it.news
902

La Chiesa e le esequie degli acattolici

Da La Civiltà Cattolica del 21 febbraio 1901 riprendiamo alcuni saggi di un interessantissimo articolo su un argomento di grande attualità: il comportamento di un cattolico davanti alla morte di un sovrano acattolico.

Dove mirano i naturalisti e i razionalisti, là riescono nelle cose morali e civili i partigiani del liberalismo, poiché applicano a’ costumi e alla vita i principii posti da quelli. E ciò non soltanto nel campo politico, ma sventuratamente eziandio nel campo religioso, dove, fra le altre cose, pongono ogni loro opera pel trionfo di quella male intesa libertà, tanto contraria alla virtù delle religione, che chiamano libertà di coscienza ed è in realtà licenza religiosa.

Questa, nessuno lo ignora, è stata ed è madre feconda di gravissimi mali alla Chiesa e alle anime, anzitutto per ragione de’ concetti ch’essa dimentica e snatura e che riguardano i primi e fondamentali doveri, che stringono l’uomo a Dio come a suo assoluto padrone, padre previdentissimo ed ultimo fine, e poi anche per ragione dell’indifferentismo religioso, ch’essa naturalmente genera ed alimenta in tutte le classi dell’umana famiglia.

A lei si deve se molti oggi parlano di religione come di cosa affatto indifferente, e lasciano all’uomo piena facoltà di professare qualsiasi religione ed anco di non professarne alcuna. A lei pure si deve l’assurda teorica del rispetto dovuto a tutte le religioni come giuridicamente eguali, quasi che gli stessi fossero o potessero essere i diritti della verità e dell’errore.

A lei parimenti si deve se anche alcuni cattolici pretendono che la Chiesa, allentata l’antica severità, accondiscenda a tralasciare o temperare alcuni capi di dottrina e di disciplina che non piacciono a’ dissidenti; vanno perciò predicando che non basta il non disperare, ma che si debba sperar bene della salute di tutti, anche di coloro che vivono e muoiono fuori della Chiesa Cattolica; anzi che si debba o certamente si possa onorar costoro con gli stessi riti e coi suffragi, coi quali la Chiesa onora i fedeli suoi figli.

Tolga Iddio che noi osiamo por termini alla misericordia divina che è infinita, o che vogliamo scrutare gli arcani consigli di Dio che sono impenetrabili ad umano pensiero. Conoscendo però e ritenendo fermamente esser domma della nostra santa fede che la Chiesa cattolica, apostolica, romana è l’unica arca di salvezza, nella quale chiunque non sia entrato perirà nel diluvio, non possiamo astenerci dal condannare le suaccennate teorie e dal deplorare altresì il linguaggio troppo laudativo, che tengono alcuni giornali cattolici nel tessere la necrologia di coloro che, estranei, e spesso anche ostili, alla vera Chiesa, apertamente professarono una fede diversa dalla cattolica.

Con questo non neghiamo doversi pure tener certo che quei che sono in buona fede e che ignorano la vera religione, quando la loro ignoranza sia invincibile, non in ciò in veruna colpa agli occhi del Signore.

Ma chi si arrogherà di poter determinare i limiti di codesta ignoranza secondo l’indole e la varietà delle persone, degli ingegni e di tante altre cose? Quando sciolti da’ lacci corporei vedremo Dio qual è, intenderemo certamente lo stretto e bel vincolo che collega la misericordia e la giustizia divina; per ora ci beasti adorarne i giudizii e tener con fermo assenso, secondo la dottrina cattolica più volte inculcata da’ Sommi Pontefici [1], che siccome non v’ha che un solo Dio, una sola fede, un solo battesimo, così non v’ha che una sola via e una sola guida, la quale conduce l’uomo a salvamento: la via è Cristo, la guida è la Chiesa, da lui medesimo costituita sola depositaria di tutti i mezzi dell’umana salute.

Nella bellissima sentenza di Leone XIII, si afferma che Via homini Christus, via item Ecclesia [2]. Quegli da sé e di sua natura, questa per ufficio commesso e per comunicazione di poteri. Quindi chiunque presume di venire a salvamento, pur vivendo e morendo separato dalla Chiesa, la sua traccia è fuori di strada e corre indarno.

Delle quali verità si può raccogliere una chiara conferma dalla disciplina della Chiesa, dalla quale s’interdice a tutti i suoi figli ogni communicatio in divinis con gli eterodossi [3], ed in nessun modo si consente che loro si facciano le esequie cattoliche o che il loro cadavere sia tumulato in terra da lei benedetta.

