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Irapuato
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Un Papa radicale-di WALTER KASPER-Osservatore Romano-giovedì 19 febbraio 2015 Papa Francesco va al fondamento delle cose. Egli parte radicalmente, vale a dire comincia dalla radice (radix ), dal vangelo …Altro
Un Papa radicale-di WALTER KASPER-Osservatore Romano-giovedì 19 febbraio 2015

Papa Francesco va al fondamento
delle cose. Egli parte radicalmente,
vale a dire comincia dalla radice
(radix ), dal vangelo. La lettura
spirituale e lo studio della Sacra
Scrittura (Dei Verbum, 21-26), raccomandati
dal concilio Vaticano II, sono per lui di fondamentale
importanza, come mostrano le
sue omelie e i suoi discorsi (Evangelii gaudium
174s.). Per vangelo, però, Francesco
non intende un libro o i quattro libri che noi
indichiamo come i quattro vangeli.
Con “vangelo”, infatti, non si intende originariamente
uno scritto o un libro, ma un
messaggio, più precisamente la consegna di
un messaggio buono e liberante, che cambia
la situazione radicalmente, mette l’uditore a
confronto con una situazione nuova e lo
chiama alla decisione. Nell’Antico Testamento
vangelo è il messaggio dell’imminente liberazione
del popolo di Israele dalla prigionia
babilonese, nel Nuovo Testamento è il
messaggio, specifico di Gesù, dell’avvento
del regno di Dio, il messaggio che Gesù è il
Cristo, il messaggio della sua morte e della
sua risurrezione e del Signore innalzato, efficacemente
presente nella Chiesa e nel mondo
con il suo Spirito, il messaggio della speranza
nella sua venuta definitiva, dell’inizio
e del dono della nuova vita. Ecco, per Francesco
si tratta del vangelo di Dio, nella
Chiesa vitalmente predicato, creduto, celebrato
e vissuto. Per lui è un vangelo della
gioia, nel senso di una sovrabbondante pienezza
di vita che solo Dio, il quale è tutto in
moderno un mio predecessore sulla cattedra
episcopale di Rottenburg, il vescovo Paul-
Wilhelm Keppler (1852-1926), nel libro Mehr
Freude (Più gioia), diffuso in molte edizioni
e traduzioni. La Evangelii gaudium affronta il
problema della Chiesa e del mondo attuale
alla radice. All’urgenza del momento e alla
crisi nella Chiesa essa risponde con il vangelo.
Il vangelo è l’origine, data una volta per
tutte, la base permanente e la fonte continuamente
zampillante di ogni cristiana dottrina
e disciplina morale (Dignitatis humanae,
1501). Solo a partire dal vangelo la fede e la
vita cristiana possono riconquistare la loro
freschezza (Evangelii gaudium, 11). La gioia
del vangelo può suscitare di nuovo gioia di
Scrittura». Il vangelo è parola viva della predicazione.
A questo riguardo, per errori da
tutte le parti e a causa di irretimenti storici,
sfortunatamente si è giunti, nel XVI secolo,
alla spaccatura della cristianità. Il concilio di
Trento (1545-1563), che si è confrontato con
la dottrina della Riforma protestante, non è
stato cieco riguardo all’esigenza evangelica
(intesa nel senso originario).
Già nel primo decreto dogmatico procladando
inizio a un rinnovamento radicale.
Pertanto, egli non si adegua né a uno schema
tradizionalista né a uno progressista.
Con il suo gettare ponti verso le origini egli
è costruttore di ponti (pontefice) verso il futuro.
Il vangelo è un messaggio buono, ma anche
un messaggio di sfida. È un appello alla
conversione e a un nuovo orientamento. In
tal modo esso suscita necessariamente delle
so in evidenza che la fede non è una summa
esteriore di una serie di verità, ma che ogni
affermazione è parte di un tutto articolato
(articulus fidei). Egli sapeva che gli articoli
fondamentali della fede implicano la totalità
del vangelo.
Anche il concilio Vaticano I aveva richiesto
di comprendere la fede in base al nesso
interiore dei misteri e tenendo presente il fine
ultimo dell’uomo (Dignitatis humanae,
3016). Una gerarchia non c’è solo tra le verità,
ma anche tra le virtù. La morale cattolica
non è un catalogo di peccati e di errori. Tutte
le virtù sono al servizio della risposta
d’amore (Evangelii gaudium, 39). Gesù stesso
riassume legge e profeti nel comandamento
principale dell’amore di Dio e del prossimo
(Matteo , 22, 34-40; cfr. 5, 43; Romani, 13, 8-
10; Galati, 5, 14).
