Francesco I
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Paolo VI e la ''santa'' evasione fiscale

Nella foto: Paolo VI si intrattiene con Roberto Calvi.

"Nel 1967 l'Interpol statunitense segnala un certo Michele Sindona come implicato nel riciclaggio di denaro sporco proveniente dal traffico di stupefacenti, a causa dei suoi legami con personaggi degli ambienti di Cosa Nostra americana, tra cui Daniel Porco - membro del consiglio di amministrazione della Uranya, una delle tante aziende poi al centro di speculazioni della Banca Privata Finanziaria a cavallo fra gli anni sessanta ed i settanta - Ernest Gengarella e Ralph Vio, che erano suoi soci in società finanziarie.

"Nel 1967 l'Interpol statunitense segnala un certo Michele Sindona come implicato nel riciclaggio di denaro sporco proveniente dal traffico di stupefacenti, a causa dei suoi legami con personaggi degli ambienti di Cosa Nostra americana, tra cui Daniel Porco - membro del consiglio di amministrazione della Uranya, una delle tante aziende poi al centro di speculazioni della Banca Privata Finanziaria a cavallo fra gli anni sessanta ed i settanta - Ernest Gengarella e Ralph Vio, che erano suoi soci in società finanziarie.

Sindona in passato era entrato a far parte del giro di conoscenti del cardinale Giovanni Battista Montini, allora arcivescovo di Milano e futuro papa Paolo VI.

Nel 1968, il Governo Italiano vara una legge per sottoporre a prelievo fiscale i redditi derivanti da investimenti finanziari, il che avrebbe comportato per il Vaticano l'inizio del pagamento annuale di pesanti balzelli fiscali sui proventi derivanti dal suo "più che cospicuo" patrimonio.

Malgrado l'attività non certo cristallina ormai nota di Michele Sindona, Paolo VI si affida a lui per trasferire all'estero i capitali vaticani, onde sottrarli alla scure fiscale italiana. Pertanto, nel 1969 lo Ior, la banca vaticana, entra come socio di minoranza nella Banca Privata Finanziaria di Michele Sindona.

Enormi somme vengono spostate dallo Ior alla banca di Sindona e da lì verso banche svizzere, da dove prendono il largo verso altri mercati internazionali... il tutto rigorosamente esentasse.

Crac Banco Ambrosiano: l'agonia di Roberto Calvi

Il primo botto sul Banco Ambrosiano si udì il 13 novembre 1977 allorché comunicati di stampa denunciavano alcuni fatti poco leciti che erano stati compiuti dall'istituto. La mano dalla quale arrivò la soffiata era quella di Michele Sindona, finanziere siciliano che fu implicato nei più grandi scandali che riguardarono la finanza italiana di quegli anni.

Dietro tale gesto vi era una velata minaccia nei confronti di Roberto Calvi che aveva negato a Sindona la copertura finanziaria a tutte le sue operazioni speculative.

Quanto bastò per mobilitare le ispezioni della Banca d'Italia che, dopo 7 mesi, rivelarono in effetti molte irregolarità,

puntualmente segnalate alla magistratura.

La situazione cominciò a farsi pesante quando alla fine degli anni '70 si scoprì un primo buco finanziario nel bilancio bancario, che fu coperto da due finanziamenti, della BNL e dell'ENI, per 150 milioni di dollari. La cosa si ripeté nel 1980 quando ancora l'ENI andò in soccorso dell'istituto guidato da Roberto Calvi con un prestito di 50 milioni di dollari. Per ottenere quel denaro furono versati dei soldi a esponenti politici di spicco che agevolarono le operazioni.

La crisi finanziaria del Banco Ambrosiano però era andata fuori controllo e a un certo punto Roberto Calvi si ritrovò senza alcuna protezione, se non nella loggia massonica P2, che comunque faceva il doppio gioco. Travolto dagli scandali, il Presidente milanese si rivolse allo IOR per chiedere supporto finanziario, ma gli fu negato.

Rimasto ormai un uomo solo, Calvi fu arrestato il 21 maggio 1981 e condannato in primo grado. In attesa del processo d'appello però tornò in libertà e tentò un ultimo disperato salvataggio rivolgendosi agli amici massonici che pensava fossero al suo fianco.

L'ambiguità di tali personaggi non portò a nulla di buono e l'ennesimo diniego dello IOR decretò la fine del banchiere di Dio, come fu poi soprannominato. Roberto Calvi fu trovato impiccato sotto il Ponte dei Frati Neri a Londra il 18 giugno 1982.

Nel frattempo le finanze della banca imbarcavano acqua da tutte le parti e si era creata una voragine di 1.400 miliardi di vecchie lire. Il gap era frutto di un giro di denaro volto a far crescere artificialmente le azioni del Banco Ambrosiano. In soldoni, la banca emetteva finanziamenti verso società situate in paradisi fiscali come Lussemburgo, Panama e Liechtenstein, che erano controllate dal Vaticano. Le stesse utilizzavano questi soldi per comprare azioni dell'istituto di credito, indebitandosi per centinaia di milioni di dollari.

Questo bastò perché il Ministro del Tesoro Beniamino Andreatta, sentito il Governatore della Banca d'Italia, Carlo Azeglio Ciampi, commissariasse la banca, che fu messa in liquidazione il 6 agosto 1982.

Crac Banco Ambrosiano: le condanne e la rinascita

Il processo per il crac del Banco Ambrosiano portò alla condanna dei massimi esponenti della loggia massonica P2, cioè Licio Gelli, Umberto Ortolani e Flavio Carboni. Fu incriminato per bancarotta fraudolenta anche l'arcivescovo Paul Marcinkus, che era alla guida dello IOR. Costui però non potè essere arrestato in quanto residente nello Stato del Vaticano, il quale non concesse l'estradizione.

Il Vaticano pagò come contributo volontario una piccola parte dell'enorme debito che le società off-shore avevano accumulato negli anni, ossia 250 milioni a fronte di 1,2 miliardi di dollari.

Dopo la liquidazione coatta amministrativa, il Banco Ambrosiano ripartì con la creazione di un nuovo istituto, chiamato proprio Nuovo Banco Ambrosiano, guidato da Giovanni Bazoli. La banca ex-novo si fece carico di tutti i debiti, le perdite e i cespiti pregressi, riaprendo gli sportelli con un nuovo assetto societario. Cambiarono anche il logo e le insegne. Tutto andò avanti fino al 1990 quando vi fu la fusione con la Banca Cattolica del Veneto, dando vita al Banco Ambrosiano Veneto.

fonte: antimafia