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MOSTRAMI SIGNORE LA TUA VIA - I.8

Storie di bambini

Nei confronti del mondo il nostro compito è sì la denuncia dell'errore e del male, come ha fatto Gesù, ma questo non basta. Per salvare il mondo occorre soffrire. Come quando si ha un figlio: si soffre per lui perché lo si ama. Dio ha tanto amato il mondo da mandare Gesù, e manda anche noi. Gesù ha detto: "Andate nel mondo", non ha detto: "Restate a casa vostra". Quindi noi denunciamo il male, ma con la sofferenza lo assumiamo e in un certo senso lo distruggiamo se Cristo continua a vivere in noi la sua Passione e Resurrezione.
Un grande esperto di questo argomento è il beato Carlo Gnocchi, che scrisse un saggio sulla sofferenza dei bambini dal titolo "Il dolore innocente".
Don Gnocchi raccoglieva e custodiva i bambini che durante la seconda guerra mondiale erano rimasti orfani ed erano mutilati dalle bombe. Egli vedeva i suoi piccoli soffrire e li aiutava facendo capire loro il senso salvifico della sofferenza. Quando un bambino dà il nome alla sua sofferenza - questo è il pensiero del Beato - allora egli si unisce in modo particolarissimo alla Passione del Signore e la sua sofferenza diventa tremendamente efficace. Il bambino capisce questo linguaggio molto meglio degli adulti, perché è innocente. Mentre io, che sono adulto e peccatore, quando soffro sconto una parte delle mie colpe, il bambino che è innocente non sconta le proprie colpe, ma quelle degli altri. Quindi un piccolo che soffre è davvero un elemento di salvezza. Molti non accetteranno questo discorso, ma "chi può capire, capisca". Forse solo un domani, in Paradiso - se ci andremo - sapremo quanto dobbiamo alla sofferenza offerta dai piccoli e dagli innocenti.
Ci chiediamo: se Dio è amore, perché "ha bisogno" della sofferenza dei bambini? Perché permette questa sofferenza, se davvero ci ama tanto?
È la domanda che l'uomo si fa da sempre: se Dio è amore, perché la sofferenza e perché il male?
La risposta è: perché c'è il mistero dell'iniquità.
Questo mistero è la conseguenza della nostra libera scelta, del libero arbitrio. Un giovanotto che chiede a una ragazza di sposarlo propone un atto d'amore per tutta la vita; se la ragazza non accetta perché non prova niente nei suoi confronti, non vi sarà unione e matrimonio; l'amore infatti può essere liberamente rifiutato. Portando questa immagine sul piano di Dio, quando c'è il rifiuto dell'uomo, che è libero (perché l'amore per essere vero deve essere libero, altrimenti non è amore, ma obbligo), il rifiuto comporta una tragedia.
E questo è successo nel mondo angelico, è successo nel mondo umano: il dramma di coloro che rifiutano volontariamente di essere in comunione con Dio Padre, Figlio e Spirito Santo.
La sofferenza è la conseguenza della scelta del rifiuto di Dio, perché l'uomo che si stacca da Dio entra nel disordine, che non è più amore perché l'uomo non è più in comunione con Dio.
La sofferenza è il mezzo che Dio ha vissuto in Sé, perché nella pena infinita della morte in croce Gesù annulla il peccato di tutti. Per questo motivo la sofferenza ha sempre un significato superiore.
Padre Pio diceva: "Le anime costano".
Qual è il vero bene dell'uomo? Stare bene qualche anno sulla terra o piuttosto la vita eterna?
Il vero bene che io voglio augurare ai miei amici, ai genitori, ai figli non è stare un po' meglio nel mondo, ma la salvezza eterna. Se per la salvezza eterna del mio amico io devo soffrire per lui, se lo amo lo faccio volentieri.
Il Signore permette la sofferenza in ordine alla salvezza. Le obiezioni che noi oggi facciamo dipendono dal fatto che vediamo soltanto questa temporanea realtà del mondo, ma un domani capiremo che la sofferenza delle anime generose ha davvero riparato e contribuito per tante altre anime alla salvezza eterna, e costoro in Paradiso saranno sempre attorno all'Agnello, piene di gioia, come dice l'Apocalisse.
In proposito, vorrei citare un pensiero di C. S. Lewis: "Il valore di una persona si può comprendere soltanto alla luce di quello che è destinata a diventare. Non è cosa da poco vivere in una società di potenziali dèi o dee, sapendo che anche la persona noiosa e meno interessante che incontri potrebbe un giorno diventare una creatura che, se la incontrassi adesso, saresti tentato di adorarla, oppure si potrebbe trasformare in un orrore e in marciume tali che al presente non riusciresti neppure ad immaginarla se non, quand'anche fosse possibile, come un incubo".1

