Condizioni per cui la confessione sacramentale può dirsi efficace

DISPOSIZIONI PER CONFESSARSI BENE Come ogni altro Sacramento, la Confessione non produce i suoi effetti automaticamente, ma esige precise condizioni. Nessun atto salvifico avviene senza la cooperazione tra la grazia divina e la libera corrispondenza umana. Riguardo al confessore, la
Confessione ottiene il suo effetto
“ex opere operato”, dicono
i teologi, ossia in virtù
della sua stessa amministrazione,
poiché Cristo stesso,
indipendentemente dalle disposizioni
di chi conferisce il
Sacramento, dona efficacia
ai segni sensibili e mediante
tali segni dà la sua Grazia.
Ma tale efficacia è condizionata
dalle disposizioni di colui
che riceve il Sacramento,
al punto che, se questi tiene
in se stesso impedimenti
contrari, la Confessione può
essere inefficace e anche sacrilega.

Alcune disposizioni sono indispensabili
ed essenziali, e
riguardano la sostanza stessa
della Confessione; altre, invece,
sono accidentali, e riguardano la
quantità del frutto della Confessione. Così,
ad esempio, chi non é pentito, anche
se si confessa, non ottiene il perdono; chi
1. LA CONTRIZIONE
Prima condizione indispensabile
per ottenere il perdono
è la contrizione del cuore.
Il Concilio di Trento la
definisce «dolore intimo e
detestazione del peccato
commesso, col proposito di
non peccare più» (Conc.
Trid. Sess. 14, C. 4, Dz. 897).
Circa il dolore che si può sentire
per i peccati commessi si
devono considerare due cose:
l’intensità e il motivo.
- Quanto all’intensità, non occorre,
per ottenere il perdono,
che il dolore si esprima in
atti di commozione sensibile,
come lacrime e altri gesti
emotivi (dolore «intensive
summus»), ma basta che il
penitente detesti e ritratti il
peccato, giudicandolo un fatto
gravissimo, un male che supera
ogni danno di ordine naturale
in quanto è “offesa di
Dio”, atto la cui malizia ha
dell’infinito, a causa dell’infinità
di Dio (dolore “appretiative
summus”).
Quanto al motivo, il dolore
può scaturire da una motivazione
insufficiente, perché non soprannaturale:
si rimane in uno stadio di semplice
detestazione naturale del male compiuto
e lo si deplora soltanto in quanto
è pentito, ma si prepara negligentemente
alla Confessione, ottiene frutto minore.

Su queste disposizioni riflettiamo un poco:

1. LA CONTRIZIONE
Prima condizione indispensabile
per ottenere il perdono
è la contrizione del cuore.
Il Concilio di Trento la
definisce «dolore intimo e
detestazione del peccato
commesso, col proposito di
non peccare più» (Conc.
Trid. Sess. 14, C. 4, Dz. 897).
Circa il dolore che si può sentire
per i peccati commessi si
devono considerare due cose:
l’intensità e il motivo.
- Quanto all’intensità, non occorre,
per ottenere il perdono,
che il dolore si esprima in
atti di commozione sensibile,
come lacrime e altri gesti
emotivi (dolore «intensive
summus»), ma basta che il
penitente detesti e ritratti il
peccato, giudicandolo un fatto
gravissimo, un male che supera
ogni danno di ordine naturale
in quanto è “offesa di
Dio”, atto la cui malizia ha
dell’infinito, a causa dell’infinità
di Dio (dolore “appretiative
summus”).
Quanto al motivo, il dolore
può scaturire da una motivazione
insufficiente, perché non soprannaturale:
si rimane in uno stadio di semplice
detestazione naturale del male compiuto
e lo si deplora soltanto in quanto è male in sé, una stonatura nell’ordine naturale,
una lesione della dignità umana.
Si registra questo male senza alcun riferimento
a Dio e al suo giusto castigo. Questo
tipo di dolore non giustifica. Anche
Giuda – dice il Vangelo – fu preso dal rimorso
ed esclamò: «Ho tradito il sangue
del Giusto» (Mt. 27, 3), ma non consta
che questa confessione lo abbia giustificato
davanti a Dio.
Il dolore può scaturire da un motivo soprannaturale,
ma meno perfetto e meno
nobile, come il timore dei castighi riservati
al peccatore. Questo tipo di dolore
imperfetto o attrizione non giustifica
fuori della Confessione, ma è sufficiente
per ottenere il perdono nel Sacramento
della Penitenza.
Più efficace e raccomandabile è il dolore
perfetto, che scaturisce non tanto da motivi
di timore, quanto dall’amore verso
Dio. Il dolore perfetto, o contrizione propriamente
detta libera dal peccato anche
prima di confessarsi, pur rimanendo
l’obbligo di accostarsi alla Penitenza.
Quanto più perfetto è il dolore, tanto maggiore
sarà l’efficacia generale della Confessione,
secondo il detto evangelico:
«Le è stato perdonato molto, perché
ha molto amato» (Lc. 7, 47).
Non sempre i fedeli sono sufficientemente
attenti a questa disposizione nel confessarsi:
in molti penitenti c’è una specie
di nervosismo, una voglia di scaricarsi
delle proprie colpe, più che di pentirsi seriamente.
Costoro, fatta la Confessione,
ritornano ben presto allo stato di prima,
se non avviene peggio. E anche nelle
anime buone si riscontrano spesso angustie
e scrupoli circa l’integrità dell’accusa,
più che un profondo dolore dei peccati
commessi.
C’è un inganno mentale, per cui costoro
si arrovellano in una sterile e interminabile
ricerca delle mancanze veniali, le quali
a volte vengono raccontate a una a una
fino ai particolari, senza che tuttavia la
Confessione apporti un vero miglioramento
di costumi: si continua ancora a
spettegolezzare come prima, a impazientirsi
come prima, ecc. Non sarà mai
detto abbastanza, soprattutto a certi scrupolosi,
che invece di perdersi in elenchi
interminabili, basta dire qualche peccato
veniale (naturalmente, i peccati mortali
devono essere detti tutti), e preoccuparsi
invece di più che il pentimento raggiunga
davvero il fondo del cuore.

