MARIA VALTORTA - Peccato Originale
Quinta parte- Conseguenze
Conseguenze: Oltre la condanna immediata e personale e le sue immediate personali conseguenze, il peccato di Adamo e la condanna provocata da esso ha avuto conseguenze che sino alla fine del tempo dureranno, pesando sull’Umanità.
Come capostipite della famiglia umana, Adamo ha trasmesso la sua infermità nei suoi discendenti.
Non avviene diverso quando un uomo tarato procrea dei figli. Con più o meno virulenza, i veleni della malattia sono nella sua prole e nella prole della prole, e se, con medicine adatte, la malattia ereditaria da virulenta e datrice di morte può mutare in forma più benigna, pure mai quei figli, e i figli dei figli, saranno sani come quelli venuti da un sangue sano.
“Per opera di un sol uomo il peccato è entrato nel mondo” è scritto (Rm 5,12).
Ed è verità.
Questo dolore, prima che da Paolo, è detto dalla Sapienza (Sap 2,24), dal Verbo docente (Eb 1,1-3), dai Salmisti (Sal 6; 38; 51;88). Da Dio sempre perciò, perché è sempre Dio che parla per bocca dei suoi ispirati.
Questo dolore empie il mondo, si tramanda da generazione a generazione, né finirà sinché non avrà fine il mondo.
Ha empito del suo ululo il luogo dove Adamo con fatica traeva pane dalle zolle sulle quali gocciava il suo sudore.
Si è sparso per la Terra, e orizzonti, e gole, e selve, e animali, lo hanno sentito rabbrividendo e se lo sono trasmesso.
E, come luce accecante, ha fatto vedere ad Adamo ed Eva l’immensità del loro peccato, non commesso soltanto verso Dio, ma anche verso la carne e il sangue loro.
Sino a quel momento il verdetto di Dio non aveva ancora frantumato la ribellione dell’uomo, il quale, col facile adattamento dell’animale ché l’uomo privo di Grazia non è che il più perfetto degli animali si era presto adattato al suo nuovo destino, non più facile a giocondo come quello primo, ma non privo di gioie umane che compensavano dei dolori umani.
La passione del senso si soddisfaceva nella carne compagna, fusa, non santamente come Dio voleva e come l’uomo innocente e pieno di scienza aveva compreso nell’Eden, a farsi una carne sola; la gioia del creare da soli oh! orgoglio persistente! – nuove creature, illudendosi con ciò di essere simili a Dio Creatore; il dominio sugli animali, la soddisfazione dei raccolti e del bastare a se stesso, senza avere a ringraziare nessuno. Gioie sensuali, ma sempre gioie.
Oh! quanta oscurità da fumo d’orgoglio e da caligine di concupiscenze sfrenate perdurò ostinata nei due protervi!
La maternità era ottenuta con dolore, ma la gioia dei figli (il plurale dimostra che prima della morte di Abele, erano nate anche delle femmine) compensava quel dolore.
Il cibo era ottenuto con fatica, ma il ventre si empiva ugualmente e la gola era soddisfatta, ché la Terra era colma di cose buone.
La malattia e la morte erano lontane, godendo i corpi, creati perfetti, di una salute e virilità che facevano pensare ai due protervi longeva la vita, se non eterna.
E la superbia fermentante suscitava il pensiero derisore: “Dove è dunque il castigo di Dio?
Noi siamo felici anche senza di Lui”.
Ma un giorno il verde dei campi, su cui sbocciavano i fiori multicolori creati da Dio, rosseggiò del primo sangue umano versato sulla Terra, e ululò la madre sul corpo del dolce Abele estinto (Gen 4,1-16), e il padre comprese che non era stata minaccia vana quella che prometteva: “Ritornerai nella terra dalla quale fosti tratto, perché sei polvere e polvere ritornerai” (Gen 3,19), e Adamo morì due volte, per sé e per suo figlio, ché un padre muore la morte dei figli vedendoli spenti, ed Eva partorì, con strazio, dando alla Terra il corpo esanime del suo diletto, e comprese cosa è il partorire in peccato.
