievo, collaboratore e continuatore di Michelangelo, si sofferma compiaciuto su uno strano zio prete del principiante artista, uno zio prete che parlava con gli angeli, li chiamava per nome, non aveva un quattrino in tasca avendo rinunciato a tutte le prebende, ma in compenso possedeva una tenacia e volontà da vendere, tanto che non ebbe pace e non esitò a mettere su mezzo mondo fino a che vide alzarsi tra le colossali strutture di Diocleziano il grande tempio michelangiolesco e poté collocarvi il quadro con la Vergine e i Sette Angeli.
Ma notizie molto più ampie e dettagliate su questo culto vengono fornite dal libro di Caterina Bernardi Salvetti, già citato in bibliografia, che consentono di ricostruire vita e vicende di questo sacerdote soprannominato “lo scemo delle Terme” dai cardinali Giovanni Battista e Innocenzo Del Monte, (nipoti scapestrati di papa Giulio III Giovanni Maria Ciocchi Del Monte, 1550-1555 ), per le supposte visioni degli Angeli e che dopo avergli detto che in quel luogo essi preferivano cavalcare piuttosto che pregare, lo minacciarono di fargli fare la fine dei cristiani che avevano costruito le Terme, se non se ne fosse andato.
Il prete siciliano venne così scacciato dalle Terme con il suo altare portatile. Il quadro della Madonna degli Angeli fu condotto nella chiesa di S. Maria di Loreto in Roma, della quale il Lo Duca era cappellano, e collocato nella cappella del Crocifisso in cui normalmente il religioso celebrava la S. Messa e dove egli ebbe la sua seconda visione in cui scorse una grande luce con i Sette Angeli che gli predicevano che presto il loro culto, presso le Terme, sarebbe stato approvato dal Papa.
Ma il prete di Cefalù dovette attendere l’avvento al soglio pontificio di Pio IV Giovan Angelo dè Medici (1559-1565) per veder ufficialmente riconosciuto il culto degli angeli e poter sistemare il quadro della Vergine Maria attorniata dai Sette Angeli sull’altar maggiore dell’abside della basilica, dove si trova tuttora.
Venne così premiata la costanza del prete siciliano che tra incomprensioni, amarezze, ostacoli, aveva raggiunto lo scopo che si era prefisso mezzo secolo prima.


Fonte: www.santamariadegliangeliroma.it