1) Prove che confermano le Scritture Ebraiche

((Elementi tratti dalle ricerche dell’archeologo Bryant Wood e di altri ricercatori) in
sites.google.com/…/bibbia-prove-ch…


Le conferme alle Sacre Scritture degli Ebrei, il Vecchio Testamento della Bibbia cristiana, provengono per la maggior parte dai reperti archeologici rinvenuti nelle numerose campagne di scavi eseguiti nei luoghi biblici. Spesso eseguiti proprio partendo dalle indicazioni bibliche.
Questi reperti sono rappresentai per la maggior parte da “tavolette” di argilla sulle quali venivano scritte informazioni con caratteri cuneiformi e poi cotte in forno. Esse erano i registri e gli archivi dell’epoca. Poi vi sono blocchi di argilla a forma di “cilindro” o di “prisma”, sui quali gli antichi incidevano le informazioni che riguardavano eventi di particolare rilevanza. Un esempio è il famoso “Cilindro di Ciro” formato da un cilindro di argilla cotta al forno lungo circa trenta centimetri, la cui superficie è ricoperta di scritte cuneiforme fatte incidere da Ciro il Grande per riportare le sue imprese e i suoi editti. Infine vi sono le “stele” e i “monoliti”, le lastre e i blocchi di pietra di varie dimensioni e forme sulle cui facce gli antichi riportavano informazioni scritte con caratteri cuneiformi e disegni a bassorilievo.
Ecco alcuni esempi di tali ritrovamenti.
Il racconto biblico del diluvio universale, descritto nel libro della Genesi ai capitoli da sei a otto, ha ricevuto una conferma archeologica molto importante da una Tavoletta d’argilla ritrovata a Ninive, nell’archivio di stato del palazzo reale, sulla quale è descritto l’evento del diluvio ne stessi termini in cui ne parla la Bibbia. Quella Tavoletta è conservata al British Museum di Londra.
Una ulteriore conferma alla veridicità del diluvio biblico, viene da alcuni eminenti esperti i quali affermano che alla luce delle prove geologiche oceanografiche e archeologiche esistenti, si può tranquillamente affermare che senza ombra di dubbio sulla Terra vi è stato un solo e unico diluvio, avvenuto in un'epoca ben definita, del quale tutti i popoli antichi hanno conservato il loro ricordo; anche se ognuno l’ha deformato a secondo della propria ispirazione più o meno primitiva. Nel libro Myths of Creation (Miti della creazione), Philip Freund calcola che esistano più di 500 leggende del Diluvio, narrate da più di 250 tribù e popoli di diverse civiltà. Di questi popoli alcuni sono lontani gli uni dagli altri geograficamente e culturalmente. Queste leggende sono una ulteriore conferma alla storicità della Bibbia.
Una scoperta archeologica molto importante è quella fatta una missione archeologica italiana, guidata da Paolo Matthiae e Paolo Pettinato, la quale ha riportato alla luce le rovine dell’antica città-stato di Ebla, sorta in Mesopotamia intorno al 3000 a.C. Qui gli archeologi hanno ritrovato l’edificio che ospitava l’archivio di stato della città, il quale era formato da oltre 15000 tavolette di argilla scritte con caratteri cuneiformi, delle quali molte erano completamente intatte. Alcune delle informazioni ritrovate scritte su queste tavolette, dimostrano che il racconto biblico che riguarda i Patriarchi biblici è totalmente verosimile, perché questi documenti confermano che diversi nomi di persone e di luoghi usati nella narrativa biblica della Genesi sono autentici.
Su una delle tavolette di questo archivio gli archeologi trovarono scritto il nome delle cinque città della valle vicino al mar Morto: Sodoma, Gomorra, Adma (o Adama), Zboìm (o Seboim o Tseboim) e Bela, che la Bibbia nomina in Genesi 14,2. Esse erano riportate addirittura nello stesso ordine in cui sono scritte in Genesi. Nelle tavolette era menzionato anche il re Birsha, lo stesso nome che il re di Gomorra aveva al tempo di Abrahamo (Genesi 14,2). Inoltre lo scienziato americano Jack Finegan afferma che la distruzione catastrofica di Sodoma e Gomorra, descritta in Genesi cap. 19, avvenne verosimilmente intorno al 1900 a.C., proprio come si desume dalla cronologia biblica.
