Martin Lutero e quel che non si dice

Vi sono molte testimonianze sia protestanti che cattoliche su quale fu l’ultimo e insano gesto disperato di Lutero. Una di quelle, per la quale la si può considerare la più credibile, è la testimonianza del suo servo personale, Ambrogio Kuntzell. Egli, confuso nell’animo per la fine orribile del suo padrone, confessò ciò che aveva visto.Ecco la sua testimonianza:

- Martin Lutero, la sera prima della sua morte, si lasciò vincere dalla sua abituale intemperanza e con tale eccesso che noi fummo obbligati a portarlo via del tutto ubriaco e coricarlo nel suo letto. Poi, ci ritirammo nella nostra camera, senza presagire nulla di spiacevole. All’indomani, noi ritornammo presso il nostro padrone per aiutarlo a vestirsi come d’uso. Allora – oh, quale dolore! - noi vedemmo il nostro padrone Martino appeso al letto e strangolato miseramente. Aveva la bocca contorta, la parte destra del volto nera, il collo rosso e deforme… ”Costoro (prìncipi suoi convitati) colpiti dal terrore come noi, ci impegnarono subito, con mille promesse, e coi più solenni giuramenti, ad osservare il massimo silenzio in quanto nulla fosse fatto trapelare. Ci ordinarono di staccare il cadavere da quel capestro e di metterlo sul letto e di divulgare in seguito al popolo, come il “ maestro Lutero” aveva improvvisamente lasciato questa vita.- Questo fu il racconto del suo servo Kuntzell (o Kudtfeld) pubblicato ad Aversa nel 1606, dallo storico Henricus Sèdulius (1549-1621)

Un certo dottor De Coster, constatò che la bocca di Lutero era contorta, che la parte destra del suo viso era nera e che il collo era rosso e deforme, come se fosse stato strangolato. A tal prova, esiste un ritratto, effettuato con la tecnica dell’incisione, che venne eseguito, il giorno dopo la morte di Lutero, da Lucas Fortnagel, documentando così l’anatomica deformazione del suo volto. (Questa incisione fu pubblicata da Jacques Maritain nella sua opera: “ Tre Riformatori” a pag. 49).

Quindi Lutero non morì di morte naturale come i protestanti hanno scritto falsamente sui loro libri, ma morì suicida e Maritain, inoltre, elenca una serie di nomi relativi ad amici e suoi primi discepoli che si suicidarono anche loro.
Altra testimonianza fu quella dell’oratoriano Th. Bozio, che nel suo “De signis Ecclesiae” del 1592, scrisse di aver appreso da un servo di Lutero della sua morte, avendolo trovato impiccato alle colonne del suo letto.
Un’altra ancora fu quella del dott. G. Claudine, che nella “Cronaca Medica” del 1900 a pag.99, pubblicò il testo di quella deposizione.
Certo non è bello parlare di un personaggio storico così noto iniziando dalla sua morte, ma personalmente l’ho trovato così, diciamo…liberatorio…Perché…!? Perché è stato cacciato dalla finestra e ora lo vogliono far rientrare dalla porta.

PRIME FALSITA’
Lutero, nacque a Eisleben, in Sassonia il 10 di novembre 1483. Trascorse i suoi primi quattordici anni a Mansfeld, frequentando le scuole private locali.Per un anno frequentò la scuola dei canonici a Magdeburgo, successivamente la scuola di S.Giorgio a Eisenach. A 18 anni entrò nell’università di Erfurt dove studiò filosofia e diritto. Nel 1505 era già dottore in Filosofia. Ora, la motivazione della sua entrata in convento degli “Eremiti Agostiniani”, avvenuta il 17 di luglio 1505, così come la raccontò lo stesso Lutero, risultarono essere molto difformi dalla realtà. Egli, nella sua versione, disse che vi entrò, non perché attratto, quanto invece ne fu trascinato per la paura di una morte improvvisa (“non tam tractus quam raptus”). Nel suo racconto vuole far credere che in seguito ad un violentissimo uragano, nei pressi di Stotternheim, subì un forte trauma per lo spavento in quanto stava per morire. In realtà, secondo quanto fu pubblicato da un giurista di nome Dietrich Emme, sul suo libro “Martin Luther, Seine jugend unde studienzeit 1483-1505. Eine dokumentarische darstelleng ( La giovinezza e gli anni di studio dal 1483 al 1505. Bonn 1983), Lutero entrò in convento per non cadere sotto gravi sanzioni giuridiche per aver ferito a morte, durante un duello, un suo collega di studi.

