CON L’IMMACOLATA CONTRO MASSONI E “NEMICI” DELLA CHIESA DI DIO

di P. ANTONIO M. DI MONDA O.F.M.Conv.

PREFAZIONE
S. Massimiliano M. Kolbe ha lottato strenuamente, per tutta la vita, contro la massoneria e gli altri «nemici» della Chiesa di Dio. E, cioè, dopo averne individuato la natura, le strutture organizzative e le losche finalità, egli ha studiato e messo in atto il suo piano di attacco. È quanto vogliono dire le pagine che seguono. Esse ci riportano alla storia affascinante di una delle più prestigiose figure della storia contemporanea della Chiesa, e provano, una volta di più, come in tutti i santi, i progetti, anche i più arditi, si traducano in realtà, con sorprendente facilità e coerenza, perché scaturiti da premesse di grazia e di soprannaturale, assieme a singolari doti di natura. «Non dobbiamo credere - diceva appunto Padre Kolbe a tutti gli esitanti e scettici, a proposito delle necessarie innovazioni o sviluppi da aversi nello spirito francescano - che tutte queste cose siano solo pure teorie astratte, irrealizzabili nella pratica. L'Immacolata, infatti, ha voluto suscitare già una Casa religiosa (Niepokalanow, in Polonia), la quale praticamente ha dato prova della possibilità di una tale vita e di un tale lavoro, durante i cinque anni della sua esistenza. (...) Sono stato in molte nazioni, ho visto tante cose, ho parlato con diverse persone, ma credetemi: non vi è niente di più adatto per curare i mali del nostro tempo che il nostro serafico Ordine, se con coraggio, prontezza, rapidità e costanza evolve lo spirito del serafico Padre S. Francesco».
Le pagine che seguono provano pure che la santità autentica è sempre intraprendente, combattiva per l'onore di Dio e la salvezza delle anime: i santi che pensano a se stessi solamente, o che, «alienati» in un mondo di sogno, si disinteressano dei reali bisogni e drammi dei fratelli; o che tacciono e cedono all'onda montante del male..., esistono solo nella fantasia di chi non ha capito nulla del cristianesimo, o ha la mente ottenebrata dai fumi di ideologie pazze. Padre Kolbe ritiene la lotta per Dio e la verità un dovere, un ideale sacrosanto e irrinunciabile di tutti coloro che amano veramente. Ciò che non può non suonare rimprovero a certi modi di vivere la propria vita cristiana, contrassegnati da una sonnolenza o pigrizia cronica, che fa dubitare molto della genuinità dell'amore, che dovrebbe alimentare detta vita cristiana.
Padre Kolbe orienta o dirige la sua lotta soprattutto contro la massoneria, non certamente per faziosità aprioristica. Egli è convinto che chi guida e determina l'orientamento mondiale, in quasi tutti i settori della vita sociale, è la massoneria. Una persuasione, come si vedrà, tutt'altro che infondata.
Nello scenario, disegnato dalla vita e dall'opera di Padre Kolbe - uno scenario, spesso, quasi irreale e di leggenda, anche se sempre di pura e semplice realtà -, non ci intrometteremo molto con la nostra logica umana, ammucchiando annotazioni e riflessioni. Lasceremo parlare soprattutto lui con le sue lettere, i suoi articoli, i suoi appunti di cronaca, ecc. Contravvenendo, anzi, volutamente, ad un sano principio di metodologia, che vuole citazioni piuttosto brevi o riassunte, noi abbonderemo in queste, presentandone, spesso, pagine intere. Riassumerle o ridurle al minimo o, ancora, accompagnarle con nostre riflessioni, ci è sembrato togliere non poco al calore e alla pregnanza di testi, eloquentissimi per sé.
Certo, un santo «combattivo», oggi, in pieno clima di irenismo a tutto spiano, che definisce, tout court, le polemiche e le battaglie di ieri, come «crociate», potrà apparire per lo meno anacronistico. E, invece, ci è sembrato che oggi, proprio perché si ha l'impressione che una diffusa sonnolenza si è abbattuta su tanta parte della Chiesa, e i nemici di Dio si son fatti, per questo, più arditi e spavaldi, attaccando e profanando tutto, è più che mai attuale un santo del genere. Un santo che, nella lotta al male e al peccato, non si è concesso sosta. Anche da questo punto di vista, allora, potremmo dire « provvidenziale» la qualifica data al P. Kolbe da Papa Giovanni Paolo II: «Patrono dei nostri difficili tempi». In effetti, Padre Kolbe è un ... «pazzo», ma di una «pazzia» che, sempre, ha salvato e salva il mondo: quella pazzia di cui, tra gli altri, ne tesse l'elogio il celebre Erasmo di Rotterdam col famoso «Elogio della pazzia»!


INTRODUZIONE
Chi rimira, per la prima volta, un'immagine di Padre Kolbe, ne ritrarrà, molto probabilmente, l'impressione di un tipo o temperamento bonaccione e calmo, anche se i suoi occhi vi penetrano fino in fondo all'anima. Il volto mite e rassicurante, il portamento umile e dimesso, tutto fa pensare ad uno di quei Frati «sereni» e distaccati, presi più dall'ansia di tuffarsi nell'aria balsamica della contemplazione di Dio che nel clima rovente di una battaglia. Una impressione che gli stessi scritti di P. Kolbe parrebbero, qua e là, confermare. Vi si rivela, infatti, che egli non era né un superiore ideale, troppo buono con tutti, né in possesso di doti indispensabili alla lotta e alla polemica. Non gli avevano appioppato il nomignolo di «marmellata»?
Eppure, nonostante tutte le apparenze, e pur nella mitezza della sua anima francescana, P. Kolbe è stato un lottatore di eccezione. Ne è rivelatore, già, un episodio della sua infanzia. Aveva acquistato una statuina della Madonna Immacolata per cinque copechi. Entrato nel seminario minore - racconta egli - un giorno «mentre assistevamo in coro alla santa Messa, con la faccia a terra promisi alla santissima Vergine Maria, la cui immagine dominava sopra l'altare, che avrei combattuto per lei. Come? Non lo sapevo, tuttavia immaginavo una lotta con le armi materiali; e per questo motivo, allorché giunse il momento di iniziare il noviziato (o di emettere la professione?), confidai al P. Maestro, P. Dioniso Sowiak (...), questa mia difficoltà ad entrare nello stato religioso. Egli trasformò quella mia decisione nell'impegno di recitare ogni giorno il «Sub tuum praesidium». Continuo ancor oggi a recitare questa preghiera, pur sapendo ormai quale fosse la battaglia che stava a cuore all'Immacolata».
Questa tendenza alla lotta, alla battaglia, possiamo dire, era «di casa» nella famiglia Kolbe. Figlio di una nazione che, martoriata nei secoli soprattutto per la sua fede cattolica e divenuta, perciò, naturalmente, eroica guerriera, P. Massimiliano aveva sotto gli occhi l'esempio del padre, seguito più tardi dal fratello Francesco: l'uno e l'altro diedero indubbie prove di patriottismo e di eroismo.
Spinto da un amore folle, ossessivo, per l'Immacolata, egli inizierà la grande battaglia, agli ordini dell'Immacolata, la sera del 16 ottobre 1917, concludendola in un tramonto, dai riflessi di sangue, nel campo di sterminio di Auschwitz il 14 agosto 1941.
Una vita intensissimamente impegnata e donata, senza risparmio, e trascorsa sempre, per così dire, in prima linea, sulla linea del fuoco, tra inauditi sacrifici e rischi di morte, e un fiorire incessante di iniziative e progetti dai frutti prodigiosi!
Perché, per chi, contro chi combatterà?... Pur dovendo avere in mente, fin dagli inizi, idee abbastanza chiare, queste gli si chiariranno e si svilupperanno, sempre più, man mano che coraggiosamente si impegnerà sui vari «fronti».
E intuizioni, iniziative, suggerimenti, ecc, si riveleranno, spesso, ardite aperture o autentiche anticipazioni profetiche, aprendo così orizzonti vastissimi all'azione apostolica.
E, tuttavia, la sua intraprendenza, la sua audacia, il suo incredibile dinamismo affondano in una preparazione meticolosa, naturale e soprannaturale soprattutto. È nell'humus della preghiera, della penitenza, del sacrificio, che attinge la forza per le sue imprese, pur rivelando, allo stesso tempo, geniali doti di organizzatore e di intelligenza di prim'ordine.
Egli diceva: «La vita dell'uomo ha tre tappe: la preparazione al lavoro, il lavoro, il dolore. Più velocemente un'anima raggiunge la santità e più presto arriva alla terza tappa: il dolore voluto dall'amore». Parole validissime per l'itinerario spirituale ma, non meno, anche per l'azione apostolica. Questa, infatti è veramente feconda, come comprova l'esperienza di innumerevoli grandi apostoli, solo quando, accuratamente preparata, è stata attuata e fecondata dal lavoro e dal sacrificio, voluto dall'amore. P. Kolbe ha concepito ad attuato così il suo grandioso piano di battaglia contro i «nemici», della Chiesa di Dio. Maturato nella preghiera e nella riflessione, venuta l'ora si dà ad attuarlo con coraggio e determinatezza sorprendenti, reclutando, per l'azione, uomini e mezzi dalla Polonia e dal mondo. Sorge così, ben presto, Niepokalanòw, la prima «Città dell'Immacolata», dove il ritmo del lavoro raggiunge livelli da capogiro; e dove gli «operai» crescono prodigiosamente, da renderla, presto, la più grande Comunità religiosa del mondo con circa 800 Frati, tra Sacerdoti e Fratelli religiosi; e dove si installano macchine modernissime da miliardi, pur nella persistente grandissima povertà degli «abitanti».
Tutto è guidato e sostenuto, oltre tutto, dal suo genio organizzativo: genio organizzativo, spiegato da P. Kolbe, non solo nella Niepokalanow polacca.
Tempra di autentico conquistatore, non si accontenta mai delle mete raggiunte. Come Alessandro Magno, Giulio Cesare, Napoleone e tutti i più famosi capitani della storia, egli sogna la conquista del mondo intero all'Immacolata. Come Alessandro, avrebbe pianto il giorno in cui si fosse accorto che non esistevano altri mondi da conquistare alla sua celeste Madre e Regina! «... quando ogni anima - scrive quasi fremendo - che esiste nel mondo intero, sino alla fine dei tempi, apparterrà a Lei (= l'Immacolata) in questo modo (= e cioè illimitatamente e incondizionatamente)?... M.I., M.I., M.I.» (8). «Quando Ella si impadronirà del mondo intero?... Quando in ogni nazione sorgerà la Sua Niepokalanow e il suo «Cavaliere», scritto in tutte le lingue, entrerà in ogni casa, in ogni palazzo, in ogni tugurio?... Quando la sua medaglietta sarà portata su ogni petto ed ogni cuore che batte sulla faccia della terra palpiterà per Lei?...». Come freme e soffre, e quasi scalpita impaziente, per le attese, sempre lunghe, della realizzazione completa del suo sogno, davanti agli interessi di Dio e dell'Immacolata non conosciuti o apertamente osteggiati e rinnegati: «Mi debbo limitare - chiedeva, nel maggio 1932 al suo Superiore Provinciale - all'opera della M.I. in Giappone e rispondere solo ai quesiti attinenti alla M.I. che giungono da diverse parti, oppure mi debbo occupare della totalità dei problemi della M.I. mondiale? In passato - confessa - avevo la sensazione di non essere in grado di occuparmene, ma ora, forse di fronte al progressivo avanzamento dell'ateismo mi «prudono le mani».
Ha la stoffa dei grandi apostoli e, perciò, alle parole, spesso solo scoppiettìi di fuochi artificiali, fatti più per illudere che per costruire, preferisce i fatti, le conquiste autentiche. E, infatti, con audacia insieme e prudenza, egli allarga continuamente i fronti di lotta e di azione: dalla Polonia all'Europa, al Giappone, all'Annam, ai Paesi Arabi, alla Cina ... Egli pensa e provvede, come meglio può, a tutto il mondo. E con la tenacia e l'intelligenza dei grandi pionieri sperimenta nuove formule di azione, adopera nuovi mezzi di conquista, e le iniziative si susseguono, così, quasi a getto continuo. E i frutti si vedono, in concretizzazioni da «miracolo»!
Quale il segreto di questo battagliare e vincere, ponendo in scacco le temibili forze del male? La sua strategia, semplice e geniale sotto tanti aspetti, è soprattutto soprannaturale, ancorata com'è strettissimamente alla grazia, all'Immacolata. Naturale e soprannaturale, in P. Kolbe, mai si separano, eccetto il caso in cui è volere stesso del cielo che operi quasi solo la grazia. Nel suggerire, per es., l'apertura di circoli M.I. nei Seminari del suo Ordine, che avrebbero dovuto preparare, in parte, gli uomini all'azione e alla lotta per l'Immacolata, così egli tracciava le linee dell'azione puramente oraganizzativa o naturale: «Questo Circolo nelle sue sessioni, prepari i propri membri a vivere e a lavorare secondo lo spirito della MA.: a) studiando la causa dell'Immacolata sotto l'aspetto storico, dogmatico, morale, giuridico, ascetico, ecc.; b) studiando contemporaneamente i movimenti antireligiosi del nostro tempo, le loro fonti, i loro metodi, gli effetti, ecc., distinguendo in tali movimenti quanto v'è di bene e quanto v'è di male in essi: non vi è altro modo più efficace per estirpare un movimento cattivo che conoscere quanto contiene di bene e applicarlo subito alla nostra causa. L'aver trascurato un tale metodo, ha provocato i deplorevoli avvenimenti del Messico e della Spagna; c) esercitandosi fin d'ora, secondo le proprie possibilità (preghiere, mortificazioni, ecc.) per questa causa; d) preparando un piano d'azione per il futuro».
Ma tutto questo è inutile o scarsamente fruttuoso se non ci si aggrappa, con tutte le forze, al soprannaturale, il vero segreto di ogni successo. Egli è profondamente convinto che il mondo lo si conquista soprattuttto con la forza di Dio: «Sono dell'avviso che non c'è mezzo migliore pre affrettare quell'istante benedetto (= della conquista di tutto il mondo all'Immacolata), del fatto che ognuno di noi si impegni ogni giorno di più ad approfondire in se stesso la propria consacrazione all'Immacolata. Infatti, quanto piu perfettamente apparterremo a Lei, tanto più liberamente Ella stessa ci potrà guidare; non si può immaginare un'azione più efficace di questa».
Lottatore indomito, non si concede sosta e nulla ritiene veramente impossibile. Ma solo si sottopone volentieri ad un lavoro massacrante e ai più ardui sacrifici e disagi di ogni sorta; ma fa ricorso, di buon grado, a tutti i mezzi e armi, che possono suggerirgli le tecniche e il suo grande potere di intuizione.
È più che ovvio che un lottatore di tale levatura e di tale ardore trovi inconcepibile, che si possa rimanere indifferenti e inerti davanti al male trionfante: «Di fronte agli attacchi tanto duri dei nemici della Chiesa di Dio ci è lecito rimanere inattivi? Ci è lecito forse lamentarci e versare lacrime soltanto? No affatto. (...) Su ciascuno di noi pesa il sacrosanto dovere di metterci in trincea e di respingere gli attacchi del nemico con il nostro petto».
Alla grande battaglia, da lui accettata e organizzata e combattuta con l'ardore di un amore «folle», praticamente egli invita tutte le anime. È a loro che debbono riferirsi le parole scritte sul Rycerz Niepokalanej il 1923: «Per amore verso i malvagi perseguitiamo, con tutta l'energia di cui siamo capaci, tutte le loro scellerate iniziative, indirizziamo questi cuori verso l'Immacolata con la preghiera e il sacrificio, assoggettiamo le loro anime a Lei impegnandoci personalmente, e ci saranno infinitamente riconoscenti fin da questa terra. Io stesso l'ho sperimentato più d'una volta: chiunque renderà felice una di queste anime avrà la sua viva riconoscenza». È un programma di vita, un ideale di luce e di grazia, che ha donato a sé e agli altri. Val la pena vederlo e studiarlo un po' più da vicino!


Cap. 1
L'AMORE DI PADRE KOLBE

Un padre Kolbe lottatore ad oltranza potrebbe ingenerare, sia pure a primo impatto solamente, equivoci o, per lo meno, sorpresa e perplessità. Il cristiano non è, forse, figlio della pace in tutti i sensi, colui, cioé, che dopo aver fatta la pace nel suo cuore, cerca di farla, anche, con i fratelli e l'universo intero?
Non si fraintenda. Lo spirito di battaglia del P. Kolbe è da vedersi ed intendersi unicamente nella prospettiva totale dell'amore soprannaturale. Per tutta la vita, egli non ha fatto che amare ed amare con l'ardore dei santi più eroici. Dal suo abbraccio tenerissimo e sincero nessuno venne escluso. Un'affermazione, questa, facile a provarsi, soprattutto se la si vede alla luce, oltre che delle varie singolarissime tappe della vita, del supremo olocausto di sé, compiuto a favore di uno sconosciuto, nel campo di Auschwitz.

1. P. Kolbe ha amato il suo «prossimo».
Affermare che P. Kolbe ha amato il suo prossimo equivale a dire che egli si è legato, con vincolo d'amore autentico, prima di tutto, con tutti coloro che, comunque, avevano con lui legami di sangue o di nazionalità o di religione e di ideali, e quindi parenti, amici, connazionali, confratelli di fede e di apostolato, ecc. E, in effetti, egli: Amò sua mamma, i suoi parenti tutti con amore tutt'altro che sentimentale o viscerale.
Alla mamma scrive spesso ma poco, perché problemi grossi l'assillano di continuo. Le poche righe, però, dicono bene il suo cuore, la sua gratitudine, il suo attaccamento umano e soprannaturale insieme. A lei comunica notizie liete e tristi, indugiando volentieri in dettagli di cronaca, che possono farle piacere. Le narra con gioia contenuta le vittorie e i succesi che, in nome dell'Immacolata, va raccogliendo in patria e fuori. Le chiede preghiere e sacrifici perché lui non defletta dalla via intrapresa, e possa rispondere, in pieno, ai disegni divini, e risolvere le difficoltà che lo incalzano da tutte le parti. Tenta pure di rassicurarla ed incoraggiarla quando incombe, terribile, la minaccia della deportazione e della morte, ben conoscendo l'angoscia di un cuore di mamma.
Si preoccupa della salute temporale ed eterna di suo papà e dei suoi fratelli, non nascondendo sentimenti di sofferenza e di preoccupazione, davanti a situazioni spesso, materialmente o moralmente, difficili.
Molto più numerose, invece, le lettere inviate a suo fratello P. Alfonso. Egli vive il suo stesso ideale; essendosi consacrato con tutto l'ardore della sua giovinezza, per esso va impegnando le migliori energie della sua anima. Gli scrive, oltre che per il vincolo di sangue e di religione a lui congiunto, anche per il bisogno di dargli direttive, di comunicargli notizie o per particolari esigenze, e aiutarlo nelle gravissime difficoltà insorgenti dalla vita e dall'attività di Niepokalanòw specialmente. Gli scrive soprattutto dell'ideale che, insieme, hanno abbracciato; dell'obbedienza che deve dirigere e santificare ogni più piccolo gesto della vita e della giornata; del mistero dell'Immacolata, ecc. Lettere, spesso, bellissime e profonde.
Grande sarà il dolore di P. Kolbe quando P. Alfonso, colpito dalla TBC, si spegnerà ancora giovanissimo. Il suo dolore, per tanta perdita, sarà addolcito dal pensiero che lui è un «caduto» per la grande causa e che, in cielo, continuerà a lottare, accanto all'Immacolata.

P. Kolbe amò i suoi fratelli di religione
P. Kolbe conserva rapporti con molti religiosi, parecchi dei quali o suoi compagni di studio a Roma o, comunque, conosciuti un po' dovunque.
Sempre cortese e gentile, non lascia alcuna lettera senza risposta, anche se breve e sommaria. Risponde a tutti, anche se si lagna sempre di avere troppo poco tempo a disposizione, di fronte all'immane lavoro da fare. È vero, P. Kolbe raramente ha effusioni di affetto come quelle, tipiche, di uomini meridionali, ma il suo affetto è indubbio. Esso balza, evidente, da tanti indizi, non ultimo quello di venire incontro, premuroso, a tutto quanto gli si chiede. È sempre preoccupato soprattutto di aiutare, di illuninare, di spingere al meglio, di confortare. A tutti augura sanità e grazia e benedizioni dall'Immacolata; e a tutti chiede. preghiere, perché lui non intralci i piani dell'Immacolata.
Naturalmente si fa più espansivo, più affettuoso per tutti coloro che condividono il suo ideale, o che sono cresciuti al calore del suo cuore, e cioé quelli di Niepokalanòw o di Mugenzai no Sono. Ad essi apre volentieri l'animo suo; con loro discute i progetti che gli frullano in capo incessantemente; comunica successi e difficoltà nella lotta comune; risponde a quesiti e obiezioni, che candidamente gli presentano. Pagine, a volte, bellissime, ripiene di princìpi ed insegnamenti dell'ascetica cristiana.
Il tema preferito, però, è quasi sempre l'Immacolata, tema affrontato in innumerevoli risvolti e angolazioni, attingendo, non infrequentemente, profondità o altezze da capogiro, pur se, sempre, in un linguaggio piano e con un candore disarmante. Qualche esempio?... Ecco dopo i saluti «cordiali» per alcuni, aggiunge: «Dì inoltre ai cari Fratelli che mando loro di tutto cuore la mia benedizione sacerdotale e l'augurio che non mi imitino nella malattia, purché tale sia la volontà dell'Immacolata». «L'Immacolata vi ricompensi, cari figliuoli, il più generosamente possibile per gli auguri e le preghiere fatte per me». Si scusa e spiega perché li chiama «figliuoli»: «... non suonano male le parole: "Figliuolo", "figliuoli", invece di "fratello", "fratelli"? Miei cari, anche San Paolo (...) dice più o meno queste parole: «Anche se voi aveste avuto 10.000 maestri in Cristo, non avreste molti padri, perché sono stato io a generarvi nel Vangelo» (...). Io pure, perciò, applico a me stesso queste parole, rallegrandomi del fatto che l'Immacolata si sia degnata, nonostante le mie miserie, debolezze e indegnità, di infondere in voi attraverso di me la Sua vita, di rendermi vostra madre. È così che la vita divina, la vita della SS. Trinità scorre dal Sacratissimo Cuore di Gesù, attraverso il Cuore Immacolato di Maria, nei poveri cuori, ma sovente anche attraverso altri cuori creati...». E aggiunge teneri e toccanti epiteti: «Miei carissimi, amatissimi figliuoli». Si preoccupa della loro salute fisica, e soprattutto di quella dell'anima. Si ricorda di loro nella Santa Messa quotidiana. Incoraggiante, per es., premurosa la lettera ai neovestiti Fratelli, incitandoli alla fiducia e sostenendone il coraggio.
Padre Kolbe ha amato non meno quei religiosi o confratelli che non lo compresero o ne osteggiarono, con mezzi più o meno onesti, i progetti e le idee... Così egli, se si oppone decisamente a che la rivista del Terz'Ordine Francescano sia stampata con i soldi del «Cavaliere», difendendone gelosamente l'autonomia sia ideale che economica, parla però con rispetto di quelli che sono di diverso avviso, e motiva la sua posizione con il fatto che le entrate di Niepokalanòw non devono, non possono servire come «rendita» dei Frati. Occasione buona, per P. Kolbe, per bollare a fuoco una tale concezione di vita, tutt'altro che consona all'ideale francescano.
Sopporta quasi eroicamente P. Costanzo, che non lo comprende né comprende il suo ideale e tante cose sulla Madonna. Ma spera che, alla fine, egli capirà. Ne ascolta, infatti, pareri e punti di vista, ma non vuole comunicarli al P. Provinciale «perché forse col tempo li abbandonerà». A proposito, anzi, di alcune sue obiezioni e proposte comunicate al P. Provinciale, Padre Kolbe conclude: «Non voglio dire con questo che P. Costanzo non sia un buon Padre. Anzi, è devoto, zelante e - cosa molto bella - è aperto e sincero, mentre tutto questo allarmarsi proviene dal suo sistema nervoso indebolito; d'altra parte, si può notare in lui una certa mancanza di preparazione ad una vita secondo lo spirito di Niepokalanòw». E aggiunge, pure, qual'è, in merito, il suo proposito e programma spirituale: «Per quanto mi sarà possibile cercherò l'amore vicendevole... In certi casi, però, questo è semplicemente impossibile, sino a che P. Costanzo non amerà l'Immacolata e la sua Milizia, il suo Kishi, le sue Niepokalanòw, perché quello che rende contenti e lieti tutti noi, lo turba, lo rattrista, lo annoia e lo spinge a reagire. Tuttavia, come ho già accennato sopra, talvolta si nota una ripresa e allora egli riconosce che deve comportarsi in modo diverso, però in seguito ricade nuovamente nello stato d'animo precedente. A me sembra che sia soprattutto questa la causa della sua nevrastenia. Mi sforzo di sorvolare su quei temi in sua presenza». Nel suo impegno di amore, arriva addirittura ad affidargli incarichi di fiducia e a lavorare assieme a lui: «Il giorno 11 c. m. P. Costanzo mi ha chiesto scusa per tutto quel che c'è stato finora e mi ha promesso che per l'avvenire sarà diverso (...). Gli ho affidato subito l'incarico di economo e d'ora in poi lavoreremo insieme in redazione».
In conclusione, P. Kolbe non solo ha amato tutti di amore soprannaturale, ma dirà, rifacendosi alle più pure fonti evangeliche, che non bisogna amare il prossimo perché è simpatico, utile, ricco, influente o solo perché riconoscente. Sono, questi, motivi troppo meschini, indegni di un milite o di una milite dell'Immacolata. «L'amore autentico si eleva al di sopra della creatura e si immerge in Dio: in Lui, per Lui e per mezzo di Lui, ama tutti, buoni e cattivi, amici e nemici». A qualcuno arriva a dire: «I fratelli che crocifiggono sono un tesoro: amali».

