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Utero in affitto e dintorni. Dal Dott. Giacomo Rocchi*

Relazione del Dott. Giacomo Rocchi al seminario “Negare Dio – Negare l’uomo”
27 Giugno 2023

1. Per parlare di utero in affitto e dintorni, mi sembra opportuno ricordare che oggi, il 24 giugno, è la festa di San Giovanni Battista. Firenze, di cui San Giovanni è il patrono e dove vivo, festeggia fra poche ore con i fuochi artificiali un uomo che, gettato in carcere, venne decapitato su ordine del re e la cui testa venne mostrata agli invitati di un banchetto.

Perché Giovanni Battista fu ucciso? Noi lo rammentiamo sempre come precursore e annunciatore di Gesù, ma Erode lo aveva fatto arrestare per una sua questione personale: egli, infatti, aveva sposato Erodiade, vedova del fratello defunto Filippo, ma tale matrimonio era contrario alla legge ebraica perché il matrimonio tra Filippo e Erodiade era stato fecondo, generando una ragazza. Giovanni, pubblicamente, diceva ad Erode: “non ti è lecito” ed Erode, per questo motivo, lo aveva fatto imprigionare

Sappiamo anche che l’uccisione di Giovanni fu la conseguenza di una danza della figlia di Erodiade che “piacque a Erode”, tanto da indurlo a prometterle di darle qualunque cosa ella avrebbe chiesto. La ragazza, su consiglio della madre, chiese la testa di Giovanni Battista e Erode – ci raccontano i vangeli di Matteo e Marco – benché rattristato, non volle opporle un rifiuto “a motivo del giuramento e dei commensali” e ordinò “subito” la decapitazione.

Cosa ci insegna questa vicenda?

Giovanni martire della verità: egli aveva capito che non poteva e non doveva evitare di denunciare pubblicamente il potente, ricordandogli l’illiceità di quello che faceva; il potere vittima delle sue fragilità – principalmente della concupiscenza – e che pretende di cambiare le norme per soddisfarla (il re che sposa la vedova del fratello anche se era vietato e a cui “piace” la figlia della moglie); decisioni gravissime (l’esecuzione di una persona nemmeno processata) adottate senza nessun fondamento, se non la necessità di cancellare un problema e soddisfare i desideri altrui; la debolezza di un re che aveva paura di fare brutta figura con i commensali che, ovviamente, erano i potenti dell’epoca, come ci ricorda Marco (“i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili”).

La vita di un uomo – e che uomo! Un profeta, un giusto, un santo – sacrificata per questi interessi.

2. Mi è tornato in mente questo episodio nel leggere la relazione di accompagnamento al Progetto di Regolamento dell’Unione Europea che, pochi mesi fa, cercava di costringere l’Italia a recepire l’iscrizione nel registro dello stato civile dei figli delle coppie omosessuali riconosciuti tali in altri Paesi dell’Unione.

Il potere e la ricchezza: si, perché i soggetti asseritamente discriminati che marceranno domani qui a Reggio Emilia e hanno marciato altrove, quei poveretti, più o meno vestiti, che lamentano di essere abbandonati e ignorati, hanno dalla loro parte il potere politico europeo, la finanza, i giornali, grandi studi di avvocati e così via.

La proposta di regolamento veniva giustificata dalla signora Von Der Leyen in quanto (cito letteralmente) “è stata individuata come azione chiave nella strategia dell’Unione Europea per l’uguaglianza LGBTIQ”. Sì, l’Europa ha una strategia su questa questione e – non possiamo nasconderlo – anche la maggioranza dei governanti italiani ha una strategia analoga, pronta a evocare “sanatorie” e ad assicurare le coppie omosessuali che – non temano! – potranno avere sempre con sé i bambini che, domani, esibiranno come trofei (del resto, molti li hanno comprati, avranno o no diritto ad esibirli?).

Questa spinta fortissima è sostenuta – proprio come Erode! – dalla necessità di trasformare un desiderio in un diritto: non è lecito riconoscere socialmente un legame omosessuale? Noi lo riconosciamo ugualmente (anche in Italia, con le unioni civili)! Un bambino deve avere un padre e una madre? Noi stabiliamo che no, non è vero, può avere due padre o due madri! E via dicendo …

E se questo desiderio deve diventare un diritto – in un modo o nell’altro: con sentenze creative, con leggi ingiuste, con Regolamenti comunitari – evidentemente occorre tacere e nascondere quanto spinge a denunciare: “non ti è lecito”!

Ecco che, poiché le potenti associazioni LGBTIQ si rifiutano di affrontare il tema della disumanità della pratica dell’utero in affitto, dello sfruttamento della donna che ospita il concepito nel corso della gravidanza, della negazione della sua dignità personale e della sua considerazione come “pezzo di carne”, macchina che deve servire ad un determinato scopo, la Commissione si adegua, non toccando affatto il problema: la Relazione della signora Von der Leyen non faceva alcuna menzione di quelle donne e della loro dignità. La loro vita ignorata e sacrificata in nome del desiderio fatto diritto, il silenzio su di loro per timore di fare brutta figura con i notabili di oggi …

Ma, come Giovanni ci ha insegnato, la verità deve essere detta, non può non essere detta.