L’ignoranza di queste verità e della pur ora accennata costante disciplina della Chiesa, sebbene non possa mai giustificare, può tuttavia in qualche modo spiegare l’arrogante condotta di certi scrittori, i quali hanno censurato il Cardinale Vaughan e gli altri Vescovi inglesi
[4] ed anche qualche Vescovo italiano [5], perché nella morte della protestante Regina Vittoria d’Inghilterra non consentirono di onorarne la memoria e di suffragarne l’anima con una solenne Messa da Requiem e con altre cerimonie proprie del Rituale cattolico

Questi riti non sono semplici onoranze civili ed esterne che i sopravviventi tributano al defunto, ma sono formalmente un atto di religione e la stessa preghiera che la Chiesa cattolica offre pe’ suoi figli, affinché sieno ricevuti nella pace eterna de’ giusti. Invocare dunque diritti su questa solenne preghiera per chi morì separato dalla comunità de’ fedeli, o anche solo pretendere che, per ragioni di umana politica o di mal inteso patriottismo, si conceda a’ cattolici il privilegio di onorare con le esequie cattoliche il sovrano o la sovrana che volontariamente e pubblicamente visse e morì protestante, sarebbe una profanazione, un controsenso, un voler mettere sulla labbra della Chiesa parole e formole che in tale caso sarebbero mendaci e frodolente.

La Chiesa infatti, nel più solenne atto del suo ministero, proclamerebbe figliuolo a sé sottomesso chi si rifiutò sempre o certamente non consentì giammai di riconoscercela per sua madre … Si aggiunga che negando i protestanti tutti quei dommi su cui si fondano i suffragi liturgici de’ cattolici, e rigettando espressamente la reale e sostanziale presenza di Gesù Cristo nella Eucaristia, il Sacerdozio propriamente detto e il Sacrificio dell’altare non può neppur presumersi che abbiano mai desiderato quei suffragi …

Per questi ragioni adunque e per altre ancora che il lettore troverà accennate ne’ documenti che qui sotto citeremo, il protestante e chiunque egli sia, re e regina, ricco o povero, il quale visse e morì separato dalla Chiesa cattolica, non può accomunarsi nelle cose sacre co’ fedeli cattolici; non può dunque dalla Chiesa cattolica essere accolto dopo morte, né riposare in terra benedetta, né ricevere i suffragi liturgici con la celebrazione de’ santi misteri [6] e la recita delle preci sul suo cadavere o in sua memoria.

Tale è stata sempre ab antico e ne’ primi tempi cristiani ed è tuttora l’universale ed invariabile disciplina della Chiesa.


Così espressamente sancirono il Concilio di Laodicea (canoni 32-34 e 37), il Concilio Bracarense (II, can. 16), i Canoni apostolici (11 e 45), le Costituzioni apostoliche (VI, 13, 18) [7]. Così parimente definì Innocenzo III, appellandosi a’ sacri canoni già stabiliti nella Chiesa: Sacris canonibus, scriv’egli, institutum est, ut quibus non communicavimus vivis, non communicemus defunctis [8].

Ecco un saggio di questi antichi canoni: Fideles devitent haereticos, neve cum eis vel in sermone vel in precibus habeant communionem [9]. Clerici non exhibeant haereticis ecclesiastica sacramenta, nec eos christianae praesumant tradere sepulturae [10]. Si quis Episcopus aut Abbas presbytero vel monacho iusserit missas pro haereticis cantare, non licet. Non enim expedit obedire [11].

Già nell’anno 842 i vescovi radunati in Costantinopoli rifiutarono le esequie cattoliche al morto imperatore Teofilo, finché la vedova di lui non ebbe affermato con giuramento il suo ritorno alla Chiesa prima della morte [12].

La stretta osservanza di questa legge è stata più volte inculcata, anche ne’ tempi a noi più vicini. Per la parità del caso, gioverà ricordare due documenti di Gregorio XVI che riguardano le esequie di Carolina, regina protestante di Baviera.

In una lettera del 9 luglio 1842 il Papa dichiara all’Abate Ruperto Feis di Scheyern non potersi celebrare solennemente il santo sacrificio per la defunta regina, né anco nell’intenzione generica pro defunctis e catholica regia familia universis perché, dic’egli, ciò potrebbe avere l’apparenza che si rendessero da’ cattolici solenni esequie ad una protestante: il che sarebbe contrario all’antichissima tradizione ecclesiastica … Il Vescovo di Augusta, nelle esequie della medesima regina, non fece già cantare una solenne Messa da Requiem; fece però cantare pubblicamente un Libera per la defunta.

Anche questo viene risolutamente biasimato da Gregorio XVI per ragione dell’indifferentismo a cui poteva dare occasione.

Nella lettera del 13 febbraio 1842, diretta al detto Vescovo, il Papa così scrive: “… veteri ac nova Ecclesiae disciplina interdictum est, ne homines in externa notoriaque haeresum professione defunctis, catholicis ritibus honorentura” [13] …

E tutto questo risponde esattamente alla giurisprudenza invariabilmente seguita dalla Suprema Congregazione romana del Sant’Ufficio. Senza nessuna eccezione, a tutti i dubbi a lei proposti sull’argomento dell’esequie degli eterodossi, ella rispose: Non licere
Interrogata la S. Congregazione sulla condotta che dovessero tenere i cattolici nel caso della morte di un certo sovrano protestante, essa con decreto del giorno 8 giugno 1898 rispose, dando le seguenti istruzioni:

“Coerentemente alla dottrina e prassi della cattolica Chiesa, la partecipazione alle cerimonie esterne ed alla solennità de’ funerali di N. N. (sovrano acattolico) dovrà limitarsi a quegli atti di civile ossequio, che, nelle circostanze del caso, l’Ordinario del luogo può ritenere indispensabili per la deferenza dovuta al Principe e al Governo, senza offendere il sentimento cattolico del paese ed esclusa la partecipazione di carattere rituale e religioso“.


