Napoli, nel complesso della Corporazione dell'Arte della Seta

A Spaccanapoli la visita alla chiesa barocca dei Santi Filippo e Giacomo riserva molte sorprese, tra storia, arte e archeologia.

testi e fotografie di Gianluca Baronchelli

L’antica sacrestia del complesso dell’Arte della Seta

Devi attraversare Spaccanapoli, per raggiungere la chiesa dei Santi Filippo e Giacomo. Devi attraversarne il traffico, il brulicare di persone, profumi, botteghe e mestieri che si perdono nel tempo.

Come nel tempo si perdono le storie dell’antica Corporazione dell’Arte della Seta. Siamo in via San Biagio dei Librai, sul decumano inferiore, una delle strade più importanti di Napoli, adesso come allora.

La Corporazione decide, a fine Cinquecento, di spostare qui l’antico conservatorio che aveva a piazza Mercato: prima acquista il palazzo del principe di Caserta d’Acquaviva, che si trova alle spalle dell’odierna chiesa, e lì fonda il conservatorio con una piccola cappella. Successivamente acquista uno dei palazzi dei duchi Spinelli di Castrovillari, di fronte, dunque può abbattere la piccola cappella e costruire la chiesa grande, dedicata ai Santi Filippo e Giacomo e inaugurata nel 1641.

Oggi la chiesa, la sacrestia, la cripta e i resti archeologici di recentissima scoperta sono visitabili grazie al lavoro e all’entusiasmo dell’associazione culturale "Respiriamo Arte", intuizione di cinque giovani napoletani doc, tra i quali Massimo Faella, presidente dell’associazione, laureato in Storia dell’Arte e specializzato in management del Patrimonio Culturale.

Nella foto: La facciata della chiesa dei Santi Filippo e Giacomo con le statue di Giuseppe Sanmartino, autore del celeberrimo Cristo velato

La Corporazione di Napoli nasce ufficialmente nel 1477, col nome di Consolato dell’Arte della Seta; è retta da tre consoli, due mercanti e un tessitore.

Napoli sarà una delle grandi città della seta dal 1580 al 1630, gli anni d’oro grazie all’accordo della Concordia, attraverso il quale si decise che tutta la seta grezza prodotta nel Regno di Napoli sarebbe passata esclusivamente per il consolato napoletano. La seta grezza era, all’epoca, uno dei vanti del Regno, con numerosissimi allevamenti di bachi e coltivazioni di gelsi: la Calabria era una delle regioni più ricche e produttive da questo punto di vista, mentre i tre fili più pregiati erano quelli di Napoli, Amalfi e Reggio Calabria

La sacrestia conserva ancora uno dei tre troni dei consoli dell’Arte della Seta, straordinario pezzo del 1700, dorato, pregevolissimo dal punto di vista della tarsia lignea.
Lo stemma della corporazione, intagliato alla sommità del trono, riporta tre matassine: potrebbero rappresentare i tre consoli, così come i tre fili più pregiati, con un vanto preciso per la seta grezza più che per quella lavorata

l vecchio altare maggiore

Il vecchio altare maggiore, dedicato ai Santi Filippo e Giacomo, oggi conservato nella sacrestia, si trovava in chiesa fino al 1757. Fu commissionato a Marco Antonio Tibaldi, maestro intagliatore e mobiliere del Settecento, forse su disegno di Domenico Antonio Vaccaro. Quello che ha di unico è la prospettiva: non va in profondità ma corre ai lati, prende l’occhio del visitatore e lo abbraccia, accompagnandolo in una sorta di 3D ante litteram. Purtroppo saccheggi e ruberie, anche in epoca recente, non ce lo restituiscono nella sua interezza.


I Santi Filippo e Giacomo

San Filippo, rappresentato con in mano una croce, e San Giacomo con il bastone, sono ripresi anche sull’antico armadio dei paramenti sacri: posa e gestualità ricordano molto da vicino le due statue della facciata, opera di Giuseppe Sanmartino, l’autore del Cristo Velato. Sorride, Massimo Faella, dicendo che sono gratuite, senza code, ma la gente ci passa davanti quasi senza notarle…

L’interno della chiesa dei Santi Filippo e Giacomo

L’impianto della chiesa è secentesco, con successivi rifacimenti settecenteschi: dal 1731 al 1739 circa partono i lavori di restauro, che arrivano fino al 1759. Ci lavoreranno tutti i più grandi artisti del Settecento, affrescatori, ma anche marmorari, come la famiglia dei Massotti: Giacomo Massotti lavora alla balaustrata, all’altare maggiore, posizionato nel 1757, e alle acquasantiere.


