Benedetto XVI rompe il silenzio

Luglio 02, 2019
Source: FSSPX Spirituality
L’11 aprile 2019 il papa emerito Benedetto XVI ha pubblicato un testo di una dozzina di pagine sul mensile tedesco Klerusblatt, in cui si pronuncia a proposito degli scandali nella Chiesa, della grave crisi che provocano e degli attacchi di cui l’istituzione ecclesiastica è regolarmente fatta oggetto da parte dei media. Egli precisa di pubblicare questo lavoro d’accordo con il Segretario di stato del Vaticano, cardinale Pietro Parolin, e di papa Francesco.
I meriti di questo testo sono incontestabili a più titoli. In piena tormenta, l’ autore cerca di chiarire alcune zone oscure e rivela le profonde disfunzioni, passate e presenti, nella Chiesa. Bisogna riconoscere un certo coraggio al quale potrebbe associarsi una sorta di mea culpa. E’ possibile che l’avvicinarsi dell’eternità abbia qualcosa a che fare con queste considerazioni?

Una presa di posizione criticata dall’intellighenzia mediatica

Del resto, i media in sintonia con i tempi non si sono ingannati e da ogni parte sono piovute le critiche contro un’analisi imbarazzante. Per screditare il messaggio dell'ex prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede (CDF) sono stati utilizzati gli argomenti più improbabili.
Alcuni lo definiscono “manipolato” dal suo entourage o mettono in dubbio il fatto che egli ne sia davvero l’autore. L’opportunità di questa pubblicazione è stata fortemente contestata. Marco Politi, noto vaticanista progressista, non si fa scrupolo di parlare di pamphlet e di colpire basso: “Il papa emerito avrebbe dovuto scegliere il silenzio” poiché, “nei momenti più gravi al vertice deve sentirsi una sola voce, altrimenti si semina la confusione” e sospetta che Benedetto XVI sia “sotto l’influenza dei cardinali tedeschi conservatori Walter Brandmuller e Gerard Muller”, l’ex Prefetto della CDF che il papa argentino non ha confermato nel 2017. Secondo lui i due prelati sarebbero “impegnati in una vasta operazione di diversione per addossare alla cultura gay e alla perdita della fede i peccati di pedofilia in seno alla Chiesa”.

Prima parte: le cause

Il contesto sociale della liberazione dei costumi


Benedetto XVI intende innanzitutto ricordare che “negli anni ‘60, si è verificato un avvenimento di ampiezza senza precedenti nella storia. Si può dire che in vent’anni, dal 1960 al 1980, le norme in materia di sessualità siano completamente collassate”.
Le cause profonde degli abusi sono: la rivoluzione libertaria degli anni ’60 e la diffusione aggressiva di un’educazione sessuale sempre più sfrenata, accompagnata dall’irruzione della pornografia che ha invaso gli schermi dei cinema e, in seguito, della televisione. A partire da quegli anni, sono emersi dei cantori del pansessualismo impegnati a lodare e promuovere la pedofilia.
Questa analisi è vivamente contestata dagli opinionisti e, per essere informati sull’argomento, è sufficiente consultare l’articolo sull’Apologia della pedofilia pubblicato sull’enciclopedia in linea Wikipedia. L’introduzione è istruttiva: “L’apologia della pedofilia è l’insieme delle azioni, scritti e prese di posizione miranti a fare accettare socialmente la pedofilia o semplicemente a farne l’elogio. Questa tendenza è principalmente esistita nella cosiddetta epoca della rivoluzione sessuale, in particolare negli anni immediatamente successivi al 1968, a causa di persone che si presentavano come pedofile e di “simpatizzanti”. Gruppi di persone e individui isolati hanno allora cercato di presentare la pedofilia come un’attrazione sessuale accettabile, contestando le nozioni di maggiore età sessuale e di abusi sessuali su minorenni. All’epoca, la pedofilia è stata parallelamente oggetto di diverse forme di condiscendenza mediatiche, politiche o intellettuali. Questa tendenza non ha mai raggiunto un livello di riconoscimento durevole e notevole nonostante avesse, negli anni 1970, alcuni sostegni mediatici e politici di portata limitata.”
In Francia, un giornale come Libération ha a lungo militato per l’attenuazione della legislazione in materia di corruzione di minori, con grande supporto di petizioni firmate da personalità come Aragon, Roland Barthes, Simone de Beauvoir, Francois Chatelet, Patrice Chéreau, Jacques Derrida, Francoise Dolto, Michel Foucault, André Glucksmann, Felix Guattari, Bernard Kouchner, Jack Lang, Alain Robe-Grillet, Jean-Paul Sartre, Philippe Sollers… Daniel Cohn-Bendit, protagonista del maggio ’68, fece l’elogio della pedofilia, fosse anche con una bambina di cinque anni.
Benedetto XVI vede in questa ondata nauseabonda che considerava la pedofilia come “autorizzata ed appropriata” una delle spiegazioni della corruzione della gioventù, ivi compresa una generazione di preti di cui molti defezionarono in massa.

