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Nuova legislatura e totalitarismo liberale, Di Piergiorgio Seveso

Nuova legislatura e totalitarismo liberale

Ci scuserete i consueti ritardi nell’arrivo di una nuova puntata di questa rubrica ma l’urgenza dell’attualità ci ha costretto a posticiparla: siamo però certi che sarete sopravvissuti a “tanta” orbata solitudine.

Di solito i discorsi dei presidenti provvisori del Senato italiano sono un po’ come i discorsi di accettazione degli Oscar alla carriera nella fabbrica dei sogni (e degli incubi) hollywoodiana.

Qualche grata banalità, vecchi arzigogoli da parte di protagonisti arzilli e canuti, qualche “saggio” consiglio e poi la politica politicante dei lenoni e delle peripatetiche passa subito ad altro.

Non è stato esattamente così per il discorso “agghiacciante” della senatrice a vita (ridateci Trilussa!) Liliana Segre: l’aula “sorda e grigia” compatta nell’apprezzamento, fazzoletti per asciugare le umide ciglia, giornalisti in estasi e levitazioni multiple, barbuti e sulfurei presidenti entranti anch’essi egualmente grati e devoti alla “presidente morale” di tutti gli italiani.

Quale debba essere l’attitudine di un cattolico che si dice e voglia essere (almeno) tradizionalista di fronte a questo mesto spettacolo mi pare evidente e rimarcabile senza soverchi giri di parole.

Totale estraneità, totale misconoscimento dello sciorinamento valoriale eseguito dalla senatrice Segre, totale apotia ovvero non bere nemmeno una stilla dal poculum, dalla coppa avvelenata del totalitarismo liberale.

La nostra libertà (che è la libertà del TUTTO) è ovviamente altrove, non ha rappresentanze nelle camere subalpine, non trova voce in questi esponenti del totalitarismo liberale, in questi incensatori di Astarte e Baal nel “Tempio della democrazia”, in questi azzimati cantori del feticcio della sovranità popolare, in questi cultori del Libro (che non è nemmeno una Bibbia fraudolenta e manomessa della Cei ma unacostituzione falsa e bugiarda) e non trova nemmeno brandelli e lisi cenci di opposizione in questa nuova legislatura.

Ma si sa, il “tradizionalista medio” (lo si dica anche con affetto verso tutti noi, imbarcati su queste sgangherate scialuppe della Fede cattolica romana) è un po’ come un buon cane: con qualche carezza eduna ciotola di croccantini (scaduti) si affeziona subito, si fidelizza nell’Infedeltà.

Quasi sempre la realtà (che non è il realismo e nemmeno la realpolitik) si rivela più amara, crudelmente desertica, acuminatamente spigolosa e il sussiego tronfio di certi commentatori tradizionalisti si rivela vana sicumera, sgomitamento alla ricerca di inane visibilità, pittoresca costruzione di castelli di sabbia nelle spiagge vuote del fine stagione.

E quando il nuovo presidente della Camera italiana (peraltro largamente migliore dei suoi predecessori ma in fondo ci voleva davvero poco) si inchina reverente a Bergoglio, “guida spirituale della maggioranza degli italiani” mostra tangibilmente l’afasia, l’indicibilità, l’impraticabilità assoluta del cattolicesimo integrale nelle aule parlamentari oggi.

Per questo senza “rimboccarci le maniche” in svianti e ingannevoli collateralismi, senza nulla concedere ad un conservatorismo benpensante (che non ha nemmeno l’acutezza disincantata di Longanesi o la profonda onestà di Guareschi) e che non restaura il bene ma al massimo consolida il male come fatto compiuto, continueremo a costruire e seminare fuori dalla dittatura delle tre R (Risorgimento, Resistenza, Repubblica) la nostra Libertà che non è (e lo ribadisco per tutti i miopi di ritorno in questi anni di crisi vaticanosecondista) la libertà delle cappelle ma la Libertas Ecclesiae.


Sessant’anni di Vaticano II: un piccolo promemoria

Di fronte al “concilio vaticano secondo” ancora oggi c’è chi plaude ai cambiamenti, alle “variazioni” (avrebbe detto Romano Amerio, eminente storico della crisi della Chiesa nel “Post-Concilio”), considerandole provvidenziali e frutto di una continuità mutevolezza della Chiesa cattolica stessa, e quasi invocandone sempre di nuove e di ulteriori.

