Francesco I
1510

Leggere sant’Agostino ai tempi del cambiamento climatico

di Luca Angelini

Prima la pandemia. Poi l’invasione dell’Ucraina. E prima ancora di entrambe, i cambiamenti climatici. E le disuguaglianze, la fame, le guerre, il razzismo, le ingiustizie e discriminazioni d’ogni genere. Che molti sondaggi segnalino, soprattutto negli Stati Uniti e in Occidente, un aumento del pessimismo, diciamocelo, non stupisce. Eppure, si potrebbe anche argomentare, a suon di statistiche su salute, criminalità, violenza, aspettativa di vita e altro — come hanno fatto, per citare soltanto tre libri, Steven Pinker in Illuminismo adesso, Angus Deaton in La grande fuga e Matt Ridley in Un ottimista razionale — che, anche se non viviamo certo nel migliore dei mondi possibili, forse viviamo nel migliore dei mondi che si siano concretamente presentati nel corso della millenaria storia umana. Il che deve far ben sperare per il futuro. Ma, attenzione, il troppo stroppia sia da una parte che dall’altra. L’eccesso di pessimismo, come quello di ottimismo, porta a non fare le cose che, invece, andrebbero fatte. E magari con urgenza.

Agostino d’Ippona (354-450 d.C.), vescovo, santo, padre e dottore della Chiesa cattolica, viene spesso arruolato fra gli inguaribili pessimisti (anche da giganti del pensiero contemporaneo come John Rawls, Hannah Arendt e Martha Nussbaum). Michael Lamb, docente di materie umanistiche interdisciplinari alla Wake Forest University del North Carolina, ha però dedicato vari articoli filosofici e un libro — A Commonwealth of Hope: Augustine’s Political Thought (2022) — alla convinzione che il pensiero di Agostino possa fornire un’utile terza via tra, e oltre, il pessimismo e l’ottimismo. E lo ribadisce in un intervento su Aeon.

La sua premessa è che la contrapposizione tra pessimismo e ottimismo (termini che, peraltro, hanno iniziato ad essere in voga soltanto a partire dal Settecento) non colga le sfumature e la complessità della posizione agostiniana. In particolare, non coglie il valore che Agostino attribuiva alla speranza non soltanto come emozione o predisposizione, ma come virtù in grado di temperare sia la presunzione che può derivare dal troppo ottimismo, sia la disperazione figlia dell’eccesso di pessimismo, mettendo ordine nei nostri desideri riguardo al bene futuro. «Qui vale la pena sottolineare un tratto spesso trascurato nelle interpretazioni del “pessimismo” agostiniano: la virtù della speranza aiuta l’essere umano a resistere a due vizi: la presunzione e la disperazione. La presunzione caratterizza coloro i cui sentimenti di speranza sono perversi, eccessivi o falsi. Chi ha il vizio della presunzione spera negli oggetti sbagliati, o nelle persone sbagliate, o troppo per, o in, quelli giusti. Al contrario, il pessimismo può spesso esprimere il corrispondente vizio di carenza della speranza: la disperazione. Mentre la disperazione, come la speranza, è un’emozione naturale che può essere giustificata in alcune situazioni, diventa un vizio quando riflette un’abituale incapacità di sperare sufficientemente in beni che è effettivamente possibile ottenere. Questo vizio fa perdere ogni speranza, che può indurci a desistere dalla ricerca di beni difficili da ottenere o, per disperazione, arrecare danno a noi stessi o ad altri».

Naturalmente, nello stabilire la graduatoria delle cose buone e giuste da perseguire, Agostino è guidato dalla sua fede cattolica. Lamb, però, è convinto che la ricetta del padre della Chiesa d’origine berbera (nacque a Tagaste, oggi Souk Ahras, in Algeria), per evitare sia la presunzione che la disperazione, abbia una validità aconfessionale: «Quella struttura concettuale può fornire una risorsa preziosa per la vita contemporanea, indipendentemente dal fatto che abbracciamo o meno la teologia di Agostino. Quando consideriamo le sfide che dobbiamo affrontare, molti di noi sono spesso tentati dalla presunzione o dalla disperazione. O presumiamo che problemi particolari non siano così gravi come pensiamo, o disperiamo che siano così gravi che non si può fare nulla per affrontarli».

Lamb aggiunge anche una considerazione, per così dire, sociopolitica: «Talvolta, queste tentazioni colpiscono in modo diverso le persone in ruoli e posizioni sociali specifici. Coloro che detengono potere e privilegi, ad esempio, possono essere più tentati dalla presunzione, suppongono erroneamente che alcuni beni futuri siano probabili o certi, pensano di non dipendere da altri per ottenerli o di poter usare il loro potere o privilegio per perseguirei propri fini senza limiti o costrizioni. La loro presunzione può alimentare la brama di gloria e dominio. Al contrario, la mancanza di potere o privilegio può creare tentazioni verso la disperazione. Quando quelli che si trovano in tali posizioni sperimentano gli effetti dell’impotenza, dell’ingiustizia e del dominio, spesso possono sentire – giustamente – che coloro che negano loro il potere o la voce rendono più difficile il raggiungimento dei loro obiettivi di speranza. Queste persone devono resistere al vizio della disperazione». A loro beneficio, Lamb arruola fra i «profeti agostiniani della speranza» anche il Martin Luther King che, nel 1967, disse: «La disperazione di oggi è un cattivo cesello per scolpire la giustizia di domani». O l’attivista e femminista nera bell hooks (pseudonimo rigorosamente minuscolo di Gloria Jean Watkins), che in Teaching Community: A Pedagogy of Hope (2003), ha scritto: «Quando diamo solo un nome al problema, quando continuiamo a lamentarci senza un’attenzione costruttiva alla soluzione, togliamo la speranza. In questo modo la critica può diventare soltanto un’espressione di profondo cinismo, che poi lavora per sostenere la cultura dei dominanti».

