Il conformista indifferente – Danilo Quinto – 11 agosto 2020
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Tante cose, ricordi, nostalgie e «sapori» che il tempo ha divorato e ha fatto scomparire dalla nostra realtà, che è divenuta, con il trascorrere del tempo, sempre più miserevole, triste e detestabile.
Le parole della mia generazione erano anche quelle dei cantautori. Le mie erano quelle di Battisti, Dalla, De Andrè, De Gregori, Guccini, Jannacci, per citare solo alcuni. Ora, i «cantautori» si chiamano Mambolosco o Bello Figo o 1727WORLDSTAR o Traffik o Gallagher o Achille Lauro o Salmo o Ski e Wok. Tutto un programma. Anche le canzoni, allora, insegnavano. Oggi, le canzoni non si capisce perchè si definiscano tali. Molti di coloro che allora cantavano i loro versi, erano poeti. Si schernivano di questa definizione, ma era proprio così.
Cantava e denunciava uno dei più grandi artisti che la canzone e il teatro italiani abbiano mai avuto: «Io sono un uomo nuovo, talmente nuovo che è da tempo che non sono neanche più fascista, sono sensibile e altruista, orientalista ed in passato sono stato un pò sessantottista. Da un pò di tempo ambientalista, qualche anno fa nell'euforia mi son sentito come un pò tutti socialista».
«Il conformista», di Giorgio Gaber, è inserito nell'album «Un'Idiozia Conquistata a Fatica», del 1996 e deriva da quella ricerca appassionata che il «Signor G» fece insieme al suo amico e co-autore, Sandro Luporini, sin dalla fine degli anni ‘60. Descrive, con quell’ironia sottile e vera, quella che solo Gaber sapeva usare – chi l’ha visto dal vivo in quegli anni, come a me più volte è capitato, sa quale effetto dirompente aveva sul pubblico, che in quegli spettacoli vedeva rispecchiata la sua vita – la realtà dell’«italiano medio». Gaber è come se fosse ancora qui in mezzo a noi, su quelle stesse tavole di palcoscenico, che egli scelse invece della televisione e del denaro, con la sua genialità, la sua narrazione libera e senza condizionamenti delle cose del mondo e della vita, la sua passione per la «sua» verità, «sbattuta in faccia» a tutti, sulla politica, sul costume, sull’amore, sull’amicizia, sulla povertà e sulla ricchezza, sull’uguaglianza e sulle diseguaglianze sociali, sul mercato e sulla massificazione delle coscienze, assuefatte al consumo e alla dipendenza della produzione - come in modo magistrale, sempre in quegli anni, aveva profetizzato Pier Paolo Pasolini – sulle idiozie dell’uomo «moderno», su quei «movimenti» che confusero persone e identità in un esercizio sterile e conformista, come lo vedeva Gaber - che per questo fu duramente attaccato durante i suoi spettacoli - di violenza che pretendeva di divenire di massa e di «portare le masse al potere», distruggendo tutto: l’identità cristiana di una Nazione intera, la famiglia, l’essenza vera della libertà dell’individuo, che si spiega razionalmente solo nel suo rapporto con il Creatore.
Il conformista, appunto, è «Progressista, al tempo stesso liberista, antirazzista, molto buono e animalista. Ultimamente, non più assistenzialista, un pò controcorrente e federalista». L’«italiano medio», come profetizzava Gaber, «sta sempre dalla parte giusta; ha tutte le risposte belle chiare dentro la sua testa; è un concentrato di opinioni che tiene sotto il braccio due o tre quotidiani». Pensa? «Quando ha voglia e solo per sentito dire. Forse da buon opportunista si adegua senza farci caso e vive nel suo paradiso». Un paradiso momentaneo, s’intende, in attesa di vivere l’Inferno, per l’eternità. «Il conformista è un uomo a tutto tondo», continua Gaber, «che si muove senza consistenza e s'allena a scivolare dentro il mare della maggioranza; è un animale assai comune, che vive di parole da conversazione. Di notte sogna e vengon fuori i sogni di altri sognatori, il giorno esplode la sua festa, che è stare in pace con il mondo e farsi largo galleggiando». Con le donne? «Ha un rapporto straordinario: è femminista, disponibile e ottimista europeista». Non alza mai la voce, il conformista; «è pacifista; era marxista-leninista, poi si è ritrovato ad essere cattocomunista». C’è una cosa che non ha capito bene: «rimbalza meglio di un pallone areostato evoluto, che è gonfiato dall'informazione; è il risultato di una specie che vola sempre a bassa quota in superficie. Poi sfiora il mondo con un dito e si sente realizzato, vive e questo già gli basta e devo dire che oramai somiglia molto a tutti noi. Io sono un uomo nuovo, talmente nuovo che si vede a prima vista sono il nuovo conformista», conclude Gaber.
