San Pio V e Santa Caterina: due grandi Domenicani

Il 29 aprile dovremo ricordare liturgicamente la grande senese, Caterina da Siena e il 30 san Pio V mentre, nel Calendario Romano antico la Santa Patrona d’Italia e Dottore della Chiesa è ricordata il 30 aprile e san Pio V il 5 maggio. Non intendiamo svolgere qui due “biografie” quanto tentare di esaminare, seppur brevemente, alcuni aspetti fondamentali di questi due Grandi Domenicani, per ricordarne con dovere la fulgida e santa Memoria.

FONTE originale del testo.

San Pio V (Michele Ghilsieri) entra giovanissimo tra i domenicani
. Nato nel 1504 (+1572), già nel 1518 prende la decisione che segnerà tutta la sua vita di cristiano e religioso nel Carisma di san Domenico. Sono tanti, forse, a conoscere il nome “san Pio V” facilmente associabile alla Vittoria di Lepanto… altri lo rilegano all’Inquisizione affermando contro di lui aberrazioni assolutamente false, ma san Pio V è molto di più a cominciare proprio da ciò che più ha segnato la sua vita: è Uomo di Fede e di grande Preghiera – un esempio è la Preghiera da lui composta per ottenere grazie speciali dal Crocefisso, e che vi abbiamo postato in video, ma lo potrete trovare anche nella sezione “Oremus” del nostro sito di cooperatoresVeritatis. Non è affatto una “mente politica” al contrario, egli vede semmai nella politica del suo tempo lo strumento eccellente attraverso il quale guidare il “piccolo e grande gregge” verso le vittorie dello Spirito.

Qui per il testo in audio

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San Pio V otterrà un fiume di vittorie, specialmente quelle legate all’anima, alla conversione, all’amore verso la Vergine Maria del Santo Rosario. La dinamica che usa è tanto semplice che oggi, purtroppo, viene banalizzata, ridicolizzata: LA PREGHIERA E LA FEDE DELLA GRAZIA DEL BATTESIMO. Sono queste le armi vincenti con le quali san Pio V smuoverà le coscienze del suo tempo, governerà la Chiesa. Non ci sono “ricette” facili per nessuno. Una volta ricevuto il Battesimo, l’anima deve essere mantenuta in constante stato di GRAZIA attraverso la preghiera, la confessione, il pentimento, LA PENITENZA…. Possiamo paragonare questa Lectio al vestito esteriore il quale, coprendo il corpo, viene da noi curato spesso nei particolari, specialmente oggi… Se non si ha, dunque, la medesima cura (ed anzi di più perché mentre il corpo è mortale, l’Anima non perisce), la sciatteria nel vestire l’anima è, in san Pio V, la PEGGIORE DELLE POVERTA’… la peggiore delle dis-grazie, ossia quel rimanere “senza la grazia” a causa del peccare, del non pentirsi, del non pregare sufficientemente “tanto e sempre“, del non confessarsi e del non fare penitenze. Tutta la vita di san Pio V si svolgerà attorno a queste verità di Fede, e con esse ingaggerà le battaglie politiche del suo tempo.

Senza entrare in polemica, la vera ed autentica storia dei Santi (non quella mistificata, modificata ed altro) che sono i veri ed unici RIFORMATORI DELLA CHIESA, ci fa capire il grave ribaltamento di queste priorità a cui assistiamo oggi in tutti i settori della nostra vita, sia religiosa quanto politica, perché se non c’è VITA DELLA GRAZIA in noi battezzati, inutile pretendere una seria politica volta al “vero bene comune”… Vi ricordate san Montfort nel Trattato della Vera devozione a Maria? Egli impone quale fondamento per una vera e fruttuosa Consacrazione al Cuore Immacolato di Maria: LO STATO DELLA GRAZIA BATTESIMALE…

Senza dubbio che in questo grande Pontefice, questa sua formazione lo porta ad essere austero soprattutto con se stesso, ascetico e munito di una concezione radicale e intransigente a partire proprio dalla sua vita e anche nell’ufficio di inquisitore distinguendosi per il suo coraggio e la non curanza dei rischi a cui andava incontro. Insomma, del cardinale Michele Ghislieri, in seguito divenuto Papa Pio V, di certo non si può dire che sia stato “morbido” contro le eresie del suo tempo! Certo, molte delle bolle da lui emanate sono di una durezza oggi definita… inaccettabile, ma il tutto va “giudicato secondo giustizia” come insegna Gesù e non secondo le apparenze… all’interno di un contesto storico che si rapportava alle eresie che non minavano semplicemente la serenità e la GRAZIA “nel piccolo gregge”… ma che simili eresie si ripercuotevano nella stessa vita sociale e dell’Europa.

