Noi vogliam Dio!

“Tardi ti ho amato, bellezza così antica e così nuova, tardi ti ho amato. Tu eri dentro di me, e io fuori. E là ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Tu eri con me, ma io non ero con te. Mi tenevano lontano da te quelle creature che non esisterebbero se non esistessero in te. Mi hai chiamato, e il tuo grido ha squarciato la mia sordità. Hai mandato un baleno, e il tuo splendore ha dissipato la mia cecità. Hai effuso il tuo profumo; l’ho aspirato e ora anelo a te. Ti ho gustato, e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato, e ora ardo dal desiderio della tua pace”. Così scriveva Sant’Agostino dopo la sua conversione.
Nell’enciclica “Il fermo proposito” del 1905 di San Pio X, leggiamo: “Solo quando avremo formato Gesù Cristo in noi, potremo più facilmente ridonarlo alle famiglie, alla società. E però quanti sono chiamati a dirigere o si dedicano a promuovere il movimento cattolico, devono essere cattolici a tutta prova, convinti della loro fede, saldamente istruiti nelle cose della religione, sinceramente ossequienti alla Chiesa ed in particolare a questa suprema Cattedra Apostolica ed al Vicario di Gesù Cristo in terra; di pietà vera, di maschie virtù, di puri costumi e di vita così intemerata, che tornino a tutti di esempio efficace”.
Rifletta quella gerarchia ecclesiastica modernista, moralmente corrotta, che negli ultimi sessant’anni ha spazzato via la stessa nozione di Dio dal cuore degli uomini, sostituendolo con altari pagani - che di volta in volta possono essere l’ecumenismo o la libertà religiosa, le riunioni di Assisi o di Astena, il culto della Madre Terra o della dea Pachamama, la mancanza di lavoro o la povertà materiale, la salvezza dell’ambiente o l’accoglienza e l’integrazione di masse di uomini estranei alla popolazione europea, che nell’arco di qualche anno sarà annichilita e soppiantata dalla loro presenza in un territorio che per volontà di Dio fu una volta cristiano – fino a giungere alla trasformazione della Santa Messa, che è riproposizione incruenta del sacrificio di Cristo, in una cena luterana, stravolgendo così il fondamento essenziale e irrinunciabile della fede cattolica. Riflettano quei politici sé dicenti cattolici che hanno concorso, insieme alla Massoneria – che ha operato per secoli utilizzando l’eresia protestante, l’illuminismo e la rivoluzione francese, la rivoluzione comunista, quella liberal-massonico-modernista, che sancendo la libertà assoluta, la negazione dei principi di diritto naturale e l’ateismo, ha decretato la schiavitù dell’individuo al principe delle tenebre – a rendere l’Europa serva di ideologie contrarie alla Parola del Verbo che “si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Giov 1, 14) e in questo senso anticristica.
Gli esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola – approvati con la Bolla di Papa Paolo III del luglio 1548 e “come ricevuti dalle mani della Santa Vergine Maria”, come scrisse nel 1929 Papa Pio XI nell’enciclica Mens nostra – sono uno strumento spirituale per formare, appunto, Gesù Cristo in noi. Cosa esiziale e allo stesso tempo inattuale, in un tempo in cui la Chiesa di Cristo è governata – sin dalla fine degli anni ’50, con il pontificato di Papa Giovanni XXIII, che convocò nel 1962 il Concilio Vaticano II - da una gerarchia ecclesiastica che senza soluzione di continuità da allora ad oggi, vuole servire l’uomo, il mondo, che è nemico di Dio e rinuncia al suo mandato fondativo: salvare le anime degli uomini dal sudiciume dei loro peccati. Nostro Signore Gesù Cristo, invece, afferma: “Non prego per il mondo, ma per coloro che mi hai dati, perché sono tuoi” (Giov 17, 9).
Una gerarchia ecclesiastica che rimane seduta e dorme, come dormirono i tre discepoli nel campo del Getsemani, mentre la seconda persona della Trinità, attraverso la Sua natura umana, viveva le angosce, i tormenti, il terrore di quello che dopo qualche ora avrebbe subito: le umiliazioni, le percosse, le frustate, gli sputi, i chiodi della Croce, la sua agonia lunga tre ore e la Sua morte, avvenuta a causa dei peccati degli uomini, che Egli vide, come vede oggi, nel momento stesso in cui li commettiamo (Mt 26, 36-46). Una gerarchia ecclesiastica immanente, che disprezza il Depositum Fidei e la Tradizione bimillenaria della Chiesa e non considera che il fine della vita del fondatore della Chiesa è la Sua Passione per salvare l’anima di coloro che credono in Lui, che “sono nel mondo, ma non sono del mondo” (Giov 15, 18-21) e che vorrebbero essere “santificati nella Verità” (Giov 17, 19) - non dall’amuchina sugli altari, dalle mascherine e dal siero genico atto d’amore – per vivere la vita alla quale sono destinati sin dal principio, quella eterna.