2. Padre Kolbe ha amato i «lontani» e quelli che gli si sono dimostrati nemici.
Per «lontani», vogliamo intendere, più che quelli distanti da lui per lo spazio, quelli che da lui erano «distanti» per fede e amore. «Lontani», perciò, sono gli uomini di tutti i popoli e nazioni diverse; e «lontani» sono i «nemici» che combattono la sua nazione, la sua fede e i suoi ideali. Tra i propositi, fatti dal P. Kolbe, negli esercizi spirituali per il Suddiaconato, c'è pure quello di amare i suoi «nemici»: «Ama i tuoi nemici, soprattutto quando più numerosi sono i dispiaceri che essi ti hanno arrecato». «Sopportiamo - diceva pure - le piccole croci, amiamo assai le anime di tutti i nostri prossimi, senza alcuna eccezione, amici e nemici».
Mai ha odiato i Tedeschi che, pure, per tanti versi, lo avevano fatto soffrire. Sollecitato e «ferito» da una accusa dell'Ufficio Distrettuale Tedesco, aveva scritto: «... Vorrei sottolineare che non provo odio per nessuno su questa terra. La sostanza del mio ideale si trova nelle stampe accluse. Ciò che emerge da esse è mio: per questo ideale io desidero sempre lavorare, soffrire e magari offrire in sacrificio anche la vita; mentre ciò che è contrario a esso, non è mio».
Ha amato i pagani e tutti coloro che sono nelle tenebre dell'errore e dell'ignoranza: ne fa fede tutta la vita, spesa per illuminare ed evangelizzare. Per i poveri pagani ha donato il meglio di sé: la sua giovinezza, la sua intelligenza, la sua salute, il suo tempo, sobbarcandosi a disagi e sacrifici spesso veramente eroici. Perché, animato dello spirito di Cristo, non può non soffrire nel costatare la situazione religiosa del mondo. Ecco, per es., come si esprime, a proposito dell'Oriente: «In Giappone su 65 milioni di pagani ci sono soltanto duecento sacerdoti e qualche altra diecina: si tratta davvero di un numero irrilevante, non vi pare? I cattolici sono poco più di 100 mila, ma che significa questo per masse così grandi di poveri - sì, di veramente poveri - pagani? ...». Quasi gli stessi rilievi a proposito della Corea, finendo con le parole: «Questo gran popolo invoca gli apostoli di Cristo».
Ha amato i peccatori e gli eretici. I peccatori sono quelli che offendono Dio e danno dispiaceri anche ai fratelli. P. Kolbe esorta, prima di tutto, al perdono vicendevole e all'esercizio delle virtù, perché proprio le piccole croci, sofferte a causa dei fratelli, ci aiutano a crescere spiritualmente: «Per facilitare a noi l'attività volta al bene delle anime, Dio permette piccole croci di vario genere, dipendenti o indipendenti dalla volontà altrui, provenienti o meno da una volontà retta. (...). Perciò è sufficiente il perdono completo delle colpe altrui, commesse nei nostri confronti, per ottenere il diritto al perdono per le colpe che noi commettiamo nei confronti di Dio. (...) Inoltre, l'amore scambievole non consiste nel fatto che nessuno mai ci procuri dei dispiaceri, ma che ci sforziamo di non recar dispiaceri agli altri e ci abituiamo a perdonare subito e completamente tutto ciò che ci reca offesa».
Bisogna poi volere sinceramente la salvezza di tutti: «Impégnati a fondo - scrive ad un altro - per ottenere la salvezza di tutti con ogni mezzo possibile». Chi più di lui - lo abbiamo già notato - ne darà la prova convincente?...
Ha amato i Protestanti, pur denunciando con fermezza i limiti e carenze della loro dottrina, o le intemperanze delle loro sette. Conosciuto il pastore protestante Kranz, non solo non lo fugge, ma ama discorrere con lui, cerca di illuminarlo in tutti i modi, lo raccomanda alla preghiera, invitando a porlo tra i «raccomandati» all'Immacolata.
In Giappone avrà, tra i suoi primi collaboratori, il prof. Protestante metodista Yamaki e il professor, parimenti protestante, Tagita Koya, che gli traducono, senza compenso, in giapponese. Yamaki, anzi, è il suo più valido traduttore. Prega e fa pregare per loro.
Egli vuole sinceramente la conversione degli eretici.
Ha amato ebrei, massoni e altri anemici» della Chiesa. Tra i nuovi abbonamenti al «Cavaliere», da lui inviati quando era ancora ricoverato a Zakopane, c'è anche il nominativo del giovane socialista Lopata Ladislao. Egli invita il confratello, a cui scrive, ad inviare a tale giovane anche qualche libretto sul socialismo.
Conversa volentieri con gli Ebrei; ammette volentieri che molti di essi cercano la verità, e li invita alla conversazione.
A conclusione del primo anno di pubblicazione del «Cavaliere» polacco, Padre Kolbe, dopo aver calorosamente ringraziato tutti coloro che lo hanno aiutato, aggiunge: «Con la medesima carità noi ci rivolgiamo a coloro che sono stati nemici del Rycerz ed anche a coloro che hanno rivolto i loro sforzi in questa direzione allo scopo di non permettergli di uscire. A tutti costoro noi perdoniamo di cuore, augurando loro ... di tornare all'ovile, se fossero lontani. Sempre ad Ebrei offre la Medaglia miracolosa; battezza uno studente ebreo, in punto di morte; e ai parenti stessi che, per questo, insceneranno, dopo, un pandemonio, offre la Medaglia miracolosa.
P. Kolbe annota pure, con santa soddisfazione, come, avendo offerto la Medaglia miracolosa a dei prigionieri bolscevichi, l'hanno accettata anche due giudei, che erano tra i soldati polacchi. Ad un ebreo che, stando al buio in treno, gli aveva offerto una candelina, permettendogli così di poter recitare il breviario, P. Kolbe promette di celebrare per lui una santa Messa. Ogni qualvolta, in treno, si incontra con Ebrei e protestanti, discute francamente e amabilmente con loro, e li pone, poi, tra i «raccomandati» nella preghiera all'Immacolata. Né è da dimenticare come egli divulghi, con grande ammirazione, le figure di ebrei convertiti, come quella del Ratisbonne, del Norsa, divenuto francescano conventuale. E, particolare degno di rilievo, mai ha voluto accogliere e pubblicare nel «Cavaliere» stampe e scritti contro gli ebrei. Certo, P. Kolbe non ha taciuto le colpe e i limiti di questo grande popolo, come meglio vedremo più avanti, parlando della massoneria. Egli deplora soprattutto che essi non abbiano accettato il Cristo e continuano ad accanirsi contro di Lui, così come si accaniscono non meno contro i cristiani: lo testimonia tra l'altro, quanto scritto nel Talmud. Sì, P. Kolbe non nasconde la veritlà, ma non odia, non disprezza gli ebrei. Dopo di aver sottolineato il livore contro Cristo e i cristiani, che permea tutti i dodici volumi del Talmud, Padre Kolbe, semplicemente, si rammarica sinceramente di una situazione morale religiosa non, certo, confortante, annotando: «Nulla di strano, quindi, che né un comune ebreo né un rabbino abbia di solito, un'idea esatta della religione di Cristo: nutrito unicamente di odio verso il proprio Redentore, sepolto nelle faccende di ordine temporale, bramoso di oro e di potere, non immagina neppure quanta pace e quanta felicità offra fin da questa terra il fedele, ardente e generoso amore verso il Crocifisso! Come esso supera tutte le "felicità" dei sensi o dell'intelligenza, offerte da questo misero mondo!».
Per i massoni l'amore del Padre Kolbe non è meno intenso: lo vedremo quando si parlerà, appunto, della lotta da lui ingaggiata specialmente contro di loro.
Padre Kolbe amò tutti gli uomini, ma specialmente i più diseredati nel corpo e nell'anima, come è precetto nel Cristianesimo. A poveri e derelitti egli darà, spesso, nel campo di concentramento, la sua già misera razione di cibo. Mentre nella sua Niepokalanòw, divenuta durante la seconda grande guerra mondiale, centro di accoglienza anche di ebrei, si ripetevano eroismi grandi, e si scrivevano pagine di amore per tutti i bisognosi, senza discriminazione di razza o di nazionalità.

3. P. Kolbe, avendo amato solamente, mai è stato un «anti...».
Se P. Kolbe ha amato tutti, compresi i nemici, è evidente che mai ha lottato e odiato i tedeschi, gli ebrei, i massoni, i protestanti, i marxisti, ecc., in quanto tali.
Purtroppo P. Kolbe è stato accusato, soprattutto, di essere stato un antiebreo. Una vera e propria calunnia, di cui meglio ci eccuperemo più avanti. Egli, certo, non condivideva, lo abbiamo visto, tanti comportamenti e metodi di vita e di azione degli ebrei, ma le divergenze, e quindi i suggerimenti dati, a parte che mai sono faziosi e acri, sono sempre di carattere tecnico. D'altra parte, mai avrebbe potuto nutrire sentimenti d'odio colui che, anche quando consumava il suo tremendo calvario, aveva detto a chi gli parlava di odio e di vendetta: «L'odio divide, separa e distrugge, mentre al contrario l'amore unisce, dà pace ed edifica. Nulla di strano, quindi, che solo l'amore riesca a rendere sempre gli uomini perfetti». Il Dr. Stemler, che provvidenzialmente lo incontrò nel campo della morte, ha così testimoniato al processo per la di lui canonizzazione: «I miei sentimenti erano di dolore e di disperazione. lo volevo vivere!... Le sue parole invece erano profonde e semplici. Esortava ad avere forte fede nella vittoria del bene. L'odio non è forza creativa. Solo l'amore è forza creativa - sussurrava stringendo forte la mia mano nella sua infuocata -. Questi dolori non ci piegheranno, ma devono sempre più aiutarci ad essere forti. Sono necessari insieme con gli altri sacrifici perché coloro che rimarranno dopo di noi siano felici...».
Contro insinuazioni e sospetti, frutto di elucubrazioni né serene né obiettive, valgono i fatti, le testimonianze non sospette, le luci sempre intense e immacolate di una intera esistenza. Sì, P. Kolbe, in tutta la sua vita, non ha fatto che amare ed amare nella maniera più eroica. La sua ultima immolazione doveva costituire,semplicemente, il coronamento adeguato di tutto un cammino e di una crescita prodigiosa. Egli è un miracolo di amore: è questa la sua aureola, è questo il suo monumento perenne!

Cap. II
I «NEMICI» DELL'IMMACOLATA

Padre Kolbe parla spesso di «nemici» di Dio, dell'Immacolata, della Chiesa, ecc. C'è da chiedersi: possono esistere «nemici» di tal genere? E cioé: è possibile che esistano «nemici» di un Dio che è amore per definizione, o nemici di Colei che è, per antonomasia, la Madre della bontà e della misericordia? Soprattutto, possono esistere «nemici» per un cristiano, che professa una religione tutta basata sull'amore, e il cui più grande precetto è quello dell'amore di Dio e dei fratelli?... Può un cristiano, il cui distintivo è l'amore fraterno e al quale si fa obbligo di perdonare una infinità di volte le offese ricevute, e di rispondere col bene al male, ritenere alcuni come «nemici»? Può, soprattutto, parlare di «nemici» chi, come Padre Kolbe, è figlio e seguace di Francesco di Assisi, che salutava «frati e sore» gli esseri e le creature della creazione, e perfino le malattie e la morte?... Sì, nonostante tutto, si può e si deve parlare di «nemici», pur senza intaccare in nulla la realtà e le esigenze autentiche dell'amore.

I - Chi deve ritenersi «nemico».
Nemico è tutto ciò che, di fronte, contraria e contrasta. Perciò, quanto e quanti contrariano e lottano Dio, sono suoi nemici. Generalmente, poi, chi lotta e avversa Dio, combatte pure tutto ciò e tutti quelli che sono dalla parte di Dio e a Lui si rifanno, e quindi l'Immacolata, i Santi, ecc. Ancora, chi lotta Dio, lotta soprattutto la Chiesa cattolica, che di Dio è speciale e universale strumento di salvezza e di misericordia, rivelazione, depositaria e trasmettitrice della sua parola e della sua verità.
La Chiesa, a sua volta, si immedesima e si riflette, al massimo, nei Santi e soprattutto nell'Immacolata e in Cristo Gesù. Nessuna meraviglia, allora, che P. Kolbe parli, indifferentemente, dei «nemici» di Dio e del bene, denominandoli, spesso, semplicemente «nemici di Dio» o «nemici della Chiesa» o «nemici dell'Immacolata».
Ma, in pratica, chi lotta e avversa Dio?...
a) Tutto ciò che, oggettivamente, è, per natura o per posizione presa, contro la verità e il bene. La verità, il bene, l'ordine, l'amore ed ogni altro valore eterno, in definitiva, si identificano con Dio.
Il contrario della verità e della bontà è l'errore, la menzogna, la cattiveria e il peccato sotto tutte le forme. E cioé tutte le deformazioni e deviazioni che, consapevolmente o no, maliziosamente o no, si ritrovano o possono trovarsi nell'uomo e nella creatura intelligente. In questo senso anche tutte le religioni, ad eccezione di quella cristiana cattolica, non per il vero e il buono che c'è in esse e unisce a Dio, ma per gli errori che vi si frammischiano, quindi nelle loro oggettive deformazioni, soprattutto se comprese e sostenute come tali, sono «nemiche» di Dio, in lotta con Lui! Ogni oggettiva deformazione o deviazione è sempre assolutamente incompatibile con Dio, così come lo è la luce con la tenebra.
La deformazione o deviazione, tuttavia, costituisce vera e propria inimicizia e contrasto e opposizione a Dio solo quando è volontario e consapevole rifiuto di Dio e dei valori che Egli implica.
Affermando che l'opposizione tra Dio e il peccato, tra Dio e l'errore colpevole è totale, irriducibile, si vuol dire che non può mai esistere, oggettivamente, alcun cedimento al peccato e all'errore, né accomodamento e compromesso alcuno da parte di Dio. Il solo ipotizzarlo, anzi, costituirebbe offesa gravissima.
Ma chi sono, tra le creature intelligenti, ad opporsi volutamente a Dio?...
b) Il diavolo, prima di tutto. Egli è come 1'incarnazione del male e della menzogna; essendo il suo agire orientato sempre, essenzialmente, a contestare, negare, diffamare, lottare la verità e il bene. Egli è, perciò, l'avversario per eccellenza di Dio, dell'Immacolata, della Chiesa, e anche il vero capo di tutto il male. Diciamo così, perché non ci sfiora neanche il dubbio sull'esistenza personale del diavolo, per noi assolutamente certa, come lo è per tutta la Tradizione della Chiesa.
P. Kolbe parla spesso di questo «nemico», attribuendogli molte malefatte. Tra l'altro, egli cerca di porre ostacoli al bene, accaparrando strumenti per la sua azione nefasta. Moltiplica le insidie al calcagno dell'Immacolata, cercando di insozzare col peccato specialmente le anime consacrate a Lei, anche se i suoi tentativi sono destinati, in gran parte, al fallimento.
Prende di mira, tutto particolarmente, Niepokalanòw e la sua azione.
Il diavolo è l'autore principale di tutto il male morale esistente nel mondo: da lui la spinta a tutti i peccati, a tutti gli errori, a tutte le eresie. Da lui la forza e l'incoraggiamento a tutti gli operatori di iniquità. Il male nel mondo, come vedremo, costituisce il corpo stesso del serpe infernale, proprio in quanto esso, oltre che appartenergli, è da lui vivificato e alimentato in permanenza.
«Nemici» di Dio e dell'Immacolata devono dirsi pure:
c) I peccatori di qualsiasi genere, con le riserve sopra espresse, coloro, cioé, che, scientemente o no, aderiscono liberamente all'errore; violando la legge santa di Dio, ed opponendosi al suo amore. Si tratta, più particolarmente, di quei peccatori che vivono o giacciono nei loro peccati, nulla facendo o non facendo abbastanza per uscirne; o che, addirittura, si ostinano a permanervi, avendo praticamente estromesso Dio dalla loro vita: atei pratici che «a Dio preferirebbero - dice P. Kolbe - non pensare, non parlare di Lui; meglio ripetere come quegli automi: "Dio non esiste", poiché se esiste, beh, allora ...bisognerebbe vivere in modo tutto diverso»;
d) Gli eretici, quelli, cioé, che ostinatamente, secondo la definizione del Codice di Diritto Canonico, permangono in idee e posizioni dottrinali, dichiarate difformi dalla verità e condannate dalla legittima autorità della Chiesa. P. Kolbe, come vedremo, parla spesso delle eresie.
e) «Nemici» dell'Immacolata sono soprattutto coloro che, oltre a scegliere e perseverare nel peccato o nell'errore, combattono anche, come possono, la verità e il bene, Dio e tutto ciò che a Lui fa capo elo a Lui si riferisce; e difendono e propagano il male. Qui, ovviamente, il carattere di «nemico» è più netto e più evidente, delineato com'è nelle sue linee più specifiche. E vero che, per lo più, chi vive perversamente, è già portato, come d'istinto, a difendere il proprio tenore di vita. Ma, anche in questo caso, c'è chi lotta per solo interesse, per giustificare cioé il proprio comportamento, e c'è chi lotta per una carica anche di odio e di ostinazione, che si porta nel cuore. Con ciò, però, non si vuol dire che non esistono anche «nemici» in buona fede, uomini cioé che difendono ed esaltano, come «buone e vere», dottrine e costumi oggettivamente perversi o aberranti. Purtroppo, la buona fede e le buone intenzioni non modificano né sopprimono, come è ovvio, peccati ed errori con tutte le loro tristi conseguenze. Di qui il motivo principale per ritenere anche costoro come «nemici» della verità e del bene. E, in effetti, P. Kolbe non esita a chiamare «nemico» chiunque si oppone alla verità, incoraggiato in ciò, anche, dall'atteggiamento preso dal Beato Duns Scoto, nella difesa del domma dell'Immacolata Concezione di Maria: «Mi fecero impressione - egli afferma - le parole della preghiera di Duns Scoto: ‘Dignare me laudare Te, Virgo, sacrata; da mini virtutem contra hostes tuos’. Non pensava, qui, ai pagani o eretici, ma a quelli che avevano duecento argomenti per provare la loro tesi. E perciò, quando si tratta dell'Immacolata, non domanda lui né prudenza né amore, ma `virtutem' e questo 'contra', e li chiama duramente, prima di vedere i loro argomenti, `hostes tuos'».
A questo punto, possiamo capire quella che potrebbe ritenersi una vera e propria definizione del «nemico» dell'Immacolata. Nemico dell'Immacolata «È tutto ciò che è macchiato di peccato, che non conduce a Dio, che non è amore; è tutto ciò che è prodotto dal serpente infernale, il quale è la menzogna personificata: tutti i nostri difetti, quindi, tutte le nostre colpe». Un bel testo, senza dubbio, che a volerlo analizzare un po', più da vicino, illumina non poco il problema che ci occupa. Da esso si deduce che è nemico di Dio:
Tutto ciò che è macchiato di peccato, e quindi anche il peccatore che ha peccato o pecca per fragilità e debolezza. In pratica, chiunque non è arrivato ad una totale purezza o completa liberazione dal peccato. Naturalmente poiché la grazia rende «amici di Dio», la qualifica di «nemici» di Dio, riferita a essi, deve applicarsi, più che mai, ai peccati o scorie di peccati, che ancora sussistono in essi. È quanto lo stesso P. Kolbe dirà più oltre. Nemico di Dio è:
Tutto ciò che non conduce a Dio. E cioé, oltre al peccato, propriamente detto, tutto ciò che, anche se buono o indifferente in se stesso, si rivela, nell'uso o in pratica, come impedimento ad andare a Dio. Così, per es., un'amicizia, buona in se stessa, potrebbe divenire ostacolo ad essere tutto di Dio; un talento di qualsiasi natura, buono in se stesso, potrebbe rivelarsi, nella pratica della vita, vera e propria disgrazia per l'anima; ecc. È solo e sempre in questo senso che tali realtà debbono ritenersi «nemiche di Dio».
Nemico di Dio è ancora:
Tutto ciò che non è amore. L'amore è la forma di ogni virtù, e perciò ogni atto buono, se non è informato dall'amore soprannaturale, non costituisce mai virtù autentica. Qualunque gesto, anzi, non compiuto per amore, almeno implicito e non formalmente escluso, diviene peccato e perciò «nemico» di Dio;
E tutto ciò - ancora - che è prodotto del serpente infernale. È logico, infatti, che quanto prodotto e voluto da chi è fissato nel male, non ha mai un fine ultimo retto e buono, e perciò tutto è male, anche quello che, in sé e per sé, potrebbe essere buono.
E, infine, tutti i nostri difetti, tutte le nostre colpe. La colpa, infatti, anche nei suoi più tenui e - si direbbe - insignificanti risvolti, è sempre qualcosa che è contro la perfezione e l'amore di Dio, oltre che contro la perfezione dell'uomo.

II - I «nemici» esterni della Chiesa.
È evidente che tutto ciò che viene classificato come nemico di Dio, non può essere solo pura astrazione, né può essere solo prodotto del demonio. Accanto a peccatori e anime, gravati più o meno da colpe ed imperfezioni - «nemici», in parte, anche questi, come vedremo, da convertire e santificare -, esistono veri e propri nemici esterni, non solo portatori, ma esaltatori e propagatori di errori e di peccati o, comunque, del male sotto qualsiasi forma ed espressione. Sono i nemici che possono individuarsi, con sufficiente esattezza, in tutti coloro che, più o meno apertamente, combattono la Chiesa di Dio. L'odio contro Dio si riversa infatti, ordinariamente, contro la Chiesa che è il «Corpo» di Cristo (cfr. Ef 4, 12) e l'universale sacramento di salvezza», e perciò espressione la più completa del mistero di Dio nel tempo.
Questa lotta, sempre in atto fino alla fine dei secoli, assume, nelle varie epoche della storia, toni drammatici e colore di sangue. Una di queste epoche è certamente la nostra che, a detta di qualche autorevole anima santa, è stata come abbandonata al potere di satana. Padre Kolbe, già nel 1923, scriveva: «Su tutta la faccia della terra, da una parte in modo più debole, da un'altra con maggiore accanimento, ferve una lotta contro la Chiesa e la felicità delle anime. Il nemico si manifesta sotto abiti diversi e denominazioni diverse.
Tutti conoscono il modo con cui il socialismo, approffittando delle misere condizioni dell'operaio, gli ha inculcato il veleno della miscredenza. Vediamo come i bolscevichi perseguitano la religione. Ascoltiamo l'insegnamento dei materialisti, i quali desiderano restringere l'universo soltanto a ciò che noi conosciamo immediatamente con i sensi, allo scopo di convincere, in tal modo, se stessi e gli altri che non esiste né Dio né l'anima. La teosofia inculca 1'indifferentismo religioso, mentre gli «studiosi della sacra Scrittura» ed altri protestanti si acquistano la simpatia dei credenti con grosse somme di dollari. Tutti questi blocchi formano un fronte di battaglia compatto contro la Chiesa».
Per il P. Kolbe, dunque, - e dal 1923 ad oggi, la situazione, sostanzialmente, non è mutata gran che, anche tenendo conto del fenomeno dell'ecumenismo, esploso prepotentemente, soprattutto, col Vaticano II - nemici esterni della Chiesa di Dio sono socialisti, bolscevichi, materialisti, teosofi, sette protestanti, ecc., sotto la guida di ebrei e massoni. Infatti, egli dice: «È ben noto a tutti che sono gli ebrei a dirigere il socialismo e a governare attualmente nella Russia bolscevica. Essi non mancano neanche tra le schiere dei materialisti. Gli «studiosi della sacra Scrittura», poi (...) non sono altro che un bolscevismo mascherato con tutte le premesse dei talmudisti. Anche nella teosofia gli ebrei fanno la loro abbondante comparsa (...). Inoltre, anche la sola denominazione: «loggia», analoga alle organizzazioni massoniche, fa molto pensare. (...) Che i massoni esercitino qui da noi una grande influenza anche sul governo è dimostrato in modo eloquente (...). Di fronte a questi dati di fatto, si può ancora essere dubbiosi nell'individuare la guida sotto la quale combattono, consapevolmente o meno, i nostri nemici? Ecco chi è la mano misteriosa che spinge il nostro paese alla rovina». Per P. Kolbe, dunque, nemici della Chiesa di Dio sono, soprattutto, i protestanti, i socialisti, i comunisti e la massoneria. Ha ragione P. Kolbe di parlare così?... Non c'è che da analizzare, con assoluta imparzialità e sincerità, i vari movimenti ideologici, ai quali i suddetti «nemici» si rifanno.