Papa Francesco lo indica come il cuore
del vangelo: «In questo nucleo fondamentale
ciò che risplende è la bellezza dell’a m o re
salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo
morto e risorto» (Evangelii gaudium, 36). Da
questo modo di vedere egli trae conseguenze
pratiche per la predicazione. Dice che nella
predicazione non si dovrebbe ridurre la dottrina
ad aspetti secondari, la si deve piuttosto
comprendere dal nesso con il messaggio
di Gesù Cristo, o meglio, a partire dal cuore
del suo messaggio (Evangelii gaudium, 34-39;
246). Solo se si vedono le verità della fede
nella loro intima connessione, le si può di
nuovo far risplendere nella loro bellezza originaria
e in tutta la loro forza di attrazione.
Solo così si può di nuovo diffondere il profumo
del vangelo (Dignitatis humanae, 34;
39). Questo programma kerygmatico richiama
il principio di Lutero «ciò che mette al
centro Cristo (was Christum treibet)» e tuttavia
è da esso anche molto differente. Infatti,
per il concilio e per Papa Francesco non si
tratta di un principio esclusivo, in base al
quale si possono eliminare le cosiddette verità
secondarie o scomode, oppure le si può
liquidare come meno vincolanti. Per Papa
Francesco si tratta di un principio ermeneutico
inclusivo e, appunto, soprattutto di
un’esigenza pastorale della predicazione; con
l’aiuto di tale principio egli vuole comprenra
contrapporre vangelo e dottrina, come ha
fatto la teologia liberale? Naturalmente Papa
Francesco non vuole fare propria questa
concezione liberale. Al contrario, il vangelo
è, come aveva già detto il concilio di Trento,
la fonte da cui sono scaturite le dottrine.
Ciò non è per Francesco soltanto una constatazione
storica. Dalla constatazione storica
consegue piuttosto che si deve interpretare
la dottrina alla luce del vangelo. Papa
Francesco trae questa conseguenza. Egli richiama
di nuovo alla coscienza il principio,
riaffermato dal concilio Vaticano II, della gerarchia
delle verità. In tal modo chiede che
le molte e multiformi verità vadano interpretate
a partire dal loro fondamento e dal loro
centro cristologico (Unitatis redintegratio, 11;
Evangelii gaudium, 36). Questa dottrina non
è nuova. Già Tommaso d’Aquino aveva mesdere
di nuovo il vangelo tutt’intero nella sua
bellezza interiore, e far sì che torni a risplendere
(Evangelii gaudium, 237).
Papa Francesco non vuole rivoluzionare la
fede e la morale, vuole interpretare fede e
morale a partire dal vangelo. Conformemente
al carattere kerygmatico del vangelo, egli
lo fa non in un linguaggio dottrinale astratto,
ma in un linguaggio semplice, e però comunicativo
e dialogico non semplificante,
che interpella le persone e le coinvolge. Così,
egli non rinuncia a nulla quanto a dottrina;
in questo modo può piuttosto dire che la
fede è sempre una sorgente fresca e rinfrescante
(Evangelii gaudium, 11) e una verità
mai fuori moda (Evangelii gaudium, 265).
Egli può convincere i credenti della bellezza
della fede e incoraggiarli a una vita gioiosa
in virtù della fede.
tutto, può donare (Evangelii gaudium, 4s.;
265).
Già i primi paragrafi della Evangelii gaudium
mostrano che la gioia del vangelo non
consiste in primo luogo nel superamento di
un’ingiustizia sociale, per quanto ciò, come
mostrano paragrafi successivi, stia a cuore a
Papa Francesco.
L’approccio va più in profondità. Si tratta
della mancanza di gioia e di slancio, del
vuoto interiore e della solitudine della persona
chiusa in se stessa e del suo cuore comodo
e avaro (Evangelii gaudium, 1s.). Il cuore
chiuso su se stesso (cor incurvatum) è, sia in
Agostino che in Martin Lutero, un noto motivo
per descrivere la situazione dell’uomo
non ancora liberato. A questo si riallaccia
Francesco con il suo discorso sull’a u t o re f e -
renzialità. In definitiva, il suo approccio alla
mancanza di gioia e di entusiasmo risale a
ciò che, dai primi padri del deserto e fino a
Tommaso d’Aquino, è considerato il peccato
radicale e la tentazione originaria dell’e s s e re
umano: l’acedia, l’inerzia del cuore, la forza
di gravità che attira in basso, la pesantezza,
la nausea delle cose spirituali, che porta alla
tristezza di questo mondo (II Corinzi, 7, 10;
cfr. Evangelii gaudium, 1s.; 81).
