Il più grande nemico di Padre Pio

Mons. Bortignon, cappuccino, Vescovo di Belluno-Feltre e poi di Padova, fu il nemico dichiarato di Padre Pio. Fu un nemico visibile, pubblico, che non celava la sua avversione e direi persino il suo odio per il suo confratello cappuccino del Gargano; Bortignon tentò di cancellare i gruppi di preghiera di Padre Pio nella sua diocesi, perseguitò i suoi principali responsabili, i sacerdoti che amavano il frate, e la sua ostilità giunse fino a calunniare Padre Pio tentando di demolire la sua fama di uomo di Dio e di santo frate. Eppure, Mons. Bortignon proveniva da una nota famiglia cattolica che aveva dato ben 4 sacerdoti alla Chiesa. Egli nacque nel 1905 col nome di Bartolomeo Bortingon, 15° di 16 figli. Nel 1915, inizia l’anno del noviziato a Bassano del Grappa, poi passa al convento di Thiene. Nel 1925, va a Roma a studiare teologia all’Università Gregoriana. Dopo tre anni, è ordinato sacerdote, termina gli studi di teologia dogmatica e ritorna alla Provincia cappuccina di Venezia dove è destinato agli studi teologici. Nel 1935, Bortignon è eletto IV Definitore; tre anni dopo, giovanissimo, è eletto Ministro Provinciale e rieletto ancora dopo tre anni. Nel 1944, va a Roma dove Pio XII firma il decreto della sua nomina a Vescovo tiIl segreto Il segreto della “tomba vuota” della “tomba vuota” di Padre Pio di Padre Pio tolare di Lidda e Amministratore Apostolico delle diocesi di Belluno e Feltre. Nel 1949, diventa Vescovo di Padova dove rimane fino al 1982. Il frate-vescovo Bortignon viene descritto come austero, incisivo, sicuro interiormente, amante di Cristo, della Chiesa, dell’Ordine cappuccino; colto e con una predisposizione al comando. Ma vi sono anche contraddizioni: «Qualcuno lo definisce come uno dei protagonisti della “primavera” del Concilio Vaticano II; qualche altro dice che il Concilio fu dal Vescovo Girolamo accolto con una certa fatica. Qualcuno dice che fu un anticipatore dei tempi; altri che fu piuttosto legato al passato. Qualcuno lo dice un acuto conoscitore delle persone, qualche altro invece lo dice un vescovo che aveva una certa difficoltà nel dialogo. (...) Eppure, credo che sia vero che “del suo episcopato a Padova parleranno a lungo gli storici”»1. «La fama di Bortignon aveva cominciato a diffondersi in tutta Italia negli anni in cui aveva governato la Provincia monastica Veneta. Tra i Cappuccini affidati alle sue cure paterne vi era Padre Leopoldo, un piccolo frate che il cielo aveva riempito di grazie. Nato a Castelnuovo nel 1886, Padre Leopoldo aveva ben presto rivelato i tesori della propria anima e la gente avvertiva la bontà e la carità e il profondo rigore morale che ispiravano ogni sua parola e azione. Nel 1923, quando cominciarono a scatenarsi le persecuzioni contro Padre Pio, questo piccolo frate coraggioso non esitò a levare la propria voce in difesa del confratello tanto odiato, dicendo: “Dio lo ha segnato; le stimmate parlano da sole: cosa volete di più?”. I suoi confratelli e i suoi Superiori, prima dell’arrivo di Bortignon, amavano il piccolo frate, infatti, quando egli fu destinato a Fiume, il Vescovo, mons. Elia Dalla Costa supplicò e ottenne dal Provinciale Cappuccino, padre Odorico da Pordenone, di lasciarlo a Padova per il bene della diocesi e dei suoi fedeli. Innumerevoli sono le testimonianze di alte personalità vaticane e di umili fedeli sui grandi doni celesti di cui Padre Leopoldo era munito, sulla profondità della sua dottrina, sulla limpidezza della sua esistenza, sulla saldezza della sua morale. Aveva la facoltà di leggere nei cuori e nelle coscienze di chi andava da lui, e le sue sommesse previsioni si rivelavano sempre esatte. Eppure, dopo tanti anni di bene, di continua preghiera, di ininterrotta penitenza, l’ultima