Un portauovo in ceramica sigillata romana, dalla tomba di una bambina rinvenuta in Via Barbarano ( Via Cassia) a Roma.

di Alda Luisa Corsini.
Presento una ricerca da me effettuata per conto della SAR sulla presenza di un portauovo come simbolo di rinascita nella tomba di una fanciulla romana pagana.

Coppetta su vassoio.
SAR inv. 517372. Sigillata italica o nord-italica. Argilla rosata, vernice rossa.
Tracce di annerimento da fuoco. A tornio. Decorazione a la barbotine. Integra, ricomposta da due
frammenti. Lungh. max cm. 13,4; diam. coppetta cm. 3,6.

La coppetta, miniaturistica, è montata come un unico pezzo su un vassoio di forma amigdaloide. La
decorazione a tralci e globetti si stende lungo la parete al di sotto dell’orlo sottolineato da una
risega. Il vassoio apode presenta sulla faccia a vista una perlinatura lungo tutto il bordo, mentre al di
sotto è un giglio impresso.

Non conosciamo confronti puntuali per questo pezzo, che all’interno del panorama della produzione
in sigillata appare un unicum. L’approccio con questo genere di reperti “complessi” risulta più
facile se si tenta uno studio analitico e separato dei suoi componenti. Nella fattispecie, la coppetta
sembra riconducibile alla forma Draghendorff 40 che proviene dalla forma Ritterling 8 in terra
sigillata nord-italica, ma con piede più massiccio che richiama le coppette a vernice nera, e che
appare alla fine del I, inizi del II sec. d. C. e procede con meno frequenza nel III e IV sec. d. C. (cfr.
B. Hofman, La ceramique sigillee, Paris 1986, p. 59). La presenza di un bollo anepigrafe al di sotto
del piatto indica un atelier italico o gallico. Quanto alle sue dimensioni ridotte, è provata l’esistenza
di vasellame miniaturistico utilizzato durante la sepoltura del corpo sin dall’età augustea (cfr. M.
Heinzelmann. Introduzione. La situazione a Roma in Culto dei morti e costumi funerari romani.
Roma, Italia Settentrionale e province nord-occidentali dalla Tarda Repubblica all’Età Imperiale
in Colloquio Internazionale, 1-3 aprile 1988, Palilia 8, Roma 2001, p. 23 e p. 25 e ss.). Interessante
allora è il confronto con una coppetta miniaturistica con analoghe decorazioni a la barbotine,
rinvenuta a Gubbio e datata tra l’età augustea e il II sec. d. C. (cfr. M. Cipollone, Gubbio ( Perugia).
Necropoli in loc. Vittorina. Campagne di scavi 1980-1982 in Notizie degli Scavi di Antichità s. IX,
XI-XII, 2000-2001, p. 98, n. 273, fig. 95, dalla tomba 73, con fondo lacunoso e assimilabile alla
Dragh. 40 nord-italica). Ne deriverebbe un quadro, secondo cui la ceramica sigillata italica nel II
sec. d. C. è una produzione ancora attiva, che forse lancia addirittura forme nuove come quelle
decorate a la barbotine, attestata anche a Ostia, Luni e Settefinestre ( cfr. Ostia III, p. 321; Luni I, p.
307, dove in strati della metà del II sec. è più attestata della ceramica africana; M. T. Marabini
Moevs, New Evidence in Late Italian Sigillata in AJA 94, 1980).
Quanto al vassoio, la forma curiosa a mandorla rievoca quella di alcuni piatti ovali in bronzo, vetro
e terrasigillata decorata con la tecnica a la barbotine della seconda metà del II sec. d. C.,
quest’ultima con il marchio ABBO FECIT, prodotto dell’area del Reno (cfr. P. Labaume, Romisches
Kunstgewerbe Braunschweig, 1964, pp. 141-146, figg. 126-128 e i rinvenimenti descritti in R.
Pirling, M. Siepen, Die Funde aus den Romischen Grabern von Krefeld-Gellup, Stuttgart 2006, p.
159, tav. 55, 14; V. Rupp, Wetteraner Ware. Eine Romische Keramik in Rhein-Main-Gebiet, Schr.
Frankfurter Mus. U. Fruligesch 10, Frankfurt-Bonn 1988, p. 151, tav. 22, cat. G 17. 1). Echi della
forma anche in alcuni piatti ovali in vetro, sebbene su piede, come per esempio quello tardo
importato dall’Egitto (cfr. I vetri dei Cesari, catalogo della mostra a cura di D. B. Harden, Milano
1988, p. 99, n. 41), datato al IV-V sec. d. C.; un piatto-vassoio traslucido a pareti convergenti e
formanti un angolo acuto così simile alla forma del nostro pezzo, anche se provvisto di orlo a tesa,
della prima metà del I sec. d. C. (cfr. A Petrianni, Il vasellame a matrice della prima età imperiale,
Firenze 2003, cat. 51, fig. 179, tav. X, 6 p. 80) e quello rinvenuto in ambito funerario a Urbino del
III sec. d. C. (cfr. L. Mercando et alii, Urbino. Pesaro. Necropoli romana: tombe al Bivio della
Croce dei Missionari e a S. Donato in Notizie degli Scavi di Antichità XXXVI, 1982, s. VIII, p.
258, figg. 130, 192, n, 1, dalla tomba 14).
Ma i confronti più convincenti si riscontrano nel vasellame in metallo, in argