Il vero 25 aprile

Ancora oggi, e più che mai vista la città memoria degli italiani, per celebrare il 25 aprile ricordiamo i moltissimi (tanti quanti i partigiani, se non di più) soldati italiani dell'Esercito di Liberazione, che combatterono a fianco degli anglo-americani contro i soldati del Reich e della Repubblica di Salò.
Benché la maggior parte dell'azione di contrasto all'esercito tedesco in ripiegamento fosse sulle spalle della coalizione Americana (in cui erano presenti unità indiane, australiane, neozelandesi, sudafricane, polacche, rumene e inglesi), i soldati italiani che risalirono l'Appennino e passarono la linea gotica ebbero il gravoso compito di rappresentare uno stato allo sfascio, ed infondere speranza nelle popolazioni che venivano a poco a poco liberate.
La loro presenza impedì che attecchisse ovunque la propaganda comunista, che stava già diffondendo le sue falsità, oscurando persino l'apporto delle tante brigate partigiane indipendenti dal partito.

La liberazione di Chieti

L’11 giugno il battaglione entrò in Chieti. Era domenica, giorno del Signore, e l’apparizione della città in vetta al suo colle, mi colse mentre pregavo camminando, simile a una risposta sorridente di Dio. D’un tratto prese a cadere un’acquerugiola gradevole e luminosa, che ci fece lieti. Superammo, lungo la strada asfaltata in salita, dei pacchi devastati di tritolo, accanto a buche in cui avrebbero dovuto essere deposti. La loro polvere gialla striava pigramente i rigagnoli della pioggia all’intorno. Evidentemente qui l’avanguardia paracadutista aveva sorpreso dei minatori tedeschi. Incrociammo diversi branchi di civili che scendevano verso la campagna, molti carichi di robe le spalle o il capo; ci salutavano appena, ansioso ciascuno d’arrivare a vedere cosa gli fosse rimasto.

Prima d’entrare tra le case il Decimosesto battaglione fece alt e sommariamente s’inquadrò; dietro di noi s’inquadrò il Decimoquinto. Dopo di che avanzammo a passo cadenzato, fendendo a fatica la folla che si andava facendo via via sempre più fitta, acclamava, gridava, usciva in improvvisi scroscianti battimani. Il nostro passo echeggiava marziale sull’asfalto. «Italiani! Tutti italiani! Sono i nostri soldati, e arrivano primi!...» La gente gridava in preda all’entusiasmo, ci buttava qualche fiore, cercava di toccare le nostre divise con le mani tese. “Ecco” mi dicevo, “abbiamo fatto bene a rimettere in piedi questo moncone d’esercito!” Mentre emozionato marciavo, s’affollavano nella mia mente le lunghe giornate di viaggio tra le montagne: la sferza del sole, quella di Dio, tutte le dure vicende dal giorno in cui, con l’armistizio, l’Italia era caduta in ginocchio.

(Eugenio Corti, Gli ultimi soldati del re)