Una persona può commettere peccato mortale anche quando non ne conosce la gravità?

Per compire un peccato grave è necessario che vi sia materia grave e che contemporaneamente vi sia piena avvertenza della mente e deliberato consenso della volontà.

Per piena avvertenza della mente s’intende che uno sia padrone della propria azione al punto che la può comandare o sospendere in qualsiasi momento (è la cosiddetta avvertenza psicologica) e che abbia la consapevolezza che si tratta di un peccato grave (avvertenza morale).

Se uno non sa affatto che una determinata azione sia peccato grave, soprattutto perché si tratta di un’infrazione ad una legge positiva (divina o umana) soggettivamente non commette peccato.

Ma se la legge che infrange è una legge naturale, scritta nel cuore dell’uomo, allora è difficile che non gli sorga qualche remora sulla bontà o sulla malizia di quell’azione.
A questo punto la coscienza gli impone di informarsi e di far luce sulle sue azioni.
Se non lo fa, la coscienza diventa responsabile delle azioni che compie.
Infatti esiste anche una coscienza invincibilmente ma colpevolmente erronea come quando l’uomo poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all’abitudine del peccato.

Inoltre per compiere un peccato mortale non si richiede di avere la volontà esplicita di offendere Dio.
Di fatto lo si offende implicitamente anche quando si fa qualche azione che da lui non è permessa.
Quante azioni si compiono senza pensare di offendere Dio! Chi ad esempio nel commettere atti impuri di vario genere vuole offendere esplicitamente il Signore? Nessuno o quasi.
Si deve evitare di ridurre il peccato mortale ad un atto di opzione fondamentale, come oggi si suol dire, contro Dio, concepito sia come esplicito e formale disprezzo di Dio e del prossimo sia come implicito e non riflesso rifiuto dell’amore
Si ha, infatti, peccato mortale anche quando l'uomo, sapendo e volendo, per qualsiasi ragione sceglie qualcosa di gravemente disordinato.

“Per qualsiasi ragione”: e cioè anche se uno non pensa di offendere Dio.
Di fatto lo si offende perché si trasgredisce un suo comandamento.
Gesù ha detto: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama” (Gv 14,21).
E San Giovanni: “Da questo sappiamo d'averlo conosciuto (e cioè amato, n.d.r.): se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: «Lo conosco» e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui” (1 Gv 2,3-4).

In effetti, in una tale scelta è già contenuto un disprezzo del precetto divino, un rifiuto dell'amore di Dio verso l'umanità e tutta la creazione: l'uomo allontana se stesso da Dio e perde la carità.
Il male commesso a causa di una ignoranza invincibile, o di un errore di giudizio non colpevole, può non essere imputabile alla persona che lo compie; ma anche in tal caso esso non cessa di essere un male, che finisce col rivolgersi contro l’uomo stesso, con un’oscura e potente forza di distruzione.
Inoltre, il bene non riconosciuto non contribuisce alla crescita morale della persona che lo compie: esso non la perfeziona e non giova a disporla al bene supremo.

Pertanto, anche se uno crede di non fare del male a nessuno, fa un male molto grave a se stesso e al partner con cui lo compie.
Questo male ha le sue prime e più importanti conseguenze sul peccatore stesso: cioè nella relazione di questi con Dio, che è il fondamento stesso della vita umana; nel suo spirito, indebolendone la volontà ed oscurandone l’intelligenza.
Per questo Sant’Agostino dice che “il peccato è una maledizione” (Contra Faustum, 14,4), vale a dire un certo maleficio che uno fa a se stesso.

ISTRUZIONE CATTOLICA