3. Questa introduzione ci permette già di mettere da parte qualche argomento.

Il primo: l’utero in affitto è usato anche da tante coppie eterosessuali che non riescono ad avere figli; collegarlo strettamente al tema dell’omosessualità dimostra una omofobia di fondo: a voi non interessano i bambini, volete colpire gli omosessuali! Ecco, scoprire che, al contrario, esiste una strategia dell’UE per l’uguaglianza LGBTIQ, che ha come obiettivo la legalizzazione dell’utero in affitto e il recepimento nell’ordinamento degli effetti di tale pratica, ci permette di capire che, al contrario, si tratta proprio di una questione che ha a che fare con l’omosessualismo imperante. Che poi, coppie eterosessuali ricorrano a questi mezzi illeciti, non cambia affatto la loro origine: l’utero in affitto serve a procurare bambini a coppie omosessuali e per questo motivo è promosso a tutti i livelli.

La strategia UE, poi, è eloquente per un altro aspetto: in questo periodo, la tesi di fondo è che occorre tutelare l’interesse primario dei minori; poveri bambini, hanno vissuto per anni con due uomini e due donne, non hanno conosciuto la loro mamma o il loro padre ma si sono adattati, volete davvero togliere loro il punto fermo dell’iscrizione dai registri dello stato civile?

Non ci prendiamo in giro: l’obiettivo dichiarato è l’uguaglianza LGBTQ! Occorre affermare che le coppie omosessuali hanno il diritto di avere figli propri, che è normale, è giusto, è un bene essere figlio di una coppia omosessuale. Il famoso “interesse dei bambini” è fatto valere nei vari giudizi dagli adulti che se li sono procurati con varie modalità e che, in realtà, difendono il loro interesse ad avere un figlio “proprio”.

4. Il terzo argomento che vale davvero la pena di spazzare via è quello – usato dalla Corte Costituzionale, dalle Sezioni Unite della cassazione, dalla ministra Roccella e altri ancora – della possibilità per le coppie omosessuali che, in qualche modo, si sono procurate un bambino loro di regolarizzare la loro posizione con l’adozione da parte del genitore “intenzionale”.

Si afferma, infatti (leggo un passo della sentenza delle Sezioni Unite): «Il minore nato all’estero mediante il ricorso alla surrogazione di maternità ha un diritto fondamentale al riconoscimento, anche giuridico, del legame sorto in forza del rapporto affettivo instaurato e vissuto con il genitore d’intenzione; tale esigenza è garantita attraverso l’istituto dell’adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. d) della l. n. 184 del 1983 che, allo stato dell’evoluzione dell’ordinamento, rappresenta lo strumento che consente, da un lato, di conseguire lo “status” di figlio e, dall’altro, di riconoscere giuridicamente il legame di fatto con il “partner” del genitore genetico che ne ha condiviso il disegno procreativo concorrendo alla cura del bambino sin dal momento della nascita».

Quindi, se una coppia omosessuale maschile, in Canada, ottiene un figlio mediante il ricorso all’utero in affitto e, in base alla normativa canadese, il bambino viene riconosciuto figlio anche del genitore “di intenzione”, benché in Italia la doppia genitorialità non possa essere direttamente riconosciuta, in forza del divieto della maternità surrogata, il padre “di intenzione” potrà adottare il bambino.

Notate che questa affermazione – che stravolge il senso della norma menzionata, dettata per casi del tutto diversi: ma, si sa, la legge si può interpretare … – presuppone un giudizio netto: «l’orientamento sessuale della coppia non incide sull’idoneità dell’individuo all’assunzione della responsabilità genitoriale». Il componente della coppia omosessuale non legato da rapporto genetico con il figlio viene così definito: «(…) colui che, insieme al padre biologico, ha condiviso e attuato il progetto del suo concepimento e, assumendosi la responsabilità della cura e dell’educazione, ha altresì concorso in fatto a instaurare quella organizzazione di vita comune diretta alla crescita e allo sviluppo della personalità che è la famiglia». Appunto: una famiglia.

Davvero, se volessimo fermarci su questa posizione giuridica non andremmo molto lontano (e, infatti, secondo la mia previsione, non andremo molto lontano): se sosteniamo che, colui che, in ragione della sua tendenza omosessuale e del legame con un altro uomo, ha sborsato metà del denaro necessario per procurarsi un bambino (tanto denaro!), ha contribuito ad allontanare definitivamente il bambino dalla donna che lo ha partorito e lo ha mostrato negli anni come figlio “suo” è, per questo motivo, un adulto responsabile che ha contribuito a far crescere il bambino e a fargli sentire il sapore della “famiglia”; se sosteniamo questo, beh, allora che problema c’è a registrare l’atto di nascita con due padri?

Davvero meritano l’accusa di ipocrisia coloro che, facilitando l’approvazione della legge sulle unione civili, salutarono come un successo il mancato riferimento alla stepchild adoption se oggi dicono pubblicamente che, sì, quegli uomini e quelle donne possono adottare il bambino e diventare ufficialmente il loro padre e la loro madre!

5. Concentriamo, allora, l’attenzione sull’utero in affitto o, come vuole la legge 40 del 2004, che vieta tale pratica, sulla maternità surrogata.

Sappiamo in cosa consiste; una donna, che non fa parte della “coppia committente” di aspiranti genitori, riceve nel proprio corpo un embrione, conduce la gravidanza, partorisce e consegna il bambino appena nato alla coppia in questione; ogni rapporto con suo figlio è definitivamente interrotto.