Nella loro forma breve, gli esercizi – che hanno il mirabile potere di formare l’uomo nuovo, il cristiano – durano cinque giorni, nei quali si condensano le quattro settimane di quelli originari. Le regole principali da osservare, sono: la solitudine, attraverso la quale si apprende il valore della propria esistenza; la mortificazione degli occhi e il silenzio: si può – si deve – parlare solo con Dio e, almeno una volta al giorno, con il direttore degli esercizi (uno o più sacerdoti). Il silenzio per lodare, riverire e servire Dio - principio e fondamento del nostro stare su questa Terra – per giovare alla propria anima e per auto-segregarsi dal giogo delle insidie di questo mondo, che attraverso le tecnologie e l’intelligenza artificiale (transizione digitale: la chiamano così gli eruditi custodi della nostra aberrante realtà), ha l’obiettivo di abruttirci e renderci schiavi e prede dei lupi che sono usciti dalle loro tane, pronti a sbranarci.
Al contrario della resilienza per migliorare il mondo, che propagandano i potenti, gli esercizi propongono di meditare sul fine ultimo (salvare la propria anima, con “timore e tremore”, dice san Paolo). Sul fine prossimo (l’uso delle creature – tra queste, soprattutto il tempo – che sono solo dei mezzi, con la loro gerarchia, per conseguire il fine ultimo); sull’indifferenza o logica del fondamento (desiderare e scegliere solo quello che ci conduce in modo più sicuro al fine per cui siamo stati creati). Sull’eternità, che spiega la nostra esistenza e dà un senso alla nostra vita (Dio non ci ha creati per combattere i cambiamenti climatici e il riscaldamento globale - che peraltro non esistono - ma per partecipare alla Sua beatitudine). Sulla libertà di accettare il Paradiso o di rifiutare, con il peccato, il piano che Dio ha stabilito per la nostra anima (come avvenne per gli Angeli, che si vestirono di superbia o per Adamo ed Eva che Gli disobbedirono o per un uomo qualsiasi che, come gli Angeli e i nostri progenitori, viene condannato per un solo peccato mortale; quante volte Dio ci ha perdonati per i nostri peccati e ha concesso che continuassimo a vivere?). Sulla gravità del peccato personale, che non può essere perdonato se non c’è pentimento; altro che misericordia dispensata un tanto chilo come la spesa al supermercato. Sul discernimento degli spiriti, che aiuta ad affrontare le belve e gli uccelli rapaci travestiti da agnelli che ci circondano e ci considerano come loro prede. Sull’importanza di una buona confessione generale, che cancella i nostri peccati e ci riporta allo stato di Grazia. Sui Novissimi: la Morte, il Giudizio, il Paradiso e “lo stagno ardente di zolfo” (Apocalisse, cap. 14), l’abisso che attende per l’eternità colui che si ribella a Dio, di cui la Chiesa che si ispira al Concilio Vaticano II non parla o al limite afferma che è vuoto, altrimenti dovrebbe rinnegare se stessa. L’inquilino di Santa Marta dice che Dio ama tutti, nella situazione in cui sono; anche coloro che sono in una situazione di peccato mortale o in una situazione disordinata – per usare un linguaggio più soft, alla moda – possono avere una chance di successo nel loro gioco con Dio. Sulla regalità di Gesù Cristo e sulla Sua chiamata, che è nobilitante: condividere le Sue sofferenze (la povertà, il dolore, persino la Croce) e le difficoltà della battaglia da affrontare su questa Terra, guardando interiormente sempre alle cose perfette. Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie. Rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri (Rom. 13, 13-14).