Oggi si son fatti tutti difensori dell’eresia e degli eretici mentre questa, talvolta sotto forme tendenziose, tal’altra in maniera violenta, dava l’assalto al cattolicesimo; i Turchi agognavano e preparavano l’annientamento della cristianità… oggi i Papi ci vanno a braccetto credendo (e qui avremo tutti un amaro risveglio) in tal modo di risparmiare ai futuri Cristiani gli assalti, le persecuzioni, lo sterminio… Stiamo attenti alla profezia del Sultano dopo l’ultimo attacco alla Cristianità, quello di Vienna. Quando il generale, dopo la sconfitta, tentò di recuperare le truppe, chiese al Sultano di ritentare l’attacco, ma il Sultano rispose di “no! Li attaccheremo quando loro avranno abbandonato il loro Dio….

Si legga anche qui: Strumenti Tortura e Inquisizione: i falsi in cui avete sempre creduto

San Pio V, ovunque venisse assegnato, era preceduto dalla fama di santità… tutti lo conoscevano, specialmente per la sua grande Carità… e proprio per queste sue qualità viene incaricato a diventare Inquisitore. Così Fra Michele si mostrò presto ben capace di eseguire gli ordini ricevuti. Era necessario essere nel tempo stesso vigile custode, intrepido difensore e giudice. Non un “sentimentale” MA UN CURATORE DI ANIME… Egli comprese che una tale missione lo esponeva a delle ostilità pericolose. Qualora gli venisse segnalato qualche centro di propaganda di libri proibiti, penetrava arditamente nei covi degli eretici, a fronte alta, con parola recisa, ordini inflessibili, assumendosi personalmente la responsabilità anche di verificare…

Ci fu un caso degno di nota: una libreria di un presunto cristiano, usava la sua bottega per diffondere gli scritti degli eretici, Fra Michele, dopo essersi accertato dei fatti, lo ammonì proibendogli di continuare. Ma lui si rivolse al vicario capitolare che al momento sostituiva il vescovo della diocesi il quale diede ragione al libraio e questi cantò subito vittoria. Fra Michele, per difendere l’onore della religione Cristiana, denunciò i fatti al sant’Uffizio il quale convocò immediatamente il Canonico e il libraio e dopo ore di dibattito acceso, laddove i turbolenti soffiano nel fuoco per accrescere il disordine, e i furbi se ne valgono per i loro interessi, Fra Michele manteneva la calma e la carità che sempre lo avevano distinto e il sant’Uffizio confermò le condanne dell’Inquisitore. La reazione fu quella di sempre: minacce di morte e ingiurie, comunelle per rendere agguati a Fra Michele che veniva preso a sassate quando passava..

I falsificatori della storia Cattolica sguazzano su queste cose, mentre omettono di raccontare come Fra Michele non fosse affatto un uomo fiero nella vanità del suo potere, pronto a combattere senza alcuna risoluzione, cioè a punire a sangue freddo, più inteso insomma a infliggere castighi che a convertire i colpevoli… al contrario. Il suo zelo era guidato da una fede purissima e da una grande carità. Visitava ogni giorno i detenuti e discuteva volentieri con essi, per dissipare i loro dubbi. Li sovveniva con elemosine prendendosi spesso cura persino delle loro famiglie, e questo frate rigido, ch’essi conoscevano preciso in dottrina e inflessibile quando sedeva nel tribunale della giustizia, li costringeva, per mezzo di delicate premure, a riconoscere la rettitudine delle sue intenzioni e la sua grande generosità.

Nel 1555 viene elevato a Vescovo da Paolo IV al quale supplica di essere liberato dal compito di inquisitore.. ma il Papa, invece di accettare la rinunzia, gli procurò maggior confusione, dicendogli apertamente: “Vi metterò ai piedi una catena si forte, che non vi passerà più pel capo l’idea di ritornare al vostro convento”. Poco dopo il vescovo Ghislieri, con grande suo dolore, veniva elevato alla porpora cardinalizia. Anche da Pontefice poi, non mutò mai la sua indole caritatevole ma al tempo stesso difensore della Verità.