1. Il Protestantesimo.
Il Protestantesimo, come è noto, fa capo a Martin Lutero, l'ex frate agostiniano, ribellatosi a Roma, ufficialmente, il 1519.
Il suo atteggiamento di contestazione, fattosi sempre più crudo e violento, finì per coinvolgere, ben presto, nella scissione, principi e autorità, teologi e letterati, vescovi e masse di popoli di varie nazioni. La frattura, verificatasi nella Chiesa, non solo da allora non si è più rimarginata, ma è divenuta sempre più profonda e molteplice. Mancando, infatti, di un efficace centro o polo di unificazione, il Protestantesimo si è andato frantumando, ben presto, in sette innumerevoli, spesso, in lotta feroce le une contro le altre. P. Kolbe, rifacendosi, nella Polonia del 1922, ad elenchi del Ministero delle Confessioni Religiose e dell'Istruzione Pubblica, enumera ben quindici gruppi protestanti che svolgono «una febbrile attività contro la Chiesa di Dio».
E, tuttavia, attenendoci qui a quanto più ci interessa, rileviamo che le sette si ritrovano, sostanzialmente, tutte, o quasi tutte, su i punti fondamentali della Riforma, e cioé:
La giustificazione, ritenuta «imputata» o forense, non è inerente all'uomo stesso rigenerato. Questi, perciò, pur giustificato, resta peccatore: giusto e peccatore, quindi, al tempo stesso. Giusto perché gli viene imputata la giustizia di Dio; peccatore, perché, nel suo essere, è totalmente corrotto;
Autore di ogni giustificazione e mediatore unico tra cielo e terra è Cristo, morto per noi. Non c'è posto, perciò, - senza fare offesa a Cristo - per altre mediazioni, di qualsiasi genere e natura. Di qui il rifiuto della Chiesa visibile, del sacerdozio ministeriale e dei sacramenti in genere, eccetto il battesimo e la cena, del culto dei santi e della Vergine Santissima;
La fede fiduciale in Cristo, riguardata come l'unico mezzo di giustificazione che, perciò, è assolutamente gratuita e indipendente dalle opere dell'uomo;
Ciò che regola e nutre la fede è la S. Scrittura, e quindi la Parola di Dio. Una parola, ispirata dallo Spirito Santo, senza altri «magisteri», meno che mai quello, infallibile, del Papa.
Ma, detto ciò, possono i protestanti qualificarsi, veramente, come «nemici» della Chiesa? P. Kolbe, lo abbiamo visto, lo afferma, ciò che, in clima ecumenico come quello odierno e dopo le ripetute affermazioni del Conciho Vaticano II, appare, per lo meno, fortemente anacronistico. E, tuttavia, l'affermazione del P. Kolbe, anche a non tener conto del tempo in cui è stata scritta, se bene intesa, non è né inesatta né offensiva. P. Kolbe, in effetti, non fa processi alle intenzioni, ma si attiene strettamente ai fatti. Ora, come già abbiamo fatto notare, la dottrina protestante, oggettivamente, in molti punti, non è quella cattolica. E un fatto, per es., che, al di là delle polemiche, soprattutto, sulla discussa figura del Riformatore, i protestanti negano le verità cattoliche della Chiesa visibile, della mediazione del sacerdozio ministeriale, del primato e infallibilità del Romano Pontefice, della legittimità del culto della Madonna e dei Santi, ecc. Almeno per questo, il protestantesimo resta, oggettivamente, tra i «nemici» della Chiesa cattolica. D'altra parte, ancora oggi, nonostante il clima ecumenico, non sono rari gli attacchi violenti sferrati dai Protestanti contro la Chiesa cattolica: senza dubbio, prove anche queste di una «inimicizia» non del tutto svanita. Ma, ripetiamo, al di là della polemica, come non vedere, in questo e in tanti altri segni, l'atteggiamento e lo spirito del «nemico», che non solo non accetta, ma attacca acremente la dottrina cattolica?
P. Kolbe non fa questione di persone, ma di dottrina, e questa va misurata e vagliata sul metro della verità oggettiva e rivelata. Chiunque non è in consonanza con questa, ovviamente vi è in contrasto. Si può, certo, e si deve parlare di un certo pluralismo di metodi e di prospettive. Ma i tentativi, pur generosi e portati avanti con ottima intenzione, di far combaciare protestantesimo col cattolicesimo, sono evidenti inaccettabili forzature.
Quali poi siano i punti dottrinali del protestantesimo toccati dal P. Kolbe è tutt'altro discorso. Abituato a scrivere occasionalmente, più che sistematicamente e, forse, rivolgendosi a lettori ai quali poteva interessare solo fino ad un certo punto la questione della giustificazione o della fede fiduciale, ecc. P.Kolbe accenna solo a qualche punto dottrinale, di più immediata comprensione. Così, per es., accenna all'origine equivoca dei Movimenti della Riforma; alla allergia protestante per scapolari, medaglie, quadri e immagini della Madonna e dei Santi, anche se, da qualche parte, sembra affiorare una certa nostalgia per la «Madre». Rileva pure il loro atteggiamento accomodante, in fatto di penitenza e di mortificazione. A proposito, per es., di un certo pastore protestante, egli scriveva: «Anch'egli, come in generale i protestanti, inorridiva di fronte alla penitenza». E quando gli ha fatto leggere, in merito, alcune parole di san Paolo, egli aveva risposto: «che queste cose le ha attuate soltanto san Paolo, mentre gli altri non sono obbligati ad imitarlo». Accenna alla loro richiesta di una chiesa nazionale e all'opposizione, almeno da parte di alcuni protestanti polacchi, alla proposta di dichiarare Maria SS. Regina della Polonia; alla loro opera di propaganda spicciola e alle loro innumerevoli pubblicazioni a bassissimo costo o addirittura gratuite, distribuite a larghe mani, e sostenute dai dollari di ricchi protestanti americani, e alle loro spese annue, ammontanti a 5280 miliardi di dollari.
In conclusione, il giudizio del P. Kolbe, che ritiene il protestantesimo «nemico dell'Immacolata» e della Chiesa, non ci sembra da buttar via solo perché si vive, oggi, in un clima ecumenico.

2. Il Socialismo.
Altro «nemico» di Dio con cui bisogna fare i conti è costituito dall'odierno socialismo, dal socialismo cioé fiorito in questi ultimi secoli, perché il socialismo è fenomeno storico mondiale, sempre presente presso i popoli e nel mondo classico.
Il socialismo, in tutte o nella maggior parte delle sue forme od espressioni, vuole l'abolizione della proprietà privata, della famiglia e della religione; si batte per il comunitarismo e l'uguaglianza di tutti in tutte le cose e quindi aspira a distruggere la gerarchia della società ed ogni forma di autorità. Ma vediamo come lo presenta lo stesso P. Kolbe. Il socialismo, sotto tutte le sue forme:
Sogna di realizzare un paradiso in terra, con abbondanza cioé di tutti i beni materiali, con libertà, uguaglianza e fraternità per tutti.
Per questo vuole socializzare tutto, mettendo tutto in comune, e abolendo la proprietà privata. «Il socialismo sopprime la proprietà privata o, almeno la proprietà dei mezzi di produzione. E il governo, quindi, che stabilisce il tipo di lavoro, il governo lo valuta, il governo che lo retribuisce». Bisogna liberarsi da ogni credenza in Dio, nell'anima immortale, ecc. ecc. P. Kolbe cita, per es., tra gli altri «maestri» in merito, Dietzgen: «Se la religione si fonda sulla fede in esseri ultraterreni, al di là del nostro mondo, e in forze superiori, in esseri spirituali e nella divinità, allora la democrazia deve essere senza religione». Mentre Bebel aveva chiaramente affermato: «In campo politico noi miriamo alla repubblica, in campo economico al socialismo, mentre in quello che si chiama campo religioso miriamo all'ateismo». P. Kolbe, pur riconoscendo «che la classe operaia è stata in gran parte trascurata, e che il socialismo si è interessato di lei...», afferma tuttavia, con grande chiarezza, che il socialismo va rigettato in pieno, ed è giustamente condannato dalla Chiesa. Infatti:
Il socialismo è una concezione di vita che si basa su asserzioni mai veramente provate. «Ogni sistema, sia politico che economico, sia in definitiva sociale, deve basarsi su di un effettivo e reale stato di cose e non rendere omaggio ad asserzioni senza fondamento e ad illusioni di fantasia troppo effervescente. E purtroppo il socialismo è malato proprio di questo. Asserzioni senza fondamento sono le frasi ripetute all'infinito e mai dimostrate, le quali affermano che non esiste né Dio, né un'anima immortale, né una vita oltre la tomba, né il paradiso né l'inferno e così via». Praticamente un materialismo completo: «Lo sguardo del socialismo (...) non va al di là della bara mortuaria, non si libra al di sopra di un mondo puramente materiale».
Il socialismo è incapace di offrire la felicità all'uomo. Un uomo, dice in sostanza P. Kolbe, che spazia nell'infinito, che perciò è sempre insoddisfatto, potrà mai contentarsi di limiti e di un mondo così ristretto? L'uomo non vuole limiti: «E queste persone che hanno una mente tanto ristretta, invischiata in un materialismo grossolano, osano annunciare all'umanità la felicità?». E supposto anche che l'uomo si contentasse della felicità materiale, i socialisti «saranno poi capaci di rendere felice l'umanità con dei mezzi materiali? Riusciranno a coprire ogni uomo di oro, a circondarlo di gloria e a dargli la possibilità di godere qualsiasi piacere? Illusione di una fantasia malata! (...) Tutto quello che il mondo può dare, non basta ancora per l'uomo. Tutti questi beni hanno i loro limiti, deludono e suscitano i desideri di una felicità più grande e più duratura, e quando essa viene meno, l'anima si sente invadere dal tedio, dalla noia e da una specie di tenebra». Parole sacrosante di cui sono tragica conferma molti aspetti e situazioni della società di oggi!
Il socialismo va rigettato ed è giustamente condannato, ancora, perché:
Non è capace di offrire neppure una felicità materiale: «Ma forse il socialismo sarà in grado di procurare fino alla sazietà almeno questo bene terreno? No, neppure questo. Libertà, uguaglianza, fraternità: sono bei principi, ma il socialismo, dopo aver violato la natura umana, la quale brama orizzonti più vasti e tende all'infinito, non è capace di procurarle queste realtà; sono troppo nobili e troppo sublimi». Il socialismo, dunque, poiché non tiene conto della natura umana, si fonda solo su una grande illusione. Da una parte, infatti, abolendo la proprietà privata, priva l'uomo della sua innata libertà che intende operare quando, cosa e come gli piace: «Ecco l'impulso naturale di libertà innata che i socialisti, in nome della libertà (?!) vogliono schiacciare».
La stessa cosa deve dirsi a proposito dell'uguaglianza: è impossibile realizzarla per tutti. «Ciò sarebbe possibile, - annota giudiziosamente P. Kolbe - solamente se potessimo esistere tutti insieme nel medesimo tempo, nel medesimo luogo e nelle medesime condizioni, sia di natura che di ambiente. Ma questo è fisicamente impossibile. Noi ci diversifichiamo per età, per luogo di nascita, per capacità, per tendenza, per condizioni di salute, per laboriosità, per avvedutezza, per i diversi avvenimenti che capitano durante la vita e per le varie attività. Tutto ciò dipende dalla natura stessa delle cose; di conseguenza non lo si può cambiare. Devono esserci quindi sia i genitori che i figli, sia i superiori che i sudditi». Non meno impossibile una spartizione assolutamente uguale di beni.
Il socialismo è capace di realizzare, almeno, la fraternità autentica? I fatti, purtroppo, smentiscono le promesse.
Incapace di risolvere i grandi problemi dell'uomo, il socialismo si presenta, purtroppo, anche come nemico della religione e della Chiesa: una nota di più di deplorazione e chi difetto: «Bisogna deplorare - scrive P. Kolbe - il fatto che esso abbia colpito la Chiesa, che stia facendo di tutto per strappare all'operaio, perfino al bambino, il preziosissimo tesoro della fede e gli ideali più sublimi ed innati. Avviatosi in tal modo lungo una strada sbagliata, esso genera unicamente la schiavitù e la tirannia del governo sui cittadini e misconosce le aspirazioni della nobile e libera natura umana. Parole che, scritte nel 1923, non hanno perduto nulla della loro drammatica verità. Molti gli eventi, anzi, che hanno confermato e confermano tale diagnosi.
C'è da meravigliarsi, si chiede P. Kolbe, che la Chiesa l'abbia condannato? E che lui, P. Kolbe, lo consideri uno dei terribili nemici dell'Immacolata?

3. II Socialismo di Marx o Comunismo.
Marx, pur accettando alcuni aspetti dei vari socialismi allora in voga, ne criticherà tutte le forme, perché «utopiche» e fuori della realtà e della storia. I socialisti «utopici», infatti, «invece di vedere le condizioni materiali come causa dell'organizzazione sociale, immaginavano il contrario, e pretendevano di cambiare le condizioni materiali per mezzo di `riforme sociali', frutto dell'ingegno umano (utopie)».
Marx pretende, invece, di presentare un socialismo scientifico, in quanto «e previsto come conseguenza necessaria del cammino dialettico della storia, come termine del processo evolutivo dell'umanità che fa se stessa mediante la produzione dei beni materiali. Marx dichiara espressamente come, ad es., in occasione della fondazione della Prima Internazionale nel 1864, ha dovuto usare i termini di libertà e giustizia perché non poteva farne a meno, data la stupidità (dice lui) dei suoi collaboratori» (DEL NOCE, Pensiero politico, 178). Però giustizia, libertà e qualsiasi altro `valore previo', in nome del quale si postuli una determinata organizzazione sociale, per il marxismo non hanno significato». In breve, il socialismo marxista si presenta come analisi scientifica della realtà e come concezione filosofica: è, cioé, materialismo storico e materialismo dialettico. Materialismo storico perché insegna che la realtà non è l'essere ma la storia e, cioé, il divenire incessante di tutto. Un divenire determinato completamente dalle leggi e dalle situazioni economiche, divenire che è processo ascendente nel quale il motore dei salti qualitativi da un'epoca all'altra sarabbero le contraddizioni interne delle forme sociali. Materialismo dialettico perché insegna che i vari momenti storici si susseguono in una dialettica di tesi, antitesi e sintesi, che però non è più quella di Hegel, anche se così sembra all'apparenza.
Il socialismo marxista, come e più delle altre forme di socialismo, si fonda tutto sui valori materiali, economici; che costituiscono la struttura portante di ogni società terrena. Se cambia la struttura economica, cambiano anche i valori morali, religiosi, artistici e filosofici, che sono sovrastrutture da essa determinate.
In definitiva, il socialismo comunista è il marxismo più puro, quello che sarà portato alle estreme conseguenze, in rigorosa logica, da Lenin e da Stalin.
Il marxismo o comunismo si caratterizza, abbastanza chiaramente, come «nemico di Dio, dell'Immacolata, della Chiesa, soprattutto per alcune sue impostazioni fondamentali, e cioé:
nega Dio e ogni religione. Gramsci, uno dei più lucidi e coerenti teorici del marxismo, scriverà: «Il nostro evangelo è la filosofia moderna (...), quella che fa a meno dell'ipotesi di Dio nella visione dell'universo, quella che solo nella storia pone le sue fondamenta, nella storia di cui noi siamo le creature per il passato e i creatori per l'avvenire». E ancora: «Siamo storicisti per la concezione filosofica che nutre il nostro movimento; neghiamo la necessità di ogni apriorismo, sia esso trascendente, come vuole la fede religiosa, sia anche storico come il privilegio borghese». Marx, d'altra parte, aveva già affermato che la religione addormenta, e perciò è assolutamente incompatibile con il socialismo, oltre tutto per la lotta che questo porla avanti: «La religione è l'oppio del popolo», per questo «la lotta contro la religione è dunque mediatamente la lotta contro quel mondo del quale la religione è l'aroma spirituale».
Il comunismo, poi, tutto fondato, com'è, nell'odio e nella rivoluzione, rigetta ogni valore etico e, specialmente, l'amore del prossimo. Abbiamo già detto che, per il marxismo, i valori etici non sono che sovrastrutture della struttura economica; cambiando questa anche i valori cambiano fino a quando non si arriva alla totale sparizione di tutto, con l'inaugurazione del «paradiso sulla terra». Laforgue, genero di Karl Marx, dichiarerà nel suo giornale «Socialiste»: «I principi eterni libertà, patria, diritti dell'uomo, ecc. sono tossici intellettuali, energici come Dio, paradiso, inferno, come tutte le altre mistificazioni della religione».
Non l'amore, perciò, ma l'odio: «Quest'amore, dice Marx, si esprime in frasi sentimentali che non possono sopprimere i rapporti ideali, di fatto; addormenta l'uomo con una tiepida pappa sentimentale che lo nutre. Invece è necessario ridare all'uomo la forza». E Lunatcharski: «Abbasso l'amore del prossimo. Ciò che occorre è l'odio. Dobbiamo imparare a odiare: è così che arriveremo a conquistare il mondo». E già la Pravda aveva scritto il 30 gennaio 1934: «L'amore cristiano che si rivolge a tutti, perfino al nemico, è il peggiore avversario del comunismo».
Il comunismo, dunque, è essenzialmente odio e rivoluzione, esso anzi segna il massimo della rivoluzione: «Tutte le tendenze livellatrici e rivoluzionarie dei secoli passati sono giunte oggi al vertice della loro esasperazione.
Non si può essere più radicali sulla via dell'orgoglio e della rivoluzione, proclamando qualcosa di più dell'uguaglianza degli uomini in campo politico, economico e sociale. Non si può portare più oltre la lussuria, istituendo qualcosa di più del libero amore».
Per il comunismo esiste una sola etica, quella che serve al trionfo della lotta di classe: «Esiste una morale comunista?» - si chiede Lenin -. «Esiste un'etica comunista? Naturalmente esiste (...). Noi neghiamo la morale nel senso in cui la predicava la borghesia, che aveva dedotto questa morale dai comandamenti divini. A questo proposito diciamo, naturalmente, che non crediamo in Dio e sappiamo molto bene che era il clero, erano i grandi proprietari fondiari, era la borghesia a parlare in nome di Dio, per far trionfare i propri interessi di sfruttatori (...). La nostra etica è interamente subordinata agli interessi della lotta di classe del proletariato. La nostra etica scaturisce dagli interessi della lotta di classe del proletariato (...). Per noi non esiste un'etica considerata ad di fuori della società. Questa sarebbe un inganno. L'etica è per noi subordinata agli interessi della lotta di classe del proletariato (...). E diciamo: la morale è ciò che serve a distruggere la vecchia società sfruttatrice e ad unire tutti i lavoratori attorno al proletariato, che sta costruendo la nuova società comunista (...). Per un comunista la morale è tutta in questa disciplina compatta e solidale e nella lotta cosciente delle masse contro gli sfruttatori. Non crediamo alla morale eterna e smascheriamo ogni sorta di favole ingannatrici sulla morale».
Fondata sull'odio e la violenza, espressione la più acuta della rivoluzione, tale ideologia non poteva e non può non grondare sangue, ovunque riesce ad affermarsi, giacché qui non è l'ideologia che si adegua alla realtà o verità, ma è l'uomo che viene costretto, con tutti i mezzi, ad adeguarsi ad una ideologia, ritenuta verità! Di qui le innumerevoli vittime e gli stermini di masse che, ovunque, seguono l'instaurarsi del comunismo. Dai soli resoconti ufficiali, dati da quegli stessi che propagano e diffondono e costruiscono questa ideologia, ci sono stati già oltre 250 milioni di vittime. Ciò che ha fatto dire ai «nuovi filosofi»: «La metafisica marxista pone l'innocenza originaria dell'uomo all'inizio, e necessariamente l'innocenza recuperata alla fine. Dopo di che in un regime socialista realizzato, il più piccolo colpevole è un mostro incredibile, e vi sono dieci pareri differenti sulla condotta da tenere - cosa che già in sé sembra inconcepibile - nove sono satanici in attesa che il decimo lo divenga (...). Perché non si è mai detto, perché ci si rifiuta di comprendere che questo inferno terrestre deriva implacabilmente dal dogma dell'innocenza? Che non c'è perdono perché non c'è peccato?».
Il comunismo è l'ennesimo e finora più deciso tentativo a favore dell'ateismo e della torre di Babele. Lo aveva intuito già Dostoevskj, parlando del socialismo in genere: «ll socialismo non è soltanto la questione operaia o quella del quarto stato, è anzitutto la questione dell'ateismo, della sua incarnazione contemporanea; è la questione della torre di Babele, che si costruisce senza Dio, non per raggiungere i cieli dalla terra, ma per abbassare i cieli fino alla terra».
P. Kolbe è perciò decisamente avverso al comunismo né mai si sognerà di tentare impossibili avvicinamenti tra esso e il cristianesimo, perché non è affatto vero che essi sono «molto simili tra loro». Un atteggiamento di coerenza, basato su dati di assoluta obiettività. Esempio e monito, anche in questo, a tanti, caduti oggi miseramente nella trappola del compromesso storico. Kolbe avrebbe, certamene, condiviso in pieno ed accettato la consegna di Papa Pio XI che, qualificando il comunismo di «intrinsecamente perverso», aggiungeva logicamente che «non si può ammettere in nessun campo la collaborazion con lui da parte di chiunque voglia salvare la civilizzazione cristiana».

4. La frammassoneria.
P. Kolbe parla, spesso, nei suoi scritti, della massoneria. Di essa ne tratteggia la storia, la natura, le finalità e le malefatte. La massoneria è un'associazione segreta, formata in gran parte, da ebrei, organizzata e fondata dai liberi pensatori inglesi a Londra, nell'anno 1717, con scopi ben definiti, che si possono ampliare ma mai modificare da alcuno o cambiare. Uno di questi scopi è la liquidazione totale del mondo soprannaturale, e la distruzione di qualsiasi religione, soprattutto quella cattolica.
Si caratterizza, perciò, nella sua azione e comportamento, per un odio mortale per la Chiesa cattolica e il suo Papa o Vicario di Cristo sulla terra. Un odio che struttura, per così dire, «un'azione sistematica, (...) conseguenza del principio della massoneria»: «Distruggere qualsiasi religione, soprattutto quella cattolica». Alimentata dall'odio, la lotta alla religione e al soprannaturale si acuisce soprattutto là dove è più presente la religione, come per es., a Lourdes: «In questo luogo miracoloso» - scrive P. Kolbe - «fin dagli inizi a tutt'oggi, la massoneria si affatica con ogni sforzo per lottare contro 1'Immacolata, ricorrendo anche a ridicoli puerili ripieghi pur di negare od occultare la realtà di una guarigione miracolosa».
Nemici dichiarati del soprannaturale e di ogni religione, i massoni si presentano, conseguenzialmente, anche come «nemici della moralità, nemici dell'Immacolata», diffondendo, a piene mani, il malcostume, l'indifferenza religiosa, ecc.: «Disseminate nei modi più diversi e in maniera più o meno evidente in tutto il mondo, le cellule di questa mafia mirano proprio a questo.
Si servono inoltre di tutta una congerie di associazioni, dai nomi e dagli scopi più svariati, che però, sotto il loro influsso, diffondono l'indifferenza religiosa e indeboliscono la moralità». E, in effetti, chiarisce P. Kolbe, «con il paganesimo reazionario (la massoneria) sta infettando la scuola, l'arte, il teatro, il cinema e la letteratura».
Nemica della religione e della moralità, la massoneria - cosa ancora più nefanda - coltiva il satanismo autentico, esercita cioé il culto di satana, anche se ciò lo si vorrebbe relegare tra le «favole», inventate dai mistificatori antimassonici, per calunniare una innocente e onesta associazione.
Inoltre, decisi ad avere il dominio del mondo intero, i massoni sono gli autori di tutti i moti politici, agitazioni e rivoluzioni più importanti della storia: «Dalla loro officina - dice P. Kolbe - è uscita la rivoluzione francese, tutta la serie di rivoluzioni dal 1789 al 1815, ed anche la ... guerra mondiale. Secondo le loro indicazioni lavorarono Voltaire, D'Alembert, Rousseau, Diderot, Choiseul, Pomba, Aralda, Tanucci, Hangwitz, Byron, Mazzini, Palmerston, Garibaldi e altri. (...) La massoneria mette sul piedistallo le persone che vuole e butta giù, quando esse hanno voglia di agire di testa propria. Lo sperimentò di persona in modo assai evidente lo stesso Napoleone».
Fin qui il pensiero di P. Kolbe. Che dire di tali affermazioni? Sono esse frutto di una di quelle opposizioni viscerali, senza ragione e senza logica?... Tutt'altro. Esse potrebbero essere, invece, abbondantemente suffragate, una per una. Limitiamoci a farlo solo per qualcuna di esse.
La massoneria è un'associazione formata, in massima parte, di Ebrei.
Lo spirito della massoneria è certamente giudaico: «Le connessioni (tra massoneria ed ebraismo) sono molto più intime di quanto non si potrebbe pensare. Il giudaismo dovrebbe conservare un atteggiamento più benevolo e di profonda simpatia verso la massoneria in genere. Perché lo spirito della massoneria è quello del giudaismo nelle sue credenze più fondamentali; le sue idee sono giudaiche, il suo linguaggio è giudaico, la sua organizzazione è quasi giudaica. Tutte le volte che mi avvicino al santuario dove la massoneria assolve il suo lavoro, vi sento il nome di Salomone, del tempio di Hiram... del Dio di Abramo». Poi, è certo che, tra quelli che fondarono o si legarono alla massoneria e al socialismo, gli ebrei sono moltissimi.
La massoneria è un'associazione segreta. Papa Leone XIII asserisce categoricamente che la massoneria si mantiene, tutta, sul segreto, legando a sé gli uomini come schiavi. Il segreto è fatto osservare dai «fratelli» con la minaccia di terribili sanzioni, non esclusa la pena di morte. Ora questo atteggiamento è grandemente sospetto. Ricorrere al sofisma che il segreto è necessario per la sopravvivenza stessa della massoneria è come giuocare a rimpiattino. Ci sono ben altri mezzi, più puliti e meno sospetti, per assicurare la sopravvivenza e la funzionalità di un ente associativo. Adoperarsi a nascondere con tutti i mezzi equivale a confessar che, nell'associazione, c'è qualcosa di losco, di equivoco da dover necessariamente sottrarre all'occhio indiscreto degli uomini, della giustizia, ecc.
La massoneria si propone la liquidazione del soprannaturale e di ogni religione. La massoneria, infatti, non solo è fondata sul naturalismo più totale e radicale, ma ripudia, di per sé, ogni soprannaturale. L'essenza stessa della massoneria - almeno, per es., di quella italiana - è il naturalismo. Di qui il culto esasperato, idolatrico della ragione umana; il culto della libertà illimitata, svincolata da ogni legge; il suo materialismo completo, nonostante le più vaghe affermazioni su Dio, l'anima, ecc. Di qui anche la lotta ad ogni religione e specialmente alla Chiesa cattolica, fondata in così larga misura sul soprannaturale. «La nuova massoneria (quella sorta dopo il 1717) diventa militante al servizio e alla difesa della religione naturale, nuova religione dell'umanità che distrugge e soffoca ogni forma di soprannaturale. Dichiara guerra alla Chiesa e alle nazioni dichiaratamente cattoliche...».
Tutta fondata sul naturalismo e sul materialismo, e tutta protesa alla distruzione del soprannaturale e di ogni religione, la massoneria è nemica, logicamente, di ogni moralità. E perciò fomenta l'egoismo a tutto spiano, anche se il tutto è abilmente camuffato sotto l'apparenza della filantropia e del galantomismo. Così suona, per es., il giuramento del 3° grado della massoneria: «Io, nulla più di me, tutto per me e ciò con qualunque mezzo».
Esalta spudoratamente i piaceri del sesso, idolatrando la forza generativa, senza alcun freno e discrezione. E così, riducendo tutto al materialismo e al sesso, arriva ad infettare tutto. In effetti, il modello di società odierno, fondato sull'edonismo incondizionato ecc. ecc., è voluto, in gran parte dalla massoneria imperante. Pratica il satanismo e la profanazione dell'Eucarestia.
La massoneria ha compiuto i più grandi misfatti, provocando guerre, rivoluzioni e rivolgimenti di ogni genere: «La massoneria finanziò e sostenne la rivoluzione cumunista russa del 1905 e del 1917; nel 1918 finanziò il comunista Bela Kun in Ungheria e il «fratello» Edoard Benes in Cecoslovacchia; nel 1936 la rivoluzione spagnuola; nel 1945 le truppe americane e alleate potevano occupare facilmente, anzi l'avevano già fatto, i territori dell'Austria, della Cecoslovacchia e dell'Ungheria, ma in ossequio agli accordi di Yalta il massone Churchill e il massone Roosevelt lasciarono campo libero a Stalin».
Attualmente la massoneria esercita il suo influsso soprattutto nell'ambito religioso e filosofico. Si può dire, senza esagerare, che il progressismo che oggi dilania profondamente la Chiesa, dopo il Vaticano Il, è un prodotto dell'influsso filosofico esercitato dalla massoneria sulla Chiesa: tra progressismo e massoneria vi sono strette affinità di concezione e di pensiero.
E, per finire con una nota tutta italiana, il Risorgimento italiano è opera della massoneria.
Che se si fosse tentati di trovare tutto ciò come esagerato e non credibile, gioverà ripetere le parole di S. Pio X, dette quando era ancora Patriarca di Venezia: «Anch'io, per qualche tempo, ho creduto esagerato quanto veniva affermato a suo (=della massoneria) riguardo. Poi, per l'esperienza del mio ministero, ho avuto occasione di toccare direttamente le piaghe da essa (massoneria) aperte. Da allora, sono convinto che tutto quello che è stato pubblicato su questa associazione infernale, non ancora ha svelato tutta la verità».
Ma, oggi, ci si chiederà, dopo tante accuse e smentite, dopo tanti tentativi, più o meno abili, di redimere la massoneria dalle pesantissime accuse rivoltele, si può affermare che è cambiata, in qualche cosa?.... Purtroppo no. Nulla è cambiato in fatto di materialismo e di naturalismo; nulla è cambiato quanto alla lotta al soprannaturale, ecc. ecc. Ce lo dicono i massoni stessi. Il massone Renzo Brunetti così scrive sulla «Rivista massonica», maggio 1979, pp. 193 ss.: «Se il segreto della Massoneria è `singolo vero', che l'uomo discopre in sé e non riuscerebbe a comunicare neppure se lo volesse (come osserva il Lessing), la scintilla del divino che il Grande Architetto ha immesso in ciascuno di noi, non sarà mai alcuna rivelazione ed alcun dogma a soffocarla, né alcun rito o sacramento a violarne l'impareggiabile esclusività». Nella stessa «Rivista Massonica», il massone Giuseppe Capruzzi affermava, tra l'altro, che la massoneria è protesa «per la sua stessa identità, per la sua stessa natura, per la sua stessa nascita, per le sue stesse finalità, alla relizzazione del Tempio individuale e del Tempio sociale, non nell'alveo delle religioni particolari, ma nella superiore visione di quella religione cosmica che è stata profetizzata da Einstein». Siamo in pieno naturalismo e fideismo, che fa piazza pulita di tutto. Sarà mai possibile che ci sia pace tra Cristo e Belial?...
Da notare, poi, che gli asseriti vari punti di contatto tra Cristianesimo e Massoneria, sono stati approfonditi in un clima di assoluta libertà, per sei anni, dalla Chiesa Cattolica e la Massoneria tedesca. Alla fine, la Conferenza Episcopale Tedesca rendeva pubblica una Dichiarazione, nella quale si sottolineavano i motivi di inconciliabilità tra fede cattolica e massoneria: motivi riassunti in 12 punti, comprensivi di tutta la visuale massonica del mondo, della verità, della religione, ecc., concludendo infine: «Dopo attento esame di questi primi stadi, la Chiesa Cattolica ha constatato che esistono contrasti fondamentali ed insormontabili. La Massoneria, nella sua essenza, non è cambiata. Appartenere alla massoneria mette in dubbio le basi dell'esistenza di Cristo: l'esame approfondito dei rituali massonici e delle considerazioni fondamentali, come pure l'oggettivo riscontro che oggi la Massoneria non è cambiata, portano all'ovvia conclusione: Non è conciliabile l'appartenenza alla Chiesa Cattolica e contemporaneamente alla Massoneria».
Non senza ragione, dunque, anzi con mille ragioni molto ben conosciute e vagliate, P. Kolbe considera la massoneria come «nemica di Dio, dell'Inunacolata e della Chiesa». Un giudizio che, ad oltre 50 anni di distanza, collima perfettamente con quello ribadito dalla Chiesa dell'assoluta incompatibilità della massoneria con la fede cristiana. Nelle «Riflessioni» si afferma, tra l'altro: «il clima di segretezza comporta, per gli iscritti, il rischio di divenire strumento di strategie ad essì ignote. Inoltre, il clima di relativismo, voluto e tollerato dalla massoneria, porta in sé, per la sua stessa logica intrinseca, la capacità di trasformare la struttura dell'atto di fede in modo così radicale da non essere accettabile da parte di un cristiano, `al quale cara è la sua fede' (Leone XIII)».