La rivoluzione della teologia morale

Contestualmente si verificava un “tracollo” della teologia morale e dell’insegnamento della Chiesa in materia di costumi, frutto di un’autentica rivoluzione nata dal disprezzo cosciente della legge naturale.
Benedetto XVI scrive: ”Fino al Concilio Vaticano II, la teologia morale cattolica era largamente fondata sulla legge naturale, mentre le Sacre Scritture venivano citate solo come contesto o fondamento. Nella lotta del Concilio per una nuova comprensione della Rivelazione, l’opzione della legge naturale è stata largamente abbandonata, invocando una teologia morale interamente basata sulla Bibbia.”
L’ammissione è notevole: proprio il Concilio viene considerato responsabile dell’abbandono della legge naturale. L’analisi di Benedetto XVI riconosce questo abbandono, ma non sembra considerare che esso consiste in una rottura con la tradizione, poiché la teologia morale non potrebbe prescindere o staccarsi dalla legge naturale: la grazia non distrugge la natura, ma la presuppone. Voler costruire la morale senza di essa è un puro non senso. (Cfr Nouvelles de Chrétienté, n 176, marzo-aprile 2019, pp. 5-9). E’ Inoltre illusorio pretendere di contrapporre la legge naturale alla Rivelazione, poiché la legge naturale è contenuta nella Sacra Scrittura, fonte della Rivelazione, come dimostra chiaramente il Decalogo. Questa legge è iscritta nel cuore dell’uomo da Dio Stesso, Autore della natura.
Da qui le innumerevoli derive della nuova teologia, specialmente il relativismo morale giustamente denunciato da Benedetto XVI. Da qui ancora, la rivendicazione di indipendenza da parte della teologia di fronte al Magistero, percepito come nemico della libertà e freno al progresso della teologia e dell’umanità. Benedetto XVI menziona numerosi episodi di questa contestazione.
Egli tenta di difendersi, e Giovanni Paolo II con lui, ricordando la sua azione quando era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede. Fu sotto la sua direzione che fu pubblicato il nuovo Catechismo della Chiesa cattolica, mentre l’enciclica Veritatis splendor, nonostante i suoi limiti, riaffermava l’esistenza dei fondamenti intangibili della morale.

Gli attacchi contro il Magistero della Chiesa

Il papa emerito menziona anche l’ “ipotesi secondo la quale il magistero della Chiesa dovrebbe avere la competenza finale (“infallibilità”) solamente in materia di fede”, largamente diffusa ed accettata, dalla quale derivò “le questioni di moralità non dovrebbero entrare nel campo delle decisioni infallibili del Magistero della Chiesa”.
Benché egli veda in questa ipotesi “probabilmente qualcosa di giusto” – il che significa darle consistenza -, Joseph Ratzinger difende l’esistenza di una “morale minima, indissolubilmente legata al principio fondatore della fede”, senza la quale non potrebbe esistere l’infallibilità della Chiesa e del papa in materia di fede e di costumi. Ignorandola, i contestatori più radicali pretendono logicamente che “la Chiesa non ha e non può avere una propria moralità”. Il papa emerito risponde affermando nettamente che il fondamento di ogni morale è la rivelazione, secondo la quale l’uomo è stato creato ad immagine di Dio, la fede nel Dio unico, e la dimensione pellegrina della vita cristiana. Noi camminiamo verso la patria, e la Chiesa deve proteggere i fedeli dal mondo.