fase della missione di questo Servo di Dio fu contrassegnata da patimenti durissimi, da umiliazioni atroci. Tutto cominciò nel 1938, quando Girolamo Bortignon fu eletto Provinciale a Venezia, e Padre Leopoldo diventò suo suddito. Bortignon aveva bisogno di collaudare in fretta e con impegno la propria vocazione di distruggere e far soffrire chiunque potesse involontariamente mettere in ombra la sua persona, nell’Ordine Cappuccino. Padre Leopoldo gli fornì un’ottima occasione per allenarsi, in vista dei cimenti che lo attendevano contro Padre Pio e i suoi figli spirituali. Né Bortignon fu il solo ad allenarsi. Segretario Provinciale al suo fianco, per tutti i sei anni del suo mandato di Provinciale, fu quel Padre Clemente da Santa Maria in Punta che divenne poi il diretto responsabile dell’ultima persecuzione di Padre Pio fino alla sua morte. Bortignon, dunque, si mise subito all’opera. Il suo primo atto fu di sconsigliare a tutti gli studenti cappuccini di andarsi a confessare da P. Leopoldo e di mettersi sotto la sua direzione spirituale. E chi andava a confessarsi da lui, era considerato ribelle, disubbidiente e fanatico da Bortignon e da padre Clemente. Padre Leopoldo fu accusato di essere un lassista, che non conosceva e non sapeva applicare le più elementari norme della morale cattolica e che, pertanto, doveva essere considerato non un educatore, ma un confessore che deformava le anime e sviava le menti dei fedeli. Così, Padre Leopoldo, pochi anni prima di morire, per poter continuare a confessare, dovette subire la confusione e l’umiliazione di sottoporsi agli esami di morale. Eppure, intorno al convento di S. Croce in Padova era nato un movimento spirituale intensissimo, innumerevoli anime nella cella di Padre Leopoldo avevano ritrovato la Fede, pianto i loro peccati e formulato i loro propositi di sincera vita cristiana. Ma per Bortignon tutto questo era solo fanatismo. Infatti, ancora nel 1957, durante il Sinodo diocesano, davanti a circa mille sacerdoti egli affermò che intorno a Padre Leopoldo nasceva il fanatismo. Bortignon, inoltre, sapeva che non si può iniziare una causa di beatificazione di una persona ove si dimostri che questa sia stata oggetto di venerazione e di culto da parte dei fedeli. E questa fu l’arma che egli usò per molto tempo nei confronti di P. Leopoldo. Quando Padre Leopoldo morì e si cominciò a parlare del suo processo di beatificazione, Bortignon ebbe a dire: “Prima di arrivare a questo, Padre Leopoldo ha da fare i conti con me!”. E non era il tipo da minacciare a vuoto. Il processo di beatificazione di P. Leopoldo, infatti, subì un’ingiustificata sospensione, quando infine i documenti, le testimonianze e le prove si rivelarono definitivamente più forti persino del rancore di mons. Bortignon e il processo poté ricominciare»2. Questo odio e questa persecuzione Bortignon la riversò, in seguito, su Padre Pio, non solo perché la sua fama di santità metteva in ombra la sua figura di Vescovo-Cappuccino, ma anche perché le grandi opere messe in cantiere da Bortignon e il collasso finanziario della diocesi di Padova, causato dagli scandalosi investimenti usurai e dal crollo del banchiere Giuffré, portarono alla necessità di enormi quantità di denaro fresco, che fluiva invece, generosamente, abbondantemente e da tutto il mondo, nelle casse della “Casa Sollievo della Sofferenza” di San Giovanni Rotondo; l’immenso ospedale che Padre Pio aveva realizzato proprio in quel periodo.

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1 Lorenzo da Fara, “Le radici della vita - Mons. Girolamo Bortignon, Vescovo cappuccino”, Colibrì Editrice 1993, p. 13. 2 F. Chiocci e L. Cirri, “Padre Pio, storia d’una vittima”, v. II, pp. 286-289
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