Leggendo la vera storia di san Pio V vi è narrato un episodio davvero significativo…

Fra Ghilsieri, quando era frate aveva stretto amicizia con il rabbino di Roma, che con la sua passione di predicatore aveva quasi convertito il rabbino il quale gli fece questa battuta che si rivelò poi profetica: “Semmai ti facessero Papa, mi farò battezzare da te“….in verità il Rabbino lo disse perchè mai avrebbe pensato che l’amico frate sarebbe potuto diventare Papa, ma la Provvidenza che sa sempre meravigliare e stupire, chiama al soglio di Pietro proprio Michele Ghilsieri…. Il rabbino di Roma si sentiva in debito…e Papa Pio V, un vero santo, gli spiega che NON DOVEVA sentirsi obbligato a convertirsi per una promessa fatta, ma che mediante quella promessa fatta doveva impegnarsi maggiormente per CERCARE LA VERITA’…. E così finì che il Rabbino di Roma si fece battezzare da san Pio V in san Pietro, davanti all’Urbe e il Papa gli fece come dono IL SUO COGNOME…cioè, poichè il Rabbino non aveva un cognome, il Papa gli donò il suo…

“Un’altro fatto degno di nota è il seguente. Era uso (avignonese, si dice) che all’elezione di un Papa gli ufficiali del corteo papale gittassero monete alla folla, allo scopo di associarla alla festa dell’incoronazione papale. Tuttavia questa munificenza accolta senza dubbio con favore del popolo, generava però anche molti tumulti, una pressa a tal punto che ci scappavano persino dei morti. A Pio V questa usanza non piaceva affatto soprattutto perché non riteneva il popolo così “bestiale” da dover essere trattato in tale modo, ed abolì questa usanza dando però l’ordine immediato che gli addetti a tale mansione, si premunissero piuttosto per una più equa distribuzione allargando il soccorso a gesti più umani e caritatevoli fatti A DOMICILIO, specialmente alle famiglie povere. Inoltre Pio V abolì il suntuoso banchetto che veniva offerto solo ai ricchi e ai nobili per l’elezione di un papa, trasferendo le sostanziose somme in danaro presso quei monasteri bisognosi che si occupavano anche di allestire mense per i poveri.

I poveri avevano sempre la preferenza persino nelle udienze, alle quali potevano accedervi liberamente. Pio V ascoltava i loro lamenti, li confortava con buone parole, li sovveniva con elemosine, e se la miseria e non già la sregolatezza li aveva costretti a far debiti, dava loro dei sussidi; liberava quelli che si trovavano in prigione per cagione di creditori (ed usurai) inesorabili, e non tollerava che si lasciassero deperire per mancanza di alimenti e di medicinali. Assegnò anzi per essi degli avvocati, pagati a sue spese, e stabili che i loro piccoli crediti avessero diritto di prelazione nelle liquidazioni giudiziarie. Se puniva i delinquenti, non mancava di mostrare verso di loro una sincera compassione, prendendosi cura delle loro famiglie. Qualora fossero caduti ammalati, li faceva togliere dalla prigione, e ricoverare nell’ ospedale annesso alle carceri

Gli stessi condannati a morte sperimentarono la clemenza del Papa; non già che fossero sempre graziati, perché dovevano pur servire di esempio agli altri, ma nel senso che il Papa volle prendere sotto la sua tutela la Confraternita della Misericordia, stabilita a Firenze, per assisterli nella loro triste sorte. Concesse loro un’indulgenza plenaria, e permise che prima dell’esecuzione capitale si celebrasse per essi una messa prima dell’aurora. Diede ordine al suo Nunzio a Madrid di far revocare dal re un decreto che vietava loro la comunione (anche se convertiti e pentiti e confessati, ossia, si negava ad essi l’assoluzione), e alla chiesa della Decollazione di S. Giovanni Battista concesse la prerogativa dell’altare privilegiato in loro favore.

