Elia la forza e il privilegio di smascherare l’anticristo , l’unto-falso venuto a corrompere l’umanità. Compare all’improvviso da un villaggio di Tisbe (el-Istib, a circa venticinque chilometri a …Altro
Elia la forza e il privilegio di smascherare l’anticristo , l’unto-falso venuto a corrompere l’umanità.

Compare all’improvviso da un villaggio di Tisbe (el-Istib, a circa venticinque chilometri a nord del fiume Iabboq; una terra al di là del Giordano, piena di grandi pascoli, di foreste di querce e di terebinti, terra fragrante di resine e balsami preziosi[1]), e non sappiamo dove sia finito.

Sant’Epifanio riferisce che, quando la madre diede alla luce Elia il padre, Sadoc, ebbe una visione: alcuni uomini vestiti di bianco rendevano omaggio ad un neonato, lo strappavano dal seno della madre, lo gettavano nel fuoco e, invece di cibo, lo nutrivano di fiamme. Per questa sua visione il padre si recò a Gerusalemme per riferire ai sacerdoti le meraviglie di cui era stato testimone ed ebbe la seguente risposta: «Guardati dal pubblicare tale visione, poiché luce sarà la sua dimora; la sua parola sarà interpretazione e sapienza e giudicherà Israele col fuoco e con la spada a doppio taglio»

I padri della Chiesa, da Agostino a Girolamo, Gregorio di Nazianzo, Gregorio di Nissa e Giovanni Crisostomo, ne esaltano le virtù e lo additano come maestro di santità.

Sant’Agostino lo propone come tipo di Cristo. Come Gesù digiunò quaranta giorni e notti, Elia si levò come il fuoco ardente di zelo per la gloria di Dio predicando e richiamando i peccatori a penitenza e annunziando loro le vie della giustizia e della santità. Il vescovo di Ippona non manca di ricordare la fine gloriosa del profeta. Come il figlio di Dio, Elia richiamò alla vita i morti e fu eletto simbolo della sua ascensione essendo stato rapito al cielo sopra un carro trionfale.

Per Girolamo, Paolino di Nola, Giovanni Crisostomo, Cassiano, Ruperto e Pietro Damiani, Elia è il modello della vita monastica.
Cromazio d’Aquileia in un suo sermone, commentando l’episodio della vedova di Zarepta, vi legge in chiave tipologica la presenza della Chiesa e di Cristo. «Questa donna prefigurava in tutto la Chiesa, poiché venerava già in Elia la figura di Cristo che amava più dei suoi figli e della sua stessa vita».

Il vescovo di Aquileia, nelle catechesi al popolo, accostava la figura della vedova di Zaretpa alla Chiesa che, accogliendo Cristo, fa l’esperienza della grazia; così leggeva simbolicamente: «La farina simboleggia il nutrimento della Parola; l’olio il dono della misericordia divina; il legno il mistero della croce adorabile, per mezzo della quale ci è donata la pioggia del cielo […]. Il Signore e Salvatore nostro ci ha mandato la pioggia dal cielo, cioè la predicazione evangelica, con la quale ha ricreato con acque vive i cuori degli uomini rinsecchiti come una terra sitibonda».

La dimora di Elia è il Carmelo, un’antica tradizione sottolinea come il profeta, chiamato in arabo El Khader (significa il verdeggiante, il vivente, colui che non muore mai e sta in ogni luogo), abiti ancora la montagna del Carmelo, rendendola sacra e venerabile.

Una leggenda antica narra che la Famiglia di Nazareth, di ritorno dall’esilio dell’Egitto, prima di tornare a Nazareth si sia fermata al Carmelo, luogo di uomini santi.

Il Catechismo della Chiesa cattolicapresenta Elia come modello di vita cristiana, di ricerca e di passione per Dio; lui, Elia, «è il padre dei profeti, della generazione di coloro che cercano Dio, che cercano il suo Volto» (CCC, 2582).

Nel libro del Siracide abbiamo questa lapidaria espressione che ci aiuta a comprendere la missione e la forza di questo uomo di Dio: «E sorse Elia profeta, come un fuoco; la sua parola bruciava come fiaccola» (Sir 48,1).

La storia di Elia ci fa comprendere come la vera tentazione dell’uomo non sia tanto l’allontanamento da Dio quanto l’idolatria.