Che dire? Molto meglio della definizione che ne dà il vocabolario Treccani - per il quale il conformista è «chi si conforma a una determinata dottrina politica o religiosa; per estensione, e con valore più o meno spregiativo, chi si adatta facilmente alle opinioni o agli usi prevalenti, alla politica ufficiale, alle disposizioni e ai desideri di chi è al potere» – se non altro perchè Gaber, da par suo, penetra nell’animo della sua generazione, ed anche nella nostra, affrontando il cuore del rapporto tra la persona, la società e lo Stato. Siamo di fronte a individui «che vivono e tanto gli basta». Vogliono «stare in pace». Non si pongono domande, nè sulla loro vita nè su quella degli altri. Non esprimono giudizi, cavalcano quelli della maggioranza e se ne compacciono. Sono indifferrenti. Perchè tengono più ai loro «rapporti», che al loro essere individui che sono venuti al mondo per «esistere», con la loro ragione e la loro coscienza. «Rimbalza» tutto al conformista. Tutto gli scivola addosso. Tutto è piatto, per lui. Tutto è relativo. In tutti i campi: quello, religioso, quello civile, quello politico. Non esistono la «libertà» e la «verità» come valori assoluti.
Il discrimine tra chi sta – e vuole rimanere - dalla parte del Bene e chi sta dalla parte del Male, è proprio questo.
Nei confronti di qualsiasi situazione che la persona vive nel corso della sua vita, l’espressione del pensiero, autonomo, libero, non condizionato, connota la stessa definizione di persona. Un individuo che porta il suo cervello all’ammasso, che agisce e si comporta come se la realtà che gli sta attorno lo debba condizionare in ogni momento e in ogni scelta della sua vita – per sopravvivere – non può essere considerato una persona, nella sua singolarità e nel senso in cui la metafisica lo considera.
Proviamo a rileggere «Questi nostri tempi», del 1995, sempre di Gaber: «In uno dei miei rari momenti di lucidità, mi sono guardato allo specchio e mi sono accorto che il mio pensiero aveva bisogno di un lifting. Al momento ho attribuito questa mia defaiance a un mio precoce rincretinimento senile. Poi mi sono guardato intorno e... non è che mi sia sentito intelligente, però mi sono consolato. Ecco, ho capito che un uomo oggi meno esprime il suo pensiero meglio è. Tutt’al più può esprimere un parere. Ma i pareri, si sa, son come i coglioni: ognuno c’ha i suoi. E così, a poco a poco, in me è maturata l’idea che il mondo occidentale europeo, antica culla della civiltà, avrebbe proprio bisogno di un nuovo pensatore, fresco e pieno di vigore. No, per carità, non intendo candidarmi. Non sono né fresco né pieno di vigore e soprattutto non sono un pensatore. Ho soltanto la sensazione che in questi nostri tempi pensare voglia dire vivere in un cimitero. Eh, sì, bisognerebbe ridar vita alla filosofia, che è morta, poverina. Certo, una nuova filosofia che sappia illuminare la mente e riscaldare il cuore dell’uomo del Duemila. Solo che filosofare oggi, così ridotti come siamo, è come in una gelida giornata d’inverno farsi addosso una pisciatina per sentire un pò di teporino...».