Intorno agli anni 1925 - 1930 furono ritrovano in Iraq le antiche città Mesopotamiche Nuzi e Mari; la prima risalente all’incirca al 3000 a.C. e la seconda al 600 a.C. Fra i loro resti furono trovate tavolette che confermavano gli antichi costumi dei patriarchi descritti nella Bibbia.
Un’altra spedizione archeologica ha ritrovato i resti del palazzo del re assiro Sargon II, a Khorsabad, nell'Iraq settentrionale, ed ha scoperto che sulle pareti di questo palazzo era descritto la conquista di Asdod da parte di questo re. Esattamente lo stesso evento menzionato in Isaia cap. 20. Inoltre, furono rinvenuti anche frammenti di una stele di pietra che commemorava questa vittoria. (Ashdod è una città e porto di Israele che si trova sul mediterraneo. La parte antica di questa città è vicino a quella odierna, e la sua importanza storica risale al tempo degli Assiri, dei Filistei, degli antichi Ebrei e dei Romani).
Nella Bibbia si afferma che il re di Assiria di nome Salmanassar (o Salmaneser), assedio la città Samaria, capitale dell’omonimo regno di Israele e la conquistò dopo tre anni deportandone parte della popolazione. Ebbene, la descrizione della conquista delle città di Samaria, descritta in 2 Re 17,3-6, 24 e 2 Re 18,9-11, è stata ritrovata anch’essa descritta sulle mura del palazzo di re Sargon II sopra menzionato. (I storici hanno accertato che il re Sargon II fu il successore di Salmanassar, e regnò in Assiria all’incirca tra il 721 e il 705 a.C.).
La Bibbia, nel libro di Giudici cap. 9, afferma che il re Abimelec, il figlio del giudeo Gedeone detto anche Ierub-Baal (Giudici 6,32 e Giudici 8,31), distrusse il tempio di El-Berit nella città di Sichem (Giudici 9,46). Evento anch’esso confermato dal ritrovamento dei resti di questa città. In questi scavi hanno ritrovato sia i resti del tempio di El-Berit e sia le testimonianze della sua distruzione fatta da Abimelec. La datazione di quei resti risultò in perfetto accordo con quella del breve regno di tre anni di Abimelec a Sichem.
Altra conferma biblica proveniente da questi scavi è il ritrovamento del famoso “pozzo di Giacobbe” menzionato nella Bibbia in Giovanni 4,6-12.
Un’altra conferma importante all’attendibilità della Bibbia viene dalla scoperta archeologica fatta nel secolo scorso dal Professor Robert Koldewey, il quale ritrovò i resti della Torre di Babele nominata dalla Bibbia in Genesi 11,1-9 e i resti della famosa città di Babilonia, anch’essa menzionata nella Bibbia innumerevoli volte in diversi libri biblici, come ad esempio in 2 Re capitoli 20, 24 e 25. Inoltre, in altro luogo, è stata ritrovata anche una tavoletta sumera che descrive la confusione delle lingue risultante dall'evento della Torre di Babele, attribuendola al “dio della sapienza”.
La distruzione di Ninive, capitale del regno Assiro, profetizzata dal profeta Sofonia (Sofonia 2,12-15) è confermata dalla descrizione dello stesso evento riportata su un reperto archeologico chiamato “tavoletta di Nabopolasar”. Inoltre, attendibili ricostruzioni storiche hanno stabilito che Ninive fu distrutta dai Medi e dai Babilonesi nel 612 a.C., così come era profetizzato nella Bibbia.
La prigionia di Ioiachin, re di Giuda in Babilonia, descritta in 2 Re 24,15-16, è riportata in alcune tavolette scritte in cuneiforme contenenti la cronaca dei primi anni di regno di Nabucodonosor, re di Babilonia.