Questa è la rivelazione di Dio, sulla quale noi dobbiamo gettare la nostra rete e porre la nostra fiducia e la nostra speranza; e aiutarci, noi cristiani, nel momento della sofferenza, a portare il peso insieme: "Portate pesi gli uni degli altri" (Gal 6, 2).
Se accettiamo e viviamo con generosità le prove per la liberazione eterna dei nostri amici, Dio ci darà la sua pace; l'ha promesso: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace" (Gv 14, 27).
I cristiani, i veri cristiani, di fatto hanno una impensabile pace interiore che niente può scalfire, neanche le grandi prove. Ma ci vuole amore, ci vuole soprattutto fede, come quella dei bambini di don Gnocchi.
Si tratta di un fatto vero successo in Ungheria negli anni '50.
Un'istitutrice ungherese insegnava l'ateismo a dei piccoli (voi sapete che sotto il regime comunista nei paesi dell'Est si insegnava proprio ateismo a scuola, come una materia tra le altre, insieme a matematica e geografia). Questa maestra ungherese insegnava ateismo in una scuola con forza, ma anche con una certa lealtà. Un giorno, in classe, chiese ad una bimba di nome Angela: "Quando i tuoi genitori ti chiamano, tu cosa fai?". La bambina rispose: "Vado".
E la maestra: "Esattamente. E che cosa accade quando noi chiamiamo lo spazzacamino?".
La bimba rispose: "Viene".
"Bene, piccola mia, lo spazzacamino viene perché esiste. Tu vai perché esisti. Ma supponiamo, per esempio, che i tuoi genitori chiamino la tua nonna che è morta; la tua nonna verrà?".
Risposta: "No, non credo".
"Brava! E se chiamassero Cappuccetto Rosso, cosa succederebbe?".
"Non verrebbe nessuno, perché sono dei racconti".
"Perfetto. Vedete dunque, bambini miei, che i viventi, quelli che esistono, rispondono all'appello. Invece quelli che non vivono, oppure che non vivono più, non rispondono. È chiaro a tutti?"
"Sì!" rispose in coro la classe.
La maestra disse: "Angela, ora esci dalla porta".
E Angela uscì.
"Ed ora, bambine mie, chiamate tutti insieme Angela". Le bambine gridarono: "Angela, Angela!", e Angela rientrò.
E la maestra: "Siamo d'accordo? Se voi chiamate qualcuno che esiste egli viene. Se chiamate qualcuno che non esiste, egli non viene, non può venire. Allora adesso chiamate tutti il Bambino Gesù. Tu, Angela, credi che il Bambino Gesù ti sente quando lo chiami?". "Sì - rispose Angela - io credo che mi senta". "Molto bene. Ora facciamo l'esperimento: gridate tutte insieme: vieni, Bambino Gesù!".
Le bambine abbassarono la testa, alcune risero.
"Ecco, volevo arrivare proprio qui - disse l'istitutrice - e questa è la mia prova: voi non osate chiamarlo perché sapete che non verrà. Se non vi sente, significa che non esiste, è solo una storia per le donne che stanno nell'angolo del focolare".
Le bambine iniziarono a dubitare.
Angela era pallida; una delle sue compagne disse poi: Avevo paura che cadesse.
Ma Angela si riprese e disse: "Ebbene sì, chiamiamolo!" E, rivolta alla classe, esortò: "Dite con me, tutte insieme: Vieni, Bambino Gesù! Vieni, Bambino Gesù!".
Ci fu un grido tale da far cadere i muri. Le bambine gridarono per solidarietà in un sussulto di fede, ma senza aspettarsi nulla di straordinario. Invece la porta si aprì e tutta la luce del giorno improvvisamente sembrò andare verso la porta. Questa luce crebbe e divenne una sfera come di fuoco. Le bambine provarono paura, ma non ebbero il tempo di gridare: in mezzo alla sfera apparve un bambino che sorrideva in silenzio. Immensa dolcezza... Le bambine non avevano più paura.
Le testimonianze sulla durata di questa visione sono variabili, alcuni dicono pochi istanti, altri dicono fino a mezz'ora. La luce del giorno sembrava nera al confronto; alcune bambine avevano male agli occhi, altre no.
Il bambino poi sparì nella sfera di luce che poco a poco si dissolse.
L'istitutrice divenne pazza e venne rinchiusa in una casa di cura. Ripeteva: "È venuto! È venuto!"
Potessimo avere noi la fede di quella bambina!

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1) C. S. Lewis, Il peso della gloria, in Le lettere di Berlicche, Jaka Book, Milano 1995, p. 228