Il conformista indifferente – Danilo Quinto – 11 agosto 2020

La mia generazione - quella che nel 1970 aveva 14 anni, quella di Italia-Germania 4-3 e di Brasile-Italia 4-1, con Gianni Rivera che gioca con Sandro Mazzola solo negli ultimi sei minuti, perchè qualcuno voleva far credere d'intendersi di calcio e pretendeva che due fuoriclasse non potessero giocare insieme; quella delle madri che non accompagnavano le loro figlie tredicenni ad abortire; quella del «Laureato» e di «Un uomo da marciapiede» con Dustin Hoffman o qualche anno dopo di «Taxy driver», con Robert De Niro, che fecero scoprire a noi ragazzi il grande cinema americano; quella che proteggeva e custodiva i vecchi e non se ne sbarazzava, perchè sapeva che da loro poteva apprendere le regole del vivere civile e le storie del passato, che aiutano a comprendere e a vivere il presente; quella della musica di Simon & Garkunfel, di Mike Oldfield, degli Emerson, Lake & Palmer, dei Genesis; quella che non praticava la promiscuità sesssuale; quella del Ragazzo della Via Gluck o di Ventiquattromila baci, di Adriano Celentano; quella delle tanto attese storie di «Carosello», dopo le quali bambini e ragazzi venivano mandati a dormire dalle loro madri, che dicevano insieme a loro le ultime preghiere della giornata; quella che leggeva «Tex», «Mandrake», «Capitan Miky» e «Nembo Kid», ma anche Marcel Proust, Leonardo Sciascia, Ignazio Silone, George Simenon e Francis Scott Fitzgerald ; quella a cui non era proibito leggere in pubblico la Prima Lettera di San Paolo a Romani; quella delle «Figurine Panini» e del «Corriere dei Piccoli»; quella che ballava il twist e i «lenti», nelle case, al suono dei 45 giri e non si ubriacava né si drogava, come oggi accade, in luoghi che rappresentano la depravazione collettiva in cui siamo immersi; quella di «Gianburrasca» con Rita Pavone, della «Cittadella», con Alberto Lupo e Anna Maria Guarnieri, di «David Copperfield», con Giancarlo Giannini; quella in cui nascevano tanti bambini, perchè le famiglie non erano state ancora distrutte con il divorzio e le madri non avevano «conquistato il diritto di uccidere i figli nel loro grembo»; quella degli incontri di pugilato tra Monzon e Nino Benvenuti, ascoltati di notte alla radiolina; quella che ogni giorno si riuniva attorno alla tavola da pranzo, insieme, sempre alla stessa ora e che festeggiava la Domenica dopo la Santa Messa, con la guantiera di paste che non doveva mancare mai, con tutti i parenti, nonne e nonni compresi; quella che impazziva per Gianni Morandi o per memorabili «Sanremo» con Massimo Ranieri, Sergio Endrigo, Domenico Modugno e perfino Luis Armstrong; quella in cui il concepito non veniva ancora definito un «grumo di cellule» e buttato nella spazzatura; quella che in cinema tutti esauriti, con l'intera famiglia, vedeva l'intera serie di James Bond con Sean Connery o i film con Alberto Sordi e Monica Vitti; quella che portava a casa le pagelle scolastiche per la firma dei genitori e si vedeva riconsegnare i temi d’Italiano marcati con le matite rosse e blu; quella che cantava «Con un poco di zucchero, la pillola va giù», insieme a Julie Christi in «Mary Poppins»; quella che poteva apprendere i mestieri nelle botteghe degli artigiani, che allora esistevano, come esistevano le leggi che favorivano la formazione dei ragazzi; quella della «Tv dei Ragazzi», che seguiva «La Nonna del Corsaro Nero», «Rin Tin Tin» e «I Ragazzi di Padre Tobia»; quella che con timidezza prendeva per mano il «primo amore», senza farsi vedere dagli altri compagni di classe; quella che non celebrava feste pagane come Halloween, ma nella notte tra il 31 ottobre e il primo novembre si preparava a celebrare il Giorno di tutti i Santi che sono nel Cielo e il giorno seguente andava a trovare al cimitero i propri antenati; quella che a Roma frequentava il Sistina, per assistere alle grandiose commedie musicali di Garinei e Giovannini ed applaudire Aldo Fabrizi o Renato Rascel, a Milano, al Piccolo Teatro, per ammirare le messe in scena