Nel giugno dell’anno scorso 1900, essendo stata ripetuta la medesima domanda e proposto il dubbio se si potesse celebrare una Messa da Requiem senza nominare la persona defunta, la S. Congregazione rispose in data di Feria IV, 1 agosto 1900: Detur decretum diei 8 iunii 1898

Con data del 30 gennaio 1901, fu risposto ad un altro Vescovo, il quale interrogò la Santa Sede se si potesse celebrare un funerale per la defunta Regina d’Inghilterra dalla colonia inglese residente nella sua città vescovile. La risposta categorica fu la seguente: Quoad funeralia, negative

Questi fatti e queste verità si hanno da imprimere altissimamente negli animi de’ fedeli, non solo perché rendano grazie a Dio d’essere cattolici e compiangano come una immensa sventura la condizione degli eterodossi e di quanti vivono fuori dell’Ovile di Cristo; ma eziandio perché non vengano guasti dalle false dottrine che mirano a fomentare quell’indifferenza religiosa sopra deplorata, la quale purtroppo s’è insinuata e va tuttodì guadagnando proseliti anche tra i cattolici predicanti impudentemente la tolleranza male intesa.

Buona è la carità verso gl’infedeli, i giudei, i maomettani, e molto più verso i cristiani dissidenti ma battezzati, come gli scismatici e i protestanti di tutte le chiese e chiesuole innumerabili. Bisogna amarli e desiderare loro il vero bene, specie dell’anima e della salute eterna; anche il beneficarli caritatevolmente è virtù cristiana secondo il Vangelo di Gesù Cristo. Tutto ciò però senza detrarre alcunché dalla dottrina ricevuta dalla Chiesa e conformandosi interamente alla disciplina da lei stabilita.

Chi operasse altrimenti, anziché giovare o ricondurre alla Chiesa i dissidenti, cercherebbe piuttosto di strappare dalla Chiesa i cattolici e confermerebbe gli acattolici ne’ loro errori.

[1] Nell’Allocuzione del 9 dicembre 1954 e nell’Enciclica Quanta cura dell’8 dicembre 1864 di Pio IX, e nelle Encicliche Immortale Dei del 1° novembre 1855 e Libertas del 20 giugno 1888 di Leone XIII.
[2] Nell’Enciclica De Iesu Christo Redemptore del 1° novembre 1900.
[3] Cf. Benedetto XIV, De Synodo Dioecesana, lib. VI, c. 5, dove cita e spiega il canone costanziense Ad evitanda, approvato da Martino V.
[4] Nel Times di Londra del 5, 6, 7 e seguenti giorni di febbraio e nel Tablet, anch’esso di Londa, del 9 febbraio, pp. 206, 216.
[5] La Tribuna del 7 febbraio accusò l’Ecc.mo Arcivescovo di Brindisi di intransigenza per aver negato il permesso di celebrare nella sua Cattedrale le esequie della Regina Vittoria.
[6] Ciò si intende della pubblica celebrazione ed applicazione della santa messa che si fa in nomine Ecclesiae. Quanto poi alla celebrazione ed applicazione privata che il sacerdote facesse nomine proprio, teniamo col GENICOT (Theol. mora. Instit. vol. II, n. 221): “Probabile esse licite celebrari Missam privatam, et absque publica denuntiatione, pro heterodoxo qui cum indiciis vere probabilibus bonae fidei et status gratiae obierit. In quo casu tamen abstinendum esset a speciali oratione liturgica pro hoc defunto recitanda, quali in Missa pro die obitus reperitur: id enim pertinet ad publicam communicationem“. Si oppone qui che l’eterodosso non sia morto in manifesta haeresi; poiché in questo caso, Missam proo eo offerre non licet, etiamsi applicatio nota sit sacerdoti tantum et illi qui dat eleemosynam. Così dichiarò il Sant’Ufficio il 7 aprile 1875. Su questo argomento potrà consultarsi il LEHMKUHL (Theol. mor, vol. II, n. 176); BUCCERONI (Theol. mor. vol. 2, n. 610):
[7] Cf. MAAS, l. c. col. 1128; FERRARIS, Bibliotheca canonica, etc. Vol, 7, Roma, 1891, pp. 164 e seg.
[8] C. 12 de sepultura X (3, 28).
[9] Cf. MIGNE, P.G., tom. I, col. 959.
[10] C. 13, 5 de haereticis.
[11] Can. 91, causa. 11. qu. 3.
[12 DOELLINGER, Pficht und Recht der Kirche gegen Verstorbene eines fremden Bekenntnisses, Freiburg 1852, p. 12 ss. L’indicazione è del MAAS, I. c.
[13] BUCCERONI, Supplementum F. Lucii Ferraris promptae Bibliotechae, Romae 1899, pag. 149; THALHOFER, Handbuch der katholischen Liturgik, vol. 2, p. 22.

fonte immagine beweb.chiesacattolica.it