Si deve notare che la forma iniziale, che prevedeva che il bambino fosse generato con l’ovocita della donna che portava avanti la gravidanza, che era quindi sua madre biologica, è stata sostituita con una forma articolata, che prevede che nell’utero della madre surrogata venga trasferito un embrione generato con ovociti provenienti da altre persone: quindi una donatrice di gameti e un uomo donatore di sperma; soggetti che possono essere o meno legati tra loro: nel primo caso è una coppia eterosessuale ad essere committente di un figlio “proprio”; nel secondo caso, invece, ad essere committente sarà una coppia omosessuale maschile oppure una coppia omosessuale femminile e, in questo caso, il donatore di gameti è destinato (come la madre surrogata) a scomparire dall’orizzonte del bambino che nascerà: garantisce ciò l’anonimato dei donatori.

La maternità surrogata presuppone, quindi, un mercato: di gameti, di embrioni, di corpi di donne, di bambini. Alcuni tentativi di quantificare il valore del mercato avevano portato a parlare di un fatturato di 2,3 miliardi di dollari per la sola India nell’anno 2013; del resto, il costo di un ciclo completo che (dovrebbe) portare un “bambino in braccio” ad una coppia committente può variare da 20.000 a 150.000 dollari, quindi ben comprendiamo il giro enorme di denaro che interessa questo settore che, come sappiamo bene, ha i suoi produttori, i suoi mediatori, le fiere in cui si espongono i migliori prodotti e così via.

Ovviamente il rapporto di maternità surrogata presuppone la stipula di contratti che vincolano committenti e madre surrogata. Il fatto è che gli obblighi della seconda riguardano la propria vita, sotto tutti i profili: se pensiamo ai contratti previsti per la maternità surrogata negli USA, ad esempio, sono previsti divieti o limitazioni di rapporti sessuali per la donna, sia prima della certezza dell’inizio della gravidanza, sia nel corso della gravidanza; obblighi di sottoporsi ad amniocentesi a semplice richiesta; obbligo di abortire in caso di decisione dei committenti per anomalie fisiche o psicologiche del feto; obbligo di riduzione embrionale (cioè uccisione di feti di caso di gravidanza gemellare), sempre su decisione dei committenti; divieto di aborto in casi differenti; divieto di espatrio a partire dal secondo trimestre di gravidanza, divieto di contattare i committenti dopo la nascita, divieto di interferire con l’educazione del bambino; addirittura è previsto che, in caso di premorienza dei committenti (ad esempio: se muoiono per un incidente durante la gravidanza surrogata), il bambino venga affidato ai servizi sociali e non possa restare con la madre surrogata.

Questo per quanto riguarda i costosissimi contratti del primo mondo; ma noi sappiamo che ben altre condizioni vengono previste per le donne del terzo mondo, per le quali, davvero, la nozione di “utero in affitto” è esatta, atteso che le agenzie “vendono” i periodi “liberi” delle giovanissime ragazze, non “occupati” da altre gravidanze commissionate.

6. Se questo è il fenomeno della maternità surrogata, davvero non dovrebbero esservi dubbi sul fatto che si tratta di pratica disumana, contraria alla dignità della donna e del bambino.

Questo è stato affermato a chiare lettere dalla Corte Costituzionale e dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Le Sezioni Unite, recentemente, hanno osservato che “L’operazione che tende a cancellare il rapporto tra la donna e il bambino che porta in grembo, ignorando i legami biologici e psicologici che si stabiliscono tra madre e figlio nel lungo periodo della gestazione e così smarrendo il senso umano della gravidanza e del parto, riducendo la prima a mero servizio gestazionale e il secondo ad atto conclusivo di tale prestazione servente, costituisce una ferita alla dignità della donna.

La gestazione per altri lede la dignità della donna e la sua libertà anche perché durante la gravidanza essa è sottoposta ad una serie di limiti e di controlli sulla sua alimentazione, sul suo stile di vita, sulla sua astensione dal fumo e dall’alcol e subito dopo il parto è oggetto di limitazioni altrettanto pesanti causate dalla privazione dell’allattamento e dalla rescissione immediata di ogni rapporto con il bambino. L’art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004 esprime l’esigenza di porre un confine al desiderio di genitorialità ad ogni costo, che pretende di essere soddisfatto attraverso il corpo di un’altra persona utilizzato come mero supporto materiale per la realizzazione di un progetto altrimenti irrealizzabile. In termini analoghi si è espressa la Corte costituzionale, sottolineando che la pratica della maternità surrogata “offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane”.

La Corte costituzionale ha inoltre rilevato che “gli accordi di maternità surrogata comportano un rischio di sfruttamento della vulnerabilità di donne che versino in situazioni sociali ed economiche disagiate; situazioni che, ove sussistenti, condizionerebbero pesantemente la loro decisione di affrontare il percorso di una gravidanza nell’esclusivo interesse di terzi, ai quali il bambino dovrà essere consegnato subito dopo la nascita” (sentenza n. 33 del 2021).

Per quanto riguarda la contrarietà della pratica alla dignità della donna, le Sezioni Unite rigettano anche la prospettazione secondo cui si dovrebbe distinguere i casi di maternità “solidale”, in cui sarebbe garantita la libertà della donna e la sua finalità altruistica. “Nell’ordinanza di rimessione si mette in dubbio che sia lesiva della dignità della donna una pratica considerata lecita nell’ordinamento di origine quando sia frutto di una scelta libera e consapevole, revocabile fino alla nascita del bambino e soprattutto indipendente da contropartite economiche. (…) Il Collegio delle Sezioni Unite ritiene che non possa essere seguita la proposta interpretativa della Sezione rimettente di escludere il contrasto con l’ordine pubblico, e quindi di ammettere la delibazione, là dove la pratica della gestazione per altri sia considerata lecita nell’ordinamento di origine, in quanto frutto di una scelta libera e consapevole, revocabile sino alla nascita del bambino e indipendente da contropartite economiche.