Seconda parte: gli effetti

In secondo luogo, le riflessioni di Benedetto XVI mostrano quali furono le devastazioni provocate dalla doppia dissoluzione della morale cristiana e dell’autorità della Chiesa in materia di costumi, impegnandosi su questo punto nel denunciare gli effetti ma risparmiando il Concilio e le sue riforme, pur riconoscendo l’insufficienza dei mezzi di sanzione – e di guarigione – che la Chiesa si è data dopo il Concilio.

Rottura della formazione nei seminari

L' ex Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, che la sa lunga sull’argomento, evoca innanzitutto la formazione dei preti, ammettendo senza ambage che ”per quanto concerne il problema della preparazione al ministero sacerdotale nei seminari, c’è in effetti una rottura profonda con la forma precedente di tale preparazione.” Questa rottura nella formazione ha permesso che “in numerosi seminari si costituissero dei clan omosessuali che hanno agito più o meno apertamente, cambiando in modo significativo l’ambiente dei seminari. In un seminario della Germania meridionale, i candidati al sacerdozio vivevano insieme ai candidati al ministero laico di assistente pastorale, mangiando insieme nella mensa comune (…). A volte i laici erano accompagnati dalle mogli e dai figli con le loro amichette. Il clima di quel seminario non poteva pretendere di garantire la preparazione alla vocazione sacerdotale”.
La Santa Sede era al corrente di questi problemi, diffusi specialmente negli Stati Uniti, e furono organizzate delle visite apostoliche. Questa è l’unica menzione dell’omosessualità nei seminari: in un documento sulla pedofilia è più di quanto possano sopportare i media e gli opinionisti…

Rottura nel reclutamento dei Vescovi

In questo clima di cedimento morale, Joseph Ratzinger ammette che una delle conseguenze del l’applicazione del Concilio fu l’ascesa nella gerarchia della Chiesa di pastori insufficientemente formati per le loro mansioni.
“La modifica dei criteri di selezione e di nomina dei vescovi posteriore al concilio Vaticano II, ha fatto sì che anche le relazioni dei vescovi con i loro seminari cambiassero notevolmente. In particolare, un nuovo criterio per la nomina di nuovi vescovi era la loro “conciliarità”, termine suscettibile di interpretazioni molto diverse. In numerose parti della Chiesa, le attitudini conciliari erano considerate come atteggiamenti critici o negativi nei confronti della tradizione esistente, che doveva essere sostituita da una nuova relazione, radicalmente aperta, con il mondo. Un vescovo, che era stato in precedenza rettore di seminario, aveva organizzato la proiezione di film pornografici per i seminaristi, pretendendo di renderli così resistenti ai comportamenti contrari alla fede. E’ accaduto – non solo negli Stati Uniti – che dei vescovi abbiano rigettato la tradizione cattolica nel suo insieme, cercando di far nascere una sorta di nuova “cattolicità” moderna nelle loro diocesi.”
Dietro questa constatazione si cela l’autentica “epurazione” di cui furono vittime i vescovi legati alla tradizione, sistematicamente messi da parte o sostituiti da un episcopato progressista, sedotto dalle nuove idee del Concilio e dell’aggiornamento che autorizzava pressoché qualunque cosa. Qui entra in gioco l’applicazione del Vaticano II attraverso la nomina dei vescovi da parte di papa Paolo VI. Un argomento che meriterebbe di essere approfondito.
Rottura nella legislazione canonica
Benedetto XVI affronta infine direttamente la questione della pedofilia e dell’insufficienza dei mezzi di repressione forniti dal nuovo Codice di Diritto canonico. Questo passaggio è particolarmente istruttivo.
“La questione della pedofilia (…) si pone solo nella seconda metà degli anni ‘80.” I vescovi degli Stati Uniti, in cui il problema era diventato di pubblico dominio, “chiedevano un aiuto, poiché il diritto canonico, prospettato dal nuovo Codice (1983), non sembrava sufficiente per adottare le misure necessarie (…) Solo lentamente iniziò a prendere forma un rinnovamento e un approfondimento del diritto penale, deliberatamente poco strutturato nel nuovo Codice.”
All’origine di questa debolezza deliberatamente voluta, “c’era un problema fondamentale nella percezione del diritto penale. Solo il garantismo era considerato come “conciliare”. Bisognava innanzitutto garantire i diritti dell’accusato, in una misura che escludeva ogni condanna. (…) Il diritto alla difesa fondato sulla garanzia giunse a tal punto da rendere difficilmente possibili le condanne.”
Il papa emerito giustifica la sua azione, spiegando il comportamento tenuto: “Un diritto canonico equilibrato (…) non deve quindi proteggere solo l’accusato (…) ma deve anche proteggere la fede (…). Ma oggi nessuno accetta che la protezione della fede sia un bene giuridico.”
A causa di questo garantismo si dovette aggirare la difficoltà trasferendo la competenza della Congregazione del Clero, normalmente responsabile del trattamento dei crimini commessi dai preti, alla Congregazione per la Dottrina della fede nel Capo dedicato ai “Delitti maggiori contro la fede”. Ciò permise “di comminare la pena massima, cioè l’espulsione, che però non si sarebbe potuta comminare in virtù di altre disposizioni legali.” Al fine di proteggere la fede, sarebbe stato necessario mettere in campo un’autentica procedura penale, con possibilità di appellarsi a Roma.
Così, con il Codice di Diritto canonico del 1983, la logica implacabile del personalismo che antepone l’individuo alla società e al bene comune, ha reso la giustizia della Chiesa praticamente inoperante. Da allora, la curia romana si è impegnata ad aggirare l’ostacolo, a prezzo di contorsioni giuridiche e con scarsi risultati. Un caos…
Terza parte: prospettive