Jérom Buntz, è il nome del suo collega di studi, che dopo aver superato insieme l’esame di “Magister”, venne ferito a morte dallo stesso Lutero. Per sfuggire alla condanna, oltre che incorrere in due scomuniche, andò dal suo protettore e amico Johannes Braun, vicario collegiale a Eisenach, per chiedergli consiglio, il quale , per evitare un processo giudiziario, lo sollecitò ad entrare in un ordine religioso.

Fu così che entrò nel convento degli “Agostiniani”, in quanto lo stesso convento era coperto dal diritto di asilo. In seguito fattosi “frate”, anche se reo confesso del suo delitto, rimase sempre inquieto e turbato. Lo dirà lui stesso durante una predica nel 1529: “ Ego fui, ego monachus , der mit ernst fromm wolt sein. Sed je tieffer ich hin ein gangen bin, yhe ein grosser bub et homicida fui”. (Io fui, io Monaco, che voleva essere seriamente pio. Invece, sprofondai ancor di più: io sono stato un grande mascalzone e omicida. WA W 29,50,18). In un altro discorso conviviale trascritto dal filosofo e teologo protestante Veit Jakobus Dieterich si legge: "Per un singolare consiglio di Dio, sono diventato monaco affinchè non mi arrestassero, altrimenti lo sarei stato facilmente e così non poterono, poiché tutto l’Ordine si occupava di me "(WA tr 1,134,32)

Non si può fare a meno di pensare che la sua chiamata divina, più che un bisogno interiore di solitudine di preghiera e di servizio, fu causata da una paura piena di angosce e lotte morali, con continui periodi di crisi e mancanza di pace interiore per evitare un processo ed una condanna, sicuramente a morte.

Fu dopo questo tormentato e travagliato approcciarsi alla fede che cominciò probabilmente, con sofisticati ragionamenti, a teorizzare sulla “giustificazione mediante la sola fede” senza le opere, grazie al sacrificio del Cristo che ha portato su di sé i peccati degli uomini. Infatti sul suo testo “ In Esaiam prophetam scholia”:…”i miei peccati non sono miei, perché essi non sono in me, ma sono in un altro, cioè nel Cristo, per cui non possono nuocermi…bisogna che essi (i peccati) siano allontanati dal tuo sguardo, in modo che tu abbia a guardare non quello che tu hai fatto, non la tua vita, non la tua coscienza, ma il Cristo…

Estrapolando alcuni episodi della sua vita, racconta un suo amico, Filippo Schwarzerde detto Melantone (14947-1560), collaboratore di Lutero nell’opera della Riforma protestante, che spesso, quando Lutero pensava con profonda attenzione alla collera di Dio, o ai clamorosi esempi di castighi divini, egli veniva colpito da un terrore tale da perdere quasi i sensi. Ripeteva frequentemente “Dio ha rinchiuso gli uomini nel peccato per usare misericordia a tutti.” (conclusit omnes sub peccatum ut omnium misereatur). Come se cercasse di far ricadere su Dio la responsabilità dei peccati degli uomini.

Il teologo e umanista Iohann Cochleus (1459-1552) racconta a sua volta di una crisi che colse Lutero quando era monaco. Mentre assisteva ad una lettura del vangelo di san Marco e precisamente un passo che riguardava un indemoniato, Lutero cadde a terra gridando:”Non sono io! Non sono io!…

In un frammento del “Propos de Table “, vi è un dialogo tra Lutero e il pastore di Guben, M.Leonardt avvenuto nel 1551. Lutero racconta che una volta il diavolo lo aveva malvagiamente tormentato e spinto fino al punto di non essere più capace di recitare il Padre Nostro e i salmi. In altre occasioni lo aveva istigato ad uccidersi nel momento in cui,sentendosi deriso, aveva preso un coltello in mano. In seguito a questo episodio, tutte le volte che si presentava l’occasione di prendere in mano un coltello, lo gettava via lontano da sé.