C’è chi si ferma pensoso, condanna gli abusi maggiori, cerca di trovare scusanti o motivazioni per ciò che pare non avere senso, si affida a questo o quel gruppo, a singoli rappresentanti dell’Episcopato, per cercare di trovare un modus vivendi tra il cattolicesimo di sempre e le degenerazioni dell’oggi.

C’è chi disgustato e ferito da certe prese di posizione e da certi gesti, rifiuta in tronco la dottrina e funzione redentivi della Chiesa, ritenendo quasi questi ultimi decenni il disvelamento di una falsità congenita nell’istituzione stessa e nel figura del stessa del suo Divino Fondatore.

C’è chi invece (ed è anche il sommesso ma chiaro parere di chi scrive) ritiene che quello avvenuto nel 1962-65 sia stato storicamente la Rivoluzione all’interno della Chiesa stessa, ossia un evento traumatico e violento che ha di fatto tentato (e ad uno sguardo esteriore c’è riuscita) di inserire all’interno del Magistero della Chiesa dottrine, ideologie, attitudini e comportamenti che non solo le sono sempre stati estranei ma che contraddicono ciò che nella Chiesa si è sempre creduto, tenuto, predicato e fatto.

Il “Concilio vaticano secondo” non ha quindi portato a termine un aggiornamento, adattando antiche formule ad una forma più attuale e interessante per l’uomo moderno ma ha, di fatto e di diritto, rivoluzionato e adulterato una corretta concezione della Chiesa in relazione a sé stessa, alla società in cui si trova ad operare, alle altre religioni (in special modo i sedicenti “grandi monoteismi”), alla propria liturgia, all’interpretazione dei testi sacri.

Durante“il concilio” una minoranza di vescovi progressisti, sostenuti da Giovanni XXIII prima e da Paolo Vi sia riusciti a mettere in scacco una forte maggioranza di vescovi legati alla Teologia Cattolica e non alle concezioni rivoluzionarie dei teologi novatori (i padri Congar, Rahner, Chenu e altri ancora).

Tant’è che non a torto si parla di una condotta apertamente golpistica tenuta dagli episcopati progressisti all’interno del concilio.

Molti hanno analizzato i grandi errori dogmatici del “Vaticano II” (tra cui spicca certamente l’eresia della “libertà religiosa”, già condannata da Pio IX, e presente invece in “Dignitatis Humanae”, l’eliminazione del Deicidio in “Nostra Aetate”, la radicale mutazione della concezione della Chiesa e del Primato pontificio in “Lumen Gentium”, lo scardinamento della posizione della Chiesa nella società in “Gaudium et spes”, l’abuso del ruolo del laicato in “Apostolicam actuositatem”).

In ultimo al “Concilio” è seguita (e come in ogni rivoluzione le conseguenze travolgono anche le più miti premesse) una radicale riforma della Santa Messa, tale da mutarne radicalmente struttura, natura e finalità. (trasformando il severo Sacrificio della Messa in latino in un ritrovo conviviale in lingua quotidiana, spesso di dubbio gusto e con notevole predisposizione all’invenzione liturgica).

Per tacere della riforma dei rituali e del nuovo “codice di diritto canonico”del 1983 (anch’esso figlio del “Concilio”).

È evidente che l’obbedienza al magistero della Chiesa per un cattolico è essenziale ma quando risulta evidente alla ragione, al cuore, soprattutto al sensus Fidei, un generale processo autodemolitivo della Chiesa), la palese trasformazione della Chiesa, società perfetta, autonoma e sovrana, finalizzata alla Redenzione degli uomini, in un mero ente filantropico, debole e spesso prono nei confronti di certi poteri e di certe idee, il cattolico ha il dovere di essere pienamente cattolico, allontanandosi moralmente e fisicamente dall’errore e da chi lo insegna.


Gomez Davila rivisitato

“Quel che dice il radiospadista non interessa mai a nessuno, nè quando lo dice, perché pare assurdo, né dopo alcuni anni, perché pare ovvio.”

Fonte immagine: Pixabay