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Santa Giuseppina Bakhita il 8 febbraio. beatricefrance S. Giuseppina Bakhita SCHIAVA POI SUORA (1869-1947) Festa: Il 8 Febbraio Santa Giuseppina Bakhita Vergine dell'Istituto delle Figlie della carità …Altro
Santa Giuseppina Bakhita il 8 febbraio.

beatricefrance S. Giuseppina Bakhita SCHIAVA POI SUORA (1869-1947)

Festa: Il 8 Febbraio

Santa Giuseppina Bakhita
Vergine dell'Istituto delle Figlie della carità Canossiane

Giuseppina M. Bakhita nasce nel Sudan nel 1869 e morì a Schio (Vicenza) nel 1947.

Fiore africano, che conobbe le angosce del rapimento e della schiavitù, si aprì mirabilmente alla grazia in Italia, accanto alle Figlie di S. Maddalena di Canossa.

A Schio (Vicenza), dove visse per molti anni, tutti la chiamano ancora «la nostra Madre Moretta».
Il processo per la causa di Canonizzazione iniziò dodici anni dopo la sua morte e il 1 dicembre 1978 la Chiesa emanò il decreto sull'eroicità delle sue virtù.

La divina Provvidenza che «ha cura dei fiori del campo e degli uccelli dell'aria», ha guidato questa schiava sudanese, attraverso innumerevoli e indicibili sofferenze, alla libertà umana e a quella della fede, fino alla consacrazione di tutta la propria vita a Dio per l'avvento del regno.

Bakhita non è il nome ricevuto dai genitori alla sua nascita. La terribile esperienza le aveva fatto dimenticare anche il suo nome.
Bakhita, che significa «fortunata», è il nome datole dai suoi rapitori.
Venduta e rivenduta più volte sui mercati di El Obeid e di Khartoum conobbe le umiliazioni, le sofferenze fisiche e morali della schiavitù.

Nella capitale del Sudan, Bakhita venne comperata da un Console italiano, il signor Callisto Legnani. Per la prima volta dal giorno del suo rapimento si accorse, con piacevole sorpresa, che nessuno, nel darle comandi, usava più lo staffile; anzi la si trattava con maniere affabili e cordiali. Nella casa del Console, Bakhita conobbe la serenità, l'affetto e momenti di gioia, anche se sempre velati dalla nostalgia di una famiglia propria, perduta forse, per sempre.
Situazioni politiche costrinsero il Console a partire per l'Italia. Bakhita chiese ed ottenne di partire con lui e con un suo amico, un certo signor Augusto Michieli.

Giunti a Genova, il Signor Legnani, su insistente richiesta della moglie del Michieli, accettò che Bakhita rimanesse con loro. Ella seguì la nuova «famiglia» nell'abitazione di Zianigo (frazione di Mirano Veneto) e, quando nacque la figlia Mimmina, Bakhita ne divenne la bambinaia e l'amica.
L'acquisto e la gestione di un grande hotel a Suakin, sul Mar Rosso, costrinsero la signora Michieli a trasferirsi in quella località per aiutare il marito. Nel frattempo, dietro avviso del loro amministratore, Illuminato Checchini, Mimmina e Bakhita vennero affidate alle Suore Canossiane dell'Istituto dei Catecumeni di Venezia. Ed è qui che Bakhita chiese ed ottenne di conoscere quel Dio che fin da bambina «sentiva in cuore senza sapere chi fosse».
«Vedendo il sole, la luna e le stelle, dicevo tra me: Chi è mai il Padrone di queste belle cose? E provavo una voglia grande di vederlo, di conoscerlo e di prestargli omaggio».

Dopo alcuni mesi di catecumenato Bakhita ricevette i Sacramenti dell'Iniziazione cristiana e quindi il nome nuovo di Giuseppina. Era il 9 gennaio 1890. Quel giorno non sapeva come esprimere la sua gioia. I suoi occhi grandi ed espressivi sfavillavano, rivelando un'intensa commozione. In seguito la si vide spesso baciare il fonte battesimale e dire: «Qui sono diventata figlia di Dio!».
Ogni giorno nuovo la rendeva sempre più consapevole di come quel Dio, che ora conosceva ed amava, l'aveva condotta a sé per vie misteriose, tenendola per mano.
Quando la signora Michieli ritornò dall'Africa per riprendersi la figlia e Bakhita, quest'ultima, con decisione e coraggio insoliti, manifestò la sua volontà di rimanere con le Madri Canossiane e servire quel Dio che le aveva dato tante prove del suo amore.
La giovane africana, ormai maggiorenne, godeva della libertà di azione che la legge italiana le assicurava.

