SAN GIUSEPPE MOSCATI 12 Aprile. Settimo figlio di Rosa De Luca e di Francesco Moscati, Magistrato, Giuseppe nacque a Benevento, il 25 Luglio 1880. Giuseppe, però, era cresciuto a Napoli, dove la famiglia …Altro
SAN GIUSEPPE MOSCATI
12 Aprile.

Settimo figlio di Rosa De Luca e di Francesco Moscati, Magistrato, Giuseppe nacque a Benevento, il 25 Luglio 1880.
Giuseppe, però, era cresciuto a Napoli, dove la famiglia si era trasferita, poiché il papà era stato chiamato a svolgere la sua professione presso la Corte d'Appello.
Giuseppe era dotato di una vivace intelligenza, ma anche di una intensa sensibilità religiosa e umana, che lo conduceva a essere vicino a chi si trovava nel disagio e nella sofferenza.
Egli, per fare qualcosa di concreto per loro, decise di fare il Medico, pensando anche che, con i rimedi offerti dalla Medicina, avrebbe portato anche il conforto della fede.
Il giovane Giuseppe studiò con impegno, tanto da riuscire a laurearsi a soli ventidue anni e con il massimo dei voti.
Partecipò anche ad alcuni importanti concorsi, che vinse e che gli aprirono la strada di una brillante carriera.
Ottenne, in seguito, anche l'abilitazione all'insegnamento universitario, entrando nella prestigiosa Accademia partenopea di Medicina e Chirurgia.
Nonostante queste autorevoli posizioni raggiunte, però, egli preferì mettere da parte la sua brillante carriera, per impegnare tutte le sue energie, le sue doti di intelligenza e di cuore, al servizio dei malati poveri, scegliendo il posto di «medico ordinario» nell'Ospedale chiamato “Degli Incurabili”, il più antico della Città.
Fuori da ogni ambizione, egli ritenne quello il luogo ideale per poter svolgere la sua vera missione, che lo aveva ispirato sin da fanciullo, prefissando un deciso impegno con sé stesso, tanto che così egli sintetizzata in un suo scritto: «Negli Ospedali la missione dei medici è di collaborare all'infinita Misericordia di Dio, aiutando, perdonando, sacrificandosi».
A questo programma il Dottor Moscati ispirò tutta la sua vita di Medico, dedicandosi senza risparmio a lenire le sofferenze degli altri, sia nella quotidiana assistenza ai malati in Ospedale, che andandoli a visitare nei miseri tuguri dei quartieri più poveri della città, ma anche dedicandosi allo studio e alla ricerca, per aggiornare le proprie conoscenze da porre al servizio dei malati.
Egli era anche un bravissimo “diagnostico” e, in un tempo in cui gli strumenti di analisi e di ricerca erano quasi inesistenti, in cui l'individuazione della malattia era affidata esclusivamente alla preparazione e all'intuizione del Medico, la capacità di Moscati, nel saper diagnosticare, sorprendeva gli stessi colleghi, che vedevano nelle sue diagnosi qualcosa di miracoloso.
Lui, con molta umiltà, rispondeva che aveva una “fonte segreta” cui attingeva a piene mani ed era la Santa Eucaristia, alla Quale egli si accostava ogni giorno.
Egli era solito dire che: “Dio è l'Artefice della Vita, noi siamo Suoi collaboratori, ma il più lo fa Lui”.
Una volta era riuscito a diagnosticare l'esatta malattia di un operaio, che i suoi colleghi avevano inesorabilmente dichiarato tisico: si trattava invece di un ascesso polmonare, che con una cura apposita si risolse.
L'operaio, felice per la salute ritrovata, voleva a tutti i costi pagarlo, ma il Moscati rispose: «Se proprio mi vuoi pagare, vai a confessarti, poiché è Dio che ti ha salvato».
Con i poveri si comportava sempre così, non accettava compensi, semmai era sempre lui a dare loro qualche soldo.