Benedetto XVI conclude le sue riflessioni tentando di fornire qualche prospettiva di soluzione.
Ricordare l’esistenza di Dio poiché una società senza Dio sopprime la distinzione tra bene e male
Rivolgendosi in questo testo principalmente a dei preti, egli li esorta a rimettersi all’amore di Dio ma anche a riaffermare fortemente l’esistenza di Dio di fronte al mondo, riconoscendo l’intervento divino nella storia degli uomini, poiché il rifiuto di Dio provoca la distruzione della libertà.
“Una società senza Dio – una società che non Lo conosce e Lo tratta come inesistente – è una società che perde la propria misura. L’epoca attuale ha inventato lo slogan della morte di Dio, assicurandoci che quando Dio muore in una società, essa diventa libera. In realtà, la morte di Dio in un società significa anche la fine della libertà, perché muore il fine che dà un orientamento, facendo sparire la bussola che ci indica la giusta direzione insegnandoci a distinguere il bene dal male. La società occidentale è un società nella quale Dio è assente dalla sfera pubblica e non ha più niente da offrile. Una società in cui la misura dell’umanità si perde progressivamente.”
A causa dell’assenza di Dio alcuni sono riusciti a diffondere il lassismo fino alla pedofilia.
Rapidamente, Benedetto XVI nota che gli uomini di Chiesa non parlano a sufficienza di Dio nella sfera pubblica e sembra dolersi che la Costituzione europea ignori Dio come “principio direttore della comunità nel suo insieme”. A chi la colpa allorché, a partire dal Vaticano II, le autorità della Chiesa si sono impegnate a distruggere gli Stati cattolici sopprimendo l’invocazione al Dio uno e trino nelle loro costituzioni?