Il re Acab, figlio di Omri, salito al trono nell’874 a.C., «fece ciò che è male agli occhi del Signore, più di tutti quelli prima di lui» (1Re 16,30), ma prese anche in moglie Gezabele figlia di Et-Bàal, re di quelli di Sidòne, e si mise a servire Baal e a prostrarsi davanti a lui.

Il prezzo dei vantaggi economici e politici per Acab fu la sottomissione alla moglie Gezabele, avida e senza scrupoli. Tuttavia Acab non lasciò il Signore, tanto che diede ai suoi figli nomi di tradizione jahvista (Acazia, Ioram e Atalia) e si circondava di profeti del Signore (cf. 1Re 22,5-12).[8]
Come Abramo, Elia compie il suo cammino esodale: «Vattene di qui, dirigiti verso oriente, nasconditi presso il torrente Cherit» (1Re 17,2), obbedisce alla voce dell’Eterno e l’Eterno approva le sue richieste.

Di Elia profeta non è possibile sapere della sua nascita e fanciullezza, la vocazione profetica appare all’improvviso criticando l’ottavo successore di Salomone, il re Acab; scompare poi su di un carro misterioso infuocato.

I momenti della sua vita, tracciabili attraverso la lettura della Bibbia sono: l’annuncio del flagello al re Acab e la permanenza al torrente Cherit (1Re 17,1-6); la sua permanenza a Zarepta di Sidone e il miracolo della risurrezione del figlio della vedova (1Re 17, 7-24); la sfida sul monte Carmelo contro i profeti dei Balaam e fine della siccità (1Re 18,1-46); il viaggio nel deserto fino all’Oreb e la manifestazione di Dio (1Re 19,1-18); e, infine, la chiamata di Eliseo e il rapimento sulla merkavah, il mitico carro di fuoco trainato dai serafini (1Re 19,19ss; 2Re 2,1-18).

La tradizione ebraica aveva consegnato, nella notte della liberazione, la presenza difensiva e redentiva di Adonaj; con il tempo, alla notte descritta dall’Esodo, la notte dall’uscita dall’Egitto, il giudaismo ha aggiunto altre tre notti per manifestare la grandezza dell’Eterno.

Leggiamo nel poema delle quattro notti nel Targum Palestinese in lingua aramaica a commento di Esodo 12,48:
«La prima notte fu quella in cui Yhwh si manifestò sul mondo per crearlo. La seconda fu quando Yhwh si manifestò ad Abramo, che aveva cent’anni, e a Sara che ne aveva ottanta. La terza notte fu quando Yhwh apparve agli egiziani nel cuor della notte: la sua mano (sinistra) uccideva i primogeniti degli egiziani e la sua destra proteggeva i primogeniti d’Israele. La quarta notte (sarà) quando il mondo arriverà alla sua fine per essere dissolto; i gioghi di ferro saranno spezzati e le generazioni dell’empietà saranno distrutte. E Mosè uscirà dal deserto e il re messia dall’alto dei cieli».[9]