Ma ugualmente nella stessa ora, nella quale folgoreggiava – ed era misericordia ancora il castigo di Dio, morì l’orgoglio e venne partorito il pentimento, la nuova vita per la quale i due Colpevoli iniziarono l’ascesa del sentiero della Giustizia e meritarono, dopo lunga espiazione ed attesa, il perdono divino per i meriti del Cristo.
E di Maria.
Oh! lasciate che Io qui celebri questa verità dell’Immacolata che fu, che è mia, e che per il nostro congiunto amore ha dato al mondo il Verbo fatto Carne: l’Emmanuele.
Per una infedeltà della donna l’umano genere conobbe il peccato, il dolore, la morte.
Per la fedeltà della Donna l’umano genere ha ottenuto la rigenerazione alla Grazia, e perciò il perdono, la gioia pura, la Vita.
Per la concupiscenza, la morte, tutte le morti.
Per la purezza di una verginità triplice di corpo, d’intelletto, di spirito la Vita, la vera Vita, e della carne risorta dei giusti e vivente in eterno, e della mente aperta alla Verità, e dello spirito rinato alla Grazia.
Per il connubio con Satana, l’odio fratricida e deicida.
Per il connubio con Dio, l’amore fraterno e l’amore spirituale che abbracciano Divinità e Umanità, e su ambe si effondono, e per ambe operano, l’Amore Incarnato e l’Amore verginale, ambedue offerti, volontariamente, totalmente, e consumati perché Dio fosse consolato e l’uomo salvato.
La morte di Abele frantumò l’orgoglio di Adamo a fece esperta Eva del più atroce partorire alle Tenebre.
La morte di Cristo frantumò il Peccato e mostrò all’Umanità cosa costi il partorire alla Grazia.
L’ululo di Eva ha corrispondenza nel grido di Maria alla morte del Figlio Ss.
Io dico, a coloro che credono Maria sopra al dolore perché piena di Grazia, che neppure Eva soffrì, nella sua desolazione meritata, ciò che sofferse Maria innocente.
Perché se l’ululo di Eva segnava la nascita del Pentimento, il grido di Maria segnò la nascita dell’èra nuova.
E se in quell’ora segnata dal primo sangue umano, sparso per criminale violenza, per cui la Terra fu maledetta due volte, ebbe inizio l’ascesa verso la Giustizia, nell’ora di nona, segnata dall’ultima stilla del Sangue divino, discese dai Cieli la Redenzione, uscendo come fiume di salute dai due Cuori innocenti e piagati del Figlio e della Madre.
Veramente non solo per i meriti di Gesù, ma anche per quelli di Maria, voi avete la Vita; ed Ella, Madre della Vita, Madre Vergine, pura, innocente, che non conobbe le doglie nel partorire secondo la legge della carne decaduta il suo Gesù, ha conosciuto però, e ben conosciuto, le doglie del più doloroso parto, partorendo voi, Umanità peccatrice, alla novella Vita della Grazia.
Per un solo uomo, l’uomo conobbe la morte.
Per l’Uomo solo, l’uomo conosce la Vita.
Per Adamo l’Umanità ha ereditato la Colpa e le sue conseguenze.
Per Gesù, Figlio di Dio e di Maria, l’Umanità eredita nuovamente la Grazia e le sue conseguenze.
La quale Grazia, sebbene non annulli tutte le conseguenze terrene della colpa d’origine ché il dolore, la morte e gli stimoli restano a darvi pena, paura e battaglia fortemente vi aiuta a sopportare il dolore presente con la speranza del Cielo, vi aiuta ad affrontare la paura del morire con la conoscenza della Misericordia divina, vi aiuta a reagire e domare gli stimoli o fomiti con gli aiuti soprannaturali per i meriti di Cristo e i Sacramenti da Lui istituiti.
Ho detto: “La Grazia, sebbene non annulli tutte le conseguenze della Colpa...”.
Questo è un punto sul quale molti si ribellano, dicendo: “È giusto questo?
Non poteva il Redentore rendere tutta la perfezione?”.
È giusto.
Tutto in Dio è giusto.
L’uomo non fu ferito in uno scontro con Dio, per cui Dio dovesse sentirsi in dovere di riparare al danno fatto volontariamente o involontariamente.
L’uomo da se stesso si è volontariamente ferito, e consciamente ferito.