La questione liturgica

Il papa emerito prosegue: non basta ricordare l’esistenza di Dio, occorre anche vivere dell’Incarnazione, in particolare attraverso la santa Eucaristia. Fedele ai suoi insegnamenti passati, egli fa una constatazione inquietante:
“La nostra celebrazione dell’Eucaristia non può che suscitare inquietudine. Il concilio Vaticano II ha voluto il ritorno di questo sacramento della Presenza del Corpo e del Sangue di Cristo, della Presenza della sua Persona, della sua Passione, della sua Morte e della sua Resurrezione, al centro della vita cristiana e dell’esistenza stessa della Chiesa. (…) Nondimeno prevale un atteggiamento abbastanza diverso. Ciò che predomina non è una nuova riverenza per la presenza della morte e della resurrezione di Cristo, ma una maniera di trattare con Lui che distrugge la grandezza del Mistero. Il declino della partecipazione alla celebrazione eucaristica domenicale mostra quanto noi, cristiani di oggi, sappiamo poche cose sulla grandezza del dono che è la Sua presenza reale. L’Eucaristia è stata sminuita in un semplice gesto cerimoniale, quando si dà per acquisito che la cortesia (sic) esige che Egli venga offerto a tutti coloro che sono invitati (…).”
Queste stupefacenti considerazioni dimostrano molto chiaramente i limiti dell’analisi del papa emerito, che resta legato alla riforma di Paolo VI deplorando una liturgia divenuta banale perché desacralizzata. Torneremo sull’argomento.
La fede nella Chiesa
Infine l’ ex Sommo Pontefice si sofferma sul mistero della Chiesa, interrogandosi e lamentandosi delle (pseudo) rinascite che, alla fine, non hanno avuto un futuro. Così come ha spiegato che il Vaticano II aveva voluto “un ritorno” del sacramento dell’Eucaristia – con un pessimo risultato, - allo stesso modo Ratzinger spiega che il Vaticano II volle fare della Chiesa una realtà non più esteriore ma presunta, destinata “a svegliarsi nelle anime”. Cinquant’anni più tardi, “riconsiderando questo processo e rivedendo ciò che è successo”, egli è tentato di dire che “la Chiesa muore nelle anime.” Questa constatazione di uno scacco evidente dovrebbe portare a rimettere in questione i principi ecclesiologici del Vaticano II. Sfortunatamente non se ne è fatto nulla. Benedetto XVI trova un’altra spiegazione:
“La Chiesa oggi è largamente considerato come una sorta di apparato politico (bisognerebbe piuttosto dire sociologico). Se ne parla quasi esclusivamente utilizzando categorie politiche, e questo vale anche per i vescovi, che formulano la loro concezione della Chiesa del futuro quasi esclusivamente in termini politici. La crisi provocata dai numerosi casi di abusi clericali ci induce a considerare la Chiesa come qualcosa di inaccettabile da prendere in mano e riprogettare. Ma una Chiesa che si fa da sola non può costituire una speranza.”
Ci sarà sempre del loglio in mezzo al buon grano nel campo del Signore, e dei cattivi pesci insieme a quelli buoni nelle reti da pesca della Chiesa. E conclude con una bella applicazione di un brano dell’Apocalisse (12,10) in cui il diavolo viene presentato come “l’accusatore dei nostri fratelli”, come fece con Giobbe accusandolo davanti a Dio.
“Il Dio Creatore viene affrontato dal diavolo che parla del male di tutta l’umanità e di tutta la creazione dicendo, non solo a Dio ma soprattutto al mondo: Guardate ciò che Dio ha fatto. Una sedicente buona creazione, ma in realtà piena di miseria e di disgusto. (…) Egli vuole dimostrare che Dio stesso non è buono, distogliendoci così da Lui. (…) L’accusa contro Dio, oggi consiste soprattutto nel qualificare assolutamente malvagia la Sua Chiesa, per allontanarci da lei. L’idea di una chiesa migliore, creata da noi stessi, è infatti una proposta del diavolo con la quale vuole allontanarci dal Dio vivente, servendosi di una logica ingannevole con la quale ci imbroglia fin troppo facilmente. No, nemmeno oggi la Chiesa è composta solo da cattivi pesci e da cattive erbe. La Chiesa di Dio esiste anche oggi ed è lo strumento stesso con il quale Dio ci salva. E’ molto importante opporre le menzogne e le mezze verità del diavolo alla verità integrale: sì, nella Chiesa ci sono il peccato e il male... Ma anche oggi c’è la Santa Chiesa che è indistruttibile.”
Questo bel passaggio, seppur consolante, non deve nascondere la realtà della crisi provocata da dottrine deleterie diffuse a piene mani da pastori malvagi.