“Si racconta”, anche, che una volta Lutero parlando con sua madre, lei gli chiese se doveva cambiare religione. Lui le rispose: ”No, restate cattolica, perché io non voglio ne ingannare ne tradire mia madre”. Alcuni credono che non può averlo detto, però “si dice”, che questo documento, pare che si trovi nella biblioteca del Convento di Santa Maria della Minerva a Roma.

Il Papa Pio VI, il 9 di marzo del 1793 definì Lutero “eretico insensato”. E ne aveva tutte le ragioni. La sua vita fu macchiata fin dalla età giovanile, da un omicidio e terminò miseramente e tragicamente suicida. Fra le bestemmie, le ubriacature e gozzoviglie varie, (doctor plenus); tra spergiuri e sacrilegi, ebbe l’arroganza anche di sposarsi, con nozze sacrileghe, una monaca, una certa Caterina Bora che convinse a spogliarsi degli abiti monacali.

Si manifestò come un apostata a causa della sua “Riforma”; una vera sovversione della fede, della morale e della costituzione divina della Chiesa. Nemico mortale del Papa, fu un diabolico affossatore della Messa. “Io dichiaro che tutti i postriboli, gli omicidi, i furti, gli assassinii,e gli adulteri, sono meno malvagi di quella abominazione che è la Messa papista.”

Prima di vedere come oggi la Chiesa ha rivisitato e rivalutato questo personaggio oscuro definito eretico dalla Chiesa da sempre, sarebbe bene conoscere alcuni suoi pensieri deliranti e decisamente anticattolici:

Io non posso più pregare senza maledire!…

Maledetto! Sia dannato il nome del papista!…

Maledetto! Che sia dannato e annientato il papismo!

Maledetto! Che siano dannati i piani dei papisti!…

Ecco la mia preghiera!


Ancora…

Prima di me, non c’è stato nessuno che abbia saputo che cos’è il Vangelo, il Cristo, il Battesimo, la Penitenza, che cos’è un Sacramento, la Fede, lo Spirito, le buone opere, i 10 Comandamenti, il Pater Noster, la preghiera, la sofferenza, il Matrimonio, la consolazione, l’autorità civile, i genitori, i figli, il padrone, il servo, la donna, la serva, il diavolo, l’Angelo, il mondo, la vita, la morte, il peccato, il diritto, la remissione dei peccati; chi è Dio, che cos’è un vescovo, un parroco, la Chiesa, la Croce. (…) Ma ora, grazie a Dio uomini e donne, giovani e vecchi, sanno il loro catechismo, cioè il “Deutsch Catechismus”, ossia “Il Grande Catechismus” scritto da me Martinus Luther”.

Quando la Messa sarà stata rovesciata, io sono convinto che avremo rovesciato con essa il papato (…). Io dichiaro che tutti i postriboli, gli omicidi, i furti, gli assassinii e gli adultèri sono meno malvagi di quella abominazione che è la Messa dei papi”.

Eppure, nonostante tutto, oggi qualche cardinale ha definito Lutero con estrema impudenza: “Il nostro comune maestro”. Il cardinale Willebrands, segretario per l’unità dei Cristiani affermò già nel lontano 1970 durante L’Assemblea plenaria della “Lega Mondiale Luterana a Evianne in Svizzera che: “nel corso dei secoli, la persona di Martin Lutero non è stata apprezzata rettamente e la sua teologia non è stata sempre resa in modo giusto?” Ma ciò che lascia impietriti è una lettera di Giovanni Polo II indirizzata al cardinal Willebrands nel cinquecentesimo anniversario della nascita di Lutero. In questa lettera firmata dallo stesso Papa si vuol riconoscere a Lutero una “profonda religiosità”.

Non so quale religiosità avrebbe riconosciuto in Lutero, sapendo, o forse no, il che sarebbe meglio, che l’eretico derideva la preghiera mentale e il raccoglimento interiore con affermazioni tipo: “esto peccator et pecca fortifer”?

Ma bisogna riconoscere a qualcun’altro la quasi “beatificazione” di Lutero. Entra in scena il cardinale tedesco Walter Kasper, emerito teologo modernista presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, che afferma: ”Da Lutero abbiamo molto da imparare, a cominciare dall’importanza attribuita alla parola di Dio. Da tempo nella Chiesa cattolica si sta affermando una visone più positiva, una concenzione meglio articolata di Lutero come figura che ha anticipato aspetti che la Chiesa ha nel tempo riscoperto e inscritto nel proprio percorso”. Insomma…un vero profeta!?