Sull’incarnazione di Gesù Cristo, che è il fatto più importante della nostra vita, perché senza di essa saremmo stati destinati alla dannazione eterna. Nel Magnificat (“L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre”, Lu 1, 46-55) – il cantico di ringraziamento e di gioia che la Santa Vergine Maria pronuncia rispondendo al saluto della cugina Elisabetta, al momento del loro incontro - sono preannunciate le Beatitudini, che Suo Figlio dirà decenni dopo. Quello è il programma di vita del cattolico. Sulla nascita di Gesù Cristo, preceduta e seguita da avvenimenti nei quali la Santa Vergine Maria e San Giuseppe, con umiltà, si abbandonano completamente alla volontà di Dio, come dovremmo fare noi nelle nostre vite, nel corso delle quali, di fronte alle avversità o alle difficoltà, invece ci lamentiamo, avversando e imputando il Creatore delle nostre miserie. Sull’importanza degli atti interni della propria anima, quelli della vita quotidiana, come testimoniano, a mo’ d’insegnamento, i primi trent’anni della vita di Gesù Cristo. Sulla Grazia, santificante o abituale – che corrisponde alla visione beatifica, alla partecipazione dell’anima alla natura divina – che si ottiene attraverso i sacramenti e si fortifica grazie ad essi: questo è il mistero della Storia, partecipare le creature spirituali alla vita trinitaria. “Fatevi un tesoro in Cielo”, dice Gesù Cristo (Mt 6, 19-24): se Dio mette al servizio dell’amore per Lui, la Sua onnipotenza, di che cosa, allora, dobbiamo avere paura? Sulla scelta da fare tra Dio e Mammona, considerando che sono campi aperti: da un campo si può passare all’altro, se non si riconoscono lo zelo del male e le organizzazioni, anche terrene, ma d’ispirazione diabolica, che sono al suo servizio e quello che Gesù Cristo chiede per la nostra vita: la povertà spirituale e l’umiltà, che nasce dalle umiliazioni (“Chi si umilia, sarà esaltato”, Lu 14, 11). Sul sacrificio volontario della Passione dell’”ultimo e più abbandonato degli uomini” (Isaia), che “dalla pianta dei piedi alla sommità della testa non ha più nessun luogo sano” (Isaia), che nasconde la Sua divinità e patisce per i nostri peccati, consegnandoci la Sua Croce: il mezzo per la nostra santificazione.
“Dio ci forgia nel dolore”, mi diceva anni fa un santo e compianto sacerdote. Quel dolore può lasciarci nella desolazione o può trasformarsi in consolazione, in condivisione della Croce di Gesù Cristo. Dalla Croce s’intravvede la prospettiva della gioia, della pace. È Gesù Cristo stesso a dircelo quando rivolge queste parole al buon ladrone: “Oggi sarai con me, in Paradiso” (Lu 23, 43). La Croce contiene già la promessa della Resurrezione. Dicono a Pilato i sommi sacerdoti e i farisei: “Signore. Ci siamo ricordati che quell’impostore disse mentre era vivo: dopo tre giorni risorgerò” (Mt 27, 63). Solo la Resurrezione ci dà la vera pace, non gli onori, le ricchezze e le glorie che ci può dare il mondo. Le pene di questa vita non si possono paragonare al premio che riceveremo se serberemo la fede e la Grazia fino alla fine della nostra vita. “Tanto è il bene che mi aspetto, che ogni pianto mi è diletto”, diceva san Francesco.
Gli esercizi spirituali di Sant’Ignazio propongono di vivere, nel corso dei giorni in cui si sviluppano e in quelli a venire, i dogmi della religione cattolica. È evidente che possono promuoverli solo quei sacerdoti che hanno conservato la vera fede e vogliono trasmetterla. Li ho fatti al Priorato San Carlo della Fraternità Sacerdotale San Pio X di Montalenghe e ne sono rimasto profondamente, intimamente colpito. Dio fa davvero meraviglie e scrive sulle righe storte: l’ex tesoriere del Partito Radicale, l’ultimo peccatore come me, che fa, quasi alla fine della sua vita terrena, gli esercizi spirituali. Contattate i sacerdoti e iscrivetevi per i prossimi esercizi (montalenghe@fsspx.it - tel. 011.9839272). Al termine degli esercizi, mi permetto di dare un consiglio: rivolgete un pensiero a mons. Marcel Lefevre, che a differenza di tanti che seminano “parole al vento”, con coraggio e in maniera profetica nel 1970 fondò la FSSPX. Morì nel 1991. “Vi ho trasmesso semplicemente ciò che ho ricevuto”, volle far scrivere sulla sua tomba. In tempi bui come quelli attuali – nei quali il Modernismo, “la sintesi di tutte le eresie”, come lo descrive l’enciclica Pacendi Dominici grecis di Pio X del 1907, sembra prevalere e devastare la nostra vita - dobbiamo rendere grazie a Dio per aver dato la possibilità di poter ancora affermare, attraverso l’esistenza della FSSPX, che esiste ancora la Chiesa Cattolica e che gli Inferi, come ha promesso Nostro Signore Gesù Cristo, non prevarranno mai su di essa.

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Nel corso delle prossime settimane, se Dio vorrà, mi dedicherò a scrivere un altro libro al quale tengo molto, dedicato alla situazione della Chiesa dei nostri tempi e alle storie dei grandi convertiti. S'intitolerà PER CRISTO, CON CRISTO E IN CRISTO. Chi vuole contribuire alle spese di stampa, può farlo con le seguenti modalità:

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