In realtà egli non ambiva a esercitare la Professione Medica per una personale ambizione, tanto meno per far carriera, o per arricchirsi, in quanto, come Francesco d'Assisi, egli aveva preso sul serio la povertà evangelica e, a essa, conformava la propria vita; per cui, egli viveva da povero e con i poveri spartiva quello che aveva.
Un particolare esempio, che ne rivela la sua originale e anche umile personalità, si riscontra in uno dei casi, in cui un anziano signore, che viveva nei miserevoli tuguri della città, non potendo andare a trovarlo ogni giorno, lo aveva invitato a recarsi tutte le mattine a fare colazione (che, come sempre, avrebbe pagato lui); il bar si trovava di fronte all'entrata dell'Ospedale, per cui così gli diede disposizione: «Andando al lavoro darò un'occhiata all'interno del caffè, se vi vedo vuol dire che tutto va bene, altrimenti verrò io a farvi visita a casa».
Egli, prima di iniziare una autopsia, si faceva sempre il Segno della Croce davanti al cadavere che gli era stato portato; poi avrebbe tagliato, aperto ed esaminato nell'interesse della Scienza, ma soprattutto rendendo anche onore a quel corpo che Dio ha amato e fatto vivere.
La carità gli moltiplicava le forze, lo rendeva disponibile ai suoi malati, ai suoi poveri e, in qualsiasi ora del giorno e della notte, egli era sempre in prima fila, specie quando le calamità e le tragedie colpivano la povera gente.
Nel 1906 vi era stata un'eruzione del Vesuvio particolarmente violenta, con molti danni e vittime.
A Torre del Greco, uno dei paesi più colpiti, l'Ospedale dove erano ricoverati gli anziani minacciava di crollare sotto il peso di quintali di cenere: bisognava sgomberare in tutta fretta i reparti.
Moscati, allora giovane medico, si era associato ai soccorritori, lavorando duramente per trasferire malati e quant'altro era ritenuto utile: venti ore di lavoro, sotto la minaccia della lava che continuava ad avanzare lungo le pendici del Vulcano.
Avevano trasferito l'ultimo degente, quando l'Ospedale “rovinava” fragorosamente sui letti ormai vuoti.
Fu così per lui, anche quando, nel 1911, Napoli fu colpita da una terribile epidemia di colera; il Medico Moscati non risparmiò tempo ed energie; molti poveri se la cavarono, grazie alle sue cure, mentre altri morirono con il conforto della fede che lui aveva loro portato.
Moscati, medico buono e santo, che aveva posto la sua intelligenza e il suo cuore al servizio dei poveri e dei sofferenti, moriva in età ancora giovane, a soli quarantasette anni, il pomeriggio del 12 Aprile 1927.
La mattina, come al solito, si era recato in Ospedale a visitare i malati.
Avrebbe dovuto proseguire le visite il pomeriggio, ma i suoi pazienti lo attesero invano.
Verso le quindici avvertì un intenso malore e, ritiratosi nella camera, si accasciò sulla poltrona.
«Sto male», disse ai fratelli che lo avevano visto impallidire; furono queste le sue ultime parole: un istante dopo cessava di vivere.
I poveri di Napoli accolsero la notizia con dolore e costernazione.
Perdendo lui, perdevano un amico, un fratello, ma guadagnavano un Santo in Cielo e tale lo ritennero da subito.
Paolo VI confermò la loro certezza elevandolo nel 1975 all'Onore degli Altari con il titolo di Beato.
Fu proclamato Santo nel 1987, da Giovanni Paolo Il, al termine del Sinodo dei Vescovi «Sulla Vocazione e Missione dei laici nella Chiesa».
Ancora per la cronaca, il Dottor Giuseppe Moscati fu il medico personale, oltre che amico, del Beato Bartolo Longo, Fondatore della Città, delle Opere e del Santuario dedicato alla Regina del Santo Rosario di Pompei.