III - Il corpo e l'armata del serpe infernale.
Non solo esistono molti «nemici», ma essi, pur divisi e spesso in lotta fra loro, formano corpo nel lottare la Chiesa e la verità. Come, anzi, esiste un Corpo Mistico che è la Chiesa, pienezza di Cristo, Corpo misterioso di tutti i credenti in Lui; così esiste un «corpo mistico», misterioso, che raccoglie tutto il male, tutti i perversi, e che costituisce, possiamo ben dirlo, l'ennesima scimmiottatura di satana, che è stato chiamato, a giusto titolo, la scimmia di Dio. Padre Kolbe lo afferma esplicitamente: «Tutte le eresie ed ogni peccaminosa tendenza: ecco il corpo dell'antico serpente».
Un corpo enorme «composto dalle più svariate eresie dei vari tempi e luoghi».
Anche qui il linguaggio del P. Kolbe è perfettamente ortodosso e rispondente alla tradizione della Chiesa. S., Ambrogio afferma: «Impii sunt membra diaboli sicut sancti sunt membra Christi». E S. Ilario: «Ut enim omnibus sanctis caput Christus est, ita omnibus iniquis caput diabolus est».
Corpo e anche «armata» del serpente. Corpo dice identità di vita tra le membra, che si alimentano dello stesso sangue, e vivono della stessa vita e, quindi, corpo dice anche più stretta unità. «Armata» richiama più all'idea della lotta, nella quale sono uniti i «nemici» della Chiesa. Anche nell'armata, pur avendo ogni «corpo» il suo ruolo e il suo posto, tutti cooperano allo stesso fine, che è la vittoria e la distruzione dell'avversario.
Nel corpo e nell'armata si distinguono delle membra, il grosso del corpo e il capo.
Le «membra» del corpo o i vari «corpi» dell'armata sono le eresie.
Di queste alcune sono le avanguardie, costituite dai Protestanti; mentre il «grosso» dell'armata è costituito dalla massoneria e da tutte quelle forze o movimenti che, sotto i nomi e le denominazioni più diverse, sono comunque contro la Chiesa di Dio e la religione di Cristo. Esse si rifanno, in un modo o in un altro, a chi tutto coagula, manovra e spinge all'azione. P. Kolbe è convinto che, a coagulare tutto, è la massoneria; e che tutte le forze avverse alla Chiesa sono sempre e solo massoneria. P. Kolbe non è un pazzo che si autosuggestiona; ha invece visto giusto, già dai suoi tempi.
Ecco come si esprime un Autore di oggi: «Trivellando qua e là negli scritti riguardanti la storia di questi ultimi secoli, mi ero reso conto che i focolai di agitazione nel mondo sono collegati da cavi occulti, e che la lava eruttata dai vari vulcani di sovversione sale da un unico serbatoio di antica data». Quest'unico serbatoio è la massoneria, ciò che si prova abbondantemente in tutto il volumetto.
Ma la massoneria è anche «capo» dell'armata. P. Kolbe lo afferma a più riprese: «Questi sventurati (=i massoni), anche se nascostamente, costituiscono il cervello delle più eterogenee manifestazioni contro Dio, la Chiesa, la salvezza e la santificazione delle anime». «... Nei nostri tempi il capo degli acattolici, la testa del serpente infernale, si può ben dire, è la massoneria»; «il capo delle svariatissime membra del drago infernale è, senza dubbio, nei nostri tempi, la massoneria». Di quale massoneria intende parlare P. Kolbe? E, cioé, quale massoneria è «capo»?... P. Kolbe sa bene, e non manca di annotarlo, che esiste una massoneria nella massoneria. Gli stessi massoni che si illudono di dirigere tutto e di comandare a tutti, in realtà sono comandati da altri. I massoni, in genere, egli dice, «appartengono davvero alla massoneria e nuocciono molto, ma non ne sono i veri capi. I capi sono i cosiddetti "massoni azzurri", mentre la massoneria cosiddetta "rossa" si restringe ad uno scarso numero di persone, in maggioranza ebrea, i quali, pienamente conscii dei loro scopi, dirigono l'intera numerosa massa di coloro che sono più o meno `illuminati' nell'organizzazione massonica. Questi capi sono sconosciuti e agiscono sempre nel nascondimento, per rendere impossibile l'opposizione. Sono essi che predispongono i piani di lavoro». Di qui l'identificazione tra massoneria ed ebraismo, almeno nei termini suggeriti da quanto abbiamo detto. Ciò che trova riscontro eloquente nel famoso « I protocolli dei savi di Sion». Questo testo famoso fu pubblicato, in prima edizione, nel 1903, e lo si ritiene opera o di un solo ebreo o di un gruppo politico ebreo. Non ci interessa molto l'identificazione tra massoneria ed ebrei, resta però il fatto fondamentale - di cui si parla appunto nei «Protocolli», che non possono non colpire per il sorprendente numero di loro idee attuate - che «la cospirazione internazionale nella quale Ebrei, frammassoni, comunisti ed altri avrebbero `complottato per minare l'ordine stabilito del mondo', e cioé l'ordine nel quale la cristianità si trova tuttora, e la promozione `di una rivoluzione mondiale, che in ultima analisi sfocerebbe in un mondo dominato dagli Ebrei', non è un mito». Dunque possiamo tranquillamente parlare di una massoneria ebraica. O, se si vuole, ebrea o no, esiste una massoneria che tende al dominio mondiale ed è a capo di tutti i movimenti sovversivi contro Dio e la Chiesa cattolica. Padre Kolbe scrive ancora: «all'origine dell'ateismo comunista possiamo tranquillamente collocare quella mafia criminale che si chiama "massoneria". La mano che manovra tutto questo verso uno scopo chiaro e determinato, il proprio scopo egoistico, è il "sionismo internazionale", come diverse ricerche dimostrano con sempre maggiore evidenza».
Naturalmente, parlando di Ebrei e della loro nefasta influenza in qualsiasi altro settore, oltre che quello massonico, non si vuole affatto sminuire la grandezza e la nobiltà di un Popolo che, sempre e ovunque, ha prodotto uomini di eccezione, in gran numero.
La massoneria, considerata soprattutto nei suoi capi, apparenti o nascosti, rappresenta, per il P. Kolbe, il più grande nemico della Chiesa. «Di primo acchito - dice egli - potrebbe sembrare esagerata l'affermazione che il principale, il più grande e il più potente nemico della Chiesa è la massoneria». Ma è questa semplicemente la verità: la massoneria è il più grande nemico. Infatti, essendo ramificata ovunque, riesce ad influenzare tutto e tutti: «Disseminate nei modi più diversi e in maniera più o meno evidente in tutto il mondo, le cellule di questa mafia mirano proprio a questo scopo (= a distruggere la religione). Si serve, inoltre, di tutta una congerie di associazioni, dai nomi e dagli scopi più svariati, che però, sotto il loro influsso, diffondono l'indifferentismo religioso e indeboliscono la moralità».
È il nemico più potente. Tra le sue fila, infatti, ci sono governanti, ministri, uomini di affari, personalità di altissimo rango; e quindi è così che essa può spadroneggiare ovunque e sempre. Dispone, poi, di mezzi abbondantissimi, sicché può avere nelle sue mani quasi tutti i mezzi di comunicazione: «il cinema, il teatro, la letteratura, l'arte (sono) diretti in gran parte dalla mano invisibile della massoneria».
A ragione, duque, P. Kolbe può parlare della massoneria come del «capo» del serpe infernale!

Cap. III
LA BATTAGLIA DELLA MASSONERIA

In un'unica grande battaglia, un'armata vi combatte impegnando, generalmente, tutte le sue «specialità» o «corpi», ciascuno al proprio posto e nel suo ruolo. E, tuttavia, la battaglia, pur se combattuta da tutti, lo è soprattutto da chi dirige e comanda l'armata. Non per nulla la gloria della vittoria o la vergogna di una disfatta è attribuita, tutto particolarmente, al comandante in capo. I vari reparti dell'esercito, infatti, possono anche, tra l'altro, non capire la strategia che presiede al loro impiego, appartenendo ad essi soprattutto l'eseguire le direttive date, in perfetta obbedienza.
La massoneria, da «capo» dell'armata di satana, deve avere un piano da realizzare, giustificativo e comprensivo dell'azione dei singoli «corpi» o nemici della Chiesa. Esiste questo piano?... Quali le tattiche e le strategie adottate, nella battaglia?... Conoscere tutto questo è di capitale importanza per chi intende passare alla controffensiva, combattendo le grandi battaglie di Dio. P. Kolbe sembra aver capito molto bene tutto ciò. Infatti, egli parla di avanguardie, di grosso dell'esercito, di piani di battaglia, messi in atto dal «capo», la massoneria. Di che si tratta, in particolare?

1. Le truppe d àvanguardia e la loro azione.
In un esercito destinato, volere o no, a doversi misurare, presto o tardi, col nemico, ci sono o c'erano, tra l'altro, truppe leggere di avanguardia il cui compito è o era quello, principalmente, di sondare la consistenza o la vulnerabilità del nemico; di aprire brecce nello schieramento avversario, di attuare sortite di disturbo, prima che venga sferrato l'attacco dal grosso dell'esercito; ecc. ecc.
Nell'esercito di satana, il ruolo o i compiti delle truppe d'avanguardia, appartengono, a detta del P. Kolbe, ai Protestanti. Infatti, dopo aver elencato quindici gruppi di Confessioni religiose protestanti e la loro attività, egli afferma: «Tutto questo lavoro, però, è soltanto una premessa. Solo dopo queste avanguardie viene il grosso dell'armata del nemico». Le sette protestanti compiono, effettivamente, un lavoro di primo approccio, analogo a quello delle truppe di avanguardia. Infatti, scrive sempre P. Kolbe: «Essi non si limitano soltanto a predicare la menzogna con la parola, ma anche, e molto abbondantemente, ingombrano le nostre città e villaggi con gli stampati più diversi: riviste, opuscoli, volantini e perfino dei libri. Le varie riviste (...) passano di mano in mano e avvelenano i cuori dei fedeli».
Che dire di una affermazione del genere?... Affermare che i Protestanti sono le avanguardie dell'armata di satana può sembrare, ancora una volta, enorme, specie nel clima ecumenico di oggi. E, tuttavia, al di là delle buone intenzioni dei singoli, sono i fatti che contano: i fatti che, nel caso, costituiscono offesa alla verità. Infatti, le sette protestanti svolgono, spesso, un lavoro di approccio, molto apprezzato dai nemici della Chiesa. «Che l'inondazione delle sette protestanti sia realmente l'avanguardia della massoneria » - scrive P. Kolbe - «è riconosciuto espressamente dalla rivista massonica Wolna Mysl. In essa si afferma: "Riservandoci una piena indipendenza di giudizio sulla validità interna della dottrina della Chiesa nazionale, possiamo tuttavia appoggiare la sua lotta, come pure quella di qualsiasi altra setta protestante, contro la supremazia della Chiesa Romana"». Ma questo è ancora poco. Prescindendo anche da quello che si è avuto o si potrebbe avere nelle varie contingenze storiche dalle varie sette protestanti, è il protestantesimo, in quanto tale, che ha preparato il terreno alla massoneria, avendo esso iniziato quella rivolta e rivoluzione, di cui il comunismo massonico, oggi, è solo il frutto maturo. In proposito così si è espresso lo stesso Carlo Marx: «Lutero ha spezzato la fede nell'autorità, (...) ha liberato l'uomo dalla religiosità esteriore, (...) ha emancipato il corpo dalle catene, ponendo in catene il cuore. (...) Non fu la vera soluzione, fu tuttavia la vera impostazione del problema». Infatti, annota 1'Ocariz: Lutero operò prima di tutto «una soggettivazione religiosa». E cioè: «La verità oggettiva della rivelazione è ridotta al suo significato per l'uomo. Si tratta di una profonda inversione, che conduce direttamente a considerare Dio in funzione dell'uomo».
Se, dopo, si passerà di negazione in negazione, di rivoluzione in rivoluzione, è precisamente in conseguenza dell'atteggiamento inaugurato dalla dottrina protestante. «Tutto il soprannaturale verrà (...) poi implacabilmente negato: spariscono le realtà ontologiche della grazia, la grazia causata realmente dai sacramenti (...), la verità della Rivelazione (ridotta al suo significato di redenzione dell'uomo) e, passando per l'arbitrarietà del libero esame della S. Scrittura, viene negata ogni autorità esteriore, ecc.».
Maritain considera Lutero, Cartesio e Rousseau gli iniziatori del mondo moderno, che hanno sconvolto tutto. Tra l'altro, il soggettivismo, iniziato da Lutero in campo religioso, e da Cartesio nell'ambito del pensiero, ci ha dato come conseguenza l'idealismo e tutti gli orrori derivati da una morale astratta e sganciata dalla realtà. Di questa non ultimi frutti sono il marxismo e il nichilismo. Battista Mondin, in un profilo su Lutero, piuttosto benevolo, è costretto, alla fine, ad ammettere che «dalla sua (= di Lutero) concezione della salvezza come fatto assolutamente personale discendono il soggettivismo, l'immanentismo, l'individualismo, il radicalismo, il capitalismo dell'epoca moderna».
Lo stesso progressivo sganciamento degli Stati e Re terreni dalla Chiesa, sganciamento spinto a rivendicare una sovranità e autonomia assoluta, è dovuta anche, e per molta parte, ai principi della riforma protestante. Al principio di autorità, scosso fino alle radici, dal protestantesimo, subentrerà, in breve, un razionalismo arido, puntiglioso, superbo, rovinoso, che ha portato - ultimo epilogo, il Bultmann - alla negazione stessa o quasi del Cristo storico. E qui possiamo aggiungere con Ocariz: «Non è inutile - per provare l'influenza decisiva di Lutero su molti filosofi posteriori - segnalare che in grande maggioranza i `filosofi moderni' sono protestanti (Kant, Fichte, Hegel, Feuerbach, lo stesso Engels prima di cadere nell'ateismo, ecc., studiarono teologia protestante, e alcuni dei più rappresentativi furono perfino educati per essere pastori)».
Ha ragione, dunque, P. Kolbe, di vedere nel Protestantesimo e nelle sue sette, le truppe di avanguardia che - storicamente e culturalmente - prepararono i tempi nuovi della rivoluzione e della contestazione totale alla Chiesa e a Dio. Un giudizio che può apparire duro, ma che è sostanzialmente condiviso da molti protestanti stessi. Ecco, per es., cosa scrive il Novalis: «La storia del protestantesimo non ci presenta più alcuna sincera manifestazione del soprannaturale; il suo inizio segnò un passeggero fuoco fatuo al quale fece immediatamente seguito un disseccamento del sentimento sacro; l'elemento mondano l'ha avuto vinto ed ha la precedenza; per naturale correlazione ne ha sofferto anche lo sviluppo artistico».
Augusto Nicolas scriveva, a sua volta, a proposito di elementi puri e cristiani che pur si trovano nel protestantesimo: «Sono nel protestantesimo due elementi perfettamente distinti: l'uno per il quale esso si è separato dal cattolicesimo; l'altro per il quale è rimasto a lui unito. Il primo, l'elemento protestante consiste in tutto quello che è stato l'oggetto della separazione e della pretesa riforma, cioè: il libero esame, la dottrina della giustificazione, il ripudio dei sacramenti della penitenza e dell'Eucarestia, la soppressione dei digiuni e delle astinenze, il matrimonio dei preti, il divorzio e via dicendo: ecco la riforma, ecco il protestantesimo. Il secondo elemento, per il quale il protestantesimo è rimasto, ecc. ecc.».
Ancora più drastico e feroce il Kierkegaard: «Più osservo-Lutero e più mi persuado ch'era una testa confusa. È sempre un riformatore comodo quello che tende a sbarazzare dei pesi e a rendere facile la vita (...)». «Lutero tu hai una responsabilità enorme! Perché (...) vedo sempre più chiaramente che tu hai abbattuto il Papa... ma per mettere sul trono il "Pubblico"! Tu hai alterato il concetto di "martirio" del N. Testamento, insegnando agli uomini a vincere con la forza del numero». E ancora: «Lutero è esattamente il contrario di un "Apostolo". L'apostolo esprime il Cristianesimo nell'interesse di Dio, viene con l'autorità di Dio e nel suo interesse. Lutero esprime il Cristianesimo nell'interesse degli uomini: è in fondo una reazione dell'umanità contro il Cristianesimo inteso nell'interesse di Dio».
Il protestantesimo contiene implicitamente la negazione di qualsiasi fede, non ammettendo una verità unica, necessaria che si impone allo spirito dall'esterno, ma tutto riducendo alla fede, resa certa solo da un sentimento percepito.
A piena conferma delle parole di P. Kolbe valgono qui le parole di D. Giuliotti: «La Riforma, la Rivoluzione francese, il Liberalismo, il Socialismo e l'Anarchia derivano l'uno dall'altro e formano gli anelli dell'attuale catena che, in nome dell'idolatra libertà, ci fa tutti schiavi».
Protestantesimo, avanguardia della massoneria e dell'insieme degli errori e nemici moderni della Chiesa. Forse, non senza una ragione, P. Kolbe, nel narrare la storia della Milizia dell'Immacolata, mette insieme protestanti e massoni: «A quattrocento anni - egli dice - dalla ribellione di Lutero e a 200 dagli inizi della massoneria...».
Protestantesimo e massoneria, d'altronde, hanno certamente coabitato e coabitano insieme meglio di altre componenti: «Per ragioni facilmente comprensibili, sono stati paesi protestanti che hanno con più facilità potuto coabitare con essa (= la massoneria). Al contrario, la religione cattolica, assai poco incline ai compromessi del liberalismo dottrinale, è stata quasi subito oggetto della sua ostilità partigiana».

2. Il grosso dell'esercito.
Il grosso dell'armata nemica è costituito, secondo P. Kolbe, dalla massoneria: «Solo dopo queste avanguardie viene il grosso dell'armata del nemico. E chi è costui? Di primo acchito potrà sembrare esagerata l'affermazione che il principale, il più grande e il più potente nemico della Chiesa è la massoneria».
Cosa s'intende per il «grosso dell'armata»?... Non solo la massoneria in se stessa che, essendo «il principale, il più grande e il più potente nemico della Chiesa» è come il grosso di un esercito. Ma si vuole dire pure che, manovrate e guidate da un unico abilissimo «capo», innumerevoli forze del male si ritrovano a formare come il «grosso» di un'armata, lanciata contro la Chiesa. Abbiamo già visto come, in effetti, gli stessi fenomeni del laicismo, del socialismo, del marxismo, del capitalismo sono originati e manovrati dalla massoneria. Le innumerevoli forze nemiche sono come amalgamate e scagliate, tutte, contro lo stesso fondamentale bersaglio. Non solo. Ma P. Kolbe vuol dire pure che se i vari «corpi» o «specialità» possono anche attardarsi, singolarmente, in azioni di disturbo o di poco conto contro la Chiesa e il bene; nel loro insieme, invece, come nel loro capo che le manovra, esse combattono, tutte, la stessa battaglia decisiva e fondamentale. Qual'è questa battaglia decisiva e fondamentale? È quella che mette fuori gioco, definitivamente, l'avversario, colpendolo alle radici o al cuore. Ma vediamolo più in dettaglio.