Il legislatore italiano, infatti, nel disapprovare ogni forma di maternità surrogata, ha inteso tutelare la dignità della persona umana nella sua dimensione oggettiva, nella considerazione che nulla cambia per la madre e per il bambino se la surrogazione avviene a titolo oneroso o gratuito. Indipendentemente dal titolo, oneroso o gratuito, e dalla situazione economica in cui versa la madre gestante (eventuale stato di bisogno), la riduzione del corpo della donna ad incubatrice meccanica, a contenitore di una vita destinata ad altri, ne offende la dignità, anche in assenza di una condizione di bisogno della stessa e a prescindere dal concreto accertamento dell’autonoma e incondizionata formazione del suo processo decisionale. Nella maternità surrogata il bene tutelato è la dignità di ogni essere umano, con evidente preclusione di qualsiasi possibilità di rinuncia da parte della persona coinvolta.

Nel nostro sistema costituzionale la dignità ha una dimensione non solo soggettiva, ancorata alla sensibilità, alla percezione e alle aspirazioni del singolo individuo, ma anche oggettiva, riferita al valore originario, non comprimibile e non rinunciabile di ogni persona. La dignità ferita dalla pratica di surrogazione chiama in gioco la sua dimensione oggettiva (…) Invero, punendo la surrogazione di maternità in via assoluta, cioè a prescindere dalle modalità della condotta o dagli scopi perseguiti, da una parte si tutela in via immediata la dignità della gestante su commissione, dall’altra si tende a prevenire, secondo la logica della china scivolosa, eventuali derive estreme di manifestazione del fenomeno, espresse da deprecabili forme di sfruttamento di donne in condizioni di bisogno economico, vulnerabili e presuntivamente prive di apprezzabili margini di autonomia decisionale”.

Sono parole “pesanti” e – diciamocelo – inaspettate da parte di una magistratura che ha spesso mostrato di avere ben altri convincimenti. Eppure, una lettura “femminista” di questa sentenza si lamenta perché le affermazioni fatte nasconderebbero una nozione “paternalistica” nei confronti della donna: si sostiene “un’interpretazione del principio di dignità della donna in chiave “antisubordinazione di genere”, alla quale può quindi essere correlata anche l’affermazione della totale autonomia riproduttiva della donna nel decidere se, quando e come dare corso, con il proprio corpo, al processo riproduttivo” e si afferma che il divieto di trascrizione sancito dalle Sezioni Unite integra “un divieto imposto alla donna prima che ad altri”.

Non vado oltre: abbiamo visto in che modo la libertà e l’autodeterminazione delle madri surrogate, del prime del terzo mondo, vengono tutelate dai contratti di maternità surrogata.

7. Benché nella sentenza che ho citato vi siano dei passaggi senza dubbio ragguardevoli, si deve dare atto che la cassazione si guarda bene dall’approfondire il tema della lesione della dignità del bambino – accanto a quello della lesione della dignità della madre surrogata: come abbiamo visto, giudici e politici si affrettano a indicare la “soluzione” al problema di un bambino nato in seguito al ricorso alla maternità surrogata e vissuto insieme alla coppia formata dal padre biologico e dal suo compagno, privo di ogni rapporto con lui; la soluzione costituita da una “rapida” adozione speciale. Eppure, la tecnica in questione lede molti interessi del bambino: impossibilità di conoscere la sua madre genetica (che, come abbiamo visto, ormai è diversa dalla madre che ha condotto la gestazione); gravidanza vissuta in donna che non è la madre genetica e che conduce la stessa in forza di un contratto, in forza della quale è sottoposta a vincoli; distacco dalla madre che l’ha partorito immediatamente dopo la nascita e impossibilità di riprendere contatti con lei; impossibilità di allattamento al seno; vita vissuta in assenza di madre.

Ma, appunto, sono cose vere che ormai non si possono più dire nemmeno in Italia, dopo che abbiamo approvato la legge sulle unioni civili e, quindi, recepito il concetto di “famiglie” e abbiamo riconosciuto il diritto dei cosiddetti genitori intenzionali ad adottare il figlio del padre genetico.

8. Un ultimo passaggio della sentenza delle Sezioni Unite mi permette di accedere ad un ulteriore passaggio di questa mia relazione. La sentenza afferma: “va escluso che il desiderio di genitorialità, attraverso il ricorso alla procreazione medicalmente assistita lasciata alla autodeterminazione degli interessati, possa legittimare un presunto diritto alla genitorialità comprensivo non solo dell’an e del quando, ma anche del quomodo.

Non v’è nel sistema normativo un paradigma genitoriale fondato unicamente sulla volontà degli adulti di essere genitori e destinato a concorrere liberamente con quello naturalistico”.

Ecco che anche le Sezioni Unite allargano lo sguardo, prendendo atto che la maternità surrogata è un’applicazione – una delle tante applicazioni – delle tecniche di fecondazione artificiale. Se noi ci dimentichiamo di questo, davvero non siamo in grado di dare un giudizio vero e completo su questa pratica.