di Giorgio Strehler e Paolo Grassi, con attori e attrici che hanno fatto la storia del Teatro nel nostro Paese; quella che curava i malati gravi o terminali e attendeva che il Signore li chiamasse a sè, senza arrogarsi il diritto di dare la morte (la chiamano «bella») con un'iniezione o con una pillola; quella che accendeva la radio per ascoltare «Alto gradimento» o «Per voi giovani»; quella che «scoprì, grazie a uno studioso libero, Renzo De Felice, che il ventennio fascista aveva ricevuto ed era rimasto al potere grazie al «consenso» dato dalla maggioranza degli italiani e che di questa maggioranza facevano parte ed avevano avuto un ruolo molti esponenti dell'Italia «democratica» post-bellica; quella che non doveva nascondere il culto del presepe «per non urtare la suscettibilità degli altri», come viene detto e consigliato oggi da politici sconsiderati, che neanche conoscono, perchè pregni solo della loro ignoranza, la persecuzione a cui sono sottoposti centinaia di migliaia di cristiani nei Paesi a maggioranza musulmana e vogliono affidare la sopravvivenza della nostra Patria ad una popolazione estranea alla nostra Storia, alla nostra Civiltà ed alla nostra identità Cristiana - si è formata soprattutto grazie alla grande Televisione «democristiana» e autenticamente cattolica di Ettore Bernabei, che oltre ad insegnare a leggere e a scrivere in Italiano ai nostri nonni, al 40% ancora analfabeti in quegli anni, mise la «potenza» intrinseca del mezzo televisivo in bianco e nero e con un solo a canale, a servizio della Cultura, mandando in onda gli sceneggiati in presa diretta tratti dai grandi classici letterari, quelli di Riccardo Bacchelli, di Fëdor Dostoevskij di Victor Hugo, di Alessandro Manzoni o di Lev Tolstoj; le più affascinanti e popolari opere liriche; le performance teatrali, affidate ai fratelli Peppino e Eduardo De Filippo, a Vittorio Gassman, a Giorgio Albertazzi, alla Compagnia dei Giovani, di Giorgio De Lullo, Romolo Valli e Rossella Falk; le «inchieste» giornalistiche e sociologiche di Enzo Biagi, Luigi Comencini, Indro Montanelli, Pier Paolo Pasolini, Mario Soldati, Sergio Zavoli; il «Varietà», condotto da Mike Bongiorno, Valter Chiari, Lelio Luttazzi, Nino Manfredi, Mina, Sandra Mondaini, Paolo Panelli, Mario Riva, Delia Scala, Raimondo Vianello, di cui erano ospiti Totò o Marcello Mastroianni; gli «sceneggiati» con Gino Cervi, Ubaldo Lay, Aroldo Tieri, per formare le persone alla Conoscenza, al Sapere, alla Bellezza, alla Verità (che è il Tutto), mentre oggi la Televisione, con i suoi «reality», le sue «urla» e le sue volgarità, con la sua informazione «voce» complice del Potere, con la sua pubblicità ributtante, è al servizio dell’ignoranza, della mediocrità, della superficialità, del pressapochismo e della menzogna; alle Istituzioni, che allora esistevano e, pur con i loro difetti, operavano al servizio del bene comune, perchè formate e animate da molti uomini di Stato, che rappresentavano degnamente l'Italia nel mondo e che oggi sono stati sostituiti da un ceto politico di «dilettanti allo sbaraglio», come venivano definiti i concorrenti della «Corrida» di Corrado, che con le sue esperienze di stewart al San Paolo o di commesso in un negozio di animali, con la terza media – con tutto il rispetto per gli stewart, i tifosi del San Paolo, i commessi, gli animali e chi ha solo il diploma di scuola media, ma non ha la presunzione di farsi nominare parlamentare nè tanto meno presidente di commissione – pensa di poter governare un Paese di 63 milioni di abitanti, vende illusioni, chiede e ottiene, senza alcun pudore, emolumenti di sostegno pubblico, come reddito di cittadinanza o bonus per le partite IVA, nonostante stipendi da nababbi di oltre 20mila euro lordi al mese, più prebende di ogni tipo (uso dei telefonini, dei computer, assistenza gratuita sanitaria e dentistica per loro e le loro famiglie, tessere della FGIC, entrate gratis ai cinema e ai teatri, viaggi gratis in treno, ecc. ecc.), più le pensioni di migliaia di euro