Or quando un uomo si ferisce in modo talmente grave, nella vita d’ogni giorno, resta o mutilato, o tarato, o segnato almeno da gravi cicatrici; né opera di medico può cancellare del tutto il danno, e soprattutto rifare le parti perdute.
Adamo si è mutilato della Grazia e della vita soprannaturale, dell’innocenza, integrità, immunità, immortalità e scienza.
E come capo stipite di tutta l’umana famiglia ha trasmesso la sua penosa eredità a tutti i suoi discendenti.
Ma l’Umanità, più fortunata dell’uomo singolo, per mezzo di Gesù Salvatore Redentore, ha ottenuto la guarigione.
Più ancora: la “ricreazione” nella Grazia: vita dell’anima.
E per i Sacramenti da Lui istituiti, le virtù che essi infondono, ed i miei doni, ha ottenuto anche i mezzi per sempre più crescere nella perfezione, sino a raggiungere il culmine con la “supercreazione” che è la santità.
Però neppure il Sacrificio dell’Uomo Dio, capace e sufficiente a restituirvi i doni perduti ed a rielevarvi all’ordine soprannaturale ossia alla capacità di amare, conoscere, servire Dio in questa vita, per possederlo in gaudio, in eterno, nell’altra ha cancellato le cicatrici delle grandi ferite che l’uomo si è inferto volontariamente, e specie quelle della concupiscenza triplice, che è sempre pronta a rifarsi piaga se lo spirito non veglia a tenere soggette le male passioni.
Ho anche detto: “La conoscenza della Misericordia divina”.
Sì.
L’eredità della Colpa, come vi ha ottenuto il Redentore, così vi ha ottenuto la conoscenza dell’infinita carità, e sapienza, e potenza divine.
L’uomo, rigenerato figlio di Dio per mezzo di Gesù, conosce ciò che Adamo non conosceva.
Conosce a quale immensità giunga l’amore del Padre, che dà il suo Unigenito a cancellare col suo Sangue il decreto di condanna dell’Umanità decaduta nel suo Capostipite.
Adamo, per la scienza infusa, e più per la Grazia che elevandolo all’ordine soprannaturale lo aveva reso capace di conoscere Dio molto conosceva di quanto Dio lo amasse, perché tutto, intorno ed entro Adamo, aveva voce di amore divino.
E Adamo, per l’elezione all’ordine soprannaturale, molto sapeva amare.
Sapeva amare in quella giusta misura che Dio aveva giudicata sufficiente durante la vita a preparare l’uomo alla visione e al godimento di Dio dopo il trapasso da Terra a Cielo.
Ma mai, neppure nei trasporti d’amore più grande, l’Adamo innocente poté giungere a salire, col suo desiderio di conoscere e amare, sino al centro della Verità, mai poté inabissarsi in questa fornace ardente dell’Amore che è anche Verità, mai poté possedere la conoscenza totale di quella verità che ha nome Amore Infinito.
L’uomo vivente sulla Terra non può vedere Dio quale è.
Neppur l’Uomo Adamo, testé creato e ricco di doni.
Tutto aveva voce di Dio.
Tutto gli parlava di Dio.
Tutto lo attirava a Dio.
L’uomo era il grandemente amato e ricoperto di doni, per aiutarlo ad amare.
Ma tra l’uomo a Dio è sempre un abisso.
Sono due abissi che si guardano, e il Maggiore attira il minore, gli sfavilla dinanzi allo spirito, lo investe dei suoi fuochi, lo fa ricco delle sue luci dardeggiate sullo spirito dell’uomo come per una continua infusione di sapienza.
Il Divino Amore ha, per l’uomo, il gesto d’invito di due braccia e di un seno che si aprono e si offrono per l’amplesso che beatifica, e l’amore umano dona ali all’uomo perché possa dimenticare la Terra e lanciarsi verso il Cielo, verso Dio che lo chiama.
Ma una legge di giustizia stabilisce che l’incontro totale, la fusione, si abbia solo dopo la prova che conferma nella grazia.
Per questo, più l’uomo sale nel tentativo e desiderio di raggiungere Dio, e più Dio sfugge, si ritira nel suo abisso senza fine.
