L'ateismo è peccato?

Se Dio ha concesso all'uomo il libero arbitrio, cioè la libertà di scegliere se credere o non credere alla Sua esistenza, perché mandare all'inferno chi non crede? Innanzitutto sfatiamo un mito moderno che vede la libertà come il fare ciò che si vuole. La libertà rettamente intesa non è questo, ma andiamo per gradi.

San Tommaso insegna che“L’uomo è simile a Dio non per il corpo, ma per l’anima, che ha la volontà libera e incorruttibile” (Expositio in Symbolum Apostolorum) e che per la libertà egli è “causa sui” (Somma teologica, I, 14,1), “principio delle sue opere… e potestativo sulle proprie azioni” (Ib., I-II, prol ) sebbene sia tutto relativo a Dio Creatore, che è al centro di tutto, mentre l'uomo è creato per riferirsi sempre e solo a Dio e non a se stesso.
Ma il medesimo san Tommaso ricorda chela libertà “non è portata al bene e al male alla stessa maniera: perché la tendenza al bene è assoluta e naturale; quella invece al male è un difetto, e contro l’ordine della natura” (Ib., III, 34, 3, ad 1).
Si comprende allora come mai il Magistero della Chiesa in un documento sulla teologia della liberazione dica che “quando l’uomo vuole liberarsi dalla legge morale e si rende indipendente da Dio, invece di conquistare la libertà, la annienta” (Istruzione Libertatis conscientia, 19).

Ciò significa che l’uomo in forza della sua libertà non può fare quello che vuole. Ad esempio, non può ammazzare, né rubare, né dire che due più due facciano cinque.
La libertà gli è stata data perché possa fare elettivamente e cioè responsabilmente e pertanto con amore e con merito il proprio dovere.
C’è un legame intrinseco tra libertà e verità.
Non siamo liberi di fare il male. Non dobbiamo farlo in nessun modo. È proibito farlo.
Compierlo è un abuso della libertà, che non ci è stata data per questo.

Siamo liberi invece nel fare il bene, nel decidere come, quando e con quale intensità compierlo.
Inoltre ci sono delle realtà che ci precedono e che non sono in nostro potere. Sicché sì, l’uomo è libero, ma nonostante la sua libertà quante cose gli si impongono e non è libero di sceglierle.
Gli si impone la propria natura di essere persona anziché un semplice animale.
Gli si impone di essere dotato di un corpo regolato da leggi perfettissime dalle quali non può derogare pena la sua sofferenza e anche la sua morte.
Gli si impone di essere razionale e libero!
Gli si impone la presenza degli altri con la loro storia.
Gli si impone il creato con le leggi che lo regolano, con la varietà dei suoi elementi, riflesso meraviglioso della perfezione del suo Autore.
Gli si impone la presenza di Dio: “poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro” (Rm 1,19).
E il motivo è chiaro: “Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute.
Essi dunque non hanno alcun motivo di scusa” (Rm 1,20).
“Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore” (Sap 13,5).

Non che l’esistenza di Dio sia evidente. Ma non è difficile riconoscerla.
“Le opere da lui compiute” ci rimandano continuamente alla sua presenza tanto che il grande sant’Agostino diceva: “E cielo e terra e tutte le creature in essi d’ogni parte mi dicono di amarti e non cessano di dirlo a tutti affinché “siano senza scusa” (Rm 1,20)” (Confessioni, X, 6, 8).

Pertanto non riconoscere la presenza di Dio - a meno che uno non vi sia ancora giunto per un difetto di ragionamento o per qualche blocco di ordine psichico - è un peccato oppure è sintomo di un peccato, di un ottenebramento che non è scusabile.
Scrive San Tommaso a questo proposito: “L'ignoranza scusa la colpa quando procede causando la colpa, non quando è causata da essa. Come quando qualcuno, applicata la dovuta attenzione, percuote il padre mentre crede di percuotere il nemico.
Ma se l'ignoranza è causata dalla colpa non può la stessa ignoranza scusare la colpa che segue.
Perciò se qualcuno commette un omicidio a causa dell'ebrietà non viene scusato dalla colpa, perché ubriacandosi ha peccato” (Commento a Rm 1,20).

Per questo san Tommaso afferma che “l'esistenza di Dio ed altre verità che riguardano Dio si possono conoscere con la ragione naturale” (Somma teologica, I, 2, 2, ad 1).
Queste “non sono verità di fede, ma preliminari alla fede” (Ib.).
Tutti sono chiamati a prenderne possesso perché Dio, dalle opere da Lui compiute, si è reso manifesto.

ISTRUZIONE CATTOLICA

DolceMente
@Istruzione Cattolica Le tue catechesi sono sempre illuminanti. Grazie!