La dinastia del re Davide riportata nella Bibbia è confermata dalle iscrizioni in aramaico trovate su una tavoletta commemorativa rinvenuta a Tel Dan (cittadina a nord di Israele) datata IX secolo a.C. La tavoletta, che probabilmente faceva parte di un monumento eretto in onore di Hazael, re di Aram, cita diversi eventi che troviamo menzionati nel primo libro dei Re.
La campagna del faraone Sisach (o Shishak) contro Israele, citata in 1 Re 14,25-26, è stato confermata da un ritrovamento archeologico avvenuto a Tebe, in Egitto, dove lo stesso evento è stato ritrovato scritto sulle mura del Tempio di Amun, risalente a quell’epoca.
La Bibbia nel libro di 2 Re cap.3 afferma che il popolo dei Moabiti, che abitavano in una regione vicino al Mar Morto chiamata Moab, erano sotto il dominio di Israele e si ribellarono ad esso. Ebbene, questo passo è confermato dal rinvenimento avvenuto nel 1868 di una tavoletta Moabita che riportava iscrizioni che confermano il contenuto del capitolo 3 del secondo libro dei Re. Essa cita anche il nome Yahweh, che è il nome con cui Dio si presentò a Mosè.
La campagna di conquista del re assiro Sennacherib contro Giuda, che la Bibbia riporta in 2 Re cap. 18 e 19, in 2 Cronache 32 e in Isaia cap. 37, è riportata scritta in cuneiforme su di un reperto archeologico formato da un prisma di argilla cotta chiamato “Prisma Taylor”; e su diverse stelebiografiche di Tirhaka, ritrovate dagli archeologi in Egitto nella regione della Nubia.
L'assedio della città di Lachish avvenuto ad opera di Sennacherib re d’Assiria, che la Bibbia riferisce in 2 Re 18,14-17, è descritto anche nelle raffigurazioni fatte in bassorilievo che gli archeologi hanno ritrovato tra le rovine di questa città.
L'assassinio del re assiro Sennacherib, avvenuto per mano dei suoi stessi figli, citato dalla Bibbia in 2 Re 19,37, è confermato dalla descrizione dello stesso evento che è stata trovata nelle memorie lasciate da suo figlio Asarhaddon (o Esarhaddon) che gli succedette al trono di Assiria e ritrovate da archeologi.
Anche gli avvenimenti della conquista e distruzione di Gerusalemme per mano di Nabucodonosor re di Babilonia, che la Bibbia riferisce dettagliatamente nei libri di 2 Re capitoli 24 e 25, 2 Cronache cap. 36 e Geremia cap. 39, sono tutti ampiamente confermati da documenti storici risalenti a quell’epoca. Infatti gli archeologi hanno ritrovato un gran numero di tavolette di creta Babilonesi scritte con caratteri cuneiforme, dove questi stessi fatti sono descritti altrettanto dettagliatamente.
Le prove storiche che testimoniano quest’evento sono tutte concordi e inconfutabili, tant’è vero che esse hanno permesso di datare con precisione l’anno in cui è avvenuta la caduta definitiva e la distruzione di Gerusalemme, cioè il 587 a.C. Questo avvenimento e questa data sono delle certezze storiche che nessun studioso mette in dubbio.
In Daniele 5,30-31 la Bibbia riferisce in modo sintetico la cronaca della caduta della città di Babilonia ad opera di Ciro (Ciro il Grande) re dei Medi e dei Persiani, affermando che questi conquisto questa città nel 539 a.C. deviando le acque del fiume Eufrate. La conferma della veridicità di questo passo biblico proviene sia dai studi storici e sia dal ritrovamento di un importante reperto archeologico denominato “Cilindro di Ciro” sul quale è riportato la conquista di Babilonia da parte di Ciro.
Sul Cilindro di Ciro è riportata anche la liberazione degli schiavi in Babilonia avvenuta per mano di Ciro il Grande. Lo stesso evento la Bibbia lo descrive in modo simile nel libro di Esdra (Esdra 1,1-4 e Esdra 6,3-4).