E.. UDITE, UDITE…. Nel cuore di san Pio V più che la giustizia poteva la carità. Le testimonianze a questo riguardo abbondano, e sono decisive, commoventi. Tutta Roma era veramente edificata nel vedere nel Giovedì Santo il Papa lavare e baciare rispettosamente i piedi a dodici poveri, senza che le loro ulceri destassero in lui alcuna ripugnanza…. (poveri che prima di essere introdotti al rito della Lavanda dei piedi, venivano regolarmente confessati e assolti dai loro peccati). Visitava volentieri gli ospedali; all’ospedale di Santo Spirito non dava solo soldi, piuttosto non giudicava cosa indegna d’un Papa pigliarsi cura degli ammalati personalmente, esortare alla rassegnazione i moribondi occupandosi delle confessioni e dell’estrema Unzione, e alleggerire la sorte dei ricoverati con generose elemosine. Nella bolla d’istituzione dei Fratelli di S. Giovanni di Dio chiama i poveri “poveri di Cristo”, e per poterli soccorrere prega i novelli religiosi di fondare un ospizio a Roma.

In sostanza san Pio V faceva gesti e compiva gesti atti a testimoniare ciò che predicava. Sia che si trattasse di poveri, di carcerati, ma anche di eretici e condannati, per tutti seguiva la vera misericordia e carità senza distogliere l’attenzione e la predicazione DALLA CORRETTA DOTTRINA. Non trascurava, infatti, nemmeno le manifestazioni solenni di fede e di riparazione. Fu visto, mentre era in lotta contro i turchi, ordinare delle funzioni religiose e presiederle personalmente. Da Urbano VI in qua, esclamava il popolo, vale a dire da duecento anni, non si era più visto un Papa fare come lui delle processioni di penitenza…. Verso il SS. Sacramento nutriva una divozione casi ardente, che nelle processioni, nonostante la lunghezza del percorso e i dolori cagionatigli dai mali di cui soffriva, non volle mai servirsi della sedia gestatoria, anzi, non disdegnava di prostrarsi e di inginocchiarsi, per dare l’esempio ai fedeli… A vederlo così umile e raccolto portar devotamente l’Ostensorio personalmente, il popolo sentiva ravvivarsi la fede nella Presenza reale di Gesù Cristo nell’Eucaristia, i cattivi si convertivano, e molti inglesi, che si fermavano qua e là lungo il corteo per burlarsi del cattolicesimo, mossi dalla fede quasi trasparente del Papa, finivano per abiurare l’eresia. Così Roma si trasformava rapidamente. “L’eterna città, scriveva S. Francesco Borgia il 22 aprile 1569, presenta un aspetto ben diverso da quello d’una volta”. Gli stranieri, anche quelli che avevano maggiori pregiudizi, sentivano un soffio novello passare sulla città e disperdere gli antichi disordini. Un signore tedesco scrivendo a un principe della sua nazione, diceva che i pregiudizi sulla incredulità e sul libertinaggio di Roma svanivano davanti allo spettacolo della compostezza e della pietà del popolo.” – (dal libro san Pio V Pontefice delle grandi battaglie).

Questo era quel san Pio V della Battaglia di Lepanto, del santo Rosario, del famoso Messale Romano, del Catechismo Tridentino….

Il Crocefisso del miracolo di san Pio V

Infine è d’obbligo raccontarvi altre due storie fondamentali della vita di san Pio V. Il primo riguarda un fatto, tra i tanti, prodigioso. Fra Ghilsieri era solito baciare un Crocefisso che aveva vicino al suo letto (conservato oggi sull’Aventino nel cuore dell’Ordine Domenicano) tutte le sere… ma un giorno accadde questo: il Crocifisso allontanò le gambe dal bacio di san Pio V.. perché qualcuno vi aveva messo del veleno!

L’altro fatto riguarda L’USO DELL’ABITO BIANCO (abito piano) per i Pontefici
… E’ bene precisare come l’uso della veste bianca per i pontefici deriverebbe già da una tradizione più antica, ossia dall’apparizione di una bianca colomba al momento del martirio di san Fabiano (L’Osservatore romano 14 luglio 2010). Inoltre il primo cerimoniale papale che si sofferma in modo sistematico su tali vesti del Pontefice è quello redatto per Gregorio X (tra il 1272 e il 1273), era già dunque conosciuto che il Pontefice eletto, indossata la veste bianca – di lino o altra stoffa a seconda della stagione – venisse ammantato del manto rosso pontificio dal cardinale priore dei diaconi..

E allora cosa c’è di vero con la tradizione attribuita a san Pio V? C’è il semplice fatto che Michele Ghilsieri, appena eletto Papa, non volle togliersi le “Bianche Lane” domenicane… rifiutando di indossare altri camici di stoffe pregiate, accettando però di ricoprire il tutto col manto rosso pontificio. Non dimentichiamo che l’abito domenicano “le Bianche Lane” appunto, hanno da sempre ricevuto un privilegio singolare, una sì tale benedizione che consente loro di poter con esso celebrare la santa Messa in sostituzione del camice stesso.

