Tempi di Maria
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Immortale SAN FRANCESCO! Tu vera «Effige di Cristo Crocifisso e Risorto»!

« San Francesco, servo e amico dell’Altissimo, fondatore e guida dell’Ordine dei frati minori, campione della povertà, forma della penitenza, araldo della verità, specchio di santità, e modello di tutta la perfezione evangelica, prevenuto dalla grazia celeste, con ordinata progressione, partendo da umili inizi raggiunse le vette più sublimi.

Dio che aveva reso mirabilmente risplendente, in vita, quest’uomo ammirabile, ricchissimo per la povertà, sublime per l’umiltà, vigoroso per la mortificazione, prudente per la semplicità e cospicuo per l’onesta d’ogni suo comportamento, lo rese incomparabilmente più risplendente dopo la morte.

L’uomo beato era migrato dal mondo; ma quella sua anima santa, entrando nella casa dell’eternità (Cfr. Qo 12, 5) e nella gloria del cielo, per bere in pienezza alla fonte della vita (Cfr. Sal. 35, 5), aveva lasciato ben chiari nel corpo alcuni segni della gloria futura (Cfr. Rm. 8, 18): quella carne santissima che, crocifissa insieme con i suoi vizi (Gal. 5, 24), già si era trasformata in nuova creatura (2Cor. 5, 17), mostrava agli occhi di tutti, per un privilegio singolare, l’effige della Passione di Cristo e, mediante un miracolo mai visto, anticipava l’immagine della resurrezione.

Si scorgevano, in quelle membra fortunate, i chiodi che l’Onnipotente aveva meravigliosamente fabbricati con la sua carne: erano così connaturati con la carne stessa che, da qualunque parte si premessero, subito si sollevavano, come dei nervi tutti uniti e duri, dalla parte opposta. Si poté anche osservare in forma più palese la piaga del costato, non impressa nel suo corpo né provocata da mano d’uomo e simile alla ferita del costato del Salvatore: quella che nella persona stessa del Redentore rivelò il sacramento della redenzione e della rigenerazione.

I chiodi apparivano neri, come di ferro, mentre la ferita del fianco era rossa e, ridotta quasi a forma di cerchietto per il contrarsi della carne, aveva l’aspetto di una rosa bellissima. Le altre parti della sua carne, che prima per le malattie e per natura tendevano al nero, splendevano bianchissime, anticipando la bellezza del corpo spiritualizzato.

Le sue membra a chi le toccava, risultavano così molli e flessibili, come se avessero riacquistato la tenerezza dell’età infantile, adorne di chiari segni d’innocenza. In mezzo alla carne, candidissima, spiccava, dunque, il nero di chiodi; la piaga del costato rosseggiava come il fior della rosa (Cfr. Sir. 50, 8): non è da stupire, perciò, se una così bella e miracolosa varietà suscitava negli osservatori gioia ed ammirazione.

Piangevano i figli, che perdevano un Padre così amabile; eppure si sentivano invadere da grande letizia, allorché baciavano in lui i segni del sommo Re. Quel miracolo, così nuovo trasformava il pianto in giubilo e trascinava l’intelletto dall’indagine allo stupore.

Per chi guardava, lo spettacolo così insolito e così insigne era consolidamento della fede, incitamento all’amore; per chi ne sentiva parlare, motivo d’ammirazione e stimolo al desiderio di vedere ».

Tratto da:

Leggenda Maggiore di san BONAVENTURA DA BAGNOREGIO,in Fonti Francescane, § 1246.