Né fa ciò per crudeltà, ma per tenere attive le forze e le volontà dell’uomo di raggiungerlo, e così aumentare la capacità umana a ricevere con frutto e farsi colmare dalla Grazia, ossia ancora da Dio stesso.
Perché veramente l’uomo è tanto più atto a ricevere e possedere Dio e la sua Grazia Ss., quanto più attivamente, instancabilmente, intensamente, muove verso Dio.
Ho parlato al presente perché tale è la condizione dell’uomo verso l’immensa Divinità, incomprensibile ad ogni intelligenza creata.
Anche i più grandi contemplatori e metto qui i nomi di Giovanni(Ap 12,1), e Paolo (2 Cor 12,2) per indicarvi due già redenti da Cristo, ai quali si aperse il Cielo sino al terzo e al settimo grado e anche Mosè, Ezechiele, Daniele, che videro, rispettivamente, “il tergo di Dio” (Es 33,18-25),
- la “luce lasciata dall’Infinita Luce”, “l’Essere dall’aspetto d’uomo”
- ma che era “fuoco d’elettro” e “voce che si faceva sentire da sopra il firmamento” (Ez 1,25-28),
- “l’Antico dei giorni il cui volto era velato dal fiume di fuoco che scorreva rapidamente davanti alla sua faccia” (Dan 7,9-10) lasciando visibili soltanto i capelli e le vesti non poterono conoscere l’Inconoscibile sinché furono tra i mortali i due primi, nel Cielo dopo la Redenzione gli altri.
Ma tale, particolarmente, era la condizione di Adamo, elevato all’ordine soprannaturale, e perciò dotato, come voi restituiti e fedeli alla Grazia, di un’intelligenza spirituale capace di accostarsi molto alla Verità di Dio, ma non di conoscere il Mistero di Dio.
Solo per Gesù l’uomo ha potuto penetrare più avanti oh! molto più avanti! valicare distanze, alzare veli, accostarsi all’ardore del Focolare Uno e Trino e conoscere l’immensità dell’Amore con una profondità sconosciuta ad Adamo.
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Sconosciuta per misura di prudenza.
Perché Adamo, ove avesse avuto proposto da Dio il Cristo futuro e avesse avuto da Dio richiesta di adorare il Verbo Incarnato per amore e per opera dell’Amore, non si rifiutasse di adorare il Compendio vero dell’Amore Trino e si rendesse così colpevole dello stesso peccato di Lucifero, divenuto Satana per aver rifiutato adorazione all’Amore fatto carne, pretendendo superbamente di esser capace esso stesso di redimere l’uomo essendo simile a Dio in sostanza, potenza, sapienza, bellezza, anziché simile per partecipazione di natura, offendendo così particolarmente lo Spirito Santo, Datore delle luci, sapienze e verità contenute in Dio.
E i peccati contro lo Spirito Santo, dei quali Lucifero e i suoi simili in ribellione si sono resi colpevoli, come molti uomini, non sono perdonati (Mt 12,30-32 e //).
Dio voleva perdonare all’uomo.
Gli propose perciò la prova di ubbidienza.
Ma gli risparmiò la prova di adorazione per il Verbo fatto Uomo, onde Adamo non peccasse, in modo non perdonabile, invidiando la potenza del Cristo, presumendo di potersi salvare e di poter salvare senza bisogno del Cristo, negando come impossibile la verità conosciuta che l’Increato potesse farsi “creato” nascendo da donna, che il Purissimo Spirito, che è Dio, potesse farsi uomo assumendo carne umana.
Voi no.
Voi redenti dal Cristo, voi venuti dopo l’avvento di Cristo, e soprattutto dopo il sacrificio di Cristo, conoscete tutto l’amore di Dio.
Il Cristo questo amore infinito ve lo ha rivelato, con Se stesso, con la sua parola, col suo esempio e le sue azioni.
Mirate il Cristo bambino vagente in una grotta, e non ne avete paura.
Anzi quella debolezza umana attira la vostra debolezza spirituale, la quale non si sente sconfortata né spaurita davanti al Dio Infante, al Dio che si è annichilito, Egli, l’Immenso, in piccole membra, Egli, il Potente, in membra bisognose di tutti gli aiuti, tanto esse sono incapaci di provvedere ai bisogni dell’organismo.
