L'amore è realista e non ignora il male

L'amore di Gesù per l'umanità è il centro del messaggio evangelico e trova il suo culmine sulla croce. Non bisogna fare l'errore di pensare che Gesù trasfigurasse gli uomini che aveva davanti. Non vedeva delle persone idealizzate e non idolatrava l'umanità, anzi, Egli conosce bene le contraddizioni, le miserie e i peccati che ognuno si porta dentro. Per Gesù si tratta di amare un'umanità "malvagia e adultera" (Mt 16, 4). Quel Galilei dei quali Pilato ha versato il sangue, quei diciotto sventurati schiacciati sotto la torre di Siloe, non erano "più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme" (Lc 13,4). Gesù, in altre parole, vede bene che Gerusalemme è tutta quanta nel peccato. Anche nei casi in cui sembrerebbe più facile un'illusione, anche nei riguardi dei suoi discepoli, egli riconosce benissimo le loro imperfezioni, i loro difetti, tanto che talvolta gli riesce gravoso tenerseli attorno (cfr Mc 9, 18; 8, 17.18; 7, 18). Persino tra i suoi più fedeli, persino in Pietro egli scorge qualcosa di cattivo e di diabolico (Mt 16, 13). Anche se non parla esplicitamente, come San Paolo, del peccato originale, vede bene ciò che in essi vi è di troppo umano, anzi di inferiore all'umano: dichiara come cosa naturalissima che tutti i suoi uditori sono "cattivi" (Mt 7, 11). Osserva bene, anche nei deboli, nei fanciulli che tanto ama i loro capricci, le loro caparbietà e le loro leggerezze nel gioco (Mt 11, 16). Nel carattere dei bambini egli vede riflessa tutta la mentalità immatura del suo tempo. Infatti la prima parola che dovrà dire all'umanità riguarda la penitenza: "Fate penitenza" (Mt 4, 17). È indubitabile che nell'amore di Gesù verso gli uomini si scorda una specie di legge e la riserva, talvolta quasi di rispetto o di ripugnanza. Gesù soffre presso gli uomini. Il suo amore ha delle ferite segrete. È un amore che conosce bene l'oggetto amato ma, appunto perché è un amore consapevole, penetra non solo fino all'oscuro fondo del cuore umano, ma si spinge fin nelle più intime fibre. Conosce perfettamente la limitazione e la fragilità dell'uomo. Per questo vieta ogni condanna e giudizio affrettato: "Non giudicate e non sarete giudicati" (Mt 7, 1; Lc 6, 37). "Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del prossimo e non vedi la trave che è nel tuo?" (Mt 7, 3; Lc 6, 41). Gesù rimproverò i discepoli quando vollero evocar fuoco dal cielo sulle città incredule (Lc 9, 55). Non si può innanzi tempo e di propria autorità strappare la zizzania dal campo di frumento (Mt 13, 29). Iddio stesso se ne prenderà cura incaricando i suoi angeli al giorno della mietitura. Quando gli portano l'adultera colta in flagrante e gli si domanda una condanna egli si china terra e scrivere col dito nella polvere. Alle importune insistenze pronuncia la risposta molto significativa: "Chi di voi è senza peccato scagli contro la prima pietra" (Gv 8, 7). Ecco la parola di chi conosce bene gli uomini e la piena realtà della vita! Quella parola manifesta ciò che Egli è: Lui stesso è quella parola!
Quando i soldati lo coprono di spunti e di percosse e gli pongono sul capo una corona di spine, egli tace. Nulla di più eloquente di questo silenzio!
L'occhio di Gesù sa penetrare attraverso i veri di Maja, attraverso i densissimi vedi delle passioni umane, fin là dove l'uomo sta solo, isolato da tutto, nella sua debolezza; l'uomo che dipende da mille influssi corporei, psichici e sociali, l'uomo che si dibatte nella sua profonda incapacità. Per questo Gesù non vuol giudicare anche quando lo tormentano, anche quando lo maltrattano. Per questo vuole sempre solo perdonare: "Non sette volte, ma settanta volte sette" (Mt 18, 22). Egli vede bene da quali condizioni psicologiche dipenda ogni azione umana. In questa sua visione oggettiva, non già in un entusiasmo malato, si fonda il suo amore per i nemici. Quando esige che subito presentiamo la guancia sinistra che ci ha percorsi sulla destra, che lascia intravedere, dietro a questo consiglio tanto duro e austero, che gli comprende bene quanto vi è di illogico, di irrazionale, di inferiore alla natura umana in ogni scatto di cieca passione. Uno scatto di passione che offende la carità erompe dal fondo di animalità che vi è in noi, dai fondi bui ove tumultuano i bassi istinti; non scaturisce dal regno luminoso dove domina indipendentemente lo spirito, dalla chiara visione del reale, la quale, attraverso tutti gli sbrigliati fantasmi dei sensi, attraverso il tumulto delle passioni scatenate, sa vedere, amare, custodire ciò che dell'intimo vi è ancora di buono, di sostanziale: la solidarietà, la fraternità posta da Dio tra gli uomini. Solo chi possiede questa chiara visione dell'uomo integrale vero e forte, che sa tacere mentre la plebe rumoreggia, che sa sacrificare quanto vi è il lui di inferiore a ciò che vi è di più alto, di più umano, di divino. Gesù non fu mai così grande eroico e sublime come nelle ore della sua passione, quando dalla croce innalzò quella supplica: "Padre perdona loro, perché non sanno quello che fanno " (Lc 23, 34). Proprio perché l'amore di Gesù verso gli uomini raggiunge tali vette e tanto realismo, non si può affatto paragonare all'amore dell'entusiasmo ingenuo, che divinizza ciò che è puramente umano, né tantomeno, all'amore del fanatico che lo maledice. È l'amore cosciente di chi conosce come nessun altro, tutto quanto un uomo può dare, che lo scruta fin dalle più sublimi altezze, fino alle più intime profondità e non di meno l'abbraccia con tutto l'affetto dell'anima sua. Questo amore che persiste nonostante tutto, era talmente incomparabile e singolare, talmente tenero, materno e pronto al sacrificio, che rimase scolpito per sempre nei ricordi dell'umanità.