9. Parliamo, quindi, delle tecniche di fecondazione in vitro, della fecondazione extracorporea, che sono una parte delle tecniche di fecondazione artificiale e presentano una caratteristica unica: l’esistenza dell’embrione al di fuori del corpo della donna, in una provetta, a disposizione degli scienziati (se vogliamo chiamarli così) che l’hanno prodotto, con tutte le conseguenze che ciò comporta (tra cui anche l’utero in affitto).

Dobbiamo ricordarci che le tecniche di fecondazione artificiale sono state ideate e sviluppate in ambito zootecnico: dapprima, dalla fine dell’800, con l’inseminazione artificiale e poi, dalla metà del secolo scorso, con la fecondazione in vitro. Anche oggi, se fate una ricerca sulla fecondazione artificiale, ad un certo punto troverete aziende che si occupano di fecondazione animale. Esiste anche una ampia legislazione statale e regionale. La finalità di queste tecniche, in ambito zootecnico, è esplicita: migliorare la razza degli animali.

Come funziona la fecondazione extracorporea umana?

Per produrre un embrione in provetta si procede, nei confronti della donna, alla somministrazione di farmaci induttori dell’ovulazione, con controllo ecografico della risposta; si provvede, poi, al prelievo degli ovociti per via transvaginale, in anestesia locale o sedazione profonda.

Ho parlato di ovociti al plurale: questa è una delle caratteristiche della fecondazione artificiale. In effetti, come tutti sappiamo, nel ciclo naturale, durante l’ovulazione viene espulso, di regola, un solo ovocita maturo, spinto nelle tube di Falloppio al fine di incontrare gli spermatozoi. Invece, i farmaci induttori dell’ovulazione inducono il corpo della donna ad espellere più ovociti che vengono prelevati per via transvaginale, così da produrre in provetta quanti più embrioni possibile. In alcuni cicli vengono prodotti fino a dieci embrioni.

In conseguenza della somministrazione di questi farmaci, è emersa una specifica patologia, la sindrome da iperstimolazione ovarica, molto rischiosa per la donna che può portare a conseguenze gravi, se non alla morte; spesso alla sterilità, se i cicli vengono ripetuti, in quanto il corpo della donna può produrre un numero limitato di ovociti.

Quanto all’uomo, si provvede all’acquisizione del seme; talvolta, se i problemi derivano proprio dall’uomo, si provvede al prelievo di gameti dal testicolo, talvolta con tecnica chirurgica e conseguente preparazione del campione seminale.

Gli ovociti e il liquido seminale vengono posti in provetta dove avviene la fecondazione.

Dopo la fecondazione, se avvenuta, si procede al trasferimento in utero degli embrioni prodotti, se del caso mediante ulteriore somministrazioni di medicinali alla donna. Prima di questo trasferimento avviene, però, una selezione degli embrioni per scegliere quelli più “adatti”: la selezione viene fatta sia mediante osservazione degli embrioni (vengono scelti quelli che crescono meglio, più grossi ecc.), sia mediante la Diagnosi genetica preimpianto nel caso in cui si temano delle anomalie genetiche dell’embrione.

Scelti gli embrioni più adatti tra quelli sopravvissuti (alcuni muoiono direttamente in provetta) ed eseguito il trasferimento, si verifica se si instaura una gravidanza e, se ciò avviene, la si monitora fino al parto. Gli embrioni che non vengono trasferiti vengono congelati: è l’unico modo per permetterne la sopravvivenza perché, dopo alcuni giorni, gli embrioni rimasti in provetta muoiono.

Negli ultimi anni si è sviluppata la tecnica dello scongelamento e trasferimento degli embrioni: una volta scongelati, si tenta il loro trasferimento nel corpo della donna con le modalità già viste.

10. Si tratta di tecniche che comportano la morte di un enorme numero di embrioni e che, rispetto al desiderio di genitorialità delle coppie che vi accedono, risultano del tutto insoddisfacenti.

La morte degli embrioni e il fallimento dei tentativi è diretta conseguenza dell’artificialità delle tecniche che determina: a) la produzione di embrioni con anomalie genetiche; b) la difficoltà di impianto degli embrioni dopo il trasferimento in utero per la mancanza del cross talk che si instaura tra concepito e madre nella fecondazione naturale a partire dall’istante successivo al concepimento; c) un numero di aborti spontanei anomalo; d) la nascita di bambini morti o sottopeso o con anomalie genetiche in misura nettamente superiore a quanto avviene nella fecondazione naturale.

Per farvi comprendere di cosa stiamo parlando: nel 2019, secondo la Relazione del Ministro della Salute, a seguito dell’applicazione delle tecniche FIVET e ICSI sono stati formati 95.847 embrioni trasferibili, ne sono stati trasferiti 48.994 (51,1%) e ne sono stati crioconservati 46.853 corrispondenti al 48,9% dei formati e trasferibili totali. Sono nati 5.797 bambini vivi.

Quindi, 90.050 embrioni non sono diventati “bambini in braccio”: il 93,95 per cento, più di nove su dieci. Su dieci embrioni prodotti, solo uno potrebbe diventare un bambino in braccio, quattro (o cinque) moriranno nel corso della procedura e altri cinque verranno congelati. Quando e se saranno scongelati, ne morirà l’83%.

