Il nuovo rito di consacrazione episcopale (1968) è assolutamente nullo e invalido

t.me/IstruzioneCattolica
“Quando saranno scomparsi i sacerdoti validamente consacrati,
[i modernisti] permetteranno la celebrazione della Messa in latino”
(Don Carl Pulvermacher, 1977)


Il 18 giugno del 1968, Giovanni Battista Montini/Paolo VI portava a compimento la riforma del Pontificale Romano, mutando così radicalmente, tra le altre cose, il Sacramento dell’Ordine Episcopale.
Il nuovo Sacramento risulta, ad un’attenta analisi, e come confidenzialmente rivelatomi da un arcivescovo cattolico nel 1970, decisamente invalido. Il problema dev’essere analizzato ricorrendo alla teologia dei Sacramenti, che illustra da una parte la natura dei princìpi utili per poter determinare la validità della forma sacramentale stessa e, dall’altra, la metodologia per poter applicare empiricamente tali leggi.
La Costituzione di Paolo VI ha introdotto un mutamento sostanziale rispetto alla forma dell’Ordine poiché, come prescritto da Papa Pio XII, essa deve inequivocabilmente esprimere l’effetto che si vuole produrre, ovvero il potere dell’Ordine e la relativa grazia prodotta dallo Spirito Santo. Inoltre Papa Pacelli, rispetto all’Ordinazione episcopale, ha chiaramente indicato la formula adatta allo scopo, in cui il potere dell’Ordine ricevuto dal Vescovo e la grazia conferita dallo Spirito Santo risultano senz’ombra di dubbio espresse.
In particolare, ecco la formula come voluta da Montini:
“Effondi ora sopra questo eletto la potenza che viene da te, o Padre, il tuo Spirito che regge e guida: tu lo hai dato al tuo diletto figlio Gesù Cristo ed egli lo ha trasmesso ai Santi Apostoli, che nelle diverse parti della terra hanno fondato la Chiesa come tuo santuario a gloria e lode perenne del tuo nome”[1].
In queste righe non troviamo traccia dello specifico potere dell’Ordine che si intende trasmettere. La consacrazione episcopale conferisce al nuovo Vescovo una specifica facoltà: quella di ordinare, a propria volta, sacerdoti e Vescovi. Ciò è completamente assente nel rito riformato.
Paolo VI ha inteso inserire antiche preghiere appartenenti alla liturgia copta e siro-occidentale. Però queste orazioni non hanno carattere sacramentale e vengono pronunciate quando l’ordinando è già stato consacrato Vescovo. L’orazione di Montini non era quindi usata con lo stesso scopo nel rito orientale.
E ancora: si è voluto attingere ad antiche fonti — quali, ad esempio, la Traditio apostolica di Ippolito, inserendone alcune parti nella Prefazione del nuovo rito — ma non possiamo affermare che ciò è sufficiente per validarlo. I testi a cui ci si riferisce sono infatti frutto di ricostruzioni relativamente recenti, la loro origine e attribuzione è solo presunta e, soprattutto, non esistono indizi certi che possano permetterci di identificare tali preghiere quali forme sacramentali ufficialmente consentite e impiegate come tali dalla Chiesa.
Ma l’ostacolo più difficile da superare riguarda l’identità e il significato dello “Spirito che regge e guida”, “Spiritus principalis”. Dom Bernard Botte (1883 – 1980), il religioso modernista vero artefice della riforma, sostenne che per il cristiano dei primi secoli Spiritus principalis corrispondeva alla funzione episcopale ed ai relativi poteri, perché i Vescovi posseggono lo “spirito d’autorità” come “capi della Chiesa”.
La spiegazione appena riportata è da rigettare completamente. La letteratura enciclopedica, l’esegesi scritturale, gli scritti dei Padri della Chiesa, i trattati di teologia dogmatica e l’attento studio delle forme non sacramentali orientali non permettono di far emergere nulla di univoco e, certamente, nulla di direttamente ricollegabile all’interpretazione di Botte. Spiritus principalis non si riferisce dunque all’episcopato o alla pienezza degli Ordini Sacri posseduto dal Vescovo.
In conclusione, sosteniamo che nella Costituzione apostolica firmata Montini, nella sezione dedicata all’Ordine episcopale manchino due dei principali capisaldi voluti da Papa Pio XII per la validità della consacrazione: l’espressione “Spirito che regge e guida” non è indissolubilmente e certissimamente legata all’effetto sacramentale che si vuole imprimere e, inoltre, non lascia intendere nemmeno lontanamente lo specifico potere dell’Ordine di cui il Vescovo viene a disporre.
Con la nuova formula si muta sostanzialmente il significato della precedente orazione in cui “la pienezza del sacerdozio di Cristo nell’ufficio e nell’ordine episcopale” o/e “la pienezza e la totalità del ministero sacerdotale” assume innegabile ed evidente rilievo. E ogni cambiamento nella sostanza della forma sacramentale, come insegna la dottrina teologica, rende il sacramento invalido[2].
Il rito del 1968 non può quindi creare un valido Vescovo che, in quanto tale e a propria volta, non è in grado di elevare alcuno al sacerdozio o all’episcopato. I modernisti hanno adulterato le parole fondamentali della forma sacramentale attuando un vero e proprio “balzo semantico” verso l’ambiguità e l’assurdità. Non dimentichiamo, infine, la più rilevante conseguenza delle nostre conclusioni: i preti e i Vescovi ‘consacrati’ con il rito di Paolo VI amministrano Sacramenti (Cresima, Eucarestia, Penitenza, Estrema Unzione) altrettanto invalidi.
Comprendo che ciò che viene qui insegnato è qualcosa di pesante che può mettere in crisi le coscienze dei fedeli ma non potevo tacere su un punto cosi determinante (ricordo chela Chiesa si fonda sul primato del Papa che è il vescovo di Roma) dato anche il mio dovere di insegnare la verità cattolica e non mie personali idee o errori modernisti.

RISPOSTA ALLE PIÙ COMUNI OBIEZIONI

1.
“Il contesto garantisce la validità della forma”. Falso. La preghiera per l’Ordinazione dei Vescovi del nuovo Pontificale manca di un elemento essenziale, l’espresso riferimento al potere di consacrare altri candidati, e a ciò non può supplire la debolezza di altri aspetti più o meno periferici del rito.

2. “La forma è stata approvata dal Papa”. Questo alla luce della teologia cattolica non solo non cambia quanto detto ma permette anzi di dubitare della legittimità del pontificato dell'autore di tale cambiamento. In secondo luogo il il Concilio di Trento e Papa Pio XII, insegnano infallibilmente che la Chiesa non ha il potere di mutare la sostanza di un Sacramento. Chi dovesse permettersi di farlo dimostrerebbe alla Chiesa universale di essere decaduto o di non aver mai avuto il Pontificato. Questo è l'insegnamento della Chiesa Cattolica.