L’allora cardinal Ratzinger rifletteva, e seriamente, su ciò che c’era, nel frate agostiniano di grande e su ciò che c’era da salvare nella sua teologia. Mentre da Papa Benedetto XVI si sorpassava affermando: “Non sbagliava quando sosteneva che ci si salva solo per fede…ancora: “LUTERO AVEVA MOLTE IDEE CATTOLICHE” !

In conclusione, non ci rimane che confermare, purtroppo, ciò che noi cattolici vigili e confortati dalla Tradizione, pensiamo da moltissimi anni. In nome di un distorto ecumenismo di natura massonica Lutero, già cacciato fuori dalla Chiesa da cinque secoli di storia e dal Concilio di Trento, lo si sta facendo rientrare dalla porta lodato ed elogiato pubblicamente.
Maurizio Muscas
@Walter Ti ricordo che il Belgio era in gran parte cattolico.
Walter
Se noi pensiamo a quel paese eretico protestante, il Belgio, dove si applica la cultura della morte (aborto, eutanasia), leggi sodomitiche (matrimoni gay e deviazioni varie), divorzio, pedofilia, alla loro sfrontatezza sulle questioni dottrinali, liturgiche e tradizionali… altro che misericordina!
Si sono già condannati a patire le tribolazioni del fuoco delle fiamme eterne.Altro
Se noi pensiamo a quel paese eretico protestante, il Belgio, dove si applica la cultura della morte (aborto, eutanasia), leggi sodomitiche (matrimoni gay e deviazioni varie), divorzio, pedofilia, alla loro sfrontatezza sulle questioni dottrinali, liturgiche e tradizionali… altro che misericordina!

Si sono già condannati a patire le tribolazioni del fuoco delle fiamme eterne.
Maurizio Muscas
Ricordiamo l'attribuzione a quel tristo data dall'OSSERVATORE ROMANO: VENERABILE....
MicheleMaria (Giuseppe)
Pardon, *due cose, non due fosse! Colpa del correttore automatico automatico 😁
MicheleMaria (Giuseppe)
Tipico della distorta dottrina protestante il "creder che la fede e le opere non siano legate l'una alle altre". Citando alcuni passi biblici (Rm 4,1-13; Ef 2,8; Tt 3,3-7), molti non-cattolici affermano che la salvezza viene esclusivamente dalla fede (peraltro non rendendosi conto di stare separando due cose che sono tra loro legate). La Sacra Scrittura, però, va letta correttamente e integralmente …Altro
Tipico della distorta dottrina protestante il "creder che la fede e le opere non siano legate l'una alle altre". Citando alcuni passi biblici (Rm 4,1-13; Ef 2,8; Tt 3,3-7), molti non-cattolici affermano che la salvezza viene esclusivamente dalla fede (peraltro non rendendosi conto di stare separando due cose che sono tra loro legate). La Sacra Scrittura, però, va letta correttamente e integralmente. Leggiamo quindi pure quei passi biblici che spesso – in questo caso – vengono omessi dai non-cattolici:

Leggiamo in S. Giacomo 2,14-26: “Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa. Al contrario uno potrebbe dire: Tu hai la fede ed io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede. Tu credi che c’è un Dio solo? Fai bene, anche i demòni lo credono e tremano! Ma vuoi sapere, o insensato, come la fede senza le opere è senza valore? Abramo, nostro padre, non fu forse giustificato per le opere, quando offrì Isacco, suo figlio, sull’altare? Vedi che la fede cooperava con le opere di lui, e che per le opere quella fede divenne perfetta e si compì la Scrittura che dice: E Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato a giustizia, e fu chiamato amico di Dio. Vedete che l’uomo viene giustificato in base alle opere e non soltanto in base alla fede. Così anche Raab, la meretrice, non venne forse giustificata in base alle opere per aver dato ospitalità agli esploratori e averli rimandati per altra via? Infatti come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta.” E il Signore Gesù, invece, disse: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7,21). È esplicito nostro Signore quando parla di “QUEL GIORNO”. Egli dice: “Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch’essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna».” (Mt 25,34-46). Ora, anch’io credo che la salvezza – come afferma S. Paolo – viene per la fede. Ma è proprio nell’avere fede che sappiamo che, questa, per essere concreta, deve rivelarsi appunto nelle opere. Poiché avere fede, amare Dio, esige che si ami pure il prossimo, sicché è scritto: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Mt 22,37-39). Dunque, amare Dio significa amare il prossimo, che come noi “è tempio dello Spirito Santo”. Perché, chi ama Dio, ama prendersi cura dell’altro [per mezzo delle opere]. Ma “chi non ama” – l’amore non è solo una bella parola, deve essere un fatto concreto – afferma l’apostolo dell’amore, “non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (1 Gv 4). Quindi, siamo giustificati in virtù della fede (Rm 5,1), ma la fede per essere concreta ha bisogno delle opere, altrimenti siamo come quell’individuo a cui fu affidato il talento, e che invece di farlo fruttificare, l’ha seppellito, attirando a sé lo sdegno del suo Signore (Mt 25,14-30). Il Signore ci mette davanti la possibilità di compiere le opere, ma siamo noi, nel nostro libero arbitrio a rispondere con il nostro “eccomi” alla volontà di Dfio. Siamo giustificati per la fede, ma qualora siamo davvero in buona fede. E se noi “conosciamo” ma non mettiamo in pratica, e omettiamo di fare la volontà di Dio, allora dov’è la nostra “buona fede”? Il Signore Gesù ci ha donato “la carta del fratello”, ed è per questo che abbiamo non solo il bisogno, ma pure il dovere – NELLE NOSTRE POSSIBILITÀ – di dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, etc.. È nostro Signore Cristo Gesù che ci esorta: “Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto come giusto, avrà la ricompensa del giusto. E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa” (Mt 10,40-42). Ed anche: “Se uno di voi ha un amico e va da lui a mezzanotte a dirgli: Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da mettergli davanti, e se quegli dall’interno gli risponde: Non m’importunare, la porta è già chiusa e i miei bambini sono a letto con me, non posso alzarmi per darteli, vi dico che, se anche non si alzerà a darglieli per amicizia, si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono almeno per la sua insistenza” (Lc 11,5-8). Come possiamo ben vedere, nel nuovo Testamento si parla di “salvezza per mezzo della fede”, ma pure di “opere”, senza le quali “la fede è morta” (lo afferma la Scrittura). Facciamoci questa domanda: “Se Gesù si presentasse dietro la porta di casa nostra per chiederci del pane, noi se ne avessimo la possibilità, gli daremo del pane, o glielo rifiuteremmo? E se lo vedessimo per la strada, accasciato, e con la sua mano tesa verso di noi, per chiederci di fargli l’elemosina, noi se potessimo gli faremmo l’elemosina, o gliela rifiuteremmo? E se Gesù fosse in carcere o in un letto di ospedale, e noi avessimo l’opportunità di andare a trovarlo, per consolarlo, faremmo per lui questo atto di misericordia, ho gli diremmo soltanto: “Signore, Signore”? Io credo che se ne avessimo l’opportunità, noi per lui faremmo tutto questo e molto di più! E allo stesso modo non dovremmo fare questo pure con i noistri fratelli bisognosi, se ne avessimo la possibilità? Questa è la vera fede, poiché pure l’apostolo delle genti ci esorta con il suo inno: ” Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova. La carità è paziente, è benigna la carità, non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!” (1 Cor 13). Nessuno può pretendere di essere salvato per le sole opere, poiché la fede deve essere sempre la prima cosa! Infatti dei due comandamenti più grandi della legge e i profeti, il primo è: “Amerai il Signore con tutto te stesso”. La fede quindi è la cosa più importante. Le opere però servono a mettere in pratica la fede, perché questa non sia una poesia uscita dalle labbra di un individuo che si lascia prendere dal solo entusiasmo delle sue emozioni del momento, ma sia risposta concreta a ciò che il Signore ci chiede. Le opere sono davvero importanti, poiché sono queste che danno testimonianza della nostra fede, sicché la nostra preghiera non diviene una preghiera ipocrita, detestabile dall’orecchio del nostro Dio: “…non chiunque dirà Signore, Signore…”, ma si trasforma in orazione a lui gradita, sicché in quel giorno diremo: “Signore, quando mai ti abbiamo assistito in tutte queste cose?”. Ed egli dirà: “e tutto ciò che avete fatto per uno solo di questi piccoli, l’avete fatto a me”. E se ne andranno questi alla vita eterna.
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