2. IL PROPOSITO
Un dolore o contrizione sinceri contengono
necessariamente il proposito di evitare
il peccato per l’avvenire e di ripararne, nei
limiti possibili, le conseguenze. L’intensità
di questi propositi è indice della serietà di
una confessione, e il penitente deve
preoccuparsene certamente non meno
che della stessa accusa dei peccati.
Chi ha defraudato il prossimo, deve restituire.
Chi è stato avaro nel retribuire i servizi
degli operai, deve restaurare la giustizia
lesa; il lavoratore che ha defraudato
l’azienda, deve risarcire i danni. Così, chi
ha peccato per essersi messo volontariamente
in una occasione pericolosa, deve
proporsi seriamente di evitare in seguito
tali leggerezze. Chi è abbonato a una rivista
cattiva, deve disdire l’abbonamento.
Chi ha peccato nel fidanzamento, ha il
dovere di usare le dovute precauzioni nei
suoi incontri con la fidanzata. Chi pecca
nell’uso dei matrimonio deve proporsi seriamente
di usare i mezzi efficaci per non
peccare più. Molte confessioni rimangono
inefficaci appunto per l’assenza di proposito
sincero, e in fondo, quindi, di dolore
sincero.
Non sempre questo dovere è avvertito in
modo chiaro dai penitenti, per cui si comprende
come tante confessioni, a volte ripetute
con troppa leggerezza e scarsa
preparazione, non producono gli effetti
desiderati. A questo proposito è bene che
i penitenti sappiano che il confessore non
può, in coscienza, assolvere chi manca di
proposito. Se una donna si dichiara pentita
dell’abuso matrimoniale, ma non vuole
proporre la fuga dal peccato, il confessore
dovrà dirle delicatamente, ma senza
deflettere, che in tali condizioni non può assolverla: «Se io l’assolvessi, lei andrebbe
via senza il perdono di Dio, e io
stesso farei peccato»!
Che dire di certi peccati commessi con
frequenza inalterata? È il cosiddetto caso
dei “recidivi” per fragilità. Anche costoro
devono essere aiutati a comprendere bene
il loro stato di coscienza e il pericolo
che essi incorrono di fare confessioni
inefficaci, per non dire sacrileghe.
L’abilità del confessore starà nell’usare
una pedagogia accorta, in modo che il
penitente si renda conto esattamente della
sua situazione spirituale, e del dovere
di usare seriamente i mezzi per raggiungere
una abituale vita di grazia. È di fede
che questi mezzi esistono, e che nessuno
ne rimane privo in modo da essere necessitato
a peccare. Le occasioni prossime
necessarie possono rendersi remote
con l’uso di qualche precauzione, col ricorso
a una preghiera più costante e a
una vita spirituale più impegnata. Le occasioni
libere devono essere evitate.
Ogni peccato deve essere considerato
come un fatto veramente grave nella vita,
la disgrazia più disastrosa, il male più detestabile.