In sintesi, se, in un ciclo, vengono prodotti dieci embrioni, noi sappiamo che: cinque di loro saranno congelati; di questi cinque, in un futuro incerto, quando e se saranno scongelati, quattro di loro moriranno a seguito dello scongelamento e uno diventerà bambino in braccio; altri cinque di loro verranno trasferiti in utero: quattro di loro sicuramente moriranno durante una fase del ciclo, uno avrà il 50% di possibilità di diventare un “bambino in braccio”, oppure morirà.

Il numero totale degli embrioni morti nel 2019 a seguito dell’applicazione delle tecniche di II e III livello (FIVET, ICSI, scongelamento di embrioni), nel 2019, è stato di 112.722.

Quanto alla soddisfazione dei committenti: le percentuali di successo – cioè di bambino in braccio, che è l’obiettivo cui tendono le coppie – sono bassissime: con un solo ciclo il 10,2%, cioè una su dieci (ma le donne con più di 43 anni hanno una percentuale di bambino in braccio dell’1,4%); se, invece, le donne si sottopongono a più cicli, con conseguenti rischi per la salute, oltre a costi altissimi e aumento degli embrioni prodotti destinati a morire, le percentuali salgono ma, perfino per le donne giovani, non superano mai il 30%, mentre per quelle di età superiore a 34 anni non superano mai il 22%.

Quindi, su cinque coppie che si sono ripetutamente sottoposte agli interventi di cui si è parlato e che sopportano lo stress e la sofferenza dei ripetuti tentativi, solo una riuscirà ad avere un figlio in braccio, mentre le altre quattro resteranno definitivamente deluse.

11. A cosa serve la fecondazione in vitro?

La domanda non è banale: noi diamo per scontato che queste tecniche servano per dare bambini alle coppie che non riescono a concepirli naturalmente, ma la realtà è, almeno in parte, differente.

In primo luogo, l’eugenetica è insita nella fecondazione in vitro, che è nata per questo. Le tecniche perseguono questa finalità con la produzione di un grande numero di embrioni, con la selezione degli embrioni e la diagnosi genetica preimpianto, che impedisce di destinare embrioni “imperfetti” al trasferimento in utero; inoltre, l’esperienza delle banche dei gameti – maschili e femminili – dimostra che si possono selezionare tutte le caratteristiche genetiche dell’embrione per ottenere un bambino in braccio corrispondente ai desideri dei committenti: si seleziona la razza, il sesso, il colore degli occhi e dei capelli, le caratteristiche fisiche e – anche se forse c’è qualche truffa sottostante – anche quelle intellettive; quindi i committenti possono scegliere su un catalogo i “donatori” al fine di ottenere un bambino applicando le leggi di Mendel che conosciamo tutti.

La finalità di dare un bambino alle coppie che non riescono ad averlo naturalmente esiste, ma si declina con modalità inaspettate.

In primo luogo, la fecondazione extracorporea garantisce alle coppie di avere un bambino proprio: in effetti, il ricorso alle tecniche di fecondazione artificiale è l’alternativa all’adozione di bambini abbandonati o alla presa in affido di bambini in difficoltà. La differenza non è da poco: le coppie non vogliono accogliere un bambino che ha bisogno di genitori, con un atto d’amore simile (anzi: più grande) a quello dell’accoglienza di un bambino concepito naturalmente, ma ordinano e ottengono un bambino prodotto per loro. Per di più, pagano lautamente chi realizza l’ordine.

In secondo luogo, il target delle tecniche in Italia è formato soprattutto da coppie “anziane” (con riferimento all’età utile per avere figli), dove la donna ha più di 35 anni e arriva ad averne anche dieci di più. Quindi sono tecniche che permettono alle donne che lavorano di farlo senza “problemi” di figli: un “servizio” che, in realtà – questa è una mia opinione – più che rivolto a vantaggio delle donne è utile al mondo del lavoro, al quale i permessi per maternità, le poppate, le assenze per malattia del bambino ecc. danno molto fastidio.

Le tecniche, naturalmente, servono a soddisfare i desideri delle coppie omosessuali che vogliono un figlio. L’utero in affitto è una soluzione che si adatta perfettamente a questa situazione. Invece, nelle coppie di donne, si riscontra spesso il caso di un donatore maschio rimasto sconosciuto che feconda un ovocita di una delle donne e l’embrione così prodotto viene trasferito nell’utero dell’altra donna (oppure combinazioni simili).

In realtà, nel disegno complessivo dei teorici e pratici della fecondazione in vitro c’è ancora altro: la sperimentazione dell’ectogenesi – cioè, dell’utero artificiale – mira ad ottenere la nascita di un bambino che non è figlio di nessuno e che, pertanto, può essere destinato ai più vari scopi. Qui ci ricordiamo i racconti di fantascienza e ci sembrano irrealistici: ma tante cose che ci sembravano impossibili si sono realizzate

C’è, poi, la finalità della ricerca scientifica: da questo punto di vista gli embrioni soprannumerari – vale a dire quelli prodotti ma non trasferiti nel corpo delle donne – sono un “materiale genetico” assolutamente interessante per i ricercatori senza scrupoli.

Naturalmente si sostiene (e forse, in parte a ragione) che gli esperimenti sugli embrioni umani potrebbero servire per scoprire le cure per malattie e, quindi (indirettamente) a salvare la vita di tanti malati: si afferma, pertanto, che è legittimo svolgere esperimenti sugli esseri umani, destinati a morte sicura. Fra l’altro, come è noto, gli embrioni umani costano molto meno degli embrioni animali (la ricerca si fa sempre prima sugli animali e poi sugli uomini) e quindi si “salta” quel passaggio assolutamente essenziale per la ricerca.