Altra conferma importante per l’attendibilità storica della Bibbia proviene dal tunnel di Siloe, che corre per mezzo chilometro sotto le mura di Gerusalemme collegando le sorgenti di Ghihon alla cosiddetta "piscina" (o cisterna) di Siloe, che si trova nella cittadella di Davide, la parte più antica della città di Gerusalemme. Esso e' uno dei più importanti reperti archeologici della capitale d'Israele. La Bibbia afferma che fu il re Ezechia a costruire una “piscina e un acquedotto per portare l’acqua in città” quando Gerusalemme era assediata dagli assiri, (2 Re20,20). Secondo il testo di 2Cronache 32,30, il re Ezechia "chiuse il corso superiore delle acque di Ghihon, convogliandole in basso verso il lato occidentale della città di Davide".
Questi passi biblici ebbero una prima conferma dalla scoperta avvenuta nel 1880, di un'iscrizione all'interno del tunnel che descrive la sua costruzione con parole che corrispondono a quelle riportate nella Bibbia. E una seconda dalla datazione eseguita dagli esperti sulle stalattiti al suo interno, che conferma in modo definitivo che il tunnel di Siloe risale esattamente all'epoca di Ezechia.

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Elementi che confermano la Scritture Cristiane

Anche i Vangeli e le altre Scritture cristiane hanno ricevuto moltissime conferme dall’archeologia e dalla storia secolare. Difatti, soprattutto nei vangeli c’è un costante richiamo ad eventi, a fatti, a luoghi, a persone e nomi, che permettono di collocare con precisione nel tempo e nello spazio ogni avvenimento citato. Elementi risultati tutti rigorosamente veri alla verifica dei fatti.
Ad esempio, la piscina Betesdà che il Vangelo di Giovanni nomina al Capitolo 5, versetto 2 dove è scritto: «V’è a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, una piscina, chiamata in ebraico Betzaetà, con cinque portici, …»; e il Litostroto, che nomina al Capitolo 19, versetto 13 dove è scritto: «… Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette nel tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà.»; sono assolutamente veri. Gli archeologi li hanno riportati alla luce entrambi, ed erano lì dove li collocava evangelista Govanni. (“Litòstroto”, è un termine greco che significa “luogo lastricato”; invece “Gabbatà” è un termine aramaico (la lingua parlata dal popolo di Israele a quei tempi) che significa “altura”).
I resti della piscina di Betesdà furono ritrovati da uno scavo archeologico eseguito a Gerusalemme, seguendo le indicazioni di questo vangelo, proprio vicino alla «Porta delle pecore». Essa è perfettamente riconoscibile perché sono stati ritrovati tutti gli elementi citati dal vangelo. (Aveva cinque portici: era un rettangolo irregolare, lungo circa 100 metri e largo da 62 a 8o, circondato da arcate sui quattro lati. Un quinto porticato collegava al centro i due lati più lunghi, spezzando così lo specchio d’acqua). Anche il Litostroto o Gabbata fu ritrovato scavando proprio dove indicava Giovanni. Esso è un cortile lastricato che misura oltre 2000 metri quadri, pavimentato alla maniera romana, che si estende, dove si apriva il cortile dell’Antonia, la fortezza della guarnigione imperiale nella quale, durante l’inverno e la Pasqua, risiedeva il procuratore romano. Tutto esattamente come indicava il vangelo di Giovanni. È da notare che, mentre il termine greco (Litostroto) usato dall’evangelista per indicare il cortile, allude alla pavimentazione, il termine ebraico (Gabbata) “altura”, allude alla posizione elevata sulla quale la fortezza Antonia sorgeva.
Anche Nazareth, la cittadina della Galilea dove Gesù visse i suoi anni che precedettero la sua predicazione pubblica, secondo alcuni era un luogo fittizio, perché non esistevano riscontri, né geografici, né storici, né letterari e né biblici nel Vecchio Testamento. Ma anche questa volta i denigratori della Bibbia dovettero ricredersi. Infatti, in una campagna di scavi compiuti negli anni settanta da un gruppo di archeologi israeliani diretta dal prof. Avi Jonah dell’università di Gerusalemme, tra le rovine di Cesarea Marittima, residenza estiva dei procuratori romani in Giudea, fu ritrovata una lapide in marmo grigio su cui era inciso il nome di una località, quello di Nazareth. Secondo gli archeologi, quella lapide marmorea di circa 15 centimetri per 12, risaliva almeno al terzo secolo prima di Cristo.