A) L'offensiva nemica.
Nella Chiesa cattolica quello che conta massimamente è il soprannaturale: essa vive di soprannaturale, è tutta tesa al soprannaturale e tutti gli uomini chiama al soprannaturale. La sua esistenza, il suo operare sarebbero assolutamente incomprensibili fuori che alla luce del soprannaturale. E, perciò, la massoneria, nel suo insieme come nei suoi adepti di natura o di occasione:
combatte soprattutto il soprannaturale. P. Kolbe ha già detto che la battaglia o scopo di tutta la battaglia della massoneria è la liquidazione totale del soprannaturale: non la diminuzione - si badi! -, non una modificazione qualsiasi di dottrina o di morale o di atteggiamento, ma la distruzione totale, la liquidazione completa. Il soprannaturale, cioé, per la massoneria, non deve esistere affatto, non esiste. Il che significa che, per la massoneria, non esistono, non devono esistere né la rivelazione, né la fede, né la grazia, né i sacramenti, né, in una parola, la redenzione: «Il principio fondamentale di quanti professano (e perciò principalmente dei massoni) il naturalismo è, come il termine stesso indica a sufficienza, che la natura umana e la ragione umana debbano essere in tutte le cose maestre e sovrane. Una volta stabilito questo principio, dei doveri verso Dio o poco si curano oppure ne alterano la essenza per mezzo di opinioni erronee e vaghe. Negano completamente la rivelazione divina; non ammettono alcun dogma religioso; non accettano alcuna verità che non possa essere compresa dalla intelligenza umana; nessun maestro a cui si debba obbligatoriamente credere per l'autorità della funzione».
La liquidazione del soprannaturale è veramente la battaglia decisiva. Liquidato, infatti, il soprannaturale, annota P. Kolbe, «non si parla più né di religione né di moralità», giacché è rimosso il fondamento stesso o l'«ubi consistam» di ogni essere e di ogni moralità e religione.
Combatte ferocemente e odia con odio inestinguibile la Chiesa cattolica e il Papa, che del soprannaturale sono assertori invitti e gli amministratori fedeli: «...poiché è compito singolare ed eslusivo della Chiesa cattolica possedere nella sua pienezza e conservare nella sua integrità il deposito delle dottrine divinamente rivelate, l'autorità del magistero e i mezzi soprannaturali per la salvezza, perciò stesso somma è contro di essa la rabbia e l'accanimento degli avversari».
Ma lo sforzo più energico degli avversari si esercita principalmente contro la Sede Apostolica e il Romano Pontefice. Per i fautori di queste sette massoniche: «si deve eliminare la sacra autorità dei Pontefici e (...) si deve distruggere dalle fondamenta lo stesso Pontificato, istituito per diritto divino. (...) Il vero obiettivo dei massoni è quello di perseguitare con odio implacabile il cattolicesimo e (...) non si daranno pace prima di avere visto stroncate tutte le istituzioni religiose fondate dai sommi Pontefici». La Chiesa cattolica, il Papa non sono i pilastri che reggono tutto, il cemento di unione di tutte le forze del bene?... Si spiega perché la battaglia è rivolta soprattutto contro di loro. E si spiega pure perché la massoneria è disposta a concedere tutte le libertà ad ogni cittadino o nazione, meno che alla Chiesa Cattolica.
Naturalmente, se si combatte così accanitamente il soprannaturale, è per affermare e far trionfare il più radicale e totale naturalismo. Il naturalismo, di cui già abbiamo fatto cenno, qui, non è quel sano laicismo che dice autonomia nel proprio ambito, ma subordinazione a ciò che è più grande e dal quale si deve dipendere, per logica di cose. Il naturalismo e radicalismo massonico è, invece, in contrapposizione e in alternativa al soprannaturale. Si esalta, cioè, e si afferma solo la natura, solo l'uomo, oltre di che non esiste assolutamente nulla che possa effettivamente imporsi a lui. Ultimo e principale intento della massoneria, ribadisce Papa Leone XIII è «distruggere dalle fondamenta tutto l'ordine religioso e sociale nati dalle istituzioni cristiane e creare un nuovo ordine a suo arbitrio, che tragga fondamenti e norme dal naturalismo».
Ci si deve chinare solo davanti alla natura, all'uomo, alla ragione. Bisogna lavorare e donarsi solo all'uomo, anche se, poi, tutto questo si risolve nell'immolazione totale dell'uomo individuo e persona. Di qui l'affermazione fondamentale, fanatica dei massoni, del libero pensiero e della più totale libertà. «Il criterio più alto, unico - per un massone - è la Ragione... che è al centro della realtà massonica». E, perciò, per il massone, il «principio superiore ad ogni altro ...è quello di restare fedele alla sola fede nel progresso dell'umana ragione». Senza più `tutele', guidati solo dalla ragione, il «dogma del libero pensiero si impone come norma sovrana al massone: "il libero esame e l'indefinita. ricerca del vero con tutti i mezzi acquisiti dalla ragione, dall'esperienza e dalla scienza"».
Autonomia del pensiero e, logicamente, autonomia della volontà con libertà assoluta. Agire liberamente significa obbedire solo alla propria ragione: «libertà dello spirito, del giudizio, della critica: indagine razionale senza limiti, che autogiustifica i propri principi; libertà da tutti i culti e da tutte le fedi, che si risolve in quella di pensare e di credere secondo la propria ragione e la propria coscienza».
L'esaltazione e la rivendicazione di un'assoluta libertà, in fatto di costumi; lo sganciamento da ogni legame soprannaturale e l'affermazione incondizionata dell'uomo e dei suoi diritti, porta la massoneria ad una lotta, non meno feroce e totale, ad ogni espressione o rappresentazione di Dio e dell'autorità, e cioè della legge e del diritto naturale, della monarchia e di qualsiasi altra autorità trasmessa «in nome» di Dio. Il massone lotta ogni autorità, chinandosi solo agli imperativi della massoneria, che sola gli comanda effettivamente. Davanti agli imperativi della loggia, tutto deve cedere il passo, si trattasse della propria vita.
La lotta a Dio e alla Chiesa, presentata, con immensa ridicola presunzione, come «lotta della luce contro la tenebra, della libertà contro l'asservimento» è ritenuta dalla massoneria, addirittura, come sua nobile irrinunciabile missione.
Una battaglia, comunque, di eccezionale importanza, dal momento che dall'esito di essa dipendono la salvezza dell'uomo e l'avvenire stesso della Chiesa e dell'umanità.

B) Tattiche e strategie della massoneria.
Tattica, nel gergo militare è la «branca dell'arte militare che tratta i principi generali, i criteri e le modalità per l'impiego delle unità e dei mezzi di combattimento».
La strategia, invece, è la «branca dell'arte militare che tratta della condotta della guerra». Tattiche e strategie sono ordinate, ovviamente, a vincere la guerra: le tattiche servono alla strategia, in quanto sono le tattiche che concretizzano e attuano la strategia e cioè la condotta della guerra, messa in atto per arrivare alla vittoria. Ebbene, come si comporta la massoneria nella lotta contro la Chiesa? La sua strategia la si potrebbe riassumere così: la Chiesa non la si vince se non con la corruzione. Ecco dunque la strategia della corruzione, attuata e portata avanti con le tattiche più svariate e subdole.
La strategia della corruzione. Mentre la strategia del segreto serve ottimamente alla conservazione e all'azione indisturbata della massoneria stessa; la strategia della corruzione è rivolta contro la società che si vuole cambiare, e contro la Chiesa. «Noi potremo vincere la religione cattolica non col ragionamento, ma unicamente pervertendo i costumi».
Corrompere tutto e tutti: giovani, donne e bambini; preti e semplici fedeli. Così, per esemplificare, si è venuti a conoscenza di un piano massonico di corruzione in grande della gioventù americana, progettato per il 1953. Vi si dice tra l'altro: «Abbiamo già cominciato a realizzarlo e lo perfezioneremo con i seguenti mezzi: il cinema, le pubblicazioni porno a buon prezzo; i libri comici con storie di sesso e di violenza; ultimo mezzo, ma non il più piccolo, la televisione... Non osiamo andare troppo lontano con la televisione, per il momento. Ma essa ci riserva un uditorio immenso, e sarà il mezzo migliore per accostare i bambini. Il nostro piano è di incoraggiare dapprima delle rappresentazioni amorose, se non subito immorali, così graduando progressivamente la malvagità, tutta calcolata, si avrà il possesso di tutta la gioventù. Sarà tenuta occupata tutto il giorno, senza lasciare spazio per la religione. Così i giovani al loro risveglio e al loro coricarsi a sera avranno la testa piena di cow boys, di omicidi, di terrori, di cartoni animati inoffensivi. Tutto questo per allontanare dal loro animo immagini religiose. Così i bambini saranno disorientati per anni. Poi, quasi occasionalmente si introdurranno costumi sfrontati e scene licenziose allo scopo di distruggere il senso della modestia...».
Si cerca di corrompere soprattutto la donna. Vindice diceva: «Corrompiamola la donna. Corrompiamola assieme alla Chiesa: corruptio optimi pessima. Noi abbiamo intrapresa la corruzione in grande: la corruzione del popolo per mezzo del clero, e del clero per mezzo nostro, corruzione che deve condurci un giorno al seppellimento della Chiesa Cattolica. Lo scopo è abbastanza bello per tentare uomini come noi. Il miglior pugnale per assassinare la Chiesa e colpirla al cuore è la corruzione. Dunque all'opera fino al termine».
«Non istanchiamoci mai di corrompere», diceva a sua volta Nubius. «Tertulliano diceva con ragione che il sangue dei martire era seme di cristiani. Ora è deciso nei nostri consigli che non vogliamo più cristiani; non facciamo dunque dei martiri, ma rendiamo popolare il vizio nelle moltitudini. Fa d'uopo che lo respirino coi cinque sensi, che lo bevano, che ne siano sature. Fate dei cuori viziosi, e voi non avrete più cattolici».
Una strategia che se vede all'opera innumerevoli forze, queste si muovono tutte sotto iniziativa e guida massonica. Così, per es., l'iniziativa massonica sulla legge del divorzio, altro mezzo principe di corruzione e di disordini morali, è espressamente affermata dalla Rivista Massonica, maggio 1974.
Con quali tattiche viene attuata questa strategia?... Sono tante e tutte molto bene impiegate. Tra l'altro:
a) Si favorisce, con tutti i mezzi, il nudismo, la pornografia, il libero amore. Ecco, in merito, solo qualche dato: «In Italia la legge abortista, più che voluta dal popolo, è stata imposta dall'intero arco parlamentare laicista di origine massonica (radicali, socialisti, comunisti, repubblicani, liberali, ecc.)».
Ma il programma si allarga a tutte le tecniche di demolizione della moralità, un programma così sintetizzato da un attento osservatore: «I cristiani si sciupino prima del matrimonio (immoralità inoculata con tutti i mezzi e liberalizzata); non giungano al matrimonio (non ce n'è bisogno, mancano i mezzi); se vi giungono, lo frantumino (divorzio facile, protetto); non facciano figli (contraccettivi propagandati dati gratis dalla mutua); se i figli sono in arrivo, siano uccisi (nessun favore alle famiglie numerose, intralci all'adozione, difficoltà per la casa); se sono allevati, non siano educati cristianamente (guerra agli istituti cristiani, alla religione nella scuola, controllo dell'editoria scolastica, della tv, dei giornali); se qualcuno scampa, sia emarginato dalla vita sociale (tiro al bersaglio ai cattolici migliori, e tutti zitti quando i cristiani sono falciati a diecine di migliaia in Biafra, Burundi, Vietnam, Uganda, Libano, Guinea, ecc.». E così, ancora, le connessioni tra la droga, la controcultura, la rivoluzione sessuale, la pornografia, gli affari bancari e la massoneria ci sono svelati dal volume DROGA S.P.A..
Nel Synodus Mediolanensis del 22 dic. 1956, a p. 106, sono riportate le parole della Rivista internazionale delle società segrete del maggio 1928: «La religione non teme la punta del pugnale, ma può cadere sotto il peso della corruzione. Non stanchiamoci quindi di corrompere, magari servendoci del pretesto dell'igiene, dello sport, della stagione, ecc. Per corrompere bisogna che i nostri figli realizzino l'idea del nudo... Per evitare ogni supposizione bisognerà progredire metodicamente».
b) Si cerca di creare, accortamente, l'ambiente favorevole alle proprie idee, con piccoli passi, prudenti sortite, fino a generalizzare un'opinione, rendendola mentalità. Si fa ciò favorendo soprattutto il piacere sessuale, una vita edonistica, ecc., tutto spiegando e giustificando con il pretesto della libertà di espressione, dell'arte per l'arte, ecc.
c) Si favoriscono in tutti i modi le persone che posso o fare tutto questo; e soprattutto influendo, come una mafia e un cancro, sull'azione politica mondiale. Cosa facile alla massoneria che, infiltrata com'è, può arrivare praticamente dappertutto.
d) Si dà, nello stesso tempo, a demolire l'avversario, in tutti i modi, con la calunnia, la violenza, il sopruso, la prepotenza. Papa Pio VIII arrivò a dire che la massoneria è tutta menzogna: «La menzogna è la loro regola, satana il loro dio, la turpitudine il loro sacrificio»; mentre Leone XIII afferma che la Massoneria fa progressi enormi, perché si avvale «della spavalderia e dell'astuzia».
e) Ci si avvale al massimo dei mass media, e soprattutto della stampa, dei quali la massoneria cerca di avere il monopolio assoluto. P. Kolbe ricorda come ad un raduno di massoni, Cremieux, ebreo francese, aveva affermato: «Considerate inutile ogni cosa, inutile il danaro, inutile la stima: la stampa è tutto. Con la stampa in mano avremo tutto». E nel Congresso Internazionale di Cracovia il rabbino inglese Mosè Montefiore aveva affermato: «Finché i giornali del mondo non saranno nelle nostre mani, tutte queste cose non serviranno a nulla. Mettiamoci bene in testa l'undicesimo comandamento: "Non sopporterai al di sopra di te nessuna stampa estranea, per poter dominare a lungo sui miscredenti". Impadroniamoci della stampa e in breve tempo governeremo e dirigeremo le sorti dell'Europa intera». Già negli anni 1919-1921 P. Kolbe forniva le prove che, purtroppo, non si trattava solo di parole: sono soprattutto i massoni che hanno compreso fino in fondo l'importanza di tale mezzo e ne hanno fatto un formidabile strumento di attacco: «Coloro che hanno compreso subito questa sono stati gli ebrei e, mi sia lecito dire con più chiarezza, i massoni, i quali con una logica di ferro» mirano alla distruzione di ogni religione e specialmente di quella cattolica. Seguendo le suddette `parole d'ordine', «essi si sono messi a lavorare con grande impegno e, purtroppo, hanno già realizzato moltissime cose. Una parte notevole, se non adderittura la maggioranza dei quotidiani più diffusi, si trova nelle loro mani. Basti dire che, già all'inizio di questo secolo, nella tanto `cattolica' Austria, ben 360 pubblicazioni nella sola lingua tedesca combattevano contro la Chiesa, 83 delle quali venivano pubblicate perfino ogni giorno. La tiratura della stampa cattolica raggiungeva i due milioni di copie, di cui 1.200.000 spettavano ai quotidiani. Quanto alla Germania, il critico letterario Bartels scriveva che due terzi, se non tre quarti delle pubblicazioni periodiche appartengono agli Ebrei; in Ungheria 800 riviste su mille si trovano nelle mani degli ebrei. Inoltre essi si sono impadroniti di quasi tutte le agenzie telegrafiche, per mezzo delle quali dirigono anche altre pubblicazioni. La sola agenzia Reuter di Londra rifornisce di notizie 5000 quotidiani; l'agenzia Stefani di Roma tutti i quotidiani italiani; l'agenzia Havas di Parigi quelli francesi, spagnoli e belgi; l'agenzia Wolf di Berlino tutti quelli tedeschi, mentre l'agenzia Associated Press di New York rifornisce i quotidiani americani».
I guasti, naturalmente, sono senza fine, e P. Kolbe non manca di documentarli con testimonianze anche di «nemici» stessi, come quella drammatica del socialista Lassalle che, impressionato appunto, da tante rovine prodotte, arriva a dire: «Questo è il più grande crimine che io conosca».
f) E, non ultima, la corruzione dei costumi attraverso la corruzione di danaro, di cui i massoni dispongono, ordinariamente, in grande abbondanza.
A questo punto, P. Kolbe non può non ammirare questa diabolica «sapienza», che sa così bene adattare i mezzi al fine voluto, scrivendo: «Noi potremmo vincere la religione cattolica non con il ragionamento, ma unicamente pervertendo i costumi». Che saggia decisione!... Nella prima parte rende testimonianza alla veridicità della religione cattolica, perché soltanto la verità non può essere sconfitta con il ragionamento, anzi si fa ancora più luminosa. Nella seconda parte, invece, colgono veramente nel segno il punto debole, poiché per colui che si immerge nel fango dell'immoralità, la religione diviene qualcosa di incomodo, non vuol pensare ad essa e proclama a destra e a manca di non credere in Dio, come se qualcuno avesse già dimostrato che Dio esiste. Ma per lui Dio è troppo scomodo, perché per lui è inconcepibile che ci possa essere una felicità superiore, l'unica che possa riempire e soddisfare la grande anima dell'uomo. (...) Saggia, dunque, è stata quella decisione e conforme ad essa hanno cominciato ad insozzare volutamente e metodicamente la letteratura, l'arte, il teatro, il cinema, la moda, ecc. E se prima i costumi lasciavano molto a desiderare, in seguito l'immoralità si è riversata con prepotenza da tutte le fonti possibili, ha invaso le nostre città e persino i villaggi, trascinando dietro a sé l'indebolimento della fede, secondo le giuste previsioni di quella risoluzione».
I frutti maledetti, infatti, di tale strategia sono più che evidenti: essi veramente «affogano le anime in una colluvie di letteratura e di arte volta a indebolire il senso morale. L'invasione di sudiciume morale scorre ovunque portato da un ampio fiume. Le personalità si afflosciano, i focolari domestici vanno a pezzi e la tristezza cresce assai nel fondo dei cuori insudiciati. Non sentendo in se stessi la forza di levarsi di dosso il giogo che le tiene avvinte, sfuggono la Chiesa, oppure insorgono addirittura contro di essa».
Tutto questo, portato avanti con innumerevoli accorgimenti e al riparo di un segreto inviolabile, fa sì che la massoneria abbia in pugno il mondo intero, salvando la faccia e la dignità dietro l'affermazione di un esterno galantomismo e di grandi ideali umani. Efficacissima l'immagine di Crétineau Joly che paragona i massoni alle termiti: «Rodono internamente i travi d'una casa, e con un'arte ammirabile lasciano intatta la superfice del legno. Ma questa superfice è così sottile che il dito dell'uomo, premendola, spezza la trave».
Così stando le cose, non si può non ammirare il coraggio di P. Kolbe di buttarsi nella mischia, per salvaguardare la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Non solo si giustifica la lotta contro la massoneria, ma si comprendono pure i pesanti apprezzamenti del santo per questa associazione. Essa è «pestilenza e armata dell'anticristo»; è «malvagia e corrotta»; è una «mafia criminale». E si spiega pure la pioggia di condanne, abbattutasi sulla massoneria, da parte soprattutto dei Papi: dal 1738 al 1884 si contano ben 12 condanne!

Cap. IV
IL DOVERE E L'IDEALE DEL COMBATTERE

Di fronte all'imperversare dei nemici e alle rovine, da loro accumulate, non è lecito rimanere indifferenti o neutrali, afferma con decisione P. Kolbe: «Di fronte agli attacchi tanto duri di nemici della Chiesa di Dio è lecito rimanere inattivi? Ci è lecito forse lamentarci e versare lacrime soltanto? No affatto. Ricordiamoci che al giudizio di Dio renderemo stretto conto non solamente delle azioni compiute, ma Dio includerà nel bilancio anche tutte le buone azioni che avremmo potuto fare, ma che in realtà avremo trascurato. Su ciascuno di noi pesa il sacrosanto dovere di metterci in trincea e di respingere gli attacchi del nemico con il nostro petto».
Che vuol dire P. Kolbe?... Vuol dire che di fronte all'onore oltraggiato di Dio, alla rovina delle anime perpetrata dai «nemici», che diffondono, a piene mani, il veleno e la morte, la lotta è dovere e necessità. Un dovere che, specialmente per un cristiano, scaturisce sia dalla natura stessa del suo essere, e sia dal precetto dell'amore. Il cristiano, infatti, inserito misteriosamente, ma realmente, nel «Corpo Mistico» di Cristo, non può tollerare con indifferenza e noncuranza, che Esso venga attaccato e ferito e ucciso nelle sue membra. Chi mai resterebbe indifferente se venisse insidiata o attaccata la propria vita o la propria sanità? Senza dire nulla dell'onore di Dio, che ogni buon figlio non può assolutamente permettere che venga impunemente manomesso. Per questo, il cristiano, reso «adulto» e «soldato« dal sacramento della Cresima, ha ricevuto delle forze particolari ed armi convenienti e atte alla lotta e alla difesa della fede e della vita soprannaturali.
Quando e come si assolverebbe la professione di soldati, se non si imbracciassero le armi neanche quando è in pericolo o insidiata la stessa fede e verità fondamentale di vita eterna?
La difesa di Dio e della verità e della fede si impone anche per il precetto dell'amore. È questo il più grande precetto: «Amerai il Signore Dio tuo... Amerai il prossimo tuo come te stesso». Come si può dire di amare Dio con tutte le forze se, rinnegato o insultato e bestemmiato, non si muove un dito per difenderne l'onore ed esigere che tutti Gli prestino il debito onore e rispetto?... Che se c'è obbligo di correre in aiuto del fratello che è nel pericolo o versa nel bisogno per il corpo, come non ci sarebbe obbligo di prestarsi soprattutto quando è in pericolo la sua anima e la sua eterna salvezza? Giustamente P. Kolbe scriveva: «Noi amiamo i nostri prossimi, i nostri vicini, ma abbiamo noi nel cuore un posto per le povere anime irretite nei lacci dell'eresia, della miscredenza e dello scisma? Apriamolo ad esse e diamoci da fare per introdurre l'Immacolata in questi poveri cuori, affinché Ella vi porti la vera felicità, Dio». E incalzando dice ancora: «E come non porgere la mano a costoro? Come non aiutarli a rappacificare il loro cuore, a sollevare la loro mente al di sopra di tutto ciò che passa, verso l'unico scopo ultimo, Dio? L'amore al prossimo spinge quelle anime che hanno già trovato il vero ideale di vita a non dimenticare i fratelli che li circondano».
È precisamente in vista di questa lotta incessante con le potenze delle tenebre e i loro alleati, che l'Apostolo insiste, così spesso, a prendere le armi adatte e a rivestirsi dell'armatura della fede.
Lotta di cui parla, non meno, il Vangelo, in termini anche paradossali. Così, per es., esso incita a reagire drasticamente al «nemico» o al male che insidia la propria anima. Si fa obbligo, infatti, di testimoniare la verità, anche a rischio della vita; di cavarsi l'occhio e di troncare la mano o il piede che scandalizzano o sono mezzi di peccato. Scandalo che, c'è da supporlo, va combattuto ed estirpato sia se è a danno proprio che a danno fisico o morale dei fratelli. E, così, è condannata l'indifferenza, il ripiegarsi su se stesso. E, così, ancora, l'obbligo di confessare Cristo davanti agli uomini non può, certo, limitarsi ai possibili casi di martirio, ma deve intendersi anche come «confessione» o testimonianza franca della verità e della fede, qual'è continuamente richiesta dagli incessanti attacchi e negazioni che, da ogni parte, se ne fanno: confessione e testimonianza che sono, anch'esse, forme di lotta e di combattimento. Gesù ripete pure: «Chi non è con me, è contro di me»: parole che affermano chiaramente un dovere preciso. Un dovere che incombe su tutti, anche se in maniera diversificata: sui superiori e sui sudditi, sui sacerdoti e sui laici; sui genitori e sui figli, sugli insegnanti e sugli alunni.
Come comprendere, allora; come attuare un dovere del genere?