Infine, tra gli esperimenti realizzati ci sono anche quelli terrificanti in cui si tenta di mischiare il materiale genetico di uomini e animali, per giungere a produrre qualcosa/qualcuno che non è né uomo né animale: una finalità che si collega agli scenari di cui abbiamo detto sull’utilizzo dell’utero artificiale. Il tentativo di produrre uomini facendo a meno della fecondazione naturale si riscontra anche negli esperimenti di clonazione e nei tentativi di realizzare un seme maschile sintetico.

12. Mi interessa entrare insieme a voi nella logica di queste tecniche.

Proviamo a comprenderla rapidamente analizzando in che modo i teorici e i pratici di questa pratica vedono i tre protagonisti: l’embrione prodotto e i due genitori (è già difficile usare questo termine).

L’embrione. L’embrione è un “prodotto”: nel significato letterale del termine, poiché esso viene, appunto, prodotto; non a caso, la legge n. 40 del 2004 utilizza i termini “produzione” o “prodotto”, con riferimento agli embrioni, in alternativa ai termini “creazione” o “creato”.

La tecnica di fecondazione in vitro più diffusa, l’I.C.S.I. (in italiano: Microiniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo), permette la produzione di un singolo determinato embrione: con tale tecnica, infatti, viene preventivamente selezionato un solo spermatozoo che viene iniettato in uno specifico oocita a sua volta selezionato.

Soprattutto, l’embrione viene prodotto perché serve ad uno scopo, è utile rispetto ad un obiettivo; le tecniche di fecondazione artificiale hanno un senso solo con riferimento allo scopo che, di volta in volta, esse perseguono.

La natura di prodotto si riflette inevitabilmente sulla considerazione che dell’embrione ha l’autore della produzione: la sua esistenza dipende dalla volontà e dall’azione di chi lo produce; le sue caratteristiche dipendono dalle scelte degli adulti; esso viene prodotto quando è necessario; può essere prodotto “in serie”; e, poiché serve ad uno scopo, deve superare il “controllo di qualità” tipico di quelle produzioni, mediante la diagnosi genetica preimpianto: non essere, quindi, malato, imperfetto, poco vitale.

Pensate in che modo, invece, sono percepiti gli embrioni concepiti naturalmente a seguito di rapporto sessuale: essi si impongono agli adulti, perché un rapporto sessuale non determina necessariamente un concepimento e, quindi, l’uomo e la donna non sanno se vi sarà un concepimento e quando avverrà; non solo: la donna non si avvede del concepimento nel momento in cui esso avviene – come invece accade nella fecondazione in vitro con l’esame della provetta in cui sono stati posti oocita e spermatozoi – ma solo successivamente, quando l’embrione esiste già.

L’embrione concepito naturalmente non fatica ad imporsi – prima alla donna, poi agli altri adulti – come “altro”, soggetto che, pur nel corpo della madre, esiste autonomamente, perché ha iniziato la sua esistenza in un momento sconosciuto e non percepito, lo ha fatto a prescindere dalla volontà di chi l’ha generato (mentre una volontà diretta alla sua creazione non sempre produce l’effetto voluto); soggetto diverso da madre e padre e che ha un proprio progetto (che, non a caso, talvolta collide con i progetti e la volontà degli adulti).

Se l’embrione è un prodotto, non ha alcun senso un bilanciamento degli interessi tra il diritto alla vita del concepito e quelli degli adulti: l’embrione in vitro dipende in tutto e per tutto (il “se” e il “quando” della fecondazione; le caratteristiche; le finalità che gli sono state assegnate) da coloro che l’hanno prodotto.

Quindi, gli embrioni possono essere prodotti nel numero voluto, selezionati, sottoposti a diagnosi invasive, scartati, soppressi, destinati ad esperimenti scientifici. Sono – diciamolo brutalmente – “cose”, non esseri viventi appartenenti alla specie umana; “cose” di proprietà di chi le ha prodotte o di chi le ha comprate.

Fin dalla nascita delle tecniche di fecondazione in vitro si sono negati all’embrione umano la sua dignità e i suoi diritti. Qui basta ricordare il responso della Commissione Warnock, in Gran Bretagna, che, già nel 1984, autorizzava la sperimentazione sugli embrioni con un ragionamento che fa rabbrividire: pur ammettendo esplicitamente che “una volta che il processo dello sviluppo è iniziato, non c’è stadio particolare dello stesso che sia più importante di un altro; tutti sono parte di un processo continuo (…) da un punto di vista biologico non si può identificare un singolo stadio nello sviluppo dell’embrione, prima del quale l’embrione in vitro non sia da mantenere in vita”, concludeva:

“Tuttavia si è convenuto che questa era un’area nella quale si doveva prendere una precisa decisione al fine di tranquillizzare la pubblica ansietà” e raccomandava: “la maggioranza di noi raccomanda che la legislazione dovrebbe disporre che la ricerca possa essere condotta su ogni embrione risultante dalla fertilizzazione in vitro, qualunque ne sia la provenienza, fino al termine del quattordicesimo giorno dalla fecondazione”. Quindi: sono esseri umani, ma deve essere possibile sperimentare sugli stessi nelle prime settimane di vita!

13. Che dire dei genitori?

Se noi pensiamo alle varie fasi della procedura, è facile comprendere che il ruolo dell’uomo e della donna viene stravolto rispetto alla fecondazione naturale.