dopo soli 5 anni continuativi di «onorato e infaticabile lavoro» (unica ragione perchè questo Parlamento non è stato ancora sciolto), pagati dai contribuenti, non ha uno straccio di visione, di progetto, di assunzione di responsabilità e di dignità; alla Famiglia, spazzata via dalla pseudo-rivoluzione del ’68, di carattere nichilista e demagogico, oltre che violento, che visse il delirio, fomentato da un femminismo becero e «da quattro soldi», di porre le basi di un mondo che desiderava fare a meno di Dio, sostituendolo con diritti (cosiddetti «civili») e bisogni solo materiali, come quello, sancito da un Ministro della Salute che da una parte vuole salvare l’Italia da una pandemia clinicamente inesistente, tenendola in perenne stato di terrore e, dall’altra, consente che le donne possano abortire in casa, senza neanche assistenza, fino alla nona settimana di gravidanza (la chiamano «civiltà»...); alla Scuola, che ancora sapeva e amava insegnare, mentre oggi è sempre più ostaggio dell’ideologia post-comunista e del «pensiero unico» dominante, «liquido», che massifica gli individui, annullando le loro coscienze, l’uso della loro ragione e la loro libertà; alle chiese piene di fedeli, che ascoltavano la Santa Messa in latino e che inginocchiati davanti alla Persona-Dogma, a Cristo Signore, Re del Cielo e della Terra, prendevano la Santa Comunione in bocca, avevano timore di Dio e si comportavano di conseguenza, mentre oggi Dio è disprezzato, oltraggiato da atti sacrileghi, compiuti da molti membri della stessa gerarchia ecclesiastica, che si è prostrata senza alcuna ragione alle decisioni dello Stato - oltre che inchinarsi e benedire simboli pagani, utilizzati come simulacri della loro ignavia o a Capi di Stato africani, baciando le loro scarpe - chiudendo le chiese, negando i sacramenti e la Santa Messa per l’intero periodo pasquale ed oltre, imponendo l’uso di igienizzanti, di mascherine, di pinzette, di guanti, di fazzolettini e idiozie del genere, come se la Casa del Signore fosse contaminata e come se il Corpo di Cristo, che hanno voluto imporre sia dato sulla mano, con un atto di arrogante arbitrio, possa trasmettere malattie e non fosse, invece, il pane della vita e della salvezza eterna; alle Parrocchie, che erano un punto di riferimento certo per la crescita spirituale dei bambini e degli adolescenti, mentre oggi, se non sono deserte, sono divenute un luogo di «ricreazione» o di «intrattenimento», come tanti altri, dove genitori che non sanno più parlare con i loro figli, li «parcheggiano», per liberarsi del problema; al Cinema della «Commedia all’italiana», che attingeva direttamente alla tradizione della «Commedia dell’Arte», che aveva come protagonisti attori, sceneggiatori e registi inarrivabili e di eccelso talento, che attraverso l’ironia, la comicità, il grottesco e il dramma, seppero conquistare milioni e milioni di spettatori, mettendo sullo schermo i loro pregi e i loro difetti, la loro umanità; al calcio degli stadi pieni, delle Coppe dei Campioni alzate al cielo da Inter e Milan e delle radioline che trasmettevano «Tutto il calcio, minuto per minuto», dove si consumava un «rito» domenicale alla stessa ora, che riguardava la quasi totalità delle famiglie italiane, mentre oggi quel calcio è stato sostituito da un business speculativo di proporzioni gigantesche, gestito da multinazionali che curano i loro ingordi affari, che nulla ha a che fare con la parola sport; a giochi semplici e istruttivi, che non costavano nulla e non creavano dipendenza, mentre oggi sono proprio i giochi praticati a creare quella «realtà virtuale», violenta ed emulativa, che genera alienazione negli adolescenti; a rapporti di «vicinato» ancora umani, dove il sorriso non era ancora stato spazzato via dagli sguardi torvi ed arrabbiati e la parola veniva ancora usata e diveniva dialogo, dove - come scriveva Cesare Zavattini - «Buongiorno» voleva dire ancora «Buongiorno», una stretta di mano era una stretta di mano, il guardarsi negli occhi era sincero e leale.