1. Cosa comporta il dovere di opporsi al male e ai nemici.
L'opporsi al male e ai «nemici» comporta una serie di atti e di comportamenti, che vanno dalla negazione e rifiuto di certe realtà, all'affermazione vigorosa e molteplice di altri atteggiamenti e realtà di vita. In pratica, l'opporsi al male è:
a) Far conoscere la verità in tutta la sua estensione e nobiltà.
La verità è luce che ristora e consola, ed è anche luce che fuga la tenebra e la tristezza. Ciò significa che presentare la verità è già combattere le tenebre dell'orrore e del peccato. Le anime vengono travolte soprattutto perché non sanno, e perché «sanno male». Ignorare Dio, l'Immacolata e altre essenziali verità religiose non è, purtroppo, senza gravi conseguenze per l'anima. Equivale, tra l'altro, a mancare di quella luce che dà sicurezza al cammino della vita; a brancolare così nella tenebra dell'incertezza, dell'equivoco o dell'errore; è mancare di quei valori che danno senso all'esistere e risposta ai suoi più assillanti interrogativi; quei valori che, posseduti o, almeno, sinceramente ricercati, riempiono l'animo di gioia e di felicità. Giustamente P. Kolbe si rammarica per l’ignoranza nella quale versano tante anime: «Quante persone sulla terra - dice lui - non conoscono ancora il Signore Dio, non conoscono l'Immacolata e, di conseguenza, talvolta si chiedono perfino il perché della loro esistenza. Essi non posseggono la felicità, soprattutto nelle difficoltà della vita e nelle sofferenze. Non sanno che il fine dell'uomo è Dio e che ogni realtà di questo mondo è solo un mezzo per raggiungere Dio nell'eternità, in paradiso. Non sanno che la Mediatrice di tutte le grazie, la Madre spirituale di tutti gli uomini è Maria Immacolata: che ricorrendo a Lei, amando Lei, si avvicinano a Dio nel modo più facile e più rapido».
E se tanti incappano nei tranelli dei nemici non è, anche, perché questi sono opportunamente camuffati e resi affascinanti?... Adoperarsi, dunque, a far conoscere la verità è già combattere una vera e propria battaglia, tanto più che, spesso, tale compito è gravoso e pieno di rischi e di scarsa consolazione e utilità immediate. Tra l'altro, per far conoscere bisogna che prima si conosca e si superi, perciò, e si vinca la propria indolenza o resistenza interiore, e si dissolvano le sempre possibili obiezioni.
b) Opporsi al male e ai nemici importa smascherarli e condannarli con coraggio, senza infingimenti e mezzi termini o compromessi, superando o eliminando motivazioni fallaci e giustificazioni fasulle, inventate dall'interesse e dall'amor proprio. Certo, se l'errore e il peccato o il male, in genere, si presentassero sempre nella loro genuina realtà, senza maschere e travestimenti, forse non sarebbe necessaria la lotta o l'opposizione.
La realtà, in sé stessa spaventosa e orrida, persuaderebbe da sola a non accostarsi, a non farla desiderare. E, invece, l'errore, come il peccato, si presenta quasi sempre sotto mentite spoglie, in veste soprattutto di «immediata verità» e di «immediato piacere», nascondendo il marciume e il veleno che porta in seno. È per questo che l'errore, come il peccato, ha quasi sempre qualcosa di fascinoso e di allettante. Più semplice apparentemente, meno complesso e più immediato della verità colpisce subito e attira. Lo zucchero, così dolce al palato, non può non piacere al bambino. Potrà mai questi pensare che quel «dolce» potrebbe essergli fatale, intaccando la sanità dell'intero suo organismo? Ingannato perciò dall'apparenza e incapace quasi di ragionare, si butta allo zucchero, rifiutando decisamente l'amaro!
Situazione ancora più grave per il peccato. Infatti, esso si presenta sempre come un «bene sensibile», relativo e parziale, ma sempre bene! E di fronte a ciò che piace, che solletica e sazia i propri desideri, dando l'illusione della felicità, chi si arresta a riflettere?... E, in fondo, è questo il dramma di innumerevoli anime. Il peccato ha il fascino del frutto proibito, la dolcezza del frutto a portata di mano: tutto il resto è...lontano e, per questo, quasi irreale e illusorio. Si lotta il male, il peccato per spogliarlo delle sue vesti non di oro, come sembra, ma di stagnola; per farlo apparire in tutta la cruda realtà: un assassino impietoso che uccide e deruba di tutto, con mani di velluto. Un'impresa dura, spesso quasi impossibile. Lotta tanto più dura in quanto il peccato ha nell'uomo stesso che si accinge a lottarlo, connivenze misteriose, compiacenze aperte o striscianti. Per cui, condannarlo senza compromessi, senza cedimenti di sorta, diviene, spesso, un'impresa addirittura eroica. La lotta, comunque, nella sua realtà obiettiva - come dice P. Kolbe e, con lui, tutti i santi e apostoli - è per strappare le anime da spaventose e degradanti catene: non esiste schiavitù più orrenda di quella del peccato. Si lotta per liberare le anime «dalla schiavitù del demonio, del mondo e della carne e, rese felici, offrirle in proprietà all'Immacolata». Se, infatti, è relativamente facile smascherare il male, è molto più difficile liberare dai lacci che esso finisce per creare. La caduta nel peccato, in effetti, diviene facilmente abito, e cioè disposizione e inclinazione, e, quindi, facilità a peccare, determinando, così,debolezza sempre più grave nella volontà, e perciò sempre più difficile a guarirsi. Il peccatore, perciò, oltre che «morto» alla grazia, è anche schiavo e malato nelle sue facoltà e capacità per il bene.
Chi si rende conto di tutto questo ed ha il senso di Dio e del soprannaturale non può non sentirsi spinto alla lotta. «Guardando attorno, dice P. Kolbe, e vedendo dappertutto tanto male, noi vorremmo sinceramente (...) porre un rimedio a questo male (...) e così rendere eternamente felici fin da questa vita i nostri fratelli che vivono in questo mondo. Guerra al male, dunque, una guerra implacabile, incessante, vittoriosa», per «strappare il maggior numero di anime immortali dai legami del peccato, a premunirle contro il male morale, a confermarle nel bene».
c) Opporsi al male e ai nemici importa anche vigilare e provvedere affinché le posizioni conquistate non si perdano di nuovo. Fino a che si è su questa terra, e perciò nella possibilità di cadere, bisogna vigilare a che non vengano contaminati gli ambienti; a che teorie e opinioni avvelenate non arrivino ad esercitare il loro fascino perverso. Vigilare illuminando sempre più, correggendo, ammaestrando, ecc..
Vigilare, cioè, significa prevenire, preservare, rafforzare i deboli e gli incerti, ecc. Un'opera, anche questa, non meno complessa e ardua, a cui Cristo ha chiamato ogni anima, ma soprattutto e particolarmente gli operatori di apostolato. La mancata vigilanza permette e facilita l'irruzione di lupi rapaci nel gregge; il dormire dei «servi» dà agio all'«inimicus homo» di seminare nel campo accanto al grano buono, la zizzania di ogni errore e falsità; l'indolenza dei buoni dà vigore e coraggio ai perversi e fa trionfare il male.
Tutto ciò fa capire pure che questa lotta al male non può essere messa in dubbio per le obiezioni, che possono affacciarsi proprio a nome della verità e della carità.
E, infatti, in nome della verità si afferma, sovente, l'inutilità di detta lotta, non avendo bisogno, la verità, di essere difesa o protetta, avendo in sé vigore sufficiente a sgominare ogni opposizione.
Ma, si risponde, la lotta si impone non tanto per la verità in sé stessa che, in quanto tale si identifica addirittura con Dio stesso e di Dio ha la forza e l'eternità. Si lotta, invece, perché essa sia recepita nei cuori o affinché vi sia recepita nella sua integrità e luminosità e purezza assoluta.
In nome della carità, i cui diritti ed esigenze verrebbero necessariamente e inevitabilmente sacrificati nella lotta. Certo, chi combatte per la verità con mezzi e modi non consoni o inadeguati alla carità, rischia veramente di sacrificare quest'ultima. Si può e si deve ammettere, anche, che oggi, come nei secoli scorsi, si lotta il peccato e l'errore, infliggendo innumerevoli ferite alla carità. E, tuttavia, detto questo, non si può rinunziare a prendere posizione netta a favore della verità. «La verità - ha detto Papa Giovanni Paolo II - è misura della moralità: scelte e motivazioni non possono dirsi eticamente buone e, quindi, meritevoli di approvazione se non sono conformi al bene oggettivo. La comprensione e il rispetto per l'errante esigono anche chiarezza di valutazione circa l'errore di cui è vittima.
Il rispetto, infatti, per le convinzioni altrui non implica la rinuncia alle convinzioni proprie» Le obiezioni, perciò, che si fanno alla lotta all'errore e al peccato non possono essere che sofismi. Come quella, per es., che si appella alla parabola del grano e del loglio nella quale - si afferma - Gesù Cristo avrebbe predicato la pacifica coesistenza del bene e del male; o quella che si rifà alle parole evangeliche che vietano di giudicare e condannare chicchessia. Si tratta di sofismi, abbiamo detto. La lotta per la verità resta un dovere grave, preciso. A Timoteo l'apostolo Paolo raccomanderà: «Annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina...». S. Gregorio Magno, a sua volta, così si esprime in proposito: «Dovere della lotta che, va precisato, non è mai giudizio o condanna di qualcuno, quanto all'intimo della sua coscienza o delle sue recondite intenzioni e responsabilità morali; ma solo per quello che appare e che, pure, è fondamento di rapporti umani e sociali, individuali e sociali». La lotta, cioè, va fatta all'errore, al male, al peccato, mai alla persona in quanto tale: «Si deve (...) stigmatizzare, - scrive concisamente P. Kolbe - ma soltanto il "male"».
Proprio questa lotta, rifiutata oggi da tanti, in nome della carità, è senza dubbio, la più grande carità che si possa fare alle anime e ai fratelli e a quegli stessi che, con le loro dottrine errone o scandali, provocano l'insorgere della lotta e dell'opposizione. «Non si dimentichi che, per la Chiesa, la fede - l'osservazione del Ratzinger vale bene per tutti i valori soprattutto più essenziali! - è un «bene comune», una ricchezza di tutti, a cominciare dai più poveri, i più indifesi davanti ai travisamenti: dunque, difendere l'ortodossia è, per la Chiesa, opera sociale a favore di tutti i credenti». Lo stesso S. Francesco di Sales, il santo della dolcezza, ha scritto in qualcuna delle sue opere: «I nemici giurati di Dio ...e della Chiesa si debbono screditare a tutto potere; tali sono le sette degli eretici, degli scismatici e dei loro capi: è carità gridare al lupo, quando è in mezzo alle pecore, o dovunque si trovi».
Maritain, a sua volta, scrive: «Un'altra legge ci ricorda che ogni debolezza di fronte all'errore si paga a prezzo di sangue, e che non si conducono le anime alla luce, mediante la compiacenza con la notte». Altra cosa, invece, è come bisogna lottare, affinché tutto sia a gloria di Dio e a profitto delle anime.

2. Ideale e missione del lottatore.
Lo stretto dovere per tutti diviene, per alcuni, ideale e missione di vita.
Quale la differenza, prima di tutto, tra dovere e ideale o missione?...
Il dovere dice, o sembra dire, sempre qualcosa di imposto, sia pure dalla realtà stessa delle cose. E dice il minimo indispensabile del da farsi, senza del quale la realtà stessa è messa in pericolo, nella sua consistenza e nel suo ordine e bellezza e sanità. Il dovere, perciò, è sempre qualcosa di penoso, oltre che di finito e limitato. Esso, cioè, anche nella molteplicità delle sue forme ed espressioni, ammette limiti e graduazioni. E, perciò, in quanto tale, non avrà mai gli slanci e i fulgori dell'ideale che trascina. Così, per es., il dovere di lottare, per un Pastore della Chiesa, è certo immensamente più grande di quello del semplice fedele. Eppure, se è tanto grande in se stesso, per qualsiasi pastore anche se solo mediocre, quanto esso è lontano dal dovere reso ideale, per es., dal Curato d'Ars! Riferendosi alla legge, il dovere dice necessariamente misura; l'ideale, invece, si rifà all'amore, il quale, avendo come misura quella di non averne alcuna, facilmente sconfina nell'eroismo.
L'ideale si differenzia, poi, dal dovere perché è qualcosa di profondamente amato, voluto perciò e perseguito con propria scelta, anche se non sempre dall'inizio. Implicando sempre un rapporto di amore, l'ideale è sempre al di sopra o al di fuori della legge, pur senza mai essere in contrasto con essa. Esso, perciò, è perseguito con tanto più ardore e generosità, quanto più grande è l'amore che lo ispira e lo alimenta.
Affinché un dovere di trasformi in ideale di vita, e tutta la vita divenga come una missione, ci vogliono spesso, un carisma dal cielo e, in ogni caso, convinzioni e motivazioni immensamente più incarnate e vissute: idee cioè tali da poter trascinare, come idee forze. La fatica, allora, gli slanci, le sofferenze, che tale ideale o missione comporta, sono ritenuti quasi nulla. «In ciò che si ama o non si fatica o si ama la fatica stessa». Un ideale tanto più amato e perseguito con ardore in quanto si accompagna, pure, con la certezza e la speranza del premio e della felicità eterna. È, infatti, proprio questo ideale, essendo o comportando totale immolazione di sé, realizza le parole del Vangelo: «Chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà». P. Kolbe non una volta sola si sofferma su questa realtà: «Immaginate quanto saremo felici sul letto di morte, allorché potremo affermare con tutta sincerità: O Immacolata, per tua misericordia ho consacrato a Te la mia vita, per Te ho lavorato, per Te ho sofferto, ed ora muoio per Te. Io sono tuo!... Quale pace, quale gioia serena ci riempirà il cuore nella speranza di vederLa presto». «Quale sentimento di riconoscenza colmerà il cuore di ognuno di noi, allorché, dopo la morte, vedremo Lei, l'Immacolata che, senza alcun merito da parte nostra, si è degnata di chiamarci a lavorare per Lei in un modo così sublime».
Felicità che, d'altronde, inizia già in questa vita ed unisce tutti i «combattenti» in un vincolo santo: «... Anche se ci separassero paesi, mari, oceani, tuttavia i nostri cuori e le nostre anime saranno ugualmente congiunte dal comune fine di ogni uomo, dall'ideale e dallo scopo della Milizia dell'Immacolata».
Che se si vuol dire una parola sulla validità e la preziosità di un ideale del genere, c'è subito da dire che non esiste ideale più alto, più nobile, più santo di questo. Si lotta, infatti, per l'onore e la gloria di Dio, dell'Immacolata, della Chiesa di Cristo, per la verità e la salvezza delle anime: nobilissimi e supremi valori. Infatti, Dio, al Quale tutti gli altri valori si rifanno, è la fonte e l'origine di ogni essere, la risposta unica ed adeguata ad ogni uomo che è alla ricerca dell'infinito. Lottare, allora, affinché tali valori si affermino, siano accettati e riconosciuti, è affermare e battersi per una «servitù», che è il sommo della libertà e della perfezione. Ogni amore è una sudditanza più o meno nobile, più o meno entusiasmante, a seconda della realtà amata. E questa che è la misura dell'uomo: chi ama il fango, diviene disprezzabile e abbietto come il fango stesso; chi va alla ricerca dell'oro purissimo della verità, si riveste dei suoi splendori, si sazia dei suoi amplessi.
Lottare perché tali valori siano partecipati alle anime è volere, quindi, il loro bene, la loro felicità, la loro perfezione. Che se è gioia ineffabile sovvenire anche un'anima sola, perché ogni anima è un mondo più grande dell'universo intero, un mondo che pensa e che ama, quanto più grande e ineffabile è la gioia e la felicità di chi è impegnato a conquistare il mondo intero alla verità, e redimerlo dalla umiliante schiavitù del peccato?... Possiamo capire, allora, perché P. Kolbe, sulla scia di Cristo e dei santi, ritenga altissimo ideale salvare anche un'anima sola: «Sarebbe necessario (...) armonizzare - dice lui - e perfezionare la loro (= dei frati di Niepokalanòw) attività, in modo tale da giungere realmente con uno sforzo organizzato ed al più presto possibile, ad ogni anima, fosse anche sperduta chissà dove su qualche isola inaccessibile, su monti o in foreste impenetrabili e accompagnarla sulla via dell'Immacolata». Ricordando le parole di un giapponese: «Se voi non foste venuti qui, io sarei ancora pagano», P. Kolbe commenta: «In quelle parole c'era tanta sincerità e riconoscenza, anche se nessun altro si fosse convertito all'infuori di questo solo, sarebbe valsa ugualmente la pena di intraprendere gli sforzi compiuti sinora e sacrificarsi ancora molto, molto di più, poiché si tratta pur sempre di un'anima».
Una «missione di altissimo valore», dunque, per la quale vale la pena soffrire tutto e donare tutto, e cioè il proprio tempo, le proprie energie, la vita stessa, provando così, allo stesso tempo, il proprio amore per l'Immacolata e i fratelli: «Il nostro compito qui - scrive vivacemente P. Kolbe dal Giappone - è molto semplice: sgobbare tutto il giorno, ammazzarsi di lavoro, essere ritenuto poco meno che un pazzo da parte dei nostri e, distrutto, morire per l'Immacolata. E dato che noi non viviamo due volte su questa terra, ma una volta soltanto, di conseguenza è necessario approfondire al massimo con grande parsimonia ognuna delle espressioni suddette, per dimostrare quanto più è possibile il proprio amore per l'Immacolata. Non è forse bello questo ideale di vita? La guerra per conquistare il mondo intero, i cuori di tutti gli uomini e di ognuno singolarmente, cominciando da noi stessi». E aggiunge con l'ardore dei più grandi apostoli: «Per Lei (= l'Immacolata) siamo disposti a tutto, ad ogni fatica, sofferenza, umiliazione, anzi alla morte per fame o per qualunque altra causa». Operare, donarsi, soffrire e fare presto, perché la vita ci sfugge di mano! Quasi una lotta con il tempo, per non perderne neanche una briciola: «Quant'è breve la vita, non è vero? Come fugge in fretta il tempo!... Vendiamolo, o meglio doniamolo, offriamolo a caro prezzo, al prezzo più elevato possibile. Quanto maggiori sono le sofferenze, tanto meglio è, poiché dopo la morte, non si può più soffrire. È breve il tempo in cui si può dimostrare l'amore. Inoltre, noi viviamo una sola volta».
Sublime ideale quello di lottare per la conquista del mondo all'Immacolata, a Dio e, quindi, per la vita e la felicità delle anime, perché, ancora, esso fa di noi, dice P. Kolbe, veri e propri mediatori di grazia e di felicità: «Gesù Cristo è l'unico Mediatore dell'umanità; l'Immacolata è l'unica Mediatrice fra Gesù e l'umanità e noi saremo i felici mediatori fra l'Immacolata e le anime sparse in tutto il mondo. Che bel compito, non è vero?»; e soggiunge: «Tutti noi e ognuno singolarmente possiamo sentirci molto felici per il fatto che abbiamo la possibilità di diventare degni di cooperare quanto più è possibile alla causa dell'Immacolata».
Inteso così il dovere di lottare, inteso cioè come altissimo ideale di amore e di gloria, è naturale che P. Kolbe voglia spendere tutto per esso: «Per questo ideale io desidero sempre lavorare, soffrire, e magari offrire in sacrificio anche la vita»; un ideale, apparso luminosissimo già all'inizio del suo sacerdozio e così presentato a suo fratello Fr. Alfonso: «La salvezza dunque e la santificazione più perfetta del maggior numero di anime che Gesù ha redento a caro prezzo con la sua morte in croce (...) deve essere il nostro sublime ideale di vita: tutto questo per procurare le più grandi gioie al sacratissimo Cuore di Gesù». Come è naturale pure che egli voglia partecipare tale missione a quanti più può. Al P. Floriano augura di «sgobbare e consumarsi per l'Immacolata e, attraverso Lei, per il SS. Cuore di Gesù». A Fr. Mariano scrive: «Scrivimi (...) se vuoi realmente consacrarLe (= all'Immacolata) tutta la tua vita, consumare completamente te stesso e magari essere disposto ad abbreviare la tua stessa esistenza a causa della fame e dei disagi ed esporti ad una morte prematura per l'Immacolata». Ad un novello sacerdote pure augura di «consumarsi per l'Immacolata, di impazzire d'amore per Lei».

3. Il massimo impegno per sì sublime missione.
Trattandosi della più grande missione e del più sublime ideale di vita, è necessario impegnarsi per essi col massimo impegno.
Massimo impegno nell'investire, per lo scopo, tutti i talenti del proprio essere; nell'usare tutti i ritagli di tempo, come l'avaro che si attacca anche allo spicciolo: «Non perdiamo neppure un minuto - dirà appunto P. Kolbe - quando si tratta dell'Immacolata». Anche se, per questo, bisognerà, qualche volta, rinunciare o ridurre al minimo le stesse più legittime esigenze del cuore. Egli, per es., per non rimandare la partenza per il Giappone, che avrebbe nociuto non poco al suo lavoro, rinunzia a salutare sua mamma. Infatti, le scriverà dopo: «Non son potuto venire a trovarti prima di ripartire, perché con ogni probabilità avrei dovuto differire la partenza, mentre le missioni sono più urgenti».
Massimo impegno, ancora, nel cercare di coinvolgere, nella lotta per l'ideale, quante più persone possibili. Anche per questo egli spinge, per es., suo fratello P. Alfonso a informare vescovi, metropoliti, ordinari, suffraganei, organi diocesani, parroci... dei progressi raggiunti nella diffusione della stampa.
Massimo impegno di crescita, di superamento, in tutti i settori: «Quanto mi piace - scrive P. Kolbe ad un Circolo M.I. di Cracovia - leggere: `Ci sforziamo'... Ford licenziava dal lavoro coloro che ritenevano di essere ormai dei maestri e cessavano di sforzarsi di ricercare un modo sempre più razionale di lavorare».
Impegno di crescere nell'amore, che è il principio propulsore e alimentatore dell'ideale. La M.I. sarà appunto l'espressione più compiuta di lotta e di cavalleria, scaturita appunto dall'amore: «L'unico motivo dell'esistenza e dell'attività della M.I. è solamente l'amore, un amore senza limiti verso il Sacratissimo Cuore di Gesù». Come è l'amore, ancora, che deve trasformare radicalmente l'anima propria e quella altrui. Sarà l'amore «che ci deve trasformare, attraverso l'Immacolata, in Dio, che deve bruciare noi e, per mezzo nostro, incendiare il mondo e distruggere, consumare in esso ogni forma di male». E sarà pure l'amore la misura della donazione all'ideale: «Quanto più profondo sarà tale amore, tanto più efficace sarà l'attività missionaria», perché «Nella misura in cui noi arderemo sempre più dell'amore divino, potremo infiammare di un amore simile anche gli altri. Per cui, conclude coerentemente P. Kolbe: «Come potremo essere apostoli, se proprio nelle nostre anime l'amore, invece di ardere sempre più si andasse via via spegnendo?».
Vivere, perciò, e lottare per il proprio ideale diviene e deve divenire, praticamente, una grande gara di amore, cercando di superare sempre ogni meta già raggiunta. Una gara nella quale ogni vincitore è vinto: «Ma tutti gli altri e ognuno singolarmente mi superino pure un migliaio di volte! E io loro un milione di volte. Ed essi me miliardi di volte, ecc. ecc. in una nobile competizione; non si tratta in realtà, del fatto che io o lui o un altro ancora possa aver fatto di più per la causa dell'Immacolata, ma che sia stato realizzato il massimo possibile, che al più presto possibile, Ella prenda possesso in modo perfetto di ogni anima, viva in essa, operi, ami il Cuore divino, l'Amore divino, Dio stesso. In una parola, si tratta di potenziare in modo illimitato e sempre più intenso l'amore delle creature verso il Creatore».
Ma l'amore, di cui parla P. Kolbe, - la messa a punto era necessaria, oltre che per evitare fraintesi sempre possibili, anche e soprattutto per non scoraggiare anime in prova -, non è certamente quello sensibile: «Non perdiamo la pace - scrive - se il sentimento si raffredda. Qui si tratta di volontà e soltanto di volontà. Anzi, quanto più la natura si ribellerà, tanto maggiori saranno i meriti che ne raccoglieremo».
Per concludere, questa battaglia ideale di P. Kolbe che, in fondo, è solo «carità armata», si rivela conforme pienamente alla linea tracciata dallo stesso Papa Leone XIII, quando attaccò la massoneria: «Di fronte a un rischio tanto incombente (= quello della rovina della Chiesa e della spogliazione dei benefici recati da Gesù Cristo), di fronte a un attacco così spietato e tenace contro il cristianesimo, è Nostro dovere denunciare il pericolo, indicare gli avversari, resistere per quanto possiamo alle loro trame e tattiche, affinché non periscano eternamente coloro la cui salvezza ci è stata affidata, e non solo permanga saldo e integro il regno di Gesù Cristo, che abbiamo ricevuto da custodire, ma attraverso nuovi e continui incrementi si dilati in ogni parte della terra».
Una battaglia o lotta al male e ai nemici della Chiesa non è né nuova né unica nella tradizione cattolica. La storia della Chiesa registra soprattutto prestigiosi nomi di santi, di dottori e di martiri che hanno dato tutto per la difesa e il trionfo della verità, e tutto hanno osato per sconfiggere la terrificante potenza del male. Quasi parallelamente al P. Kolbe, in Italia, per es., nel 1921 Domenico Giuliotti incitava alla lotta, perché gli uomini si ritrovassero, attraverso l'adesione al Papa, nell'unica verità di Cristo. E aggiungeva, quasi con la stessa sensibilità di P. Kolbe: «Mezzo unico per risollevare dal letamaio democratico gli uomini-bestie fino all'accettazione di questa necessità: Apostolato continuo, da per tutto, anche col rischio della propria vita, di tutti coloro che credono fermissimamente nei dodici articoli del "Credo". Istrumenti: penna e parola. Qualità indispensabili dei nuovi apostoli, per essere seguiti dalla moltitudine: povertà, fermezza, semplicità, sacrificio».

Cap. V
COME E DOVE COMBATTERE
Se combattere è un dovere per tutti e ideale per tanti, è necessario, allora, chiedersi come combattere, non solo per adempiere fedelmente tale dovere, ma anche al fine di conseguire successo nella lotta. Si combatte, infatti, per vincere, per annientare o togliere all'avversario ogni capacità e possibilità di nuocere. Chiedersi, quindi, come combattere, è chiedersi quali sono i metodi, i fronti, le armi da impiegare, ecc. nella battaglia. Naturalmente, nella lotta per le idee, accade un po' come nelle battaglie cruente degli uomini: si ricercano, cioè, e si adoperano, a seconda anche di più o meno felici intuizioni o di più o meno provvidenziali illuminazioni e circostanze, le armi che siano più micidiali per l'avversario da vincere o più idonee al fine da raggiungere.
P. Kolbe come intende portare avanti la sua battaglia per la conquista del mondo all'Immacolata?... La risposta potrebbe riassumersi in poche parole: con una preparazione meticolosa fino allo scrupolo, e con un'azione decisa e irruente fin quasi alla temerarietà.