Questa analisi del tempo presente non è,
in realtà, un insieme di pensieri benintenzionati
e pii, ma poco convincenti. Papa Francesco
non è solo in questo sforzo di analisi.
Analisi analoghe si trovano in molti pensatori
importanti e influenti dell’ultimo secolo.
Già Søren Kierkegaard e poi, in modo diverso,
Romano Guardini hanno parlato della
malinconia, Martin Heidegger dell’angoscia
come stato d’animo di fondo, Jean-Paul Sartre
della nausea dell’uomo d’oggi.
Friedrich Nietzsche ha descritto ironicamente
“l’ultimo uomo”, che si accontenta
della piccola banale felicità, per il quale però
non brilla più alcuna stella: «Che cos’è
l’amore? E la creazione? E il desiderio? Che
cos’è una stella? — così si chiede l’ultimo uomo,
e strizza l’occhio». Lucidamente, sulla
base di molte citazioni e osservazioni, ha
evidenziato la mancanza di gioia dell’uomo
menti di riforma del medioevo. Il più conosciuto
è il movimento evangelico di san
Francesco d’Assisi e di san Domenico. Francesco,
insieme ai suoi fratelli, ha voluto semplicemente
vivere il vangelo sine glossa, senza
togliervi e senza aggiungervi nulla (cfr.
Evangelii gaudium, 271). Da questo movimento
evangelico di allora provengono i due
più importanti teologi del medioevo, Tommaso
d’Aquino (1225-1274) e Bonaventura
(1221-1274).
Nella Summa della teologia di Tommaso
d’Aquino si trova un articolo di sorprendente
originalità sulla nuova legge del vangelo,
a cui Papa Francesco fa riferimento esplicito
nella Evangelii gaudium (nn. 37; 43). In esso
Tommaso sostiene che il vangelo non è una
legge scritta, non un codice di dottrine e
precetti, bensì il dono interiore dello Spirito
Santo, che ci viene dato con la fede e che
opera nell’a m o re .
Solo secondariamente documenti e prescrizioni
fanno parte di esso; essi devono indirizzarci
al dono della grazia o portarla a
vivere, gioia per la creazione,
per la fede e per la Chiesa.
Solo la gioia come dono dello
Spirito Santo (Romani, 14,
17; 15, 13 e seguenti), la gioia
di una «evange…
Irapuato
✍️ Cardinal Kasper: Pope Francis is a ‘radical,’ not a ‘liberal’ Un Papa radicale (L’Osservatore Romano, p. 5)
L’Osservatore Romano has published excerpts from a new book by Cardinal Walter Kasper on Pope Francis.
Pope Francis, writes the retired president of the Pontifical Council for Promoting Christian Unity, is a radical in the sense of emphasizing the roots of the Gospel message and the …Altro
✍️ Cardinal Kasper: Pope Francis is a ‘radical,’ not a ‘liberal’ Un Papa radicale (L’Osservatore Romano, p. 5)
L’Osservatore Romano has published excerpts from a new book by Cardinal Walter Kasper on Pope Francis.
Pope Francis, writes the retired president of the Pontifical Council for Promoting Christian Unity, is a radical in the sense of emphasizing the roots of the Gospel message and the joy it brings. The Pope “does not advocate a liberal position, but a radical position” and is neither “traditionalist nor progressive.”
Citing Nietzsche, Sartre, Heidegger, and other 19th- and 20th-century writings, Cardinal Kasper said that modern man lacks joy. The Gospel message, which brings renewal and joy, is the source from which springs “every Christian doctrine and moral discipline.”
As the Gospel is the wellspring of doctrine, charity is the wellspring of the moral life, Cardinal Kasper continued. The papal emphasis on the roots of the Gospel and charity, however, does not “eliminate the so-called secondary or uncomfortable truth,” nor may such truths be “dismissed as less binding.”
Cardinal Kasper added that the Pope’s emphasis on the centrality of the proclamation of the Gospel message and the life of charity places him inside a “great tradition” that includes, in various ways, St. Augustine, St. Francis and St. Dominic, St. Thomas Aquinas, Martin Luther, and the Second Vatican Council.
www.catholicculture.org/news/headlines/index.cfm