Nel dibattito sulle origini del cristianesimo, non è mancato neppure chi ha messo in dubbio che il procuratore romano della Palestina quando Gesù fu messo a morte, fosse davvero Ponzio Pilato. Ma anche questa diceria è stata definitivamente messa a tacere da una prova archeologica inoppugnabile. Infatti nel 1961 una spedizione italiana dell’università di Milano, nei scavi condotti sulle rovine di Cesarea Marittima, proprio la residenza estiva dei procuratori romani in Giudea, ha rinvenuto una lapide calcarea, alta circa 82 centimetri e larga circa 68, su sulla quale erano ancora chiarissime, alcune lettere della scritta originaria, precisamente: «... S Tiberièum... ntius Pilatus... ectus Juda...». Secondo tutti gli esperti, l’«…ectus» che oggi si legge su quella lapide era in origine: «praefectus» cioè prefetto. E, siccome il resto della scritta può capirlo chiunque, è evidente che ci troviamo davanti alla prova indiscutibile, non solo dell’esistenza storica di Pilato ma anche della sua prefettura in Giudea sotto l’imperatore Tiberio, quindi ai tempi della morte di Gesù.
Il fatto che il cristianesimo è ancorato in modo indissolubile al territorio e ad una precisa realtà storico-culturale appartenente ad un preciso periodo storico, è un dato assolutamente incontestabile. Lo ha osservato anche l’inglese sir Rawlinson, un famoso studioso di costumi orientali vissuto nel diciannovesimo secolo: «Il cristianesimo si distingue dalle altre religioni del mondo proprio per il suo carattere storico. Le religioni di Grecia e Roma, di Egitto, India, Persia, dell’Oriente in generale, furono sistemi speculativi che non cercarono neppure di darsi una base storica. Proprio al contrario del cristianesimo». Difatti gli evangelisti citano continuamente avvenimenti storici importanti noti a tutti, scegliendo di volta in volta quelli che i primi destinatari dei loro scritti conoscono meglio. Esempio: il vangelo di Matteo, quello che gli esperti moderni affermano essere inizialmente destinato alla predicazione cristiana tra gli ebrei, fa coincidere la nascita di Gesù a Betlemme con una gran quantità di avvenimenti pubblici verificatesi in Israele in quel periodo. Avvenimenti che gli ascoltatori ricordavano benissimo, e cioè: la vistosa apparizione della ben nota “stella” o cometa; l’arrivo dei “magi” che, come sottolinea l’evangelista, «turbò» il re Erode e tutta Gerusalemme; l’ordine di Erode di «uccidere tutti i fanciulli di Betlemme e di tutto il suo territorio, dai due anni in giù»; ecc. Invece il vangelo di Luca, quello che gli esperti affermano essere inizialmente destinato alla predicazione cristiana tra i romani, riporta invece gli avvenimenti principali che permettevano ai romani di collocare con precisione nel tempo e nel luogo la nascita di Gesù. Egli spiega che Gesù nacque a Betlemme perché proprio in quei giorni Giuseppe e Maria si erano spostati da Nazaret a Betlemme per obbedire all’ordine di censimento impartito dall’imperatore Cesare Augusto, il quale obbligava tutti a registrarsi presso la propria città natale, che per i genitori di Gesù era Betlemme.
Dunque, come la predicazione di Matteo agli ebrei faceva riferimento, per la nascita di Gesù, ad avvenimenti ebraici che gli ascoltatori conoscevano meglio di tutti perché legati alla loro storia; Luca si riferisce a persone e a disposizioni imperiali, che i romani conoscevano meglio degli altri. Se quanto è scritto in questi racconti evangelici non fosse vero, gli evangelisti sarebbero stati smentiti dai fatti e nessun ebreo o pagano avrebbe seguito un culto palesemente fondato sulle “frottole”.