1. Necessità di una accurata preparazione.
P. Kolbe esige, nel combattente le battaglie di Dio e per ogni azione singola di battaglia, una preparazione meticolosa: un'accurata preparazione intellettuale e morale, psicologica e spirituale.
a) La preparazione intellettuale e morale. Il Concilio Vaticano II, a proposito della formazione sacerdotale, ha insistito affinché il futuro sacerdote conosca, tra l'altro, anche, sufficientemente le «correnti filosofiche moderne, specialmente quelle che esercitano maggiore influsso nel loro paese... Così i seminaristi, provvisti di una adeguata conoscenza della mentalità moderna, potranno opportunamente prepararsi al dialogo con gli uomini del loro tempo». P. Kolbe, già nel 1920, scrivendo appunto a dei chierici che si preparavano al sacerdozio e, perciò, alle lotte per Dio e la verità, li metteva in guardia a non trasformare la Milizia dell'Immacolata in un'associazione o accademia letteraria o artistica, ma a prepararsi alla lotta con una profonda conoscenza degli avversari, e facendo ricorso a tutte le armi più efficaci naturali e soprannaturali: «I membri (della M. I.) procurino di conoscere bene le odierne correnti antireligiose, i fondamenti della fede, il socialismo, il bolscevismo, la massoneria, il protestantesimo, ecc. e imparino ad agire contro di essi». E aggiungeva: «Credo che la M. I. si debba mantenere su una strada difficile e dura, ma vantaggiosa, nello sforzo di conoscere gli errori, i pregiudizi antireligiosi - oggi così largamente disseminati - la loro natura, le conseguenze deleterie, i metodi di propaganda, i loro rappresentanti e nel modo di agire contro di essi, nel modo di salvare tante anime che si perdono; e non si trasformi in un'associazione letteraria o artistica, perché fallirebbe lo scopo. Il periodo del chiericato è breve e la materia da apprendere è abbondante, occorre quindi utilizzare bene il tempo. Per esperienza personale so che non è lo stesso imparare qualche cosa per la scuola ed essere preparati ad esporre un problema in modo convincente ad ogni persona, di qualunque ceto sociale. Perciò, che Iddio non permetta - concludeva - che un membro della M. I., trovandosi in qualsiasi luogo, in società o in treno, possa rispondere a qualche obiezione contro la religione solamente con una risposta superficiale tale da indebolire la fede degli ascoltatori. E casi simili sono successsi e proprio tra i sacerdoti». Dettagliando ancora di più P. Kolbe dirà: coloro che vogliono combattere devono prepararsi studiando la causa dell'Immacolata (...);
b) studiando contemporaneamente i movimenti antireligiosi del nostro tempo, le loro fonti, i loro metodi, gli effetti, ecc. distinguendo in tali movimenti quanto v'è di bene e quanto v'è di male in essi: non vi è altro modo più efficace per estirpare un movimento cattivo che conoscere quanto contiene di bene e applicarlo subito alla nostra causa. L'aver trascurato un tale metodo, ha provocato i deplorevoli avvenimenti del Messico e della Spagna;
c) esercitandosi fin d'ora secondo le proprie possibilità (preghiere, mortificazioni, ecc.) per questa causa;
d) preparando un piano d'azione per il futuro.
Preparazione spirituale. Appartiene alla preparazione spirituale quell'esercizio di umiltà che è, insieme, convincimento della propria miseria e sconfinato abbandono nelle braccia di Dio. Chi combatte, cioè, deve prima di tutto essere persuaso che non è niente e non è capace di fare nulla con le proprie forze. P. Kolbe lo sottolinea in una bella pagina, dove si evidenzia appunto il profondo contrasto tra la potenza dei nemici e la nostra debolezza e insufficienza: «Da noi (...) non siamo capaci di far nulla, ad eccezione soltanto del male, il quale è appunto mancanza di bene, di ordine, di forza. Se riconoscessimo questa verità e volgessimo lo sguardo a Dio, del Quale riceviamo in ogni istante tutto ciò che abbiamo, vedremmo subito che Egli, Dio, può darci anche di più e che Egli, quale ottimo Padre, desidera darci tutto quello di cui abbiamo bisogno».
In un altro testo, P. Kolbe, da esperto maestro di spirito, fa vedere come questa persuasione sia difficile ad aversi, giacché una falsa umiltà potrebbe camuffare ottimamente questa deficienza: «Come opporsi a ciò? (= alle mene isidiose della massoneria). In simili circostanze potrebbe sembrare indice di umiltà il riconoscimento della propria impotenza, sul tipo della frase: «Non sono capace di correggermi». Invece vi si annida una superbia velata. E in che modo? Ebbene, in molti casi, tali persone riconoscono di essere capaci di fare una cosa o l'altra, mentre non sono in grado di dominare questo o quel difetto, queste o quelle circostanze. Tutto ciò dimostra soltanto che essi contano unicamente sulle proprie forze e credono di esser capaci di fare una cosa o l'altra unicamente entro i limiti delle proprie forze. Ma questo non è vero, è una menzogna, poiché con le nostre proprie forze, da noi soli, senza l'aiuto divino, non siamo capaci di far nulla, assolutamente nulla (cf. Gv. 15, 5). Tutto ciò che siamo e qualunque cosa abbiamo o possiamo fare, l'abbiamo da Dio, e lo riceviamo da Lui in ogni istante della vita, poiché il permanere nell'esistenza non è altro che ricevere continuamente tale esistenza. Se riconoscessimo questa verità (...), vedremmo subito che Egli, Dio (...) desidera darci tutto quello di cui abbiamo bisogno. Ma quando un'anima attribuisce a se stessa ciò che è dono divino, può forse Dio ricolmarla di grazie? In tal caso Egli la confermerebbe nella sua opinione falsa ed arrogante».
Senso della propria nullità, dunque, accompagnato da sconfinata fiducia in Dio: «Noi abbiamo fiducia che, se ci preoccuperemo solo di compiere la sua volontà, non ci potrà capitare alcun vero male, anche se dovessimo vivere in tempi mille volte più difficili di quelli attuali». Certo, aggiunge: «per quanto dipende da noi bisogna fare tutto ciò che è possibile per eliminare le difficoltà sul cammino della nostra vita, ma senza inquietudine, senza angoscia e, più ancora, senza disperata incertezza. Questi stati d'animo, infatti, non solo non aiutano a sciogliere le difficoltà, ma ci rendono incapaci di una saggia, prudente e rapida operosità». P. Kolbe, certo parla, principalmene e direttamente, di stati d'animo di ogni cristiano, ma le parole suddette non valgono meno per quelli che sono impegnati nella lotta.
Ma, parlando di preparazione spirituale, bisogna dire che alla lotta ci si prepara soprattutto imparando a vivere una intensa vita interiore di grazia. L'azione, infatti, o è sovrabbondanza di cuore o è chiasso che batte l'aria e presto si dilegua. P. Kolbe lo sottolineerà con forza, scrivendo a dei chierici impegnati, in qualche modo, nell'apostolato: Il periodo di lavoro attuale costituisce solo un tempo di preparazione alla lotta futura sotto lo stendardo dell'Immacolata. È una missione di altissimo valore e non è facile. Nella vostra attività, pertanto, dovete porre la massima attenzione anzitutto alla vostra vita interiore. Invano potreste esercitare i vostri intelletti, invano riempireste la mente con innumerevoli, belle e indispensabili nozioni, qualora vi dovesse mancare un interiore, filiale rapporto con l'Immacolata, Madre, Regina, Condottiera e speranza nostra». E ancora: «L'attività esterna è buona, ma, ovviamente, è di secondaria importanza e ancora meno in confronto con la vita interiore, con la vita di raccoglimento, di preghiera, con la vita del nostro personale amore verso Dio». Vita interiore o vita di grazia, che è «interiore, filiale rapporto». Non meravigli che, parlando di vita interiore, si parli di Dio e dell'Immacolata pure. Il rapporto di Maria con la storia della nostra salvezza non si esaurisce in puro rapporto esterno: Maria entra, con Dio, nell'intimo del nostro cuore, per vivificarlo e salvarlo. D'altra parte, come poter lottare per l'Immacolata, senza un profondissimo legame affettivo di cui l'azione è, appunto, espressione ed irradiazione?
Preparazione psicologica. È evidente che ogni animo preparato, intellettualmente e affettivamente, possiede già la preparazione psicologica. E, cioè, l'animo, illuminato e pieno di entusiasmo, è già pronto... E, tuttavia, se ne diciamo una parola a parte, è precisamente per sottolineare che la preparazione consiste anche nel disporsi a volere, nell'inclinare la volontà al fine. Che se a fare questo servono ottimamente la conoscenza e la vita interiore, ecc., non sono inutili anche gli inviti e le spinte dal di fuori. Era per questo che P. Kolbe non perdeva occasione per ripetere: «Prepariamoci alla lotta - scriveva al fratello P. Alfonso - per salvare e santificare la nostra anima e il maggior numero di altre anime; prepariamoci a soffrire e a lavorare; ci riposeremo dopo la morte». Che se il disporsi con la volontà è importante per ogni impresa da affrontare, non è meno importante arrivare alle profonde convinzioni. L'uomo si muove secondo le persuasioni o convinzioni che possiede, e cioè secondo le idee più o meno incarnate, e perciò più o meno capaci di spingere all'azione. Più l'idea, infatti, si radica, impadronendosi dell'essere, e più l'azione diviene non solo possibile, ma anche irruente irresistibile. Gli apostoli o i lottatori della tempra di P. Kolbe si comprendono bene quando si leggono queste parole: «Sappiamo degli ossessi, indemoniati, per i quali il diavolo pensava, parlava, agiva. Noi vogliamo essere così e più ancora, illimitatamente ossessi da Essa, che Essa stessa pensi, parli, agisca per mezzo di noialtri. (...) Essa è di Dio fino a diventare sua Madre e noi vogliamo diventare la madre che partorisca, in tutti i cuori che sono e saranno l'Immacolata». Senza questa «ossessione», e cioè con uomini che credono e non credono in quello che fanno, si conclude ben poco. L'esperienza di secoli ci dice quanta ragione ha P. Kolbe di insistere su questo elemento psicologico che, sotto certi aspetti, è più importante delle stesse armi da impiegare nella lotta.
Ovviamente, tale preparazione psicologica suppone un insieme di fattori e di elementi che non è qui il caso neanche di accennare. Ci basti averne sottolineata l'importanza.
b) Il piano d azione. Importante è la preparazione del combattente, ma non meno importante quella per un piano d'azione, il progetto, cioè, o disegno di quello che si intende fare in un determinato momento storico o in certo settore e circostanza, per la causa dell'Immacolata. È evidente che un piano di azione, per essere veramente valido, più che concepirlo a tavolino, deducendolo quasi da principi e verità eterne - pur se da questi non si può e non si deve mai prescindere! -, deve scaturire dalle stesse esigenze o situazioni nelle quali o per le quali si intende lottare. Un valido piano d'azione, detto in breve, deve perciò saper rispondere, adeguatamente, per quanto possibile, alle più impellenti instanze e attese; sapersi opporre e neutralizzare le mossse avversarie, boicottare il male e appoggiare il bene e tutte le iniziative buone. Il che è possibile, in più o meno grande misura, se ci si attiene a quanto lo stesso P. Kolbe ha insegnato nei due testi citati. La bontà di un piano d'azione, debitamente attuato, sarà innegabile se porterà alla salvezza e, per quanto possibile, anche alla santificazione delle anime, attraverso l'Immacolata. Sarà compito dello stratega scegliere, tra le tante possibili vie, quella che più facilmente e più sicuramente, porta alla vittoria.
c) II «modo» di combattere. Un piano di battaglia - anche il più geniale e fascinoso - potrebbe fallire senza un conveniente modo di combattere. Quale deve essere il «modo», nella battaglia di Dio?... È quello contrassegnato, tra l'altro, da prudenza e amore, umiltà e docilità.
E, cioè, bisogna saper combattere sempre con: prudenza. La prudenza, discernendo «nemico» da «nemico», situazione da situazione, suggerirà questo o quel metodo, questa o quell'arma, spingerà all'azione o consiglierà l'attesa, ecc. La prudenza è, senza dubbio, elemento determinante della lotta. P. Kolbe vi accennerà non una volta sola. Così, per es., a proposito degli Ebrei: «Quanto agli Ebrei, io sono del parere che sia necessario darsi da fare seriamente anche per convertirli, però con prudenza, con molta prudenza». Prudenza che consisterà, tra l'altro, nel non fomentare mai rancori o nel ravvivare e incentivare quelli che già esistono a loro riguardo: «Io farei molta attenzione a non suscitare per caso o a non approfondire maggiormente contro di essi l'odio nei lettori, che sono già tanto maldisposti o talvolta addirittura ostili nei loro confronti. In via generale, mi darei da fare maggiormente per lo sviluppo del commercio e dell'industria polacchi, piuttosto che scagliarsi contro gli ebrei. Evidentemente, in certi casi essi si fanno guidare dalla malafede, allora sarà necessario procedere con maggiore energia, senza mai dimenticare, tuttavia, che il nostro principalissimo scopo è sempre la conversione e la santificazione delle anime, vale a dire la conquista di esse all'Immacolata, l'amore verso qualsiasi anima, compresi gli ebrei, i massoni, gli eretici e così via». La prudenza, magari, suggerirà, a volte, di contentarsi di piccoli passi o approcci invece di spiegare un'azione aperta, ma controproducente in quel caso. Così sarà la prudenza, oltre che la fede e l'amore, a suggerire, all'occasione, di aprire anche solo una piccola breccia negli animi più restii. E ciò tanto più che, conoscendo la sconfinata bontà dell'Immacolata, anche un piccolissimo passo di buona volontà potrà mettere in moto la di Lei misericordia. Così, egli esorta a che i «nemici» facciano o sopportino qualcosa per l'Immacolata, anche la cosa più piccola, come portare una medaglia, e la breccia è già fatta.
Con la prudenza deve accompagnarsi soprattutto una sconfinata carità che, all'occorrenza, è dolcezza e fermezza, bontà e chiarezza di verità. La carità non toglie affatto vigore all'apostolato e alla lotta, ma piuttosto centuplica le forze di opposizione al male. P. Kolbe ha, in merito, testi molto belli e significativi. Eccone solo qualcuno: «Occorre lottare con (...) una grande dolcezza e bontà, quale riflesso della bontà dell'Immacolata. Quelle persone che cercano la felicità fuori di Dio, sono degli infelici che, avvolti nel peccato e nei vizi, inseguono la felicità cercandola dove non c'è e dove non la possono trovare». «Il tono della rivista (Rycerz Niepokalaneja) sarà sempre amichevole verso tutti, senza badare alle diversità di fede e di nazionalità. La sua nota caratteristica sarà l'amore, quello insegnato da Cristo. E proprio con questo amore verso le anime smarrite, ma che pure sono alla ricerca della felicità, essa farà di tutto per stigmatizzare la menzogna, per mettere in luce la verità e per indicare la vera strada verso la felicità». Un amore che non toglie affatto vigore, anzi lo rende più bruciante, contro l'errore e il peccato: «Per amore verso i malvagi perseguitiamo, con tutta l'energia di cui siamo capaci, tutte le loro scellerate iniziative, indirizziamo questi cuori verso l'Immacolata».
L'amore significherà, possibilmente, tatto delicato che non esaspera e inasprisce le ferite e la sofferenza: «Quando si presenta l'occasione di richiamare l'attenzione della società o delle autorità su qualche male, farlo con amore verso la persona che lo ha compiuto e con delicatezza. Non esagerare, non entrare nei dettagli del male più di quanto è necessario allo scopo di porvi rimedio».
I motivi che giustificano questo comportamento sono tanti. Non si tratta solo del rispetto per la persona, già così determinante, è anche pietà sincera per chi, molto spesso, è nell'errore solo per fattori ambientali, storici, ecc. ecc., e quindi in buona fede. Molti di quelli, infatti, che combattono la verità, non sono affatto milintenzionati e perversi, ma solo anime che hanno bisogno di comprensione. A proposito, ancora una volta, degli Ebrei e di certi loro inaccettabili comportamenti, P. Kolbe così si esprime: «Ciò non vuol dire che anche tra gli Ebrei non si possano trovare persone dabbene, e neppure che tra gli iscritti nella lista degli atei vi siano soltanto persone rimbecillite e tanto meno che tra i fautori dell'insensata moda del pugno alzato contro il prossimo o contro il Creatore, non vi siano altro che arrivisti (...). Insomma - conclude P. Kolbe - i meri mascalzoni, i malintenzionati che peccano con piena consapevolezza, sono relativamente pochi (...). Queste povere persone, pertanto, hanno bisogno di luce, di molta luce, di molta energia soprannaturale; sono degli infelici, degli scontenti». Assoluta disponibilità e conformità alla volontà di Dio. Prudenza, carità sono già disposizioni e comportamenti di vittoria. Ma chi combatte le battaglie di Dio deve soprattutto sapersi adeguare, in perfettissima umiltà e pazienza, alla volontà di Dio che conduce gli eventi. Di fronte al male dilagante e ai successi dei perversi, la tentazione dell'impazienza o del ricorso ai mezzi non ortodossi, è facile; come è facile la tentazione di ritenere troppo lenta la condotta di Dio, che, a giudizio dell'uomo, dovrebbe schiacciare tutti i prepotenti e i persecutori. Logica ristretta e umana, afferma P. Kolbe: «La Sapienza eterna (...) giudica in modo diverso. Le persecuzioni purificano le anime come il fuoco purifica l'oro, le mani dei carnefici creano le schiere dei martiri, mentre più di una volta, alla fine di tutto, i persecutori sperimentano la grazia della conversione. Da ciò - aggiunge subito P. Kolbe - non consegue affatto che noi dobbiamo incrociare le braccia e permettere ai nemici delle anime degli uomini di ballare liberamente. Niente affatto.
Tuttavia... tuttavia... noi non vogliamo correggere la Sapienza infinita, dirigere lo Spirito Santo, ma ci lasciamo condurre da Lui». È tutta qui la strategia infallibile di P. Kolbe: la battaglia contro il male la conduce Dio stesso, e noi siamo, non possiamo essere che gli strumenti e i cooperatori. È proprio il lasciarsi condurre dall'alto che porta infallibilmente alla vittoria. La logica di P. Kolbe è semplice, ma irrefutabile: «Immaginiamo di essere un pennello nella mano di un pittore infinitamente perfetto. Che cosa deve fare il pennello affinché il quadro riesca il più bello possibile? Deve lasciarsi dirigere nel modo più perfetto. Un pennello potrebbe ancora avanzare delle pretese di miglioramento da parte di un pittore terreno, limitato, fallibile, ma quando Dio, la Sapienza eterna, si serve di noi quali strumenti, allora saremo il massimo, nel modo più perfetto, purché ci lasciamo guidare in modo perfettissimo e totale». Come si vede P. Kolbe non ha dubbi: lasciarsi guidare, e cioè, praticamente, la via dell'obbedienza all'autorità, rappresentante di Dio, è la via sicura anche della vittoria, rivelataci da Dio stesso. «Qual'è - scrive a suo fratello Fr. Alfonso - il modo migliore per rendere a Dio la maggior gloria possibile e guidare alla santità più eccelsa il maggior numero di anime? Senza dubbio Dio stesso conosce meglio di noi un «tale modo» perché onnisciente, infinitamente sapiente. Lui, e Lui solo, Dio onniscente, sa che cosa possiamo fare in ogni momento per rendergli la maggior gloria possibile. Da Lui, pertanto, e solamente da Lui possiamo e dobbiamo imparare «tale modo». Ma come rivela Dio la propria volontà? Per mezzo dei suoi rappresentanti qui sulla terra. L'obbedienza, quindi, e solo la santa obbedienza ci manifesta con certezza la volontà di Dio». Il lasciarsi guidare da Dio, a mezzo dei superiori legittimi, porta alla vittoria e cioè alla sicura sconfitta dei nemici, perché, praticamente, innalza la nostra pochezza e debolezza alla sapienza stessa e fortezza di Dio. «Per mezzo dell'obbedienza noi ci innalziamo al di sopra della nostra pochezza e possiamo agire conforme a una sapienza infinita (senza esagerazione), alla sapienza divina... Iddio ci offre la propria infinita sapienza e prudenza, affinché esse guidino le nostre azioni: questa è grandezza... Non è vero che così noi santifichiamo nel migliore dei modi il più gran numero di anime?».
Il combattente, che si lascia guidare, arriva alla vittoria perché, oltre a partecipare alla sapienza divina, riuscendo a capire quindi la via da seguire per conseguire la vittoria, partecipa anche alla stessa onnipotenza di Dio al Quale niente e nessuno può resistere: «E questo non è tutto; per mezzo dell'obbedienza diventiamo infinitamente potenti: chi, infatti, può resistere alla Volontà di Dio?». P. Kolbe può, quindi, concludere: «questa e solo questa è la via della sapienza, della prudenza e della potenza infinita, e il modo di rendere a Dio la maggior gloria possibile. Se esistesse una strada diversa, migliore, Gesù con la parola e con l'esempio ce l'avrebbe indicata. I trent'anni della sua vita nascosta sono descritti semplicemente così nella sacra Scrittura: «E stava loro sottomesso» (Lc 2, 51); ugualmente, per quanto riguarda l'intera vita di Gesù, leggiamo spesso nella sacra Scrittura che Egli era venuto in terra per adempiere la volontà del Padre Celeste (Gv 4, 34; 5, 30; Ebr 10, 9)».