L’uomo è produttore di seme (a volte direttamente prelevato); la donna è a sua volta produttrice di ovociti e contenitore prima degli ovociti e poi dell’embrione. Le due persone diventano niente più che la “funzione” che sono in grado di fornire e ne viene negata la loro dignità di uomini e donne “completi”.

In quanto non più uomo e donna, ma “funzione”, secondo la ferrea logica della fecondazione in vitro essi possono essere sostituiti per il raggiungimento del risultato: quanto all’uomo, la ricerca scientifica cerca di fare a meno del seme maschile mediante le tecniche di clonazione, in cui un ovocita femminile viene fecondato mediante il trasferimento del nucleo di un altro embrione, senza introduzione di spermatozoi, oppure mediante i tentativi di produzione di seme maschile “artificiale”; nel frattempo, la sostituzione della sua funzione è ottenuta mediante la fecondazione eterologa, con l’utilizzo di seme fornito da “donatore” (che di solito viene retribuito).

La donna, per la sua funzione di fornitrice di ovociti, può essere sostituita con la fecondazione eterologa (il prelievo di ovociti a pagamento, con gravi rischi per la salute delle ragazze, da parte delle studentesse universitarie negli Stati Uniti per pagarsi gli studi, risale a molti decenni fa); quanto, invece, alla sua funzione di luogo in cui viene condotta la gravidanza fino al parto, con la maternità surrogata che, tuttavia, è una soluzione vista come provvisoria, poiché gli “scienziati” (se li vogliamo chiamare così) da sempre progettano una soluzione interamente tecnologica, l’utero artificiale (ectogenesi), un macchinario al cui interno venga posto l’embrione e che lo cresca per i nove mesi necessari, fino ad un “parto artificiale”, con sostituzione integrale del corpo della donna.

Ovviamente l’utero artificiale presuppone il disconoscimento dell’importanza del rapporto madre – figlio durante i nove mesi della gravidanza: anzi, volutamente lo cancella. Si comprende, quindi, perché, per la soluzione “provvisoria” dell’utero in affitto, il legame tra la donna che ha condotto la gestazione e ha partorito e il bambino viene brutalmente – ma del tutto logicamente – negato: la donna è funzione retribuita, quindi i suoi sentimenti non contano; il bambino è stato prodotto per essere acquistato da altre persone che lo possano tenere come se fossero i suoi genitori, quindi a questo deve servire, e non ad altro.

14. Ecco che possiamo comprendere fino in fondo il fenomeno dell’utero in affitto – che tanto ci indigna e, perché no, ci sorprende (“come è possibile che avvengano queste cose?”) – se ci rendiamo conto che abbiamo – o almeno: la società ha – ormai recepito una serie di pratiche malvage di cui la maternità surrogata è una applicazione, se non una conseguenza “logica”.

In definitiva, siamo di fronte alla pretesa di ‘riscrivere’ la natura umana: non si tratta soltanto di superare un obbligo morale o religioso che richiede che il concepimento avvenga nell’ambito di un legame matrimoniale, ma di riscrivere le figure di padre, madre e figlio. Nel disegno della fecondazione extracorporea – ancora non completo, come si è visto – i bambini, in primo luogo, sono figli di nessuno: non solo non più amati e accolti come dono di amore, ma di origine genetica ignota, privati anche del legame derivante dalla gestazione umana, acquistati, previa valutazione della mancanza di difetti e, se del caso, anche dei suoi pregi (razza, qualità fisiche ed intellettuali ecc.), se, quando e nel numero richiesto. Esattamente come quando si va a scegliere un cucciolo in un negozio di animali.

Gli uomini e le donne adulti, poi, sono visti come individui isolati: per “avere” un figlio basta comprarlo e, quindi, non è necessario essere in due, si può essere da soli, oppure in due, dello stesso sesso o di sesso diverso oppure in più di due. L’esperienza della genitorialità è totalmente persa e con questa la visione della vita umana come successione di generazioni (basta pensare ai nonni: concetto palesemente senza senso in questa logica).

In questo cinismo complessivo cadono anche le donne povere del terzo mondo o quelle disagiate (o povere) del primo mondo che si prestano a fare da incubatrici naturali dei bambini che verranno loro strappati immediatamente dopo la nascita.

Su questo quadro regnano, ovviamente, due fattori: il desiderio umano e i soldi; di soldi, in questo mondo, ne girano tantissimi, non occorre rimarcarlo e il desiderio è sollecitato da coloro che vogliono fare i soldi producendo e vendendo bambini.

15. Ma è concentrando la nostra attenzione sul desiderio e sui limiti che esso deve avere che possiamo iniziare a tornare alla ragione. Abbiamo visto quel passaggio – questo sì, sorprendente – della sentenza delle Sezioni Unite secondo cui il desiderio di genitorialità non si può trasformare automaticamente in un diritto alla genitorialità: un inizio di ripensamento – in una società in cui si sostiene che i desideri devono potere diventare diritti – di fronte ad una legge italiana che, in realtà, altro non fa che riconoscere il diritto degli adulti ad accedere alla fecondazione artificiale?

“Non è lecito”, diceva Giovanni Battista ad Erode; non è lecito trasformare i nostri desideri in diritti, accedendo a pratiche che mettono in pericolo la natura umana e ledono la dignità e i diritti degli altri.

*magistrato presso la Suprema Corte di Cassazione.
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