Un ritrovamento che riporta alla sorgente visiva del cristianesimo. Nel silenzio collinare che avvolge la necropoli di Hisardere, presso İznik – l’antica Nicea –, una camera sotterranea affiorata nel 2025 ha restituito una delle immagini più intime e riconoscibili dell’arte paleocristiana: Gesù Buon Pastore, dipinto con sorprendente freschezza sulle sue pareti. La scoperta, presentata durante la visita di Papa Leone XIV in Turchia, ha immediatamente assunto un valore internazionale, poiché in questa regione dell’Anatolia non era mai emerso un esempio altrettanto integro di tale iconografia. Il ritrovamento invita a interrogarsi non solo sull’identità dei defunti, ma sulla circolazione delle prime forme del linguaggio cristiano lungo le rotte tra Asia Minore e Mediterraneo romano.
La scoperta si colloca sulle pendici che circondano l’odierna İznik, un’area dove la topografia alterna campi agricoli, alture calcaree e antiche vie che conducevano verso Nicea, uno dei centri più importanti della Bitinia. Qui, in epoca romana, convergevano strade che univano la capitale regionale a Nicomedia e alla costa del Mar di Marmara, in un tessuto geografico che facilitò la diffusione di comunità cristiane sin dal II secolo.La necropoli di Hisardere, parte del grande paesaggio funerario sviluppatosi attorno all’antica città, è nota per l’uso di ipogei familiari costruiti in mattoni e pietrame, spesso impreziositi da pitture di gusto tardo-antico.
L’ipogeo individuato nel 2025 si presenta come una camera sepolcrale unica, voltata e ancora parzialmente interrata. Le pareti conservano strati pittorici straordinariamente leggibili, probabilmente resi più stabili dall’umidità costante e dal progressivo interramento della struttura. Al centro del vano è collocato un kline funerario, un letto di pietra rettangolare con quattro gambe, destinato a sostenere il corpo del defunto secondo un modello diffuso nell’arte romana di tradizione ellenistica. Il kline è decorato da motivi vegetali e da coppie di uccelli affrontati, elementi simbolici ricorrenti nella simbologia di transito e protezione dell’epoca. Su di esso sono state identificate tre deposizioni – due adulti e un bambino –, un dato che allude a una sepoltura familiare o comunque comunitaria, secondo logiche sociali diffuse nelle prime élite cristiane dell’Anatolia.
Nel punto più significativo della camera, la figura del Buon Pastore domina la scena. È rappresentato come un giovane delicato, vestito con una corta tunica, che porta sulle spalle un agnello: un gesto di cura che appartiene al repertorio cristiano delle origini, quando la figura di Gesù non veniva ancora rappresentata in forma regale o crocifissa. L’immagine trova confronti puntuali con i rilievi conservati al Museo Pio Cristiano in Vaticano e con gli affreschi delle catacombe di Priscilla, Pietro–Marcellino e Domitilla a Roma. Questi paralleli contribuiscono a collocare la camera sepolcrale di Hisardere all’interno di un linguaggio formale condiviso, che univa l’intero Mediterraneo romano tramite un complesso sistema di simboli comuni.
La scena del Buon Pastore, profondamente legata alla dimensione funeraria, affonda le sue radici nella cultura figurativa greco-romana: il giovane che protegge un animale sulle spalle richiama infatti il moschophoros, il “portatore di vitello” del mondo ateniese. Nel cristianesimo delle origini questa immagine viene reinterpretata, assumendo il valore di Gesù che guida e sostiene l’anima del fedele nel passaggio alla vita eterna. L’adozione di un modello iconografico così antico in un contesto cristiano testimonia il continuo dialogo tra tradizioni figurative preesistenti e nuova fede emergente.
Le pareti lunghe della camera restituiscono altri dettagli significativi. Sono emerse, benché ancora in fase di scavo, scene di gruppo che rappresentano uomini e donne seduti su una panca, con una posa che richiama la ritrattistica ufficiale tardo-imperiale. Le figure sono accompagnate da due servi – uno a sinistra e uno a destra – raffigurati più piccoli secondo la consueta gerarchia di scala. Questa rappresentazione richiama pratiche funerarie romane in cui il defunto veniva presentato nella propria condizione sociale, riproducendo la vita familiare e il ruolo comunitario del gruppo. In un contesto cristiano primitivo, tali elementi assumono un valore ulteriore: raccontano la continuità delle forme sociali anche dopo la conversione, un aspetto spesso trascurato dalla storiografia più divulgativa.
Sebbene la camera non contenesse reperti databili in modo diretto, la tecnica degli affreschi, la composizione degli intonaci e alcuni elementi architettonici hanno permesso agli studiosi di collocare la struttura nel III secolo d.C.. Questo periodo, caratterizzato da tensioni politiche e dalla diffusione crescente delle comunità cristiane urbanizzate, vide l’emergere di linguaggi iconografici sempre più definiti. L’ipogeo di İznik si inserisce dunque in questa fase formativa in cui il cristianesimo, pur minoritario, sviluppava già un proprio lessico visivo riconoscibile.
La collocazione geografica non è un dettaglio marginale. Nicea fu uno dei luoghi fondamentali della storia cristiana, sede del Concilio del 325, momento cardine della definizione della dottrina. Sebbene l’ipogeo sia anteriore di circa mezzo secolo a quell’evento, conferma l’esistenza di comunità cristiane locali strutturate e in grado di esprimere una forma funeraria complessa, colta e già largamente integrata nella cultura romana.
Il ritrovamento si inserisce in un più ampio paesaggio culturale cristiano dell’Anatolia: il Sentiero di San Paolo, le Sette Chiese dell’Apocalisse, gli insediamenti rupestri della Cappadocia, la memoria di San Nicola a Myra. Il nuovo ipogeo arricchisce questa rete di siti offrendo un tassello prezioso sulla vita cristiana pre-costantiniana, quando fede e identità sociale si intrecciavano ancora strettamente.
Resta però aperta una domanda fondamentale: chi erano gli individui sepolti nel kline? Appartenenti forse a un gruppo di rango elevato, capaci di commissionare un ciclo figurativo raffinato, o membri di una comunità cristiana locale che adottava uno stile romano ormai consolidato? Gli scavi in corso potranno forse chiarire la loro posizione nella società niceana, ma rimane la suggestione di trovarsi davanti a uno dei più antichi gesti visivi con cui una famiglia dell’Anatolia volle dichiarare la propria fede, scegliendo l’immagine del pastore che guida nel buio. Una scelta che, ancora oggi, continua a interrogare gli studiosi.