Il cinismo di Gaber, non è mai fine a se stesso. Lascia sempre la porta aperta alla speranza. È un cinismo delicato, affettuoso e amorevole per le sorti dell’umanità e della singola esistenza che si barcamena nella sua fragilità. E’ un «cinismo profetico». Un laico, 25 anni fa comprese che eliminare il piano della metafisica significava eliminare Dio. Al Meeting di Rimini del 1991, Gaber commentò la sua canzone «Se io fossi Dio», del 1981: «Recentemente ho riscritto una canzone, Io se fossi Dio» - disse Gaber — «in cui trova espressione una rabbia contro ciò che non va, anche se la rabbia risulta impotente. Soprattutto ho la sensazione molto forte che quello che vediamo accadere nel mondo ci lascia scioccati, ma privi di giudizio perché tutto è troppo lontano. Noi assistiamo a qualcosa di cui ci riferiscono i mass media, riceviamo notizie che passano sopra le nostre teste, mentre aumenta la percezione che dietro al mondo politico esistano forze occulte, che condizionano il vivere sociale». «Io se fossi Dio», si conclude così: «Direi che ci son tutte le premesse / Per anticipare il giorno dell’Apocalisse / Con una deliziosa indifferenza / E la mia solita distanza / Vorrei vedere il mondo e tutta la sua gente / Sprofondare lentamente nel niente / Forse io come Dio, come Creatore / Queste cose non le dovrei nemmeno dire / Io come Padreterno non mi dovrei occupare / Né di violenza né di orrori né di guerra / Né di tutta l’idiozia di questa Terra / E cose simili. / Peccato che anche Dio / Ha il proprio inferno / Che è questo amore eterno / Per gli uomini».
Ci sono poche parole da aggiungere. Nel corso dell’ultimo anno, all’amore eterno e sconfinato di Dio per gli uomini – che si esprime anche attraverso gli avvertimenti, i castighi e le tentazioni che ci mettono alla prova, perchè Egli ci vuole Suoi, per sottrarci alle grinfie di Satana – non ha corrisposto alcuna risposta. Gli uomini del XXI secolo si sono comportati come i pagani che idolatravano gli Dei. Si sono comportati come barbari. Hanno eretto simulacri per le loro menzogne. Si sono ispirati a «parole al vento». Che cos'altro era l'«Andrà tutto bene» o «Tutto sarà come prima?». «A noi», hanno detto, «non interessa quello che c’è in Cielo, quello che ci dice il Cielo, quello che fa il Cielo. Sulla Terra, comandiamo noi e facciamo quello che più ci garba».
Dio, però, non si è ancora stancato di attendere. La Sua pazienza è infinita. L’unica speranza da coltivare è che il «conformismo indifferente» - quello che consente che l’attuale gerarchia ecclesiastica faccia strame della Sacra Scrittura e del Magistero che per duemila anni l’ha proclamata e che il potere civile non risponda dell’esercizio della sua responsabilità, neanche quando è provato che ha disatteso, nel caso della mancata proclamazione delle zone rosse dei Comuni della Lombardia, dove poi sono avvenute le stragi degli anziani (di quella parte della popolazione che non produce e che serve solo per essere «buttata via») o del lockdown proclamato su tutto il territorio italiano per tre mesi (creando una crisi economica senza precedenti), nonostante le indicazioni opposte che provenivano dagli stessi organi scientifici che lui stesso aveva nominato o di un vaccino che sarebbe risolutivo e di cui si chiede l'obbligatorietà (senza dire, per ora, a quali conseguenze andrebbe incontro, chi si rifiuterà di ottemperare a quest'obbligo), nonostante sia accertato che il Covid19 abbia subito sino ad ora almeno 200 mutazioni - cessi di avere il sopravvento, che si formi, si manifesti e si organizzi anche solo una piccola minoranza, in grado di dare la risposta che Dio attende, che percepisca e diventi consapevole della realtà devastante che la generazione depravata di oggi, che si è sbarazzata del suo rapporto con il suo Creatore, vive, in un tempo nel quale ha certamente avuto inizio la lotta finale – inevitabile, rispetto alle profezie, ai messaggi della Madre di Dio e ai Testi Sacri - tra i Figli delle Tenebre e i Figli della Luce.
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