Ecco, possiamo chiudere qui questo breve excursus per un grande Pontefice Santo, prendere con lui la Corona del Santo Rosario e cominciare bene a pregare per convertirci, rimanere nella Grazia del santo Battesimo ed essere veri testimoni del Cristo Risorto, nella sana e vera Dottrina Cattolica.

Due parole ora per la nostra grande “Donna d’Italia” come amava definirla il Venerabile Pio XII che la elesse a Patrona d’Italia con san Francesco d’Assisi mentre Paolo VI la dichiarava Dottore della Chiesa insieme a santa Teresa d’Avila, ma anche Patrona dei Laici, e Giovanni Paolo II la dichiarava Compatrona d’Europa insieme al Grande Primate San Benedetto… Insomma, titoli su titoli eppure non si conosce affatto la nostra amatissima Santa Caterina da Siena (1347 +1380)… Ci permettiamo pertanto di farvi dono di un libretto, breve ma incisivo vedi qui, che vi racconta la vita della Santa in un percorso DI FEDE E REALTA’ STORICA… e tanti aneddoti.

Ricordiamo nuovamente a tutti che Caterina da Siena NON era una “monaca” e non era una “suora”… era una TERZIARIA DOMENICANA. San Domenico di Guzman aveva fondato prima le Monache di Clausura affinché LA PREGHIERA precedesse la missione dei Frati, fondati dopo, accompagnandoli nella GRAZIA… Si unirono ad essi LE MANTELLATE… ossia Donne laiche che pur rimanendo nelle proprie famiglie, cercavano di vivere la propria missione all’interno della Regola dell’Ordine dei Predicatori. Si chiamavano “Mantellate” perché – per le vergini consacrate – era dato di poter indossare le SACRE LANE domenicane con il Mantello nero (il bianco segno di purezza e il nero del mantello segno di penitenza e di umiltà) con il quale si ricoprivano pur vivendo nel mondo. Per capire il Carisma di santa Caterina da Siena è fondamentale, allora, conoscere questa “vocazione domenicana” perché fu Gesù stesso ad avviarla sulle orme di san Domenico.

Gli “eventi” non sono mai un caso e non fu privo di significato il fatto che la prima e decisiva rivelazione di Gesù, alla piccola Caterina, sia venuta proprio dalla sommità della chiesa di san Domenico quando vide, appunto, il Signore rivestito di abiti pontificali, con i Santi Apostoli Pietro, Paolo e Giovanni, nell’atto di benedirla e, al contempo, affidarle già i segni della sua missione. Ed è significativo che Caterina, di soli sei anni, intuì tale missione ricambiando il dono di Gesù con l’offerta di verginità. Così lo racconta il suo Confessore, il beato Raimondo da Capua: “Caterina considerava, dietro ispirazione del cielo, che la Santissima Madre di Dio era stata la prima a istituire la vita verginale, e a dedicare al Signore, con voto, la sua verginità“. A soli sette anni fu in grado di riflettere su quella visione e sul voto fatto, ripromettendosi di adempierlo, con queste parole riportate sempre dal suo Confessore: “Io prometto a Lui e a Te (Maria) di non scegliermi altro sposo e di fare di tutto per conservare intatta la mia purità“.

Se esistono dei bambini “prodigio” che a sei e sette anni sono dotati di talenti e genio musicale o matematico, non ci si stupirebbe affatto, mentre è tipico soprattutto della mentalità odierna, beffarsi di simile dono, quale è quello di donarsi totalmente a Dio con la propria anima e il proprio corpo! Il Signore Gesù che dona il centuplo a chi con prodigalità si offre a Lui, non farà mai mancare a Caterina il Suo conforto e lo Spirito Santo. In tal modo Ella è impregnata del Carisma della Predicazione affidata da Gesù stesso ai Domenicani, da essi apprende la teologia e la mariologia, il senso della carità e della dottrina e quella “passione che l’incendia l’anima” per la santa Chiesa e la Cattedra Romana. Infine, in un momento storico quale è il nostro in cui la frase “costruire ponti e abbattere i muri è una vera euforia, perché scardinata dalla ragionevolezza di certi muri necessari quali abbiamo visto essere proprio la sana Dottrina, Caterina insegnava già da secoli, quasi profeticamente, che Gesù Cristo è il “ponte”. Ma in che modo?