Tante cose, ricordi, nostalgie e «sapori» che il tempo ha divorato e ha fatto scomparire dalla nostra realtà, che è divenuta, con il trascorrere del tempo, sempre più miserevole, triste e detestabile.

Le parole della mia generazione erano anche quelle dei cantautori. Le mie erano quelle di Battisti, Dalla, De Andrè, De Gregori, Guccini, Jannacci, per citare solo alcuni. Ora, i «cantautori» si chiamano Mambolosco o Bello Figo o 1727WORLDSTAR o Traffik o Gallagher o Achille Lauro o Salmo o Ski e Wok. Tutto un programma. Anche le canzoni, allora, insegnavano. Oggi, le canzoni non si capisce perchè si definiscano tali. Molti di coloro che allora cantavano i loro versi, erano poeti. Si schernivano di questa definizione, ma era proprio così.

Cantava e denunciava uno dei più grandi artisti che la canzone e il teatro italiani abbiano mai avuto: «Io sono un uomo nuovo, talmente nuovo che è da tempo che non sono neanche più fascista, sono sensibile e altruista, orientalista ed in passato sono stato un pò sessantottista. Da un pò di tempo ambientalista, qualche anno fa nell'euforia mi son sentito come un pò tutti socialista».

«Il conformista», di Giorgio Gaber, è inserito nell'album «Un'Idiozia Conquistata a Fatica», del 1996 e deriva da quella ricerca appassionata che il «Signor G» fece insieme al suo amico e co-autore, Sandro Luporini, sin dalla fine degli anni ‘60. Descrive, con quell’ironia sottile e vera, quella che solo Gaber sapeva usare – chi l’ha visto dal vivo in quegli anni, come a me più volte è capitato, sa quale effetto dirompente aveva sul pubblico, che in quegli spettacoli vedeva rispecchiata la sua vita – la realtà dell’«italiano medio». Gaber è come se fosse ancora qui in mezzo a noi, su quelle stesse tavole di palcoscenico, che egli scelse invece della televisione e del denaro, con la sua genialità, la sua narrazione libera e senza condizionamenti delle cose del mondo e della vita, la sua passione per la «sua» verità, «sbattuta in faccia» a tutti, sulla politica, sul costume, sull’amore, sull’amicizia, sulla povertà e sulla ricchezza, sull’uguaglianza e sulle diseguaglianze sociali, sul mercato e sulla massificazione delle coscienze, assuefatte al consumo e alla dipendenza della produzione - come in modo magistrale, sempre in quegli anni, aveva profetizzato Pier Paolo Pasolini – sulle idiozie dell’uomo «moderno», su quei «movimenti» che confusero persone e identità in un esercizio sterile e conformista, come lo vedeva Gaber - che per questo fu duramente attaccato durante i suoi spettacoli - di violenza che pretendeva di divenire di massa e di «portare le masse al potere», distruggendo tutto: l’identità cristiana di una Nazione intera, la famiglia, l’essenza vera della libertà dell’individuo, che si spiega razionalmente solo nel suo rapporto con il Creatore.

Il conformista, appunto, è «Progressista, al tempo stesso liberista, antirazzista, molto buono e animalista. Ultimamente, non più assistenzialista, un pò controcorrente e federalista». L’«italiano medio», come profetizzava Gaber, «sta sempre dalla parte giusta; ha tutte le risposte belle chiare dentro la sua testa; è un concentrato di opinioni che tiene sotto il braccio due o tre quotidiani». Pensa? «Quando ha voglia e solo per sentito dire. Forse da buon opportunista si adegua senza farci caso e vive nel suo paradiso». Un paradiso momentaneo, s’intende, in attesa di vivere l’Inferno, per l’eternità. «Il conformista è un uomo a tutto tondo», continua Gaber, «che si muove senza consistenza e s'allena a scivolare dentro il mare della maggioranza; è un animale assai comune, che vive di parole da conversazione. Di notte sogna e vengon fuori i sogni di altri sognatori, il giorno esplode la sua festa, che è stare in pace con il mondo e farsi largo galleggiando». Con le donne? «Ha un rapporto straordinario: è femminista, disponibile e ottimista europeista». Non alza mai la voce, il conformista; «è pacifista; era marxista-leninista, poi si è ritrovato ad essere cattocomunista». C’è una cosa che non ha capito bene: «rimbalza meglio di un pallone areostato evoluto, che è gonfiato dall'informazione; è il risultato di una specie che vola sempre a bassa quota in superficie. Poi sfiora il mondo con un dito e si sente realizzato, vive e questo già gli basta e devo dire che oramai somiglia molto a tutti noi. Io sono un uomo nuovo, talmente nuovo che si vede a prima vista sono il nuovo conformista», conclude Gaber.