Le volte e il soffitto affrescato

I lavori si concludono con i delicati affreschi di Jacopo Cestaro sul soffitto e sulla volta dove ci sono le storie della Vergine e dei Santi Filippo e Giacomo, ai quali la chiesa è intitolata.

Un dettaglio del ricco pavimento

Napoli ritorna a essere la capitale di un regno autonomo con i Borbone, dopo quasi duecento anni di Viceregno spagnolo e quasi un trentennio di dominazione austriaca.
Il giglio dei Borbone è ripreso anche sullo splendido pavimento in cotto maiolicato, fiore all’occhiello della chiesa. Non è una semplice commissione, ma un vero e proprio progetto di vestizione della chiesa della Corporazione della Seta, un paramento sacro a tutti gli effetti, con le più belle decorazioni in voga nel Settecento napoletano: fronde di limoni, grappoli d’uva e tant’altro

L’area archeologica

Sotto il cortile interno della chiesa dei Santi Filippo e Giacomo sono emersi dei resti archeologici, su due altezze differenti, costituiti da tre ambienti divisi nel corso dei secoli dalle nuove fondamenta dei palazzi. A un primo livello i resti si identificano con la pavimentazione a spina di pesce, in mattoncini di cotto, dell’antico cortile del palazzo medievale poi del duca Spinelli di Castrovillari. Di epoca medievale anche la base della cisterna del pozzo del cortile e altre tipologie di reperti, che quasi certamente abbellivano il cortile stesso.

La domus romana

La pavimentazione poggia su resti di epoca romana costituiti da un pregevole opus reticolatum, da parti di pavimentazione e da una scalinata in ottimo stato di conservazione. Nel secondo ambiente continua la scalinata, mentre l’ultimo ambiente reca testimonianze di epoca augustea. Tutto il palazzo è edificato sui resti di una domus romana, e la presenza di scale testimonia l’andamento orografico di questa zona di Napoli; ancora oggi il quartiere è chiamato Pendino, proprio per il suo declinare verso il mare.

La cripta dell’Arte della Seta

Uno dei compiti della corporazione era quello di assicurare l’assistenza sociale: medico gratuito per tutti i corporati, dote di maritaggio per le ragazze e degna sepoltura per coloro i quali non potevano permetterselo.
Le figliole povere della seta, cioè le figlie di mercanti, tintori, tessitori, incannatori e filatori, venivano portate dai 4 ai 14 anni nel conservatorio e ricevevano una dote che poteva variare dai 18 ai 50 ducati – intuizione strategica soprattutto dal punto di vista sociale - che sarebbe poi servita per il matrimonio. Qui, le ragazze imparavano un mestiere, e la seta veniva poi venduta su commissione attraverso la corporazione.

Nessuno veniva abbandonato, nemmeno dopo la morte: con emozione, è possibile visitare la cripta secentesca ricavata sotto l’altare maggiore, con un piccolo altare sotterraneo posizionato esattamente in corrispondenza di quello superiore. Qui, nel silenzio più assoluto, riposano ancora migliaia di maestri e lavoranti, indissolubilmente legati al luogo dove vissero ed esercitarono la professione.
Questa vicinanza, a pochi metri, tra i vivi e i morti, ha scandalizzato a lungo soprattutto i medici del Settecento, convinti che l’aria malsana che saliva dalla cripta avrebbe infettato i fedeli raccolti proprio lì sopra, per la messa.

Un luogo intimo, nascosto, carico di pathos e tranquillità, ove fermarsi un attimo prima di rituffarsi in una città viva, pulsante, con mille anime e mille storie da raccontare.

www.nationalgeographic.it/…/1
Marziale
"Questa vicinanza, a pochi metri, tra i vivi e i morti, ha scandalizzato a lungo soprattutto i medici del Settecento"
Oggi sembra una barzelletta ma 150 anni fa venivano a studiare a Napoli medici di tutta Europa .
Marziale