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Non solo gli ebrei ma anche i pagani aspettavano Cristo. Tracce da Tacito a Svetonio, fino a Virgilio e alle Sibille

Volentieri offriamo ai lettori, in relazione all’aspettazione messianica presso i pagani qualche estratto dei capp. 21-22 del capolavoro Breve Apologia del Cristianesimo. Contro gli increduli dei nostri giorni.

L’eco dei vaticini messianici si diffuse pure nel mondo pagano assai prima della venuta di Cristo.

Solo dobbiamo qui distinguere un doppio filo conduttore dell’idea messianica presso i Gentili: quello che la deriva dalla primitiva rivelazione tradizionalmente trasmessa alle susseguenti generazioni e quello che la deriva dalle successive rivelazioni fatte al popolo Ebreo.

Nel primo caso l’idea messianica si presenta per lo più avvolta nel mito e nella favola, per le gravi alterazioni a cui soggiacque la primitiva rivelazione.

In fondo però della mitologia pagana si sente sempre l’eco del pensiero religioso dei primi secoli. È classico a questo proposito il mito di Prometeo come ci viene descritto in Eschilo.

Nel secondo caso invece l’idea messianica si presenta assai più chiara e determinata, quale ci vien data appunto dalle nuove rivelazioni fatte al popolo Ebreo[i].

Le conquiste di Alessandro Magno

Ora tre grandi avvenimenti hanno concorso a diffondere l’idea ebraico-messianica presso i popoli gentili: le conquiste di Alessandro Magno – la diaspora o dispersione del popolo Ebreo in tutte le parti del mondo – la traduzione in greco dei libri dell’A. Testamento.

Riguardo al primo avvenimento, scrive il P. Rinieri, che «con la conquista di Alessandro Magno l’ellenismo occupò, si può dire, il mondo intellettuale di tutto l’Oriente.

Forse nessuna impresa umana, se si toglie la conquista delle Americhe, fu così feconda di risultati morali, religiosi e politici, come la campagna del grande macedone […].

L’unificazione dell’Oriente con l’Occidente fu l’effetto meraviglioso della sua conquista. Il grande movimento delle idee spinse l’ondata dell’Ellenismo in tutto l’Oriente: filosofia, lettere, arti avanzarono il progresso della civilizzazione e formarono la prima vasta piattaforma sulla quale si sparse il messianesimo, mediante la diaspora prima e poi la versione dei Settanta»[ii].

La diaspora

Fin dalla schiavitù assira e babilonese e specialmente dopo e lotte dei Diadochi, che scoppiarono dopo la morte di Alessandro Magno i Giudei si sparsero quasi su tutta la terra (Atti 2, 9-11), cosicché al tempo di Gesù Cristo era ben difficile trovare una città importante, specialmente se vi fioriva il commercio, dove essi non si trovassero.

Molto numerosi erano in Egitto dove Tolomeo Lago ne aveva condotti duecentomila; al tempo di Filone i Giudei in Alessandria formavano i 2/5 della popolazione. Anche Roma possedette una numerosa comunità ebraica dal 63 a. C.

Tutti questi Giudei riconoscevano nel Sinedrio di Gerusalemme la loro principale autorità religiosa e si mantenevano in relazione con i correligionari di Palestina per mezzo di pellegrinaggi e con la soddisfazione del tributo per il Tempio[iii].

Ora i Giudei, sparsi così in tutto il mondo, trovarono modo, e per il commercio e per altre relazioni vitali, di far conoscere ai popoli presso cui si trovavano la loro legge e la loro religione[iv].

Essi propriamente non passavano mai alla religione degli Stati nei quali vivevano; anzi attiravano alla loro fede quanti più potevano.

Quindi guadagnavano dappertutto degli studiosi e degli ammiratori.

Questi costituirono lo stato curioso del proselitismo, che si divideva in due categorie:

A) i proseliti della giustizia, che adottavano la religione mosaica e le sue pratiche non esclusa la circoncisione;

B) i proseliti della porta, che si fermavano alla professione del monoteismo senza adottare i riti e le pratiche del mosaismo[v].

[…]

Presso i gentili

Ma [come detto] anche presso gli altri popoli esisteva questa aspettazione:

a) in modo vago e confuso, dove appena si conservava l’eco della primitiva rivelazione[ix].

b) più chiaramente, invece, dove all’eco della primitiva rivelazione s’aggiunse quello dei vaticini messianici fatti agli Ebrei. Poiché Dio stesso dispose, come abbiamo già visto, che «gli Egiziani, gli Assiri, i Persiani, i Greci, i Romani s’impadronissero successivamente della Giudea, affinché intendessero tutti le grandi voci del passato e dell’avvenire, la verità delle origini e delle promesse» (Dechamps, Appello e Sfida).

Onde lo stesso Svetonio (In Vespas. IV, 3) e lo stesso Tacito (Histor. lib. V, 13) ci parlano di una comune e antica e costante persuasione, secondo la quale l’Oriente risorgerebbe e dalla Giudea verrebbe fuori un conquistatore del mondo.