E’ la cosiddetta “Dottrina del Ponte”, tratta dal Dialogo della Divina Provvidenza, un testo davvero ispirato dalla Divina Sapienza per il quale Caterina sarà dichiarata Dottore della Chiesa.. Attraverso l’ammaestramento stesso del Dialogo, Ella “vede” Gesù come un “ponte” lanciato tra il cielo e la terra, per riparare la via interrotta dal peccato originale. La Sua divinità unita alla Sua vera umanità forma un ponte che si rivela necessario e fondamentale per salvarsi: “Tutti siete tenuti a passare attraverso questo ponte, cercando la gloria e la lode del mio nome nella salvezza delle anime, sopportando con dolore molte fatiche, seguendo le orme del dolce e amoroso Verbo: in nessun altro modo potreste venire a me”.

Questo straordinario “ponte” mostra le tre tappe necessarie affinché possa essere percorso. Esso, infatti, è formato da tre grandi “scaloni”, costituiti dai piedi, dal costato e dalla bocca di Gesù:

Al primo scalone, sollevandosi dalla terra sui piedi dell’affetto, l’anima si spoglia del vizio; sul secondo si veste d’amore e di virtù; sul terzo finalmente gusta la pace”.

Caterina vede quindi il ponte-Cristo con tre livelli, che permettono di giungere all’unione perfetta dell’anima con il Signore. Il primo grado o “scalone” è il passaggio dalla terra ai “piedi” di Gesù, mediante l’affetto verso nostro Signore offeso dai nostri peccati, dunque attraverso LA CONVERSIONE a Lui.

Il secondo “scalone” implica il passaggio dall’affetto che produce la conversione, all’amore ossia: dopo la conversione deve esserci un ulteriore passaggio che è AMARE DIO perché, come spiega Caterina, l’affetto non basta, per dare la vita all’Amato bisogna amarlo totalmente. Ecco come il Padre celeste istruisce la Santa: “Salendo sui piedi dell’affetto, l’anima incomincia a gustare anche l’affetto del cuore, fissando l’occhio della sua mente nel cuore stesso del Figlio mio, ove scopre il consumarsi del suo ineffabile amore”.

L’anima, vedendosi tanto amata e formando una cosa sola con Gesù, passa dal secondo al terzo scalone: “cioè giunge alla bocca, dove finalmente trova pace dallo stato di guerra con me, che prima aveva patito per le proprie colpe”. Qui trova la piena amicizia di grazia e di amore con Gesù che è appunto il terzo “scalone”, dal quale allora deriva all’anima anche la pienezza della salvezza e la ricchezza d’ogni grazia.

Quando un cattolico deve parlare oggi di PONTI è solo a queste a cui deve tendere: a Cristo Gesù, l’unico vero ponte che può mettere pace nell’umanità intera, una volta percorsi i tre “scaloni” per accedervi. Non ci sono “altri ponti”… Non ponti fatti da noi dal basso verso l’alto, ma al contrario: IL CRISTO DISCESO DAL CIELO, PONTE VERO ED UNICO TRA DIO E NOI…

Curioso è poi, degno di nota, il piccolo ma intenso trattato sulle “lacrime”. Quante volte sentiamo dire “lacrime di coccodrillo” per sottolineare un falso pianto. Ebbene, nel cap. 88, la santa traccia le “cinque specie di pianto” che definisce “morte”, perché versate nello stato di peccato. Così, le lacrime degli iniqui sono lacrime di dannazione; le seconde lacrime sono quelle dei “timorosi” che però si rialzano dal peccato e piangono per timore della pena; poi ci sono le lacrime di gioia, di coloro che, convertiti, cominciano a gustare le grazie di Dio; ci sono poi le lacrime di coloro che giunti ad un buono stato di perfezione nella carità al prossimo, piangono per loro, e questo pianto, scrive la santa, è perfetto… Un capitolo che vi suggeriamo di meditare integralmente e profondamente.