Che dire? Molto meglio della definizione che ne dà il vocabolario Treccani - per il quale il conformista è «chi si conforma a una determinata dottrina politica o religiosa; per estensione, e con valore più o meno spregiativo, chi si adatta facilmente alle opinioni o agli usi prevalenti, alla politica ufficiale, alle disposizioni e ai desideri di chi è al potere» – se non altro perchè Gaber, da par suo, penetra nell’animo della sua generazione, ed anche nella nostra, affrontando il cuore del rapporto tra la persona, la società e lo Stato. Siamo di fronte a individui «che vivono e tanto gli basta». Vogliono «stare in pace». Non si pongono domande, nè sulla loro vita nè su quella degli altri. Non esprimono giudizi, cavalcano quelli della maggioranza e se ne compacciono. Sono indifferrenti. Perchè tengono più ai loro «rapporti», che al loro essere individui che sono venuti al mondo per «esistere», con la loro ragione e la loro coscienza. «Rimbalza» tutto al conformista. Tutto gli scivola addosso. Tutto è piatto, per lui. Tutto è relativo. In tutti i campi: quello, religioso, quello civile, quello politico. Non esistono la «libertà» e la «verità» come valori assoluti.
Il discrimine tra chi sta – e vuole rimanere - dalla parte del Bene e chi sta dalla parte del Male, è proprio questo.

Nei confronti di qualsiasi situazione che la persona vive nel corso della sua vita, l’espressione del pensiero, autonomo, libero, non condizionato, connota la stessa definizione di persona. Un individuo che porta il suo cervello all’ammasso, che agisce e si comporta come se la realtà che gli sta attorno lo debba condizionare in ogni momento e in ogni scelta della sua vita – per sopravvivere – non può essere considerato una persona, nella sua singolarità e nel senso in cui la metafisica lo considera.

Proviamo a rileggere «Questi nostri tempi», del 1995, sempre di Gaber: «In uno dei miei rari momenti di lucidità, mi sono guardato allo specchio e mi sono accorto che il mio pensiero aveva bisogno di un lifting. Al momento ho attribuito questa mia defaiance a un mio precoce rincretinimento senile. Poi mi sono guardato intorno e... non è che mi sia sentito intelligente, però mi sono consolato. Ecco, ho capito che un uomo oggi meno esprime il suo pensiero meglio è. Tutt’al più può esprimere un parere. Ma i pareri, si sa, son come i coglioni: ognuno c’ha i suoi. E così, a poco a poco, in me è maturata l’idea che il mondo occidentale europeo, antica culla della civiltà, avrebbe proprio bisogno di un nuovo pensatore, fresco e pieno di vigore. No, per carità, non intendo candidarmi. Non sono né fresco né pieno di vigore e soprattutto non sono un pensatore. Ho soltanto la sensazione che in questi nostri tempi pensare voglia dire vivere in un cimitero. Eh, sì, bisognerebbe ridar vita alla filosofia, che è morta, poverina. Certo, una nuova filosofia che sappia illuminare la mente e riscaldare il cuore dell’uomo del Duemila. Solo che filosofare oggi, così ridotti come siamo, è come in una gelida giornata d’inverno farsi addosso una pisciatina per sentire un pò di teporino...».