3. L’ACCUSA DEI PECCATI
È condizione essenziale per ottenere il
perdono. Anche il perdono ottenuto mediante
il dolore perfetto é concesso per
l’implicito proposito di confessare in seguito
il peccato commesso. La ragione
è molto semplice: Gesù ha affidato alla
sua Chiesa il compito di “rimettere o ritenere”;
evidentemente ciò non avverrà
per un capriccio di chi ha il potere di perdonare
i peccati, ma per un “giudizio”
sull’entità del peccato commesso e sulle
rispettive disposizioni del penitente, cose
che non si possono conoscere se non
con l’accusa dei peccati commessi e la
manifestazione delle proprie disposizioni
di fronte al peccato (ad esempio mediante
la recita dell’atto di dolore, o la dichiarazione
che si intende evitare le occasioni
di peccato).
– Una buona accusa deve essere innanzitutto
sincera. Non è lecito mentire in
fatto di materia necessaria di accusa
(peccati mortali), attenuare la gravità, nascondere
circostanze che mutino la specie
del peccato (altro è un atto impuro, altro
è un adulterio o un sacrilegio). Non è
lecito dissimulare, pensando ad esempio:
«Se il confessore mi interroga su questo
peccato io l’accuso, altrimenti io non entro
in questo scabroso argomento».
– L’accusa dev’essere anche integra,
cioè deve comprendere tutti i peccati certamente
commessi, certamente gravi e
certamente non ancora confessati. Se
uno dimentica un peccato grave, ma
estende l’atto di dolore a tutto il contesto della sua coscienza, comprendendo anche
eventuali dimenticanze, resta libero
dal peccato dimenticato, e può anche accostarsi
subito alla Comunione pur ricordandosi
di non aver confessato quel peccato;
ma gli rimane l’obbligo di accusare
quel peccato alla prima Confessione.
Né dispensa dal dovere dell’integrità
dell’accusa il rossore che si sente per
certe cadute. Se non si ricorda con esattezza
il numero dei peccati, basta accusarli
in modo approssimativo. Il confessore
poi ha il diritto di interrogare su certe
circostanze necessarie per un giudizio
esatto della situazione di un’anima (se
esiste un’abitudine, ecc.).
Circa i peccati dubbi non esiste obbligo
di confessarli. Ciò deve esser ben
presente agli scrupolosi, per chiarezza di
coscienza. È tuttavia consigliabile confessarli
come dubbi, per una maggiore tranquillità
di coscienza.
Non esiste obbligo di confessare i
peccati veniali. È bene perciò non dilungarsi
nell’accusa di essi, specialmente
quando il confessionale sia assediato da
molti penitenti. Si insista piuttosto sul dolore,
accontentandosi di accusarne solo
qualcuno, che potrà essere oggetto di un
proposito serio fino alla prossima Confessione.

4. L’ESAME DI COSCIENZA
L’esame di coscienza non è obbligatorio
se non nei casi in cui ci sia pericolo di incorrere
in una accusa incompleta dei
peccati gravi. Così, è tanto più necessario
quanto più un penitente si confessa raramente ed é carico di colpe. Proprio in
questi casi si nota come i penitenti giungono
alla confessione impreparati, e
spesso il confessore è costretto a fare opera di istruzione proprio nei momenti in
cui il confessionale è più affollato (è, ad
esempio, il caso delle confessioni pasquali).
Ma anche nei casi in cui il penitente viva
abitualmente in stato di Grazia, un buon
esame di coscienza è una fruttuosa autocritica
che aiuta a detestare anche le piccole
mancanze, e ad accentuare la contrizione.
Tuttavia, per le anime buone non
deve degenerare in una ricerca ansiosa e
scrupolosa. Anche in questo caso sarà
utile ricordare che la disposizione migliore
per ottenere il perdono e per progredire
nella vita spirituale è il dolore sincero
di avere offeso la bontà di Dio.
5. LA SODDISFAZIONE
O PENITENZA
Già fin dai primi tempi, la Chiesa suole
imporre una penitenza a soddisfazione
dei peccati commessi. Lo scopo principale
della soddisfazione è di alleggerire il
debito di pena che Dio riserva al peccatore
in questa vita e nell’altra. Ma c’è anche
uno scopo didattico: imponendo una penitenza,
la Chiesa intende stimolare il
peccatore a un’esatta valutazione della
gravità del peccato, e anche, all’occorrenza,
fornirgli un mezzo atto a correggere
certi difetti morali. Così è bene che il confessore
dia penitenze atte a migliorare
moralmente colui che si confessa: a un
bestemmiatore, si può imporre una penitenza
per ogni bestemmia in cui dovesse
incorrere, a un professionista, la lettura di
uno scritto che lo aiuti a meglio istruirsi
sui propri doveri professionali, ecc.
Orsacchiotta
Grazie di questo scritto ne avevo bisogno anche se il mio confessore dice che, se è peccato dubbio devo kmq precisarlo....
kundun70 condivide questo
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