Quale grado di sicurezza si richiede perché le nostre deliberazioni siano moralmente buone?

Certezza assoluta, certezza fisica e certezza morale

In teologia morale si dice che è necessario acquisire la certezza morale che quanto si sta per compiere non produrrà del male.
Tuttavia è proprio quell’aggettivo morale specifica il grado certezza che è necessario acquisire.
In teologia morale, ma non solo in teologia morale, si distingue tra certezza assoluta, certezza fisica e certezza morale.
Si ha certezza assoluta quando in ogni caso non si potrà mai verificare un incidente. È quella certezza che talvolta viene definita certezza metafisica o matematica. Ad esempio: due più due fa quattro e farà sempre quattro senza alcuna eccezione.
Per l’agire dell’uomo non si richiede questo tipo di certezza. Sarebbe quasi sempre impossibile raggiungerla.
Vi è poi una certezza che viene denominata certezza fisica. Anche qui abbiamo un grado molto alto di certezza.
Differisce dalla precedente perché ammette solo la possibilità del caso o del miracolo.
Ma il caso o il miracolo sono un’eccezione, non una regola.
Ebbene, per l’agire umano, soprattutto nel prendere determinate decisioni, non si richiede neanche questo tipo di certezza perché sarebbe paralizzante.
Vi è infine l’ultimo grado di certezza, ed è quello della certezza morale.
Si tratta sempre di certezza, ma corrisponde alla certezza che avviene nel comune dei casi. Vale a dire: nella maggioranza dei casi (nell’ut in pluribus) succede così, mentre in alcuni altri pochi (ut in paucioribus) può succedere il contrario.
È questa la prudenza morale che deve stare alla base delle nostre deliberazioni.
Gli uomini infatti non possono prevedere tutto quello che capiterà in seguito alle loro scelte, si pensi ad esempio alla scelta del marito o della moglie o nel dare il suffragio elettorale a uno piuttosto che ad un altro.
Capita talvolta di doversi pentire. Ma al momento della scelta ci si era comportati secondo i criteri della prudenza comune.
Questo vale anche per l’osservanza delle leggi stabilite dagli uomini.
Il legislatore, se è saggio, sa già in partenza che le sue norme prevedono ciò che capita comunemente e che pertanto in alcuni pochi casi si dovrà derogare dalla legge scritta perché l’estrema osservanza del diritto non diventi una somma ingiuria (ne summum jus fiat summa iniuria!).
Scrive San Tommaso: “Tutte le leggi sono ordinate alla comune salvezza degli uomini, e in vista di essa ottengono vigore e natura di legge; invece in quanto se ne allontanano non hanno più forza di obbligare. (…). Ora, spesso capita che quanto ordinariamente è utile osservare alla comune (ut in pluribus), salvezza, in certi casi (in aliquibus casibus) è sommamente nocivo.
Dal momento, quindi, che il legislatore non può contemplare i singoli casi, propone una legge in base a quanto avviene ordinariamente, badando alla comune utilità. Perciò se nasce un caso in cui l'osservanza di tale legge è dannosa al bene comune, allora essa non va osservata. Se, p. es., in un assedio viene sancita una legge che ordina la chiusura delle porte della città, si ha una disposizione utile alla comune salvezza nella maggioranza dei casi: ma se capita che i nemici stiano inseguendo dei cittadini capaci di salvare la città, sarebbe sommamente dannoso non aprir loro le porte: perciò in questo caso esse si dovrebbero aprire contro le parole della legge, per salvaguardare l'interesse comune che il legislatore ha di mira” (Somma teologica, I-II, 96.6)
MariaRosaMystica condivide questo
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