E mettendo in versi latini stupendi il canto greco della Sibilla cumana, Virgilio alla sua volta poetava di un fanciullo misterioso, la cui nascita avrebbe portato sulla terra il regno della giustizia e dato al corso dei secoli un nuovo indirizzo.

Questioni sull’Egloga IV di Virgilio

«L’imperatore Costantino, assistendo al Concilio di Nicea, lesse tradotta in greco la quarta egloga di Virgilio, nella quale questo poeta, inneggiando alla prossima sperata nascita di un fanciullo, pronosticava che con esso sarebbe nato altresì un nuovo ordine di cose; sarebbe cioè ritornata l’età del vergine costume; che da quel fanciullo deriverebbe una nuova progenie donata dal cielo alla terra, onde por termine alla età del ferro, e introdurre nel mondo una nuova età di pace e di oro.

Orbene, diceva Costantino, come mai si può spiegar questo pronostico di Virgilio, poeta pagano, se non col dire che egli approfittò delle tradizioni ebraiche, degli scritti delle Sibille e dei letterati alessandrini intorno alla nascita del Redentore del mondo?

Contro l’asserto di Costantino insorsero molti dotti, ma i Padri antichi condividevano il giudizio di lui.

Ai Padri antichi si unì poi Dante (nel Paradiso), Michelangelo che ne formò uno dei suoi capolavori nella Cappella Sistina; e il Cantù, che dapprima divideva il parere contrario, finì col dichiarare che l’interpretazione data da Costantino e ammessa dai Padri, è l’unica possibile per chi ama la verità», così Monsignor Carlo Bertani nel suo libro: Vita di Maria santissima (Monza, Paolini 1902, pag. 75).

Sappiamo in qual conto sono tenute queste idee dai critici moderni. In realtà nell’egloga IV di Virgilio non si tratta che del figlio di Pollione.

Ma donde trasse il poeta quelle idee che gli applica per celebrarne la nascita? Ecco la questione.

E poiché Svetonio (In Vespas. IV, 3) Tacito (Histor. lib. V, 13) ed altri ci parlano di una comune antica e costante persuasione, secondo la quale l’Oriente risorgerebbe e dalla Giudea verrebbe fuori un grande conquistatore del mondo, ben possiamo supporre che a tale credenza attingesse il poeta le sue idee.

>>> Breve Apologia del Cristianesimo. Contro gli increduli dei nostri giorni <<<

[i] Unico esempio di rivelazione messianica fatta direttamente ai gentili, seppur devesi ricordare anche Giobbe, è quella che si legge al capitolo XXIV dei Numeri, cioè il celebre vaticinio di Balaam. Invitato da Balac, re di Moab, a maledire il popolo ebreo, per tre volte invece lo benedisse, a malgrado di lui stesso e del re. E la quarta volta sumpta parabola profetò dicendo del Messia: «Lo veggo, e non ancora, lo contemplo e non da vicino. Una stella si è levata da Giacobbe; e da Israele rampollerà una verga, e trasverbererà ambo i lati di Moab e tutti i figli della rumoreggiante Nazione». Vale a dire: sorgerà da questo popolo un re potente, la cui visione mi sta dinnanzi allo sguardo, splenderà sull’universo come un astro e distruggerà tutti gli avversari del suo regno.

[ii] Cfr. Azione Sociale di Bergamo, agosto 1912, pag. 175-176.

[iii] Cfr. Manuale di storia ecclesiastica del dott. Marx, tradotto da dal dott. G. B. Pagnini, Ed. Fior., 1913, vol. 1, pag. 19.

[iv] Ed era certamente questo lo scopo che ebbe Iddio nel permettere che il Suo popolo venisse continuamente tradotto in schiavitù presso glia altri popoli. Tobia lo afferma nel suo cantico, quando volgendosi ai suoi compatrioti loro dice: «Per questo Iddio v’ha dispersi fra le genti che non conoscono Iddio, affinché voi raccontiate le Sue meraviglie e facciate loro conoscere come altro Dio onnipotente non havvi fuori di Lui» (Tob. 13, 4).

[v] Cfr. Rinieri, loc. cit.

[vi] Perché si dica traduzione dei Settanta ed in qual modo sia avvenuta siffatta versione, non è qui il luogo di parlarne.

[vii] Mons. BONOMELLI, op. cit., pag. 153-155.

[viii] Eb. 11, 13. Gesù ci assicura che Abramo desiderò di vedere il Messia (Cfr. Giov. 8, 56). Giacobbe morente esclama: «Io spero nella tua salvezza, Signore!» (Gn. 49, 18). Ed il profeta Isaia ci riferisce il desiderio e la preghiera dei giusti: «Mandate l’agnello al signore del paese (XVI, 1): Stillate, cieli, dall’alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza e germogli insieme la giustizia. Io, il Signore, ho creato tutto questo». (XLV, 8).

[ix] Vedi MONSABRÉ, Introd. al dogma cattolico, vol. I, pagina 158 e ss.: ed Esposizione del dogma cattolico, vol. VI, pag. 212 e ss.

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