Il matrimonio di Maria e Giuseppe secondo il beato Scoto

Il matrimonio di Maria e Giuseppe

Dal: Ordinatio IV d. 30 q. 2

Ci si domanda se tra la beata Vergine e S. Giuseppe vi sia stato un vero matrimonio.

Prove per il no
:

1. 17, questione 1: Vi sono alcuni: «è cosa biasimevole per coloro che fanno voto, non soltanto contrarre matrimonio ma anche desiderarlo».

2. Ugualmente nel libro dei Numeri (36,6) si legge che le donne dovevano prendere marito dalla loro tribù; quindi Maria poteva maritarsi solo con un uomo della sua tribù, secondo la legge. Ora Giuseppe era della tribù di Giuda, come si legge in Luca 2,4: Poiché era della tribù e della casa di Davide. Maria invece era della tribù di Levi in quanto parente di Elisabetta (Lc 1,36).

3. Ancora, chi contrae matrimonio consente a qualcosa che non è soltanto la coabitazione, perché in questo possono consentire anche fratello e sorella. Perciò il consenso riguarda la copula, perché non pare che il matrimonio aggiunga altro alla coabitazione. A questa copula però la Vergine non poteva consentire perché aveva fatto voto di verginità.

Al contrario:

Il contrario dice il MAESTRO nel testo e lo desume da Matteo 1,18: Essendo maritata....

1. PROVE PER IL SÌ E DISCUSSIONE

Si devono considerare due cose: la prima «perché» è così; la seconda «come» è così.

La prima risulta dalle autorità citate dal Maestro nel suo testo, cioè della ragione di convenienza: o perché la legge comandava il matrimonio a tutti essendo considerata dalla legge come una benedizione la fecondità e una maledizione la sterilità, come si legge in molti passi della Scrittura; ovvero, se non fu precetto vincolante per tutti, come si vede in Geremia e Giovanni Battista che rimasero vergini, la beata Vergine ebbe un comando particolare di contrarre matrimonio.

Si possono ricavare pure le ragioni di convenienza da AMBROGIO nel Super missus, cioè che il marito fosse il testimone della verginità di Maria o che essa non avesse occasione di mentire sulla sua verginità in quanto da non maritata avrebbe potuto mentire e non invece da maritata. Perciò sia per la testimonianza da una parte e per presunzione dall’altra si sarebbe creduto sia alla verginità che alla concezione del Figlio per via matrimoniale.

Altra ragione di convenienza fu che si credesse alla sua verginità e non venisse macchiata di disonore; Cristo infatti non poteva ritenere giusto esigere la fede nella propria nascita, facendo ingiuria alla madre. Sapeva bene quanto fosse delicata la verecondia della Vergine e facile il discredito del pudore.

Altra ragione: che il marito fosse al servizio della Vergine e del fanciullo sia nell’andata che nel ritorno dall’Egitto. è una ragione accennata da ORIGENE nel commento a Matteo 1,18: Cum esset desponsata.

Un altro motivo è riportato da AMBROGIO, cioè per ingannare il diavolo; però questa ragione mi pare poco importante. Come non avrebbe potuto il diavolo notare la verginità della Madre se ebbe come marito Giuseppe come se non lo avesse? O si deve intendere che non poté vedere perché non gli fu permesso, pur avendo la naturale facoltà intellettiva per conoscere. Ma neppure questa ragione vale molto perché ne sarebbe stato impedito anche se non fosse stata maritata.

Altre ragioni: Cristo non volle cominciare con una violazione della legge per non dare occasione ai Giudei o ad Erode di perseguitarlo, perché il parto d’una non maritata era condannabile per legge; o perché le vergini che vivono circondate da discredito non trovassero pretesto per nascondersi sotto la scusa che anche la Madre del Signore era disonorata. Queste ragioni sembrano abbastanza congruenti per il nostro argomento.

2. LE CIRCOSTANZE DEL MATRIMONIO

Si obietta che la beata Vergine aveva fatto voto sotto condizione, cioè se Dio non avesse disposto altrimenti. Perciò le era consentito il matrimonio.

Contrario: in qualsiasi voto, per quanto assoluto, è sottintesa la condizione «se piace a Dio», perché nessuno deve offrire a Dio qualcosa che lo voglia o non lo voglia. Chi volesse offrire così non agirebbe ordinatamente. Dunque, anche con tale condizione così intesa, il voto rimane assoluto.

Affermo perciò che il suo voto di castità era assoluto. I santi lo arguiscono dalle parole di domanda da lei rivolte a Gabriele: «Come è possibile questo se io non conosco uomo?». Se si trattasse solo del non averlo conosciuto senza fermo proposito di non conoscerlo mai, non vi sarebbe problema, perché, una volta conosciuto, non essendo sterile avrebbe concepito. Ma la domanda fu posta intorno a un fatto più che mirabile perché aveva stabilito e fatto voto che mai sarebbe stata conosciuta da uomo. E a quest’intenzione risponde la spiegazione dell’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te...» etc.

Come dunque poté contrarre matrimonio?

Rispondo.