Un altro esempio. L’evangelista Luca, nell’intento di fissare con precisione nel tempo e nei luoghi, l’inizio della predicazione di Gesù, nomina con i loro nomi e i loro titoli, sette capi religiosi e politici del luogo, tutti trovati rigorosamente esatti dalle verifiche fatte dai storici. Infatti in Luca 3,1-3 è scritto: «Nell’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto».
Anche la sepoltura di Gesù è ben documentata. Matteo afferma che uomo ricco chiamato Giuseppe, di Arimatèa (città della Giudea), discepolo di Gesù, andò da Pilato e gli chiese il corpo di Gesù per seppellirlo. L’evangelista ha cura di precisare che Giuseppe depose Gesù nel proprio sepolcro che da poco aveva scavato nella roccia. Marco e Luca precisano che Giuseppe era un distinto membro del Consiglio ebraico; giusto e buono chiarisce ancora Luca. Giovanni specifica che il sepolcro scavato nella roccia dove venne posto Gesù, si trovava in un orto vicino al posto dove era stato crocifisso. Inoltre precisa che Giuseppe non aveva agito da solo, ma era stato aiutato da Nicodemo, anch’egli conosciutissimo capo dei farisei e, quindi dei giudei; il quale aveva portato una misura di cento libbre di “oli profumati” da spargere sul corpo di Gesù prima di avvolgerlo nel lenzuolo di lino. Infine Matteo precisa che il sepolcro fu chiuso con una grossa pietra rotolata davanti all’entrata e che i Giudei chiesero e ottennero che la sorveglianza armata della tomba di Gesù.
Tutti questi particolari sono stati trovati veritieri da tutte le verifiche storiche ed archeologiche fatte finora. Infatti i dubbi avanzati da alcuni sulla veridicità del tipo di tomba usata per seppellire Gesù, sostenendo che quel tipo di sepoltura non era usato a quei tempi, sono svaniti come neve al sole quando importanti scoperte archeologiche hanno dimostrato il contrario. Questa è una verità che ognuno può verificare da sé visitando Abu Gosh, località a pochi chilometri a Nord Ovest di Gerusalemme, dove troviamo una serie di tombe risalenti al primo secolo d.C., esattamente identiche a quella che i vangeli riferiscono essere stata usata per Gesù. Anch’esse sono chiuse da una grossa pietra circolare, quasi sempre una macina, che si rotolava davanti all’apertura. La stessa cosa si può osservare Gerusalemme alla cosiddetta “Tomba dei Re” e in molti altri punti d’Israele. Se poi ci si reca alla basilica del Santo Sepolcro, si potrà vedere che proprio accanto a quella che la tradizione cristiana riconosce essere stata quella di Gesù, vi sono i resti di una tomba del periodo di Erode, scavata anch’essa nella viva roccia.
Questa realtà è confermata anche dai sondaggi effettuati nel 1974 nel quale è stato rilevato che il Santo Sepolcro dei cristiani è situato proprio su un’antica cava di pietra. Luogo agevole per inumarvi i cadaveri di persone facoltose, come è detto appunto essere Giuseppe d’Arimatea che seppellì Gesù nella tomba preparata per lui.
Anche il particolare dell’olio profumato che Nicodemo portò per imbalsamare il corpo di Gesù, è stato totalmente confermato dai risultati degli studi compiuti per stabilire l’autencità dell’antico lenzuolo funerario noto come la: «Sindone» di Torino. Infatti, come ribadisce anche Vittorio Messori in un suo libro (Ipotesi su Gesù), l’esito di queste minuziose ricerche condotte sui metodi e le usanze di sepoltura giudaici nel periodo di Gesù, ha permesso agli esperti di conoscere tutto riguardo ad esse. Questi studiosi hanno stabilito con certezza che la miscela di «olio profumato» che il vangeli affermano essere stata usata per imbalsamare il corpo di Gesù, era quella consuetamente usata in questi casi, e cioè: un «diapasma», una composizione aromatica antiputrefattiva (Judica-Cordiglia). (continua)