1° Maggio. SAN GIUSEPPE LAVORATORE. Nella Solennità del 19 Marzo, San Giuseppe viene festeggiato come Padre Putativo di Gesù; questa paternità lo qualifica e lo esalta facendo di lui uno dei personaggi …Altro
1° Maggio.
SAN GIUSEPPE LAVORATORE.

Nella Solennità del 19 Marzo, San Giuseppe viene festeggiato come Padre Putativo di Gesù; questa paternità lo qualifica e lo esalta facendo di lui uno dei personaggi più significativi e amati della Chiesa.
Oggi invece si ricorda San Giuseppe nella sua condizione di operaio, di carpentiere e, come tale, Patrono dei Lavoratori.
Quella odierna è una Festa istituita da Papa Pio XII, nel 1955, con l’intenzione di dare al Mondo del lavoro, che viveva problematiche nuove e di grande peso su tutta la società, un Modello e un Protettore.
Ricordare San Giuseppe carpentiere significa anche riportare alla memoria l’ambiente in cui Gesù è nato ed è cresciuto come uomo, l’ambiente in cui ha vissuto quasi tutta la Sua vita; in tale prospettiva significa dunque ricordare che anche Gesù ha lavorato manualmente, per cui Egli, insieme a Giuseppe, è anche Modello di Vita per ogni uomo, oltre a quella del futuro Redentore e Salvatore.
Una delle raffigurazioni più frequenti di San Giuseppe è quella in cui viene ritratto al banco, con la pialla in mano e con accanto altri strumenti di falegnameria.
Egli fu costante appassionato del suo mestiere, lavorando sempre con volenterosa assiduità, non lamentando la fatica, ma amando ed eseguendo sempre correttamente ogni suo lavoro.
L'umiltà gli insegnò a conciliare la sua dignità con l'esercizio di un mestiere ordinario, se pur faticoso; per cui San Giuseppe rappresenta anche un esempio e un modello di sacrificio e di virtù.
Da uomo di Fede, quindi, trasformò la fatica quotidiana in un grande mezzo di elevazione, di merito, di esercizio delle virtù.
I Vangeli, pur con cenni rapidi, ci prospettano una parte rilevante della vita terrena di Gesù, il quale, a fianco di Giuseppe, svolse il suo lavoro quotidiano, destando anche stupore innanzi alla Sua Sapienza, ma anche critiche, da parte dei suoi concittadini, fin dall’inizio della sua vita pubblica, quando lo chiamavano «carpentiere» (Mc 6,3), o «il figlio del carpentiere» (Mt 13,55).
D’altra parte, chi gli aveva insegnato il mestiere, se non San Giuseppe?
Tale scuola, presso il proprio padre putativo, ebbe quindi un peso notevole nella crescita di Gesù in sapienza, in età e grazia.
Il lavoro umano, in particolare il lavoro manuale, trova nel Vangelo un accenno speciale, che ben si identifica in quello di Giuseppe accanto a Gesù.
In realtà, assieme all’Umanità del Figlio di Dio, accolto nel Mistero dell’Incarnazione, Giuseppe, esercitando il suo mestiere insieme a Gesù, avvicinò il lavoro umano al Mistero della Redenzione.
Gesù, il Redentore, vivendo nel lavoro, assieme a Giuseppe, lo ha purificato e santificato.
L’attività umana non è stata da Lui esclusa dalla Salvezza, perché la Sua condivisione con l’uomo è stata totale: «In tutto simile a noi fuorché nel peccato».
Si può ben concludere che nessuno come Giuseppe, dopo Maria Santissima, sia stato tanto vicino alle mani, alla mente, alla volontà e al Cuore di Gesù.
Per tale vicinanza a Gesù che Papa Pacelli volle istituire la Festa Liturgica di «San Giuseppe Artigiano», diventata oggi la Memoria di «San Giuseppe Lavoratore», dandone il famoso Annuncio nel Discorso dell’1 Maggio 1955.
Papa Pio XII, in definitiva, esortava a recuperare il senso cristiano del lavoro, che deve essere orientato a «Estendere il Regno di Dio».
Quindi, quale migliore “Protettore” come San Giuseppe, che con la sua intera vita dedicata al lavoro, cristianamente inteso, si è reso partecipe all’Opera Creatrice di Dio, poteva essere scelto unicamente per questo fine?
Richiamando il “Racconto Biblico” sui giorni della Creazione, Papa Giovanni Paolo II scrisse che nella Genesi si può rintracciare il primo «Vangelo del Lavoro».
Tale descrizione, nella quale si evince come Dio, al termine di ogni giorno, vedeva la bontà della Sua Opera, dimostra l’importanza dignitosa del lavoro, insegnando che l’uomo, con il suo lavoro, deve saper riconoscere il “Lavoro di Dio”, poiché l’uomo ed egli solo porta in sé il “singolare elemento” della somiglianza con il suo Creatore.
L’uomo, quindi, deve imitare Dio sia lavorando come pure riposando, dato che Dio stesso ha voluto presentargli la propria Opera sotto la forma del Lavoro e del Riposo».
Il lavoratore è allora chiamato a osservare il “riposo domenicale”, che non riguarda solo l’aspetto fisico, ma investe tutta la sua dimensione interiore spirituale.
Si tratta di riconoscere il “Riposo in Dio”, che l’uomo deve cercare nel «settimo giorno», ma anche in ciascuna parte della giornata lavorativa, dove trovare degli spazi di tempo da dedicare alla Preghiera.
Anche in questo San Giuseppe è maestro, poiché il falegname di Nazaret non solo usava il suo lavoro per nutrire e servire Gesù e Maria, ma trovava le più grandi gioie della giornata nell’Adorare il Figlio Divino, rendendo Lode al Padre Celeste.
Il glorioso Patriarca, dunque, incarnò perfettamente il principio dell’ “ora et labora” e, per tale ragione, anche i contemplativi hanno in San Giuseppe un perfetto modello.
Da quanto detto, è evidente che il lavoro - sia manuale che intellettuale (vedi la Lode allo Scriba, che si fa discepolo del Regno dei Cieli, in Mt 13,52) - deve essere svolto in accordo alla Volontà di Dio e aiutare l’uomo a guadagnare la gioia dell’Eterno Gaudio.
Tale essenziale dimensione, come sottolineava Papa Wojtyla, è la fatica, che lo collega mirabilmente all’Opera Redentrice.
«Nel lavoro umano il Cristiano ritrova una piccola parte della Croce di Cristo e l’accetta nello stesso spirito di Redenzione, nel quale il Cristo ha accettato per noi la Sua Croce.
Nel lavoro, grazie alla Luce, che dalla Risurrezione di Cristo penetra dentro di noi, troviamo sempre un barlume della vita nuova» (Laborem Exercens, 27).
È in tal modo che, se guardiamo al lavoro, con tutte le sue fatiche e magari con le piccole contrarietà quotidiane, esso diventa davvero espressione dell’amore, come fu per Giuseppe, cambiando la prospettiva delle nostre giornate, che mirano al traguardo finale del Paradiso.
Mario Sedevacantista Colucci condivide questo