Il cinismo di Gaber, non è mai fine a se stesso. Lascia sempre la porta aperta alla speranza. È un cinismo delicato, affettuoso e amorevole per le sorti dell’umanità e della singola esistenza che si barcamena nella sua fragilità. E’ un «cinismo profetico». Un laico, 25 anni fa comprese che eliminare il piano della metafisica significava eliminare Dio. Al Meeting di Rimini del 1991, Gaber commentò la sua canzone «Se io fossi Dio», del 1981: «Recentemente ho riscritto una canzone, Io se fossi Dio» - disse Gaber — «in cui trova espressione una rabbia contro ciò che non va, anche se la rabbia risulta impotente. Soprattutto ho la sensazione molto forte che quello che vediamo accadere nel mondo ci lascia scioccati, ma privi di giudizio perché tutto è troppo lontano. Noi assistiamo a qualcosa di cui ci riferiscono i mass media, riceviamo notizie che passano sopra le nostre teste, mentre aumenta la percezione che dietro al mondo politico esistano forze occulte, che condizionano il vivere sociale». «Io se fossi Dio», si conclude così: «Direi che ci son tutte le premesse / Per anticipare il giorno dell’Apocalisse / Con una deliziosa indifferenza / E la mia solita distanza / Vorrei vedere il mondo e tutta la sua gente / Sprofondare lentamente nel niente / Forse io come Dio, come Creatore / Queste cose non le dovrei nemmeno dire / Io come Padreterno non mi dovrei occupare / Né di violenza né di orrori né di guerra / Né di tutta l’idiozia di questa Terra / E cose simili. / Peccato che anche Dio / Ha il proprio inferno / Che è questo amore eterno / Per gli uomini».

Ci sono poche parole da aggiungere. Nel corso dell’ultimo anno, all’amore eterno e sconfinato di Dio per gli uomini – che si esprime anche attraverso gli avvertimenti, i castighi e le tentazioni che ci mettono alla prova, perchè Egli ci vuole Suoi, per sottrarci alle grinfie di Satana – non ha corrisposto alcuna risposta. Gli uomini del XXI secolo si sono comportati come i pagani che idolatravano gli Dei. Si sono comportati come barbari. Hanno eretto simulacri per le loro menzogne. Si sono ispirati a «parole al vento». Che cos'altro era l'«Andrà tutto bene» o «Tutto sarà come prima?». «A noi», hanno detto, «non interessa quello che c’è in Cielo, quello che ci dice il Cielo, quello che fa il Cielo. Sulla Terra, comandiamo noi e facciamo quello che più ci garba».

Dio, però, non si è ancora stancato di attendere. La Sua pazienza è infinita. L’unica speranza da coltivare è che il «conformismo indifferente» - quello che consente che l’attuale gerarchia ecclesiastica faccia strame della Sacra Scrittura e del Magistero che per duemila anni l’ha proclamata e che il potere civile non risponda dell’esercizio della sua responsabilità, neanche quando è provato che ha disatteso, nel caso della mancata proclamazione delle zone rosse dei Comuni della Lombardia, dove poi sono avvenute le stragi degli anziani (di quella parte della popolazione che non produce e che serve solo per essere «buttata via») o del lockdown proclamato su tutto il territorio italiano per tre mesi (creando una crisi economica senza precedenti), nonostante le indicazioni opposte che provenivano dagli stessi organi scientifici che lui stesso aveva nominato o di un vaccino che sarebbe risolutivo e di cui si chiede l'obbligatorietà (senza dire, per ora, a quali conseguenze andrebbe incontro, chi si rifiuterà di ottemperare a quest'obbligo), nonostante sia accertato che il Covid19 abbia subito sino ad ora almeno 200 mutazioni - cessi di avere il sopravvento, che si formi, si manifesti e si organizzi anche solo una piccola minoranza, in grado di dare la risposta che Dio attende, che percepisca e diventi consapevole della realtà devastante che la generazione depravata di oggi, che si è sbarazzata del suo rapporto con il suo Creatore, vive, in un tempo nel quale ha certamente avuto inizio la lotta finale – inevitabile, rispetto alle profezie, ai messaggi della Madre di Dio e ai Testi Sacri - tra i Figli delle Tenebre e i Figli della Luce.

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Danilo Quinto
Grazie a te, Carlo e a tutti coloro che nel nome di Dio e della Santissima Maria Vergine Maria, vogliono combattere con umiltà per tentare di restituire alla nostra Patria la sua dignità, in nome della sua storia e della sua identità, che è quella che indicò Cristo quando rispose al "Quo vadis, Domine" di Pietro.
Carlo D.A.
A.M. Grazie infinite Danilo. Questo tuo pezzo l'ho ricevuto da persona amica e completa quel quadro informativo/formativo che sembra essere il proseguio del tuo ultimo volume ( bellissimo !) Carlo D.Agosto 😉 😇