Bakhita rimase nel catecumenato ove si chiarì in lei la chiamata a farsi religiosa, a donare tutta se stessa al Signore nell'Istituto di S. Maddalena di Canossa.
L'8 dicembre 1896 Giuseppina Bakhita si consacrava per sempre al suo Dio che lei chiamava, con espressione dolce, «el me Paron».
Per oltre cinquant'anni questa umile Figlia della Carità, vera testimone dell'amore di Dio, visse prestandosi in diverse occupazioni nella casa di Schio: fu infatti cuciniera, guardarobiera, ricamatrice, portinaia.
Quando si dedicò a quest'ultimo servizio, le sue mani si posavano dolci e carezzevoli sulle teste dei bambini che ogni giorno frequentavano le scuole dell'Istituto. La sua voce amabile, che aveva l'inflessione delle nenie e dei canti della sua terra, giungeva gradita ai piccoli, confortevole ai poveri e ai sofferenti, incoraggiante a quanti bussavano alla porta dell'Istituto.

La sua umiltà, la sua semplicità ed il suo costante sorriso conquistarono il cuore di tutti i cittadini scledensi. Le consorelle la stimavano per la sua dolcezza inalterabile, la sua squisita bontà e il suo profondo desiderio di far conoscere il Signore.
«Siate buoni, amate il Signore, pregate per quelli che non lo conoscono. Sapeste che grande grazia è conoscere Dio!».
Venne la vecchiaia, venne la malattia lunga e dolorosa, ma M. Bakhita continuò ad offrire testimonianza di fede, di bontà e di speranza cristiana. A chi la visitava e le chiedeva come stesse, rispondeva sorridendo: «Come vol el Paron».

Nell'agonia rivisse i terribili giorni della sua schiavitù e più volte supplicò l'infermiera che l'assisteva: «Mi allarghi le catene...pesano!».
Fu Maria Santissima a liberarla da ogni pena. Le sue ultime parole furono: «La Madonna! La Madonna!», mentre il suo ultimo sorriso testimoniava l'incontro con la Madre del Signore.
M. Bakhita si spense l'8 febbraio 1947 nella casa di Schio, circondata dalla comunità in pianto e in preghiera. Una folla si riversò ben presto nella casa dell'Istituto per vedere un'ultima volta la sua «Santa Madre Moretta» e chiederne la protezione dal cielo. La fama di santità si è ormai diffusa in tutti i continenti.

Il processo di canonizzazione iniziò nel 1959, a soli 12 anni dalla morte.
Il 1° dicembre 1978 San Giovanni Paolo II (Karol Józef Wojtyła, 1978-2005) firmò il decreto dell'eroicità delle virtù della Serva di Dio Giuseppina Bakhita.
Durante lo stesso pontificato, Giuseppina Bakhita fu beatificata il 17 maggio 1992 e canonizzata il 1° ottobre 2000.
Irapuato
✍️ Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 6,30-34.
In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato.
Ed egli disse loro: «Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un pò». Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare.
Allora partirono sulla barca verso un luogo …Altro
✍️ Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 6,30-34.
In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato.
Ed egli disse loro: «Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un pò». Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare.
Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte.
Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero.
Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

Traduzione liturgica della Bibbia

Sant'Antonio di Padova (ca 1195 – 1231)

francescano, dottore della Chiesa
Discorso per la festa di San Giovanni evangelista

"Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un pò" (Mc 6,31)
Se vuoi venire da me e trovarmi, seguimi, cercami. Marco dice infatti: "Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un pò. Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare". (Mc 6,31) Ahimé! Le passioni della carne, il tumulto dei pensieri che vanno e vengono nel cuore sono tali che non abbiamo il tempo di mangiare il cibo della dolcezza eterna; di assaporare la contemplazione interiore. Perciò il Maestro dice: "Venite in disparte" dalla folla rumorosa; "in un luogo deserto", nella solitudine dello spirito e del cuore, "e riposatevi un po'". Veramente un pochino, poiché, dice l'Apocalisse: "Si fece silenzio in cielo per circa mezz'ora" (Ap 8,1); e nel salmo: "Chi mi darà ali come di colomba, per volare e trovare riposo?" (55,7) Ma ascoltiamo quanto dice il profeta Osea: "Perciò, ecco, l'allatterò*, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore" (cfr Os 2,16 Vg). Le tre espressioni: allattare, condurre nel deserto, parlare al suo cuore, designano le tre tappe della vita spirituale: l'inizio, il progresso, la perfezione. Il Signore allatta colui che inizia quando lo illumina con la grazia, affinché cresca e progredisca nelle virtù. Lo conduce poi fuori della vacuità dei vizi e del disordine dei pensieri, nel riposo dello spirito; infine, una volta condotto alla perfezione, gli parla al cuore. L'anima prova allora la dolcezza dell'ispirazione divina e può darsi totalmente alla gioia dello spirito. Che profondità di devozione, di meraviglia e di felicità nel cuore! Con la devozione si eleva al di sopra di se stesso, con la meraviglia è condotto al di sopra di se stesso, con la felicità è trasportato fuori di se stesso.