Le quattro notti ci indicano le tappe decisive di Dio per la salvezza. Anche per Elia possiamo prendere quattro tappe, quattro ore decisive in cui il profeta manifesta la grandezza e la forza di Yhwh.
1. L’ora del giudizio del re Acab (1Re 17,1; 18,18). Il profeta è chiamato a contrastare l’operato del re e a porre ferma resistenza. Elia indirizza la storia di Israele al vero Dio e condanna senza appello i potenti, gli idolatri e gli ingiusti.
2. L’ora del Carmelo (1Re18,20-40). Il monte sacro di Elia diventa lo scenario dell’approvazione divina. Elia si rivela come sacerdote e profeta insieme, conferma che Dio è con lui e che la forza di Israele è Yhwh. Il popolo che confida in Dio diventa popolo dell’alleanza rinnovata, il cui sigillo diventa il sacrificio consumato con il segno delle dodici stele. Lo stesso sacrificio apre la porta alla conversione del cuore e alla proclamazione che «Il Signore è Dio! Il Signore è Dio!» (1Re 18,39).
Il Dio di Elia è il Dio imprevedibile, libero, sovversivo, che odia i prepotenti e predilige i poveri (la vedova di Zarepta, Nabot).
3. L’ora della manifestazione di Dio (dalla debolezza alla manifestazione). Nel deserto Elia impara la grammatica di Dio, che gli parla in segni umilissimi: pane e acqua. Nel deserto Elia accetta il tempo di Dio rinunciando ai suoi tempi: «Con la forza datagli da quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb» (1Re 19,8). Elia persevera nel cammino delle notti e dei giorni, secondo quel tempo misterioso significato nel numero 40 (i giorni del diluvio, gli anni dell’esodo d’Israele, i giorni di Gesù nel deserto, il tempo che prepara la sua ascensione al cielo ecc…), tempo che non sta nelle nostre mani, ma unicamente in quelle di Dio.
Il cammino di Elia verso l’Oreb è metafora del pellegrinaggio della purificazione del cuore verso l’esperienza di Dio. Al monte di Dio, l’Oreb, l’Eterno gli si manifesta in un venticello leggero, voce di un silenzio sottile (1Re 19,12: qol demamah daqqah). Il silenzio di Dio è purificativo e perfettivo. Il silenzio si ascolta; così Elia, coprendosi il volto in segno di adorazione e di umiltà, risponde alla voce che chiama.
4. L’ora della glorificazione, il carro di fuoco (2Re 2,11). Alla fine del suo itinerario Elia oltrepassò il Giordano, fiume biblico per eccellenza, e sale sul “carro divino (merkabah)”: è la sua gloria, ma è anche l’intima comunione con l’Eterno.[10] Il pellegrinaggio di Elia finisce al Giordano, la sua geografia visibile finisce presso il luogo dove aveva sostato la carovana dell’Esodo prima di guadare il Giordano ed entrare finalmente nella Terra promessa. Il salire del profeta nei cieli è inizio di un’altra geografia: quella che la tradizione rabbinica e popolare ha colorato di leggende e visioni.

Enoch ed Elia
Nella Bibbia solo Enoch, il patriarca antidiluviano, è salito in cielo (cf. Gen 5,24) rapito da Dio. La riflessione giudaica e cristiana successiva daranno a questi due personaggi la forza e il privilegio di smascherare l’anticristo, l’unto-falso venuto a corrompere l’umanità.

Nell’Apocalisse di Elia, un testo apocrifo del IV secolo d.C., alla fine del testo, al capitolo quinto, si descrive il giudizio finale, il grande combattimento in cui l’avversario, il Falso, lo Spudorato, sarà annientato. Saranno Elia ed Enoch ad annientare definitivamente l’anticristo: «[…] scendono Elia ed Enoch, depongono la carne di questo mondo e assumono la carne dello spirito.

Inseguono il Figlio dell’Iniquità e lo uccidono, senza che riesca a proferir parola. In quel giorno egli si scioglierà davanti a loro come il ghiaccio si scioglie col fuoco».

Al tempo della siccità, si racconta che Acab, l’infedele, chiese ad Elia in tono di scherno: «Mosè era superiore a Giosuè, vero? E non ha forse detto che Dio non avrebbe fatto piovere su Israele se il popolo avesse adorato gli idoli? Non c’è idolo a cui non ponga omaggi, eppure godiamo di ogni bene e prosperità. Come puoi pensare che, essendo rimaste inascoltate le parole di Mosè, si avverino quelle di Giosuè?». Ed Elia ribattè: «Sia come tu dici! Viva il Signore, Dio d’Israele, dinanzi al quale io sto; “in questi anni non ci sarà rugiada, né pioggia, se non per mio comando”» (1Re 17,1).

Alla fine si arrivò allo scontro tra i profeti di Baal ed Elia sul monte Carmelo: la montagna che si era sempre considerata il posto giusto per l’evento cruciale della storia di Israele, cioè la rivelazione della Legge, fu risarcita con una serie di prodigi di cui fu teatro e che stemperarono la sua delusione per aver dovuto cedere il passo al Sinai
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Il primo miracolo dello scontro tra i profeti di Baal ed Elia fu la scelta dei giovenchi: due gemelli allevati insieme furono presentati ai duellanti e assegnati all’uno e all’altro. Elia non trovò nessuna difficoltà con il suo animale, che fu condotto speditamente all’altare del sacrificio; mentre tutti gli ottocentocinquanta sacerdoti di Baal messi insieme non riuscirono a smovere di un passo il loro animale.

