Danilo Quinto
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Articolo - A gloria di coloro che soffrono - Danilo Quinto - Chiesa e Post Concilio - 15 febbraio 2017

“Alcuni poi sono pelagiani: vogliono tornare all’ascesi, fanno penitenze, sembrano soldati pronti a tutto per la difesa della fede e di buoni costumi… e poi scoppia lo scandalo del fondatore o della fondatrice… Noi sappiamo, vero?”.

Il messaggio che papa Francesco dà nel colloquio con i superiori degli ordini religiosi, pubblicato nel numero 4mila de «La Civiltà Cattolica» con la firma del direttore, padre Antonio Spadaro – diffuso anche dal Corriere della Sera dello scorso 9 febbraio - non lascia spazio ad equivoci. Sia rispetto a quello che vuole fare intendere con quella domanda insinuante e subdola – “Noi sappiamo, vero?” – sia rispetto all’ammonimento che dà: non fate credere di essere altro da quello che siete. Altro che penitenze, ascesi, soldati della fede: la vostra vera natura è quella di dare scandalo.

La trascrizione del colloquio è interamente da leggere, perché sono molti i punti che colpiscono, come le battute dette tra il serio e il faceto, del tipo: “Per vivere in pace ci vuole un sano menefreghismo”, parole che corrispondono - come sempre - esattamente a quelle pronunciate da Gesù Cristo: “Vi lascio la pace. Vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi”. Ma le parole con le quali viene liquidata la forma e la sostanza dell’essere cattolici, sono tra le più agghiaccianti che abbia mai letto di questo pontefice.

Ho appena terminato di leggere un libro che parla di un grande santo, Luigi Maria Grignion da Montfort. E’ la sua biografia, scritta in maniera straordinaria da un sacerdote, raffinato e colto, letterato ed editore del ‘900, Don Giuseppe De Luca. Gli fu commissionata dalla Postulazione Generale Monfortana e fu pubblicata nella sua prima edizione nel 1953. La Provvidenza ha voluto che prima di leggere le parole dette dal papa, leggessi questa biografia, che mi è stata donata da un caro amico sacerdote. Ero, quindi, preparato, a comprendere che cosa vuol dire ascesi, penitenza, difesa della fede.

L’ascesi
. “La prima impressione che io ho avuto leggendo per una prima volta una biografia di Luigi” – scrive De Luca – “è stata questa (che fu poi il suo grido e il suo motto): Dio solo (…). Entrava in solitudine, per stare con Dio. Taceva e contemplava Dio; parlava, e insegnava Iddio. I lunghi viaggi a piedi, erano la via per camminare, tranquillo e solo, con Dio. Le pause in romitaggi e chiese, erano come tanti gorghi nitidi, per immergervisi e sprofondarvisi, perdervisi in Dio. Dio era il compagno, era lo sposo, era l’amico, era il padre, era la luce, era il pane, era l’amore, era tutto. Fuor di Dio, nulla. Da tanto possesso di Dio, così continuato e sempre più aumentato e affocato, nasceva in lui la penitenza, la povertà, l’infaticabilità”.

La penitenza. “Tutte le penitenze più pesanti furono le sue: fatiche, le più brutte della casa; cilici, discipline, astinenze, poco sonno. Quando si ammalò a morte, la prima cosa che fece fu svestirsi del cilicio e nasconderlo, perché nessuno, curandolo, dovesse avvedersene”. De Luca cita un altro biografo, Blain: “Egli si dava ogni giorno delle discipline tremende, che atterrivano il suo vicino di stanza (…). Gli altri strumenti di penitenza, fasce, cilici, catenelle, bracciali, erano in proporzione di queste discipline e, benché io non sappia con precisione con qual ordine si succedessero, posso dire che si succedevano continuamente, e che egli non ne toglieva uno se non per sostituirlo con un altro, onde portare continuamente, come dice l’Apostolo, la mortificazione di Gesù sul suo corpo”.

La difesa della fede. “Per tanto amore di Dio, per tanto dominio sopra il ‘corpus peccati’, straripava in lui la carità: una carità che non solamente livella, ma capovolge le stratificazioni sociali. L’uomo non era ai suoi occhi se non ciò che egli stesso era e cioè un amico di Dio: o ciò che egli poteva ogni momento essere e cioè un nemico di Dio. Guardava gli uomini soltanto così, soltanto per questo. Non vedeva leggi, costumanze, convenienze. Irrompeva tra loro con questa sola domanda: ami Iddio? No? E perché non lo ami? Con questo solo grido: tu offendi Iddio? Sì? E perché l’offendi? Per le strade, nelle case, persin nelle case più sudice e nei luoghi più viziati, egli entrava con questa domanda, con questo grido. Non si arrestava innanzi a tormenti e guai che gliene venissero: purchè potesse, così com’era stato chiamato lui, a sua volta chiamare. Come era Gesù per natura, voleva essere lui per grazia e adozione: e cioè la parola del Padre. Gesù non era venuto per altro che a essere questa parola: oh, non poter essere altro, anche lui”.

Quali spazi si aprono per le nostre povere anime leggendo queste parole. I tre secoli che ci separano da Luigi Maria Grignion da Monfort, che visse tra il 1673 e il 1716, ci hanno portato, per Grazia di Dio, tanti altri santi che hanno praticato l’ascesi, la penitenza e che sono stati soldati della fede. Aggrappiamoci a loro, allora e ai tanti santi che ci sono certamente oggi, che vivono nel nascondimento e nel silenzio, spesso perseguitati - Noi sappiamo, vero? - espiando su questa terra, in nome e a gloria del Sacrificio di Nostro Signore Gesù Cristo e condividendo la Sua Croce, i peccati che derivano dagli scandali che provocano altri.

Danilo Quinto - Chiesa e Post Concilio - 15 febbraio 2017 - Roma (Italia)

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