2. I mezzi e le armi da impiegare.
Quali i mezzi e quali le armi, secondo P. Kolbe, da impiegarsi, per una lotta vittoriosa al male? Evidentemente, trattandosi di guerra spirituale, sono da impiegarsi, prima di tutto, non le armi carnali o materiali, ma:
a) Armi spirituali soprannaturali: «La nostra battaglia, infatti, - avverte San Paolo - non è con creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti». E necessaria l'«armatura di Dio» dell'ordine dello spirito, non solo, ma anche dell'ordine soprannaturale. Armi soprannaturali richieste, oltre tutto, dalle particolari contingenze storiche in cui viviamo: «I tempi presenti - afferma P. Kolbe - sono eccezionalmente dominati da satana... E la lotta con satana non la può affrontare l'uomo, nemmeno il più geniale...». Ciò equivale a dire, in pratica, che solo con la grazia di Dio si può efficacemente combattere e sperare di ottenere vittoria. P. Kolbe è, in proposito, più che mai esplicito: «La conversione e la santificazione di un'anima» - a questo si riduce, in effetti, tutta la lotta contro il peccato e i nemici! - «è stata, è e rimarrà sempre opera della grazia divina. Senza la grazia di Dio non si può operare nulla in questo campo, né con la parola viva, né con la stampa, né con nessun altro mezzo esteriore». E perciò: «Se si facesse affidamento solo sull'energia, sull'attività e sullo sforzo provenienti dalla natura, si dovrebbe giustamente dubitare della possibilità di raggiungerlo (= lo scopo della vittoria). L'esperienza quotidiana, infatti, insegna che i nemici della Chiesa hanno mezzi naturali più abbondanti e sovente, anche, secondo le parole del Cristo, sono più scaltri dei figli della luce (...). Inoltre, per ottenere la conversione e la santificazione è necessaria la grazia, mentre la natura corrotta è incline, già di pe sé stessa, verso il peccato. Di conseguenza si può contare soltanto su un aiuto dall'alto».
Naturalmente, come già si è avuto occasione di notare, sottolineare l'essenzialità e l'assoluta importanza della grazia, non significa rinunzia, del tutto, ai mezzi e armi naturali. Si vuol dire, semplicemente, che non bisogna sopravalutare quello che è solo secondario, e che diviene efficace solo per aiuto dall'alto; e, anche, che, tra i mezzi più adatti allo scopo, occupano il primo posto, non tanto l'azione o l'organizzazione o il danaro per es., quanto la preghiera, la penitenza, ecc., e cioè tutte quelle realtà che dispongono o ottengono abbondanza di grazia dal cielo. Così egli può affermare, in sintonia perfetta con tutta la tradizione ascetica cristiana: «(La grazia) per noi stessi e per gli altri (...) noi l'acquistiamo con l'umile preghiera, con la mortificazione e con la fedeltà nel compimento dei nostri doveri ordinari, compresi quelli più semplici. Quanto più l'anima stessa è vicina a Dio tanto più è gradita a Dio; quanto più ella Lo ama ed è amata da Lui, tanto più efficacemente ella è in grado di aiutare anche altri ad ottenere la grazia divina, tanto più facilmente e pienamente la sua preghiera è esaudita».
E infatti: la preghiera, prima di tutto, è espressione di un'anima bella. In effetti, tra le tante azioni materiali, l'uomo solo nella preghiera eleva «il cuore verso il paradiso ed entra in conversazione con il Creatore dell'universo, con la causa prima di tutto, con Dio».
Con la preghiera l'uomo ottiene la grazia, perché, allo stesso tempo che confessa la sua pochezza, esprime fiducia e speranza in Dio che è onnipotente. La preghiera che è, per così dire, la forza stessa di Dio nelle mani dell'uomo, ottiene praticamente tutto:
Si penetra nei misteri di Dio e si approfondisce il mistero dell'Immacolata: «L'umile fiduciosa ed amorosa preghiera infonde lume all'intelletto e dà forza alla volontà». Mentre «chi non è capace di piegare le ginocchia e di implorare da Lei, in un'umile preghiera, la grazia di conoscere chi Ella sia realmente, non speri di apprendere qualcosa di più su di Lei».
Si ottiene la grazia che infiamma i cuori e piega le volontà, determinandone la conversione: «La preghiera è un elemento principale nel lavoro per le conversioni delle anime, perché la conversione è una grazia, la quale bisogna ottenere colla preghiera».
Si ottengono gli aiuti necessari a risolvere tutte le situazioni, anche le più incresciose e difficili, della vita: «Per tutte le preoccupazioni e i guai (...) forse il rimedio più efficace sarà la preghiera».
Si ottiene la forza per opporsi vittoriosamente a satana e a tutti i nemici dell'anima: «Occorre pregare affinché egli (= il diavolo) non riesca a ingannare le anime, particolarmente quelle religiose...». Come sarà necessaria la preghiera per sapere come muoversi contro i nemici e quali piani efficaci elaborare contro di essi: «La (= l'Immacolata) pregheremo spesso di illuminarci su ciò che dobbiamo intraprendere e come dobbiamo operare; inoltre ci rivolgeremo a Lei per impetrare l'energia necessaria per compiere, per Lei, anche le azioni più difficili ed eroiche».
In pratica, dunque, «... Soprattutto la preghiera è l'arma più efficace nella lotta per la libertà e la felicità delle anime»; molto più efficace di qualsiasi azione, anche la più illuminata e geniale, anche se diversa, purtroppo, è la persuasione del mondo e degli stessi cattolici meno illuminati. «Ai cattolici meno istruiti - dice lui - circa l'opera di perfezionamento dell'anima, purtroppo, molto spesso sembra il contrario. Il lavoro, l'azione: ecco, secondo la loro idea, il fulcro dell'attività. Tuttavia non è così. La preghiera, soprattutto la preghiera è l'arma efficace nella lotta per la libertà e per la felicità delle anime». E perché?... Perché solamente i mezzi soprannaturali conducono ad un fine soprannaturale. Il paradiso, vale a dire, se è lecito esprimersi così, la divinizzazione dell'anima, è una realtà soprannaturale nel pieno significato del termine. Di conseguenza, non lo si può raggiungere con forze naturali. E questa la si ottiene con la preghiera umile e fiduciosa. La grazia, solamente la grazia che illumina l'intelletto e che rafforza la volontà è la causa della conversione ossia della liberazione dell'anima dai legami del male».
Che se la preghiera ottiene ogni grazia e risolve, praticamente, ogni problema, vuol dire che essa «è la più grande potenza dell'universo, capace di trasformare e di cambiare la faccia del mondo». Purtroppo «I nostri contemporanei, eccessivamente presi da problemi materiali, si dimenticano della preghiera. Dal mattino alla sera, come in un esorcismo, essi sono ossessionati solo dalla brama del guadagno...»; mentre «in tutti i santi la preghiera occupa un posto di primo piano». Un mezzo o un'arma sconosciuta, e tuttavia «il più efficace per ristabilire la pace nelle anime, per dare ad esse la felicità, poiché serve per avvicinarle all'amore di Dio. La preghiera fa rinascere il mondo. La preghiera è la condizione indispensabile per la rigenerazione di ogni anima».
Assieme alla preghiera: l'amore di Dio. I favori dei potenti sono ottenuti soprattutto da coloro che più stanno loro vicino: un principio che ha valenza non meno con Dio. Il grande dono della grazia la ottiene chi più Gli si avvicina con l'amore, chi più Gli diviene amico. E, infatti, cosa non fa Dio per i suoi amici, i santi! Non è Egli sempre pronto a soddisfare le loro richieste ed ogni loro desiderio, per glorificarli? P. Kolbe si muove proprio nella logica di questo principio, che poi, in fondo, è convalidato da comunissima e provatissima esperienza: «Quanto più l'anima stessa è vicina a Dio tanto più è gradita; quanto più ella Lo ama ed è riamata da Lui, tanto più efficacemente ella è in grado di aiutare anche altri ad ottenere la grazia divina, tanto più facilmente e pienamente la sua preghiera è esaudita». Essendo, infatti, l'amore osservanza della legge, donazione, santità, possessione di Dio, è perciò perfezione, vicinanza e intimità con Dio, che tutto ottiene. Amore di Dio che, se genuino, è anche e sempre pure amore al prossimo. L'amore di Dio, cioè, si riversa, per sua natura e per volere di Dio, in tutti gli uomini, per essere loro grazia e salvezza. Un amore che si riversa sul prossimo per motivi ben diversi da quelli comuni e interessati. «Amare il prossimo, ma non per il fatto che esso è "simpatico", utile, ricco, influente o solo perché riconoscente. Sono motivi troppo meschini, indegni di un milite o di una milite dell'Immacolata. L'amore autentico si eleva al di sopra delle creature e si immerge in Dio: in Lui, per Lui e per mezzo di Lui ama tutti, buoni e cattivi, amici e nemici. A tutti tende una mano piena d'amore, per tutti prega, per tutti soffre, a tutti augura il bene, per tutti desidera la felicità, poiché è Dio che lo vuole!... Colui che, con la preghiera all'Immacolata (...), purificato dalla sofferenza e infiammato di un ardente fuoco d'amore verso Dio, spinto da questo stesso amore, fa quel che è nelle proprie possibilità per guadagnare il maggiore numero di anime a Dio (...), costui e solo costui celebrerà il trionfo».
Altro mezzo e arma: il lavoro.
Il lavoro è necessario per guadagnare sempre nuovi aderenti alla lotta per il bene, per far conoscere 1'Immacolata, per confutare gli avversari, per conquistare quante più anime è possibile all'ideale. Un lavoro dalle forme più diverse e dai modi più umili, ma sempre enormemente efficace.
E ancora: i sacrifici e le sofferenze. Un'altra «potente leva» di lotta e di vittoria è costituita dal sacrificio e dalle sofferenze, accettati e santificati dall'amore. E, infatti, la sofferenza gioiosa se, da una parte, evidenzia i limiti e la miseria dell'uomo, è anche espressione di fiducia «non nelle proprie ingannevoli forze, ma unicamente nell'Immacolata».
Essa, poi, è la migliore e più concreta prova d'amore, perché «l'amore vive, si nutre di sacrifici (...). Senza sacrificio non c'è amore». Il sacrificio, anzi, è un po' il vertice dell'uomo, così come lo fu, in qualche modo, per Cristo, il sacrificio sulla croce: «Il vertice dell'amore è lo stato nel quale è venuto a trovarsi Gesù sulla croce (...). Ma, al di sopra di tutto, il sacrificio della ragione e della volontà nella santa obbedienza. Quando l'amore a Lei ci avrà afferrato e compenetrato, allora i sacrifici diverranno una necessità per la nostra anima». E Dio non resiste all'amore che si immola, sicché esso è arma potente per ottenere la grazia. P. Kolbe può dire, stando ammalato: «Si opera moltissimo anche attraverso la stessa malattia». Le sofferenze, cioè, e i sacrifici, visti e ricevuti come «doni» e «caramelle», dalle mani di Dio, divengono, oltre che magnifiche spinte sulla via della santificazione personale, anche fonte di meriti e, perciò, di grazie innumerevoli per sé e per gli altri: «Per facilitare in noi l'attività volta al bene delle anime - dice P. Kolbe - Dio permette piccole croci di vario genere, dipendenti o indipendenti dalla volontà altrui, provenienti meno da una volontà retta. Questo è un campo immenso di innumerevoli sorgenti di grazie che deve essere utilizzato. Sono fonti di meriti, tra gli altri, i dispiaceri provocati da altre persone. (...) Per essere sinceri, la natura inorridisce di fronte alla sofferenza e all'umiliazione, ma alla luce della fede quanto sono necessarie per purificare la nostra anima e, perciò, quanto debbono esserci gradite! Quanto contribuiscono ad avvicinare maggiormente a Dio, e quindi ad una maggiore efficacia, ad una più valida azione missionaria!». Perciò P. Kolbe può concludere: «Chi lavora per l'Immacolata, bisogna che soffra molto», perché sono proprio le sofferenze, e specialmente i sacrifici dell'obbedienza, ad ottenere «più sicuramente lo scopo della preghiera», e cioè le vittorie che trasformano i cuori e le volontà.
Penitenza e mortificazione. Ad ottenere la grazia servono, non meno, le armi della mortificazione e della penitenza. P. Kolbe ne spiega bellamente il perché: «La mortificazione è una potenza la quale, insieme con la preghiera, ottiene le grazie divine, purifica l'anima, la infammia di amore verso Dio e verso il prossimo e sottomette le anime a Dio attraverso l'Immacolata». Infatti queste disposizioni e atti avvicinano sempre più a Dio, rendono l'anima sempre più accetta al suo occhio: tutte cose indispensabili ad ottenere la grazia che salva e vince e rende degna dei favori di Dio: «La mortificazione è necessaria e indispensabile per tutti noi, poiché è anche per mezzo di essa che noi ci procuriamo la grazia divina.
Come l'oro nel fuoco, così nella mortificazione l'anima si purifica e irradia il proprio amore, diventa più simile a Dio, più gradita a Lui e per ciò stesso più capace di accogliere abbondantissime grazie per sé e per gli altri suoi poveri fratelli. Che cosa si ottiene, infatti, per un amore a Dio senza sofferenza?!... Ma - si domanda P. Kolbe, prevenendo sgomenti e paure di anime pusillanimi - quale penitenza, quale mortificazione?... Forse quella eccezionale ed eroica dei santi, a cui non tutti son chiamati?... No, no, ma per lo meno, quella penitenza che è accessibile a tutti, la penitenza e mortificazione, cioè, dei propri doveri quotidiani, dell'osservanza della legge, ecc.: «La salute e gli obblighi del proprio stato non permettono a tutti il rigore della penitenza, anche se tutti riconoscono che il percorso della propria vita è coperto di piccole croci. L'accettazione di tali croci in spirito di penitenza: ecco un vasto campo per l'esercizio della penitenza. Oltre a ciò, l'adempimento dei propri doveri, l'adempimento della volontà di Dio in ogni istante della vita, un adempimento perfetto nelle azioni, nelle parole e nei pensieri, esige molte rinuncie a quelle cose che ci potrebbero sembrare più gradevoli in un dato momento: ed ecco una fonte copiosissima di penitenza», perché si «ha la possibilità di dare una prova di amore disinteressato».
b) I mezzi e le armi naturali. Se, come tutti i santi, P. Kolbe dà preminenza assoluta e incondizionata ai mezzi che ottengono la grazia, non per questo trascura o disprezza i mezzi naturali. Non è del vero cristianesimo lasciar fare tutto a Dio, attendendo passivamente che tutto si faccia dall'alto. La cooperazione umana e, perciò, i mezzi ordinari e alla portata di tutti, assumono in P. Kolbe un'importanza particolare, anche se subordinata e secondaria. Si può anche dire, come meglio evidenzieranno le pagine seguenti, che pochi, come P. Kolbe, sono stati così aperti e sensibili a tutti i «segni dei tempi».
Quali sono questi mezzi e armi naturali? Da notare, prima di tutto - come è più ovvio - l'esclusione di ogni arma materiale, vera e propria, come si intende con questa parola. Oltre tutto «un'arma materiale non sta bene tra le mani del milite dell'Immacolata, in quanto tale» Quali allora? ...Prima di tutto: L'organizzazione, intesa nel senso più largo della parola, quella cioè che reperisce personale adatto e prepara progetti, che studia piani e cerca modi per reperire i necessari fondi, ecc. ecc. «L'organizzazione è (...) uno dei mezzi leciti e utili per raggiungere più efficacemente lo scopo».
Un certo collegamento di forze, sicché le energie e le iniziative non si perdano in mille rivoli inefficaci, quando potrebbero, assieme, formare dei poderosi corsi d'acqua. «Una certa armonizzazione degli sforzi è di aiuto per raggiungere meglio lo scopo». Anzi, «Un mezzo formidabile è il collegamento delle energie dei singoli, di anime isolate tra loro»;
La conoscenza personale: un mezzo forse, in tanti casi, addirittura insostituibile. Ecco come ne parla P. Kolbe: «Io sono del parere che sia bene avvicinarsi alle sfere governative, conoscere più esattamente i loro orientamenti, per poter influire talvolta anche in direzione dei problemi religiosi. Si può fare molto di più con la conoscenza personale, che con violente critiche scagliate da lontano. Sono convinto che in questo modo è possibile rintracciare molte persone di buona volontà, le quali possono essere perfino nocive, ma più per ignoranza che per malafede. L'accostarsi personalmente ad un altro toglie di mezzo numerosi preconcetti reciproci»;
L'uso di tattiche, le più accorte e diverse, come quella, per es., di tendere a conquistare gli stessi caporioni avversari, nell'ovvia persuasione che, mancando il capo, anche i gregari si disorientano e più facilmente vengono vinti;
Il ricorso, poi, a qualsiasi mezzo, purché lecito. Il ricorso soprattutto ai mass media e alla stampa, in particolare. P. Kolbe annette, e non a torto, grandissima importanza alla stampa. Abbiamo già accennato ad una sua conferenza degli anni 1919-1921. È in questa stessa conferenza che egli poneva già, in tutta lucidità e larghezza di mente, il problema della stampa cattolica e della stampa buona, in genere. E, infatti, dopo aver elencato un po' quanto attuato dai «nemici», e riferite le parole del socialista Lassalle che denuncia, allarmato, l'immanità del male perpetrato chiedendo un urgente cambiamento di rotta, così si esprime P. Kolbe: «È tempo ormai, e il più opportuno, che si attui questo cambiamento. Purtroppo - annota qui P. Kolbe - le carenze della stampa cattolica sono molteplici e gravi, una ragione di più perché il dovere dei cattolici, evidenziato anche da molti preoccupati interventi pontifici, sia compiuto e assolto in tutte le sue molteplici ramificazioni e implicazioni». Ed egli, dopo aver enucleato, abbastanza chiaramente, i necessari passi da fare in merito, così conclude: «Piaccia a Dio che nell'imminente avvenire non ci siano, città, non ci siano villaggi in cui non si trovino biblioteche che e sale di lettura per libri buoni e riviste, in conveniente numero, a bassissimo costo e magari gratuite. Sorgano ovunque dei circoli che si assumano l'impegno di distribuire e di diffondere la buona stampa, e in breve tempo la faccia della terra si trasformerà. Inoltre, coloro ai quali Dio ha concesso una certa scorrevolezza nell'uso della penna e una propensione in qualsiasi settore della letteratura, si uniscano possibilmente in circoli particolari e si servano di questi doni di Dio per produrre la maggiore quantità possibile di buona stampa in ogni campo della pubblicistica. Evidentemente non ci si dovrebbe restringere ai soli fedeli, ma scrivere anche per gli acattolici e offrire loro un buon alimento spirituale. Questi sono pure gli scopi attuali della "Milizia dell'Immacolata" e con questo mezzo si e già verificata più di una conversione».
Che dire delle armi e dei mezzi suggeriti da P. Kolbe?... Senza dubbio c'è qui già tutto il genio dello stratega e del lottatore nato, che ha intuito ed enunciato, profeticamente, e con grande precisione, la provvidenzialità, per l'azione apostolica, dei mezzi tecnici approntati dal progresso, in crescendo prodigioso. È vero, non siamo ancora al «segreto» ultimo della sua «strategia» vittoriosa, come subito vedremo, ma si è già davanti ad un enorme stimolo ad un apostolato, aderente agli uomini e ai «segni dei tempi» attuali. Chi vuole veramente combattere per l'Immacolata, non può non tenerne conto.

3. I fronti della battaglia.
Dove portare lo sforzo combattivo?... La battaglia, dice P. Kolbe, va affrontata e combattuta ovunque operano i «nemici», e quindi praticamente in tutto il mondo, in tutti i settori dell'umana attività, perché ovunque ferve la lotta tra bene e male. Questo grandioso fronte di battaglia può, però, comodamente, distinguersi in tre distinti fronti, di più o meno grande importanza ed estensione: il fronte del proprio io, quello dell'ambiente in cui si vive e si opera, e quello del mondo intero.
a) Il fronte del proprio io: è, senza dubbio, il più importante e quello che condiziona, un po', anche l'andamento sugli altri fronti. Combattere sul fronte del proprio io equivale a lottare ad estirpare passioni e tendenze perverse; tendere a liberarsi dal peccato grave e da ogni altra forma di infrazione volontaria alla legge; significa sforzo di crescita e di vita interiore.
Il fronte del proprio io è quello che, evangelicamente, corrisponde alla conversione totale, base e fondamento di tutta la salvezza e santificazione, e presupposto, anche, per tutte le altre conquiste dello spirito. P. Kolbe, come tutti i santi, ha capito che è qui la soluzione di ogni problema spirituale, per sé e per gli altri, e perciò vi insiste in passi innumerevoli. Eccone solo qualcuno: «Chi desidera offrire il proprio contributo all'opera di santificazione degli altri deve cominciare, è ovvio, da se stesso.
Egli stesso, perciò, deve avvicinarsi sempre più all'Immacolata (...). Non solo, ma, sperimentando quanta dolcezza dà nella vita l'avvicinamento all'Immacolata, quanta energia nelle tentazioni, quanto conforto nelle difficoltà, cerca di partecipare anche a coloro che gli sono accanto la propria felicità...». E quando egli, bruciato dal desiderio di vedere il mondo intero ai piedi di Maria Immacolata, si domanda: quando ogni cuore che batte sulla terra palpiterà per Lei, risponde: «Sono dell'avviso che non c'è mezzo migliore per affrettare quell'istante benedetto, del fatto che ognuno di noi si impegni ogni giorno di più ad approfondire in se stesso la propria consacrazione all'Immacolata. Infatti, quanto più perfettamente apparterremo a Lei, tanto più liberamente Ella stessa ci potrà guidare; non si può immaginare un'azione più efficace di questa». E ancora: «La cosa più importante è potenziare sempre più il nostro personale amore verso l'Immacolata e pregarLa spesso per ottenere un amore verso di Lei sempre più profondo ed ardente. Questa è la sostanza della nostra vita, della nostra esistenza».
b) Il fronte della famiglia e dell'ambiente dove si vive e si opera.
Combattere qui equivale sia ad irradiare il profumo e l'esempio di una vita personale intemerata e tutta tesa alla santità; e sia adoperarsi con tutti i mezzi, a propria disposizione, per far conoscere l'Immacolata e lottando il peccato e l'indolenza, ecc. Chi cerca di vivere la sua consacrazione ed esperimenta la dolcezza del servizio all'Immacolata, «cerca di partecipare anche a coloro che gli vivono accanto la propria felicità, fa di tutto per avvicinare pure costoro all'Immacolata, per conquistare a Lei i loro cuori; cerca, cioè, di diventare un Suo vero milite». Perché, «in qualsiasi luogo si trovi, un'anima che ama di vero cuore l'Immacolata trasfonde nell'ambiente che la circonda il proprio amore verso di Lei, vale a dire conquista per Lei una schiera sempre più numerosa di anime e in un modo sempre più perfetto».
c) Il fronte del mondo. Sul fronte del mondo, la cui conquista, come si sa, costituisce lo scopo della M. I., l'anima vi lavora e vi influisce già indirettamente, bonificando e conquistando se stesso e quelli che gli vivono accanto. Nessuna bonifica, anche di un piccolo ambiente, è senza vantaggiose ripercussioni sull'insieme sociale. Ma l'anima che ama è chiamata ad operare anche direttamente quanto più lontano è possibile. Infatti «Il solo pensiero che tante anime ancora non conoscano neppure il nome di Maria, non gli dà pace. Bramerebbe conquistare il mondo intero a Lei, introdurre l'Immacolata in ogni cuore che batte e che batterà in ogni tempo sotto il sole». Si impegnerà perciò a tutte le iniziative possibili, soprattutto a quelle che hanno un vastissimo raggio di influenza. E soprattutto, rendendosi conto «di non essere in grado di far fronte ad un'opera così vasta, comprende che l'Immacolata stessa deve agire in lui e attraverso di lui in mezzo alle persone che gli vivono accanto e perciò si offre ancora più perfettamente in proprietà all'Immacolata, quale docile strumento nelle sue mani immacolate».
Volendo, a questo punto, tirare un po' le somme, potremmo riassumere così:
la strategia di P. Kolbe, essendo di respiro vasto come il mondo, ci si accorge che egli non trascura nulla di ciò che è nella tradizione classica della Chiesa: preghiera, penitenza, impegno di virtù e di perfezionamento, ecc.;
che, di quanto creato da Dio o acquisito dalla tecnica e dall'intelligenza umana, in genere, tutto può e deve servire alla gloria di Dio. I frutti dell'intelligenza, prima che agli uomini e ai problemi della terra, appartengono a Dio e devono servire ai problemi spirituali e apostolici. Tale strategia ha un tono e caratteristiche modernissime. P. Kolbe invita ad aprirsi decisamente e a servirsi dei mezzi più avanzati della tecnica anche per evitare che di essi si impadroniscano le forze del male.
La strategia del P. Kolbe è anche squisitamente francescana, sia perché è sempre concretezza di opera e di vita; e sia perché ci si sforza di guardare a tutte le creature con lo stesso sguardo luminoso e ottimista di Frate Francesco. Caratteristica francescana che non è indifferente ai fini della lotta vittoriosa: si sa, infatti, come e in quale proporzione ha saputo «sfondare» il metodo apostolico di Francesco d'Assisi.
Ma, soprattutto, la strategia di P. Kolbe è spiccatamente soprannaturale. Egli non si contenta di affermare la necessità della grazia, nella lotta al male. Quale santo non ne è profondamente convinto?... Ma egli accentua questo aspetto in modo estremamente deciso e vigoroso, da poter dire veramente, che chi fa tutto è la preghiera, la grazia, l'Immacolata. Non è l'esclusione dell'elemento umano e naturale, ma solo l'accentuazione più forte dell'elemento divino nella battaglia per il bene.

Cap. VI
IL SEGRETO DELLA VITTORIA: L'IMMACOLATA

Il particolare impiego dell'una o dell'altra tattica e strategia, l'accentuatissimo carattere soprannaturale, dato da P. Kolbe, alla lotta ai «nemici» di Dio e della Chiesa, tradiscono un «segreto» o un modo tutto proprio di assicurarsi la vittoria. In effetti, tutti i grandi condottieri, strateghi e lottatori hanno avuto il loro segreto, che ispirava le loro mosse e il loro modo di combattere. Così, per fare solo qualche esempio, S. Francesco di Assisi fonda tutto sull'amore a Cristo Crocifisso, riscoperto nel Vangelo sine glossa; S. Luigi Grignon de Monfort imposterà tutto sulla devozione totale alla SS. Vergine; S. Francesco di Sales mirerà piuttosto all'equilibrio o «aurea mediocritas«, che non è, certamente, la «mediocritas» nel senso deteriore del termine; S. Giovannni Bosco insisterà sul metodo preventivo.
E P. Kolbe?... Senza dubbio, l'insistere tanto sul soprannaturale porta diritto diritto all'Immacolata, che è trionfo di grazia. Un «segreto» rivelato in questi ultimi tempi, come provvidenziale strumento contro le forze infernali, scatenatesi proprio in un rigurgito di laicismo naturalistico e di dissacrazione del soprannaturale. Come fa P. Kolbe a provare ciò?

1. La vicinanza di Dio e le grazie.
L'anima più vicina a Dio ottiene tutto da Lui, anche la vittoria sui nemici. «Quanto più l'anima stessa è vicina a Dio, tanto più è gradita a Dio; quanto più ella lo ama ed è riamata da Lui, tanto più efficacemente e pienamente la sua preghiera è esaudita». È questo il principio di tutta la strategia kolbiana, tutta soprannaturale e sorprendentemente vittoriosa. «Quanto più l'anima è vicina a Dio...». Si tratta, qui, ovviamente, di vicinanza non tanto spaziale, quanto di volontà, di cuore, di amore. Infatti, solo la vicinanza di amore può dirsi veramente vicinanza, non quella spaziale. Due persone possono stare vicinissime nello spazio, magari anche l'una accanto all'altra, come padre e figlio nella parabola del figliuol prodigo, ma essere lontanissime, perché si odiano. Due persone, al contrario, che si amano, come madre e figlio, anche se sono lontanissime nello spazio, sono vicinissime nel cuore, nell'amore.
Vicinanza di amore, abbiamo detto: neanche, infatti, la vicinanza di perfezione costituisce vera vicinanza. Una creatura può, per perfezione di essere, distare da Dio meno di un'altra, e porsi, tuttavia, ad abissale distanza, per l'odio e il peccato: è il caso, per es., di Lucifero che, infinitamente più perfetto dell'uomo quanto a natura, non è affatto più vicino a Dio di lui.
La vicinanza, dunque è sinonimo di perfezione di perfezione: chi più ama Dio, più è vicino a Lui, perché l'amore unisce a Lui, e la perfezione può misurarsi solo dalla più o meno grande intensità di tale unione. Giustamente P. Kolbe dirà: «Il grado di perfezione dipende dall'unione della nostra volontà con la volontà di Dio. Quanto maggiore è la perfezione, tanto più stretta è l'unione» con Dio. La vicinanza a Dio comporta, dunque, l'essere a Lui graditi ed essere da Lui riamati, con la logica conseguenza di poter esercitare su di Lui una grande ascendenza: «Quanto più Ella (= l'anima) Lo ama ed è riamata da Lui, tanto più efficacemente ella è in grado di aiutare gli altri, ecc.». L'amore ottiene tutto e, quindi, anche il superamento delle tentazioni e la sconfitta dei nemici; e ciò per molteplici ragioni. Prima di tutto, perché l'amore, essendo forza unitiva, mette come in comune i poteri della persona amata e quelli della persona amante. L'amore fa sì, perciò, che l'anima abbia per sé tutto Dio e, quindi, anche la sua ricchezza e onnipotenza. Non per nulla i santi appaiono, spesso, …
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edsonMore
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edson
Dio ha a cuore la tua salvezza II
@Sam Gamgee: vi ringrazio per il chiarimento, quando decisi di aprire la prima pagina facebook mi imposi di pubblicare tutto ciò che sarei riuscita a diffondere per la maggior Gloria di Dio e per la salvezza delle anime tutte, il mio contributo sarà pure una goccia nel mare, ma voglio continuare finchè Dio mi darà vita su questa terra. Ho scoperto da pochissimo questa piattaforma, che utilizzo …More
@Sam Gamgee: vi ringrazio per il chiarimento, quando decisi di aprire la prima pagina facebook mi imposi di pubblicare tutto ciò che sarei riuscita a diffondere per la maggior Gloria di Dio e per la salvezza delle anime tutte, il mio contributo sarà pure una goccia nel mare, ma voglio continuare finchè Dio mi darà vita su questa terra. Ho scoperto da pochissimo questa piattaforma, che utilizzo principalmente per la pubblicazione di testi molto lunghi (e che sono di pubblico dominio) che poi condivido sulle mie pagine, ho tantissimi progetti in merito e non mi importa del pensiero di altri esseri umani, che tal sono nonostante rivestano delle cariche all'interno dell'organizzazione religiosa.
Sam Gamgee
@Dio ha a cuore la tua salvezza II Fra le varie punizioni imposte dai commissari vaticani all'unico ordine che era fiorente nella chiesa prima dell'era Bergoglio , vi e' anche quella di non diffondere piu' assolutamente in pubblico la storia personale , l'intensa lotta di Kolbe contro la Massoneria e gli Ebrei che nella Polonia del suo tempo controllavano la stampa erotica e per i tempi pornografica …More
@Dio ha a cuore la tua salvezza II Fra le varie punizioni imposte dai commissari vaticani all'unico ordine che era fiorente nella chiesa prima dell'era Bergoglio , vi e' anche quella di non diffondere piu' assolutamente in pubblico la storia personale , l'intensa lotta di Kolbe contro la Massoneria e gli Ebrei che nella Polonia del suo tempo controllavano la stampa erotica e per i tempi pornografica ,ma soprattutto l'intensa devozione mariana del Santo Polacco . Cio' purtroppo si integra con i forti attacchi alla devozione cattolica per la Madonna , e soprattutto del Rosario , da parte di molti alti papaveri vaticani nelle ultime settimane , perché evidentemente la figura della Madonna disturba il ' dialogo ' con i protestanti . In testa a tutti , Enzo Bianchi e Raniero Cantalamessa . L'ultimo intervento di quest'ultimo ha avuto ampia risonanza .
Dio ha a cuore la tua salvezza II
Non so nulla al riguardo, mi illumini per favore, grazie.
Sam Gamgee
Che strana coincidenza : ai Francescani dell' Immacolata il Vaticano ha imposto di non parlare assolutamente a nessuno di S. Kolbe !