«Conoscete la Verità e la Verità vi farà liberi» (Gv 8, 32) - Il potere della conoscenza nel vivere la realtà

Oggi, tra gli intellettuali, molti conoscono e stimano dell’intelligenza solo gli “strumenti”, ignorando cosa sia l’intelligenza umana in quanto tale, cioè in quanto “capacità di conoscere il reale”. È proprio la negazione di questa capacità a generare gran parte delle sofferenze dell’uomo contemporaneo.

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Non c’è nulla di più insensato che la convinzione, propria di un’influente élite intellettuale, che non esiste imparzialità, che tutte le idee sono preconcette, e che tutto nel mondo è soggettivismo e ideologia. Coloro che proclamano tutto questo, provano solo la loro totale inesperienza nel campo dell’investigazione scientifica e filosofica. Non danno valore alla propria intelligenza – perché forse non l’hanno mai usata bene –, si affrettano a prostituirla alla prima credenza che li impressioni e da lì deducono, con superbia demenziale, che “così fan tutti”. Non capiscono che il dubbio totale sulla capacità di conoscere, blocca per anticipazione tutte le indagini parziali, basate sulle verità preconcette. Se al momento dell’investigazione intellettuale, non è in gioco per me la verità della tesi x o della tesi y, ma il valore della mia propria capacità cognitiva, poco m’importa se sia vera x o y: mi importa solo stabilire la mia superiorità su x e y, in modo che sia io a decidere, eventualmente, ciò che è vero e ciò che è falso.
Nessuna credenza previa, per quanto sublime possa essere il suo contenuto, vale quel momento nel quale l’intelligenza si riconosce nella realtà intelligibile. Chi non ha vissuto questo momento, non sa come la felicità umana può essere più intensa, più luminosa e più duratura di tutti i piaceri animali.
Purtroppo, la classe intellettuale è piena di individui che non conoscono dell’intelligenza, se non il suo apparato di mezzi – la logica, la memoria, i sentimenti, apprezzando più o meno ciascuno di tali strumenti, secondo le proprie inclinazioni personali – ma non hanno la più pallida idea di cosa sia l’intelligenza in quanto tale, l’intelligenza in quanto capacità di conoscere il reale. È impressionante come la stessa facoltà che definisce l’attività di queste persone – l’intelletto –, possa essere disprezzata, ignorata, repressa e, alla fine, totalmente dimenticata nella pratica quotidiana delle loro occupazioni nominalmente intellettuali. Il culto della ragione, o dei sentimenti, delle sensazioni o dell’istinto, della fede cieca o del pensiero critico, è solo il residuo superstizioso che resta nel fondo dell’anima oscurata, quando si perde il senso dell’unità e dell’intelligenza che stanno dietro a tutte quelle operazioni parziali. L’intelligenza, effettivamente, non è una facoltà contingente: essa è l’espressione dell’intera persona in quanto capace di Verità. Non è un organo, uno strumento dell’essere umano: è lo stesso essere umano, considerato nel pieno esercizio di quello che in lui vi è di più essenzialmente umano.
Si parla di frequente dell’onestà intellettuale, ma non si considera abbastanza che essa è semplicemente questo: non fingere di sapere quello che non si sa, e di non sapere quello che si sa perfettamente. Se so, so di sapere. Se non so, so di non sapere. In questo senso, l’onestà intellettuale è il coinvolgimento dell’intera persona nell’esercizio del conoscere, mediante una libera decisione della responsabilità morale, nei confronti della verità e della falsità, chiamate con il loro nome. Essa è, perciò, anche la base dell’integrità personale, sia nel senso etico, sia nel senso psicologico. Gran parte delle nevrosi, psicosi, mutilazioni della psiche umana si riassumono, in fondo, in un rifiuto di conoscere la verità, e di obbedire a essa. Sono una rivolta contro l’intelligenza. Rivolte contro l’intelligenza e, perciò, psicosi a loro modo, sono tutte le ideologie e filosofie che negano o limitano artificiosamente il potere della conoscenza umana, subordinandolo a un’autorità mondana, al condizionamento sociale, al beneplacito del consenso accademico, ai fini politici di un partito, o, ancor peggio, contraendo l’intelligenza in quanto tale a una delle sue operazioni o aspetti parziali.
È chiaro che in ogni settore della conoscenza e della vita, una facoltà si distingue sulle altre, senza peraltro staccarsene: il ragionamento logico nelle scienze a base matematica, l’immaginazione nell’arte figurativa, il sentimento nella poesia, la fede nella ricerca di Dio. Ma, senza l’intelligenza, cosa sono tutte queste funzioni, meccanicamente giustapposte, se non una forma di raffinato feticismo? Cos’è l’immaginazione, se non intende ciò che percepisce, un sentimento, se non conosce se stesso, una ragione che ragiona senza comprendere, una fede che scommette alla cieca, senza una chiara visione dei motivi storici e razionali del credere? Sono cocci di umanità, buttati in un’oscura soffitta dove brancolano uomini ciechi alla ricerca delle tracce di loro stessi. Tutta la cultura costruita su questa base sarà sempre e soltanto un monumento alla miseria umana, un macabro sacrificio idolatrico.
Solo il conoscere la Verità, per obbedire alla Verità, assunto come statuto ontologico e dovere massimo della persona umana, può fondare la cultura e la vita sociale. Per questo, sono imperdonabili, umanamente parlando, coloro che vivendo di professioni intellettuali, abbassano e umiliano l’intelligenza. Ogni volta che qualcuno di questi individui grida, in qualsiasi lingua, e sotto qualsiasi pretesto “abbasso l’intelligenza”, c’è sempre un coro di demoni che fanno eco dal fondo dell’abisso “viva la morte”.