Per poter approntare tutto, la costruzione dell’altare, lo scavo del canale…, Elia ordinò al sole di fermarsi, come in antico fece Giosuè. «Per Giosuè ti fermasti così da permettere ai figli d’Israele di conquistare i nemici. Fallo dunque anche oggi, non per me e nemmeno per i figli d’Israele, ma per inneggiare al Nome del Signore».[15] E il sole obbedì. Verso sera, Elia chiamò il discepolo Eliseo e gli disse di versare acqua sulle sue mani Qui il miracolo: l’acqua scese giù per le mani fino a colmare il canale. Poi il profeta chiese a Dio di far scendere il fuoco. Disse: «Signore del mondo, mi manderai come araldo alla fine del tempo ma, se le mie parole non si avvereranno oggi, i figli d’Israele non mi presteranno fede in futuro». La sua supplica fu accolta e dal cielo scese un fuoco che divorò tutto sull’altare.

Nonostante tutto questo, l’idolatria rimase ancora in Israele, così che Elia cominciò ad accusare Israele al cospetto del Signore, il quale visitò Elia nel crepaccio della montagna in cui era apparso a Mosè, rivelando il proprio volto compassionevole e generoso e dimostrandogli che era meglio difendere Israele che accusarlo.

Dopo circa tre anni, Elia venne traslato in cielo. Ma, prima di salire in cielo, Elia ebbe una discussione con l’angelo della morte che si rifiutava di farlo entrare avendo lui la giurisdizione su tutto il genere umano. Il Signore gli aveva esplicitamente ordinato di far entrare il profeta in cielo da vivo ma l’angelo della morte si lamentava perché questo fatto avrebbe generato proteste in tutti gli esseri umani che non possono sfuggire alla morte. Dopo un duello tra l’angelo della morte ed Elia, il profeta entrò vittorioso in cielo avendo ai suoi piedi l’angelo della morte. Elia vive in cielo in eterno, siede, prende nota delle azioni degli uomini e registra le cronache del mondo

Elia introdurrà il Messia nel mondo mettendosi all’opera tre giorni prima.

Elia e l’ordine carmelitano
Chi evoca il profeta Elia non può dimenticare che il profeta della parola che brucia è l’ispiratore della spiritualità carmelitana. Il monte Carmelo, scenario mistico e solitario, diventa luogo per temprare lo spirito di preghiera e di ricerca di Dio.

Nella storia della spiritualità carmelitana è rimasta celebre l’immagine biblica della nuvoletta. Dalla vetta del Carmelo, il servo di Elia vide salire dal mare una nuvoletta a forma di mano umana che, in poco tempo, portò la pioggia per la terra e il popolo assetati. Mistici ed esegeti, agli albori del cristianesimo, interpretarono quella “nuvoletta” come l’immagine profetica della Madonna che, con l’incarnazione e la nascita di Gesù, avrebbe dato vita e fecondità al mondo. Già nel V secolo Crisippo, prete di Gerusalemme, saluta Maria con questa espressione: «Ave nuvola della pioggia che offre bevanda alle anime dei santi».
L’ordine carmelitano, sotto la custodia di Maria, Sorella e Bellezza del Carmelo[20]di Elia profeta, è chiamato a rinnovare la bellezza e la forza della Scrittura, avendo come modello l’insegnamento forte e zelante del profeta Elia. Non solo, nel solco dell’antica tradizione, i carmelitani, guardando al Carmelo, sono chiamati a rinnovare una fiduciosa e filiale devozione mariana dal segno dello scapolare.
Lo scapolare è essenzialmente un abito. Chi lo riceve viene aggregato o associato in un grado più o meno intimo all’ordine del Carmelo, dedicato al servizio della Madonna per il bene di tutta la Chiesa.[21]
Per l’ordine carmelitano Elia rimane il patrono e l’intercessore per eccellenza. Un’antica leggenda dice che, durante la trasfigurazione al monte Tabor, Elia abbia chiesto a Gesù che l’ordine dei carmelitani rimanga sempre nella Chiesa. L’inno dei primi vespri della solennità del profeta Elia (20 luglio) canta: «[Elia] guida dell’ordine e dei figli, gloria; il sole che rinasce e poi tramonta, la terra, il mare e tutti gli elementi le tue lodi ascoltino ammirati».
Mario Sedevacantista Colucci condivide questo
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