Mirate il Cristo fanciullo e non ne avete paura.
La sua sapienza è dolce.
Con poche parole vi indica la via sicura per giungere alla Casa del Padre: “Occuparsi di ciò che vuole Dio, di ciò che va dato a Dio” (Lc 2,41-52).
Tutta la Legge è in questa risposta breve e sapiente.
Egli vi dice, parlando a quelli che rappresentano l’umanità eletta e cara al Signore: “Non sapete che si deve fare questo, questo solo, questo al disopra di ogni altra occupazione, avere questo amore al disopra di ogni altro amore, per avere posto in Cielo?”.
E già tutto il Cristo docente è in queste brevi parole, il Cristo che dice a Marta: “Tu ti occupi di troppe cose, una sola è necessaria” (Lc 10,38-42).
Il Cristo che dice al discepolo ancor troppo attaccato alle cose del mondo: “Lascia che i morti seppelliscano i morti” (Mt 8,21-22 e //), e ancora: “Chi, dopo aver messo la mano all’aratro, volge indietro lo sguardo, non è adatto al Regno di Dio” (Lc 9,61-62).
Il Cristo che, amando con perfezione la Madre, non l’antepone alla sua missione, ma chiaramente dice che “è suo sangue chi fa la volontà di Dio” (Mt 12,46-50 e //), ed Egli per primo la fa, perché l’amore verso Dio è sempre, doverosamente, il più grande rispetto ad ogni altro amore, anche a quello per la Madre Ss.
Il Cristo che rimprovera Pietro chiamandolo “Satana”, perché lo tenta a non fare la volontà del Padre suo (Mt 16,21-23), Il Cristo del Sermone del Monte (Mt 5,7 e //).
Il Cristo che dice l’ultima beatitudine: “Beati quelli che mettono in pratica la parola di Dio” (Lc 11,27-28), ossia ancora la Legge.
Il Cristo che a Nicodemo insegna come l’uomo vecchio, l’erede di Adamo decaduto, possa raggiungere la rigenerazione e vedere il Regno di Dio “rinascendo per acqua”, e quest’acqua di vita Egli, il Cristo, ve la dà, “e per Spirito Santo” (Gv 3,1-8), ossia per amore, e amore è fare la volontà di Dio nell’ubbidienza alla sua Legge per tutti, e ai suoi singoli decreti per ognun di voi.
Il Cristo che insegna la religione che è giudicata vera, meritevole di premio da parte della Divina Giustizia: “Non cerco il mio volere, ma quello di Colui che mi ha mandato” (Gv 5.30 e //).
Il Cristo che vi dà il Dio che si può amare sensibilmente: “Voi non avete mai sentito la voce di Dio e visto il suo volto sino ad ora.
Ma eccomi.
Io sono Colui sul quale Dio ha impresso il suo sigillo.
Chi vede Me vede Colui che mi ha mandato.
Chi mi ascolta, ascolta il Padre, perché Io non ho parlato di mio, ma ho detto quanto il Padre mi ha detto di dire” (Gv 14,9-10).
E vi disvela l’amore del Padre che dalla colpa di Adamo trae il mezzo per rincuorarvi ad un più grande amore, ad una più esatta conoscenza e più stretta unione: “La Volontà del Padre mio è che voi mi conosciate per ciò che sono: Dio” (Gv 8,9).
Il Cristo che proclama: “Io non faccio niente da Me, ma dico e faccio ciò che vuole il Padre mio.
Sempre faccio ciò che a Lui piace” (Gv 8,29).
Il Cristo, Pastore buono, che confessa la ragione più vera del grande amore del Padre per Lui: “Per questo mi ama il Padre: perché do la vita volontariamente, perché questo è il desiderio del Padre mio, onde voi siate salvati” (Gv 10.17)
Il Cristo che, alle soglie della Passione, dice: “Il Padre mio mi ha mandato e mi ha prescritto ciò che devo dire a fare.
E so che il suo comandamento è vita eterna” (Gv 17.3).
Il Cristo che, per Se stesso, assolve Pilato dicendogli: “Non avresti su Me alcun potere, se non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo, Colui che mi ha consegnato nelle tue mani è più colpevole di te del mio morire” (Gv 19,11).