Ma perché, allora, Agostino è stato, di norma, incasellato tra i pessimisti, anziché tra i profeti di speranza? Perché, ad avviso di Lamb, non sempre si è colta l’essenza della sua retorica: mostrare senza sconti i motivi della disperazione, ma aggiungendovi poi quelli della speranza. E lo dimostra citando un passaggio della sua opera: «Si consideri un passaggio della Città di Dio, spesso considerato un’espressione primaria del “pessimismo” di Agostino. Nel libro 22,22-23, Agostino offre una feroce analisi dei “molti e gravi mali” che affliggono la vita terrena, dalle “malattie” e “disturbi” agli “inganni” e alle “guerre”. E conclude: “Questo è uno stato di vita così miserabile che è come un inferno sulla Terra”. Molti interpreti prendono questo verdetto come una conferma del pessimismo di Agostino, ma ignorano il capitolo successivo de La città di Dio, dove egli offre un lungo elenco di beni terreni. “Chi potrebbe dare un resoconto completo di tutte queste cose [buone]?”, chiede Agostino. “Se avessi scelto di trattare ognuna di esse a turno… quanto tempo ci sarebbe voluto!”».

Un esempio principe di come la speranza agostinianamente intesa e la retorica del fu vescovo di Ippona potrebbero tornare utili ai nostri giorni, è quello della lotta ai cambiamenti climatici: «Nonostante un consenso scientifico quasi universale sul fatto che si stia verificando il cambiamento climatico indotto dall’uomo, molte persone non sono motivate ad affrontarlo, presumendo che i suoi effetti futuri non saranno così negativi o che emergerà qualche nuova tecnologia per mitigarli. Per sfidare tale presunzione, gli attivisti ambientalisti hanno sottolineato i pericoli della distruzione ecologica per spronare all’azione. Gli “appelli alla paura” possono aumentare la consapevolezza della minaccia e aumentare l’attenzione su di essa, ma la ricerca mostra che a volte possono avere effetti debilitanti, facendo provare disperazione di fronte a una potenziale catastrofe. Questo effetto ha portato alcuni a utilizzare invece “appelli alla speranza”, ma gli appelli alla speranza possono incoraggiare la presunzione e l’autocompiacimento se non sono realistici e minimizzare i pericoli che il cambiamento climatico pone alle persone e al pianeta. La retorica della speranza di Agostino potrebbe offrire un quadro prezioso per comunicare questa minaccia. Piuttosto che vedere la speranza semplicemente come un atteggiamento o un’emozione, come è comune nella comunicazione sul clima, egli riconosce che la speranza è anche una virtù che deve evitare sia la presunzione che la disperazione, e costruisce la sua retorica per aiutare il pubblico a resistere a entrambe le tentazioni, modellando una struttura di incoraggiamento che sottolinea i pericoli reali per evitare la presunzione mentre conclude con legittime ragioni di speranza per prevenire la disperazione»

Lamb è consapevole dei rischi nel fare di Agostino un pensatore «contemporaneo» («come vescovo cristiano vissuto nell’Impero Romano durante il IV e il V secolo, Agostino avrebbe avuto difficoltà a prevedere molte delle nostre sfide contemporanee. E sebbene sia uno dei più vigorosi critici occidentali del male e dell’impero, ha anche sostenuto forme di dominio comuni nel suo contesto romano, dalla schiavitù al patriarcato, anche se ha cercato di limitarne i loro peggiori abusi»). E Matthew Drever, associato di Studi ecumenici e anglicani all’Università di Tulsa, in un articolo uscito l’anno scorso sulla rivista dell’Università Cattolica di Lublino Vox Patrum intitolato Augustine on Hope in Times of Suffering, avverte: «Spesso la critica viene avanzata più o meno così: i riferimenti di Agostino alla speranza in tutto il suo corpus si riducono a una strategia per sopportare la sofferenza e reprimere le emozioni nella speranza di una ricompensa futura, condensata in un approccio fatto di prescrizioni ultraterrene inutile alla sofferenza umana. Per coloro che vogliono portare la concezione della speranza di Agostino in un contesto contemporaneo, una tale critica non dovrebbe essere ignorata».

Lamb rimane in ogni caso convinto che abbia molto da insegnare anche oggi: «In un momento di profonda divisione, in cui molte delle nostre sfide sembrano intrattabili e la politica è afflitta sia dalla presunzione che dalla disperazione, il pensiero di Agostino può fornire spunti preziosi sulla natura e sul valore della speranza. La sua critica rigorosa dell’orgoglio e del dominio può allertarci sui rischi e sulla realtà della vita politica e frenare le supposizioni su ciò che possiamo aspettarci da essa, mentre la sua speranza come virtù e la sua struttura di incoraggiamento possono motivare all’azione e aiutarci a resistere al vizio della disperazione. Agostino offre risorse concettuali e retoriche per coltivare e comunicare una speranza ragionevole e realistica».

Una speranza che va non soltanto coltivata e comunicata, ma tradotta in atti concreti, come dimostra uno dei discorsi agostiniani: «“Sono tempi cattivi, tempi penosi!” si dice. Ma cerchiamo di vivere bene e i tempi saranno buoni. l tempi siamo noi; come siamo noi così sono i tempi».

Leggere sant'Agostino ai tempi del cambiamento climatico - GognaBlog
alda luisa corsini
Concordo, il pessimismo si giudica da sé ma, in linea generale, anche un ottimismo esasperato e a oltranza è inconcludente.