Commento

Un’analisi limitata


La diagnosi di Benedetto XVI è apparentemente severa e lucida, ma rimane sul piano dei sintomi in quanto descrive la malattia per come si manifesta risalendo ad alcune delle sue cause, ma è incapace di identificarne le cause profonde ed autentiche o di nominare la malattia stessa. Ne consegue che egli propone solo delle cure palliative che, come tutti sanno, non fanno che attenuare i sintomi di una malattia senza agire sulla sua causa.
Certo, la rivoluzione ha profondamente segnato la società nella quale viviamo, guastando le coscienze. Ma questa rivoluzione fu concomitante con il Concilio, che si era dato la missione specifica di “scrutare i segni dei tempi” al fine di rispondere alle aspirazioni del mondo. Ciò facendo, la Chiesa si è lanciata in un vortice di riforme che ha travolto sia i fedeli che i pastori.
Allorché il maggio ’68 diceva “facciamo tabula rasa del passato”, il Vaticano II aveva già adottato questo spirito cercando di fare “tabula rasa della tradizione”. Questo spirito è ben presente in numerosi testi del Concilio, come Dignitatis Humanae, Unitatis redintegratio, Gaudium et spes, e nelle diverse dichiarazioni con cui si concluse. Questa rivoluzione si è manifestata in molteplici modi, in particolare nei seminari: la gioventù clericale e religiosa è stata contaminata dall’atmosfera di un mondo materialista, ateo e licenzioso.
Allo stesso modo, la rivoluzione del maggio ’68 affermava che ”è vietato vietare” e la teologia morale vacillante ha ripetuto questo slogan, predicando il relativismo e il rifiuto di regole da parte del magistero.
I sintomi sono quindi patenti. Ma Benedetto XVI rifiuta di individuarne le cause nel Concilio e le sue riforme, in nome dell’interpretazione ambigua di cui fu il cantore: la famosa “ermeneutica di rottura” alla quale contrapponeva un’ “ermeneutica della continuità” per esonerare il Vaticano II e il magistero susseguente da ogni responsabilità.

Delle responsabilità schiaccianti

In questi tempi travagliati, quelli dell’epoca tra il 1960 e i nostri giorni, bisogna affermare che l’autorità non ha agito efficacemente, il che è un segno di debolezza tragica e di complicità. Ma non era “san” Paolo VI che governava la barca di Pietro in quell’epoca? Quel “santo” fu debole o complice su questo punto? Quando un effetto si manifesta con regolarità, esso manifesta una causa. Volerla limitare ad un’ermeneutica è insufficiente. L’induzione deve essere portata a conclusione e bisogna avere il coraggio di risalire ai germi che si trovano nel Concilio, onde evitare il rischio di rinunciare al principio di causalità.
Anche perché le misure adottate per tentare di risolvere il problema manifestano a loro volta questa causa che prospera come un focolaio infetto. Il papa emerito è obbligato a riconoscere l’insufficienza del nuovo Diritto Canonico e la sua incapacità di risolvere i problemi. Ma chi ha promulgato questo Codice? E chi è poi stato obbligato ad escogitare delle soluzioni di soccorso insufficienti? Non fu “san” Giovanni Paolo II?
E da cosa deriva questa insufficienza? Dal principio di libertà moderna, applicato attraverso il personalismo ad ogni legislazione della Chiesa, rendendola inefficace. L’autorità stessa si è legata le mani proclamando di non voler condannare, come attestano i discorsi di Giovanni XXIII all’apertura il Concilio e di Paolo VI alla sua chiusura.
Quanto alla cecità sulla nocività della riforma liturgica, essa è pressoché caricaturale. Il papa emerito afferma le buone intenzioni del Concilio e le sue belle realizzazioni, constatando che il risultato è catastrofico, ma si guarda bene dal giungere alla conclusione che si impone. Il fatto che i vescovi non considerino la Chiesa se non in maniera politica o sociologica la rende incapace di interrogarsi sulla qualità della nuova ecclesiologia veicolata dalla Lumen gentium.
Per questo motivo le sue proposte per un raddrizzamento, malgrado una certa valenza palliativa, saranno incapaci di sradicare la malattia. Come diceva Monsignor Lefebvre, il modernismo è una sorta di aids spirituale diffuso nella Chiesa, che indebolisce l’organismo privandolo delle difese. Coloro che ne vengono colpiti non hanno più le forze necessarie per riconoscere l’aggressore e mettere in atto i mezzi idonei ad eliminarlo. Solo la restaurazione di tutte le cose in Cristo, tramite la fedeltà della Chiesa alla sua tradizione, ai suoi riti sacro-santi, alla sua dottrina rivelata, alla sua morale perfetta e alla sua disciplina plurisecolare, si potrà raddrizzare la barca di Pietro e lavare la nostra Santa Madre dagli affronti che la sfigurano da troppo tempo.
[Traduzione di Carlo Bonfanti]
Fonte: fsspx.news