E Colui che lo consegnava nelle mani dell’autorità, in una divina follia d’amore per l’uomo, è il Padre suo, il Dio infinito davanti al quale il Figlio dice la sua orazione perfetta. “Non la mia, ma la tua Volontà si compia (Lc 22,42).
Sia fatta la tua Volontà in Terra come nel Cielo” (Mt 6,10); è Dio Padre che permette alle autorità umane di essere tali sinché Egli lo vuole, dopo di che né forza d’armi né alcun’altra forza vale a mantenerle al loro posto di comando.
Oh!
Il Cristo ubbidiente dalla nascita alla morte, il Cristo che dice “Sì” al primo vagito, e dice “Sì” con l’estrema parola del Golgota, il Verbo del “Sì” eterno al Padre suo, il Cristo che non fa mai paura, che non sgomenta con la sua legge perché vi dà l’esempio che essa legge è possibile ad eseguirsi da parte dell’uomo poiché Egli l’Uomo l’ha vissuta prima ancor di insegnarvela, questo Dio Uomo che si consegna alla morte, ai nemici, agli spregi, alla fatica, alla povertà, alla carne ed ho messo la morte per prima e la carne per ultima, non per errore, ma perché al Salvatore fu più dolce il morire che al Verbo Dio il limitarsi in una carne vi dà, o uomini, la conoscenza di ciò che è Dio Amore.
E quel Divinissimo Padre, che immola il suo Dilettissimo, vi dà la misura dell’amore di Dio per voi.
È detto: “Non vi è più grande amore di quello di colui che dà la vita per i suoi amici” (Gv 15,13) Ma è anche da dirsi: “L’amore di un Padre che sacrifica il suo vero, unico Figlio per salvare la vita dei suoi figli adottivi, i quali, veri figli prodighi (Lc 15,11-32), hanno volontariamente lasciato la casa paterna e si sono resi infelici, dando dolore al Padre, è un amore ancor più grande”.
E di questo amore vi ha amato Iddio.
Ha sacrificato il suo Unigenito per salvare l’Umanità colpevole, quell’Umanità che, come non fu grata, ubbidiente, amorosa per Lui all’inizio dei giorni, quando gioiva del molto ricevuto gratuitamente da Dio, così non è grata, ubbidiente, amorosa per Lui ora che da venti secoli ha avuto da Dio non il molto, ma il Tutto, ma l’Immenso, dando Dio Se stesso nella sua Seconda Persona.
Dopo aver meditato tutto questo, è dolce concludere che se grande fu il castigo, che però non fu ingiusto, più grande, infinitamente più grande del castigo è stata la Misericordia.
Quella Misericordia che, non paga di restituirvi, a prezzo del suo Dolore, del suo Sangue, della sua Morte di croce, i doni di cui vi aveva defraudato Adamo, vi dà Se stessa nella Ss. Eucarestia, vi dà le acque della Vita di cui è fontana saliente al Cielo, vi dà la sua dolce Legge d’amore, l’esempio suo, la sua Umanità per rendere facile alla vostra umanità di amarlo, la sua Divinità perché le vostre preghiere siano ascoltate, come voce stessa del Figlio amatissimo vivente in voi, dal Padre suo, vi dà lo Spirito Santo con tutti i suoi doni, per i quali le virtù infuse col Battesimo sono potentemente aiutate a svilupparsi ed a perfezionarsi, quei doni che aiutano grandemente il cristiano a vivere la sua vita di cristiano, ossia la vita divinizzata, da figlio di Dio, e che, senza annullare i fomiti, danno a voi la forza di reprimerli, facendo di essi, che “male” sono, “bene”, ossia eroismo, mezzo di vittoria, corona e veste di gloria.
Come per Paolo, la vita di ognun di voi è lotta interiore fra la carne e lo spirito, fra l’aspirazione al Bene e l’azione non sempre perfettamente buona, lotta in cui Dio vi conforta e aiuta.
Per questo, nessuno abbia scandalo se un suo prossimo confessa con la parola e l’azione d’esser come Paolo “carnale e soggetto”.
E nessuno si accasci se comprende di esserlo.
Ma l’esempio di Paolo guidi e sostenga.»
Valtorta Romani 21-28 maggio 1948 lezione 23a pag. 137