Santa Caterina da Siena è ricordata spesso per aver riportato il papato, la sede Petrina, da Avignone a Roma, sì certo, ma nel rapporto con i Papi c’è molto di più. Ella non risparmia affatto le CRITICHE E LE REPRIMENDE AI PONTEFICI DEL SUO TEMPO, ma sottolinea come sia fondamentale che – clero e laici – si adoperino PER DIFENDERE QUESTA SEDE da ogni tentativo di usurpazione dal momento che, ai suoi tempi, l’elezione di antipapi era facile e la stessa questione avignonese avesse prodotto le fondamenta per il famoso e triste SCISMA D’OCCIDENTE durato ben quarant’anni. Questa fu la vera difesa di santa Caterina al Papa.. che arriva appunto a definire “Babbo mio dolce; il dolce Vicario di Cristo in terra”. Ma non gli risparmia denunce e accuse di livello dottrinale e morale… Per il Clero, i Vescovi e cardinali corrotti, per il Papa stesso BISOGNA PREGARE, dice la Santa, ma senza nascondere le denunce sulla corruzione morale e dottrinale in cui molti di essi vivevano e seminavano…

Caterina definisce questa LA VERA Carità la dote, una dote che colui che pecca e non si pente del peccato, finisce per barattare col demonio, il quale la “insozza e la imputridisce”, la scambia, e, invece di riempire la carità di delizie, la corrompe con i vizi, con la disonestà verso il Donatore, con la superbia, con l’amor proprio portando lentamente il peccatore a perseguitare i servi di Cristo, trasmettitori dell’autentica Carità. Ci piace ricordare il Montfort, su questa “dottrina della dote” quando racconta come, un peccatore soprattutto impenitente, la “svende per un piatto di lenticchie…” Nella Lettera 364, ad Urbano VI, c’è un passo tremendamente attuale.

Santa Caterina spiega al papa come sia necessario fare pace con tutti i cristiani che sono fuoriusciti dalla Chiesa o anche con quelli che si comportano male dentro la Chiesa. Con queste parole s’incoraggia il papa a non avere timore di “levare li difetti” perché se non lo farà lui che, in qualità di Vicario di Cristo ne ha il potere, lo farà Dio attraverso le tribolazioni: “Voi non potete di primo colpo levare li difetti delle creature, li quali si commettono comunemente nella religione cristiana e massimamente nell’ordine clericato, sopra delli quali dovete avere più occhio; ma ben potete e dovete fare per debito (se no, li avereste sopra la coscienzia vostra), almeno di farne la vostra possibilità, lavare il ventre della santa Chiesa, cioè procurare a quelli che vi sono presso e intorno voi, spazzarlo dal fracidume, e ponervi quelli che attendono all’onore di Dio e vostro, e bene della santa Chiesa; (…) Sapete che ve ne diverrà, se non ci si pone remedio in farne quello che ne potete fare? Dio vuole in tutto riformare la sposa sua, non vuole che stia più lebbrosa: se none ‘l farà la Santità vostra giusta il vostro potere (che non sete posto da lui per altro, e datavi per questo tanta dignità), il farà per sé medesimo col mezzo delle molte tribolazioni”.

Insomma, non è a caso che Pio XII la definiva DONNA D’ITALIA… Caterina è un FUOCO DI PASSIONE… Insegna come è Dio stesso che ha voluto la distinzione tra lo Stato e la Chiesa, ma non la loro separazione: perché lo Stato serva la Chiesa, e la Chiesa – segno di contraddizione nel mondo – sappia compiere la propria missione di indirizzare agli Stati la retta via ATTRAVERSO LA CONVERSIONE AL CRISTO. La prima e l’ultima donna che parla al concistoro: “Il papa non tema se anche tutto il mondo gli è contro”. Un fulmine “come non s’era mai visto n’è sentito” accompagna l’elezione di Urbano VI. Caterina ai tempi dello scisma: “Il volto della Chiesa insudiciato per le impurità e la superbia” del clero. Caterina impugna spada e rosario, e incita il papa alla crociata. “Rivolgete contro i nemici della fede quelle armi che fino ad oggi avete usato per assassinarvi l’un l’altro”. Guerra contro gli infedeli sì; contro gli eretici no: “perchè sono cristiani”…sempre che non siano catari.