Nel contratto matrimoniale il mutuo dono dei corpi per la copula carnale è sottoposto a una implicita condizione, cioè se venga richiesto. Perciò contraggono realmente matrimonio coloro che lo contraggono col proposito di fare immediatamente dopo il voto di castità. Questa condizione non pregiudica il voto di castità anche dopo il contratto matrimoniale, se quella condizione non viene posta in opera. Quindi se vi è la semplice certezza che essa non verrà esercitata, il contratto matrimoniale non pregiudica in nessun modo il voto di castità. Nel nostro caso vi fu tale certezza.

Per cui leggiamo in Matteo, 1,30 che l’angelo informò Giuseppe: «Non temere di prendere Maria in moglie tua». A maggior ragione, anzi senza alcun dubbio, si può conchiudere che anch’essa prima di promettersi a Giuseppe fu resa sicura: «Non temere di prendere Giuseppe uomo giusto come tuo marito. Ecco che lo Spirito Santo te lo darà come custode e testimone della tua verginità, perché come te è impegnato con voto alla continenza e ti aiuterà in molti modi idonei alla custodia della verginità». Non c’è da meravigliarsi per questa supposizione giacché quanto accade a Giuseppe con l’apparizione dell’angelo aveva la sua motivazione in Maria, che concepì immediatamente in modo misterioso e miracoloso l’Unigenito Figlio di Dio.

Un esempio si può averne dall’Extra de verborum significatione: Exiit qui seminat, oggi rintracciabile nel VI libro, dove si afferma il principio che non è inutile la concessione dell’uso di una cosa ritenendone il dominio, in quanto quell’uso è necessario agli utenti. A pari, nel nostro caso, concedere il potere di dominio sul proprio corpo in vista del tale atto, riservandone tuttavia a sé l’uso fin che non è richiesto da altri, non è fuori luogo. Però quest’esempio è criticabile perché non pare che si possa riservare l’uso quando si è dato il dominio, come avere il dominio concedendo l’uso.

Il secondo si cede più del primo che non al contrario; ma qui importa che a qualcuno possa spettare l’uno senza l’altro.

Circa il nostro argomento: essa non ritenne per sé neppure l’uso di sua autorità, perché fu certa che quell’uso se lo riservava lo Spirito Santo giacché nessun altro a cui fosse dovuto l’avrebbe mai preteso.

Altro esempio: se qualcuno contraesse il fidanzamento con giuramento e poi facesse voto di verginità, ci sembra che sarebbe opportuno consigliargli di condurre a termine il fidanzamento con il contratto esecutivo per mantener fede al giuramento; e tuttavia per conservare il voto, prima di consumare il matrimonio, dovrebbe entrare in religione. A costui sarebbe consentito concedere il dominio sul proprio corpo al coniuge col contrarre un vero matrimonio rato ma con l’intenzione da parte sua di non concederne l’uso, anche senza sapere se la comparte ne richieda mai quest’uso. A maggior ragione sarebbe lecito contrarre, se sapesse che l’altra parte non lo richiederebbe mai

In fine: una donna adultera in forza del diritto acquisito con il matrimonio indefettibilmente ha il dominio sul corpo del marito. Ma non ne conserva il diritto all’uso a causa del suo peccato. Perciò il peccato può vietare perpetuamente l’uso del corpo pur permanendo il dominio conseguito col matrimonio.

Molto più dunque può farlo lo Spirito santo per una causa onesta.

3. RISPOSTA ALLE OBIEZIONI

Al primo argomento principale: dico che l’autorità citata si deve intendere di coloro che vogliono celebrare le nozze secondo la legge comune, cioè quando non consta con certezza che l’uso conseguente al contratto non verrà preteso.

Al secondo argomento. Si può dire che quella disposizione fu data per le figlie, come si vede nei Numeri, alla fine. La legge perciò non obbligava se non quelle donne alle quali veniva devoluta l’eredità paterna, perché il loro padre era morto. Non è questo il caso di Maria, che non era erede e quindi le era lecito maritarsi con uno di diversa tribù.

Si può però diversamente dire che Maria apparteneva ad ambedue le tribù, cioè di Giuda e di Levi: alla tribù di Giuda da parte del padre, alla tribù di Levi da parte della madre. Infatti Gioacchino viene da Nathan, figlio di David, come appare dalla genealogia dataci dal DAMASCENO, cap. 90, che ci da la genealogia della Madre di Dio; e Anna, invece, madre di Maria, si crede fosse della tribù di Levi, e per essa Elisabetta era cugina di Maria.

Quanto si è detto prima, cioè che Maria venisse dalla stirpe di Giuda, si può provare pure dal fatto che il Vangelo ricava che Cristo proveniva dalla tribù di Giuda includendovi anche Giuseppe, ma la cosa non sarebbe vera se Maria non fosse della stessa tribù. Questa è la ragione addotta da Girolamo al principio del commento a Matteo.

Infine, risulta evidente nella soluzione della questione nel secondo articolo, perché questo consenso è nella tradizione della mutua potestà dei corpi in ordine alla procreazione della prole, e nell’uso di conseguenza se richiesto, ma qui vi fu certezza che mai questo uso sarebbe stato richiesto dal coniuge.