“Coloro che sono posti nel giardino della santa Chiesa come fiori odoriferi; e noi vediamo che essi appuzzano tutto quanto il mondo”. “Il papa lavi il ventre della Chiesa”: ossia sradichi la corruzione del clero… o lo farà Dio con la tribolazione. Il pastore preghi e soffra per il gregge peccatore; in caso lo “percuota”. Attraverso le sue Lettere, ad una prostituta scrive: pensa non solo al male che fai a te stessa, ma a quanti, col “laccio del dimonio”, mandi all’inferno. Scrive ad un conoscente sodomita (tacendone il nome): “Oimè, oimè! questi tali fanno del corpo loro una stalla, tenendovi dentro gli animali bruti”, un grave peccato mortale, lo definisce, che fa ribrezzo persino ai demoni…

Accennando, infine ma non meno importante, alla mariologia ricchissima di Caterina, possiamo fare un profondo riferimento dell’appello della Madonna a Fatima che dovremmo conoscere, per concludere queste riflessioni con un invito alla recita del santo Rosario
… Nella Lettera 333 e 329, scrive santa Caterina: “Col pianto ci leviamo dal sonno della negligenzia, riconoscendo le grazie e benefizii che vecchi e nuovi avete ricevuti da Dio e da quella dolce Madre Maria, per lo cui mezzo confesso che nuovamente avete ricevuto questa grazia(..) Voglio che tutto virile ti spacci, e rispondi a Maria, che ti chiama con grandissimo amore(..)

Per li meriti di questa dolcissima Madre Maria, noi gusteremo e vedremo Cristo faccia a faccia, perocché tu sempre ti dimostri fedele nell’orazione e nelli Sacramenti, ed alla sua sequela non ti stanchi di obbedire a li Comandamenti…


QUELLE “SANTE” RACCOMANDAZIONI…

Forse è per questo che il Crocefisso, oggi come ieri, è “scandalo”. Riflette ciò che noi eravamo prima della Redenzione e rifiutandoLo non facciamo altro che voler rimanere in uno stato di disobbedienza per cercare di esorcizzare la Croce stessa.

Dice santa Caterina nel Dialogo: “Venne poi il Verbo, che prese in mano questa chiave dell’obbedienza e la purificò nel fuoco ardente della divina carità, la trasse dal fango lavandola con il Suo Sangue, la raddrizzò col coltello della giustizia, distruggendo le nostre iniquità sull’incudine del Suo Corpo Crocefisso. Egli così la racconciò per donarla a noi, ed è così resa perfetta che per quanto l’uomo la guasti con il suo libero arbitrio, Egli con altrettanto libero arbitrio, sempre la riacconcia…”

Ed ecco le sante raccomandazioni, quasi fossero un vero Testamento per noi oggi:

Esci dal peccato mortale con la santa confessione, con la contrizione del cuore, con la soddisfazione di una giusta penitenza, col proponimento di non voler più offendere Dio, prega incessantemente perché ti sia data tal grazia. Credi davvero di poter accedere alle Nozze dell’Agnello vestito degli stracci del peccato? Pensi davvero di potervi accedere permanendo in uno stato di grave peccato? Oppure credi potervi accedere senza l’uso di quella chiave?
O uomo cieco! e che più che cieco, dopo aver guastato la chiave dell’obbedienza ti illudi che non sia necessario riacconciarla, credi davvero di poter salire al cielo con la superbia che ti attrae all’inferno? Getta per terra quel laido vestito, e corri a confessare la tua anima per renderla pura e immacolata, pronta alle Nozze.(..)
Oh, se tu sapessi quanto è gloriosa, soave e dolce questa virtù in cui vi si trovano tutte le altre! Ella
(l’obbedienza a Dio) è concepita dall’amore ed è partorita dalla perfetta carità, in lei è fondata la pietra della santissima Fede, lei è una regina, chi la sposa riceve in dote ogni virtù, quiete, serenità dell’anima, ogni croce che deve portare le diventa leggera.(..)Trova pace, trova la quiete, sposa questa regina! Siile fedele, ed essa ti porterà, aprendoti ogni porta, dove ti attende ogni beatitudine eterna…”

Ci piace concludere con la sua frase più famosa, famosa sì, ma forse poco compresa nel suo contenuto e nella responsabilità alla quale ci chiama, tratta dalla Lettera 368: “Se sarete ciò che dovrete essere, metterete fuoco in Italia e nel mondo intero!” Sarà lei stessa a testimoniarlo ai suoi figli spirituali sul letto di morte: “Tenete per fermo, carissimi, che io ho dato la vita per la santa Chiesa

Santa Caterina da Siena, San Pio V, orate pro nobis!

Chiamata a difendersi dalle ingiuste accuse, al Capitolo generale dei Padri Domenicani, Santa Caterina da Siena si difende con parole di fuoco….

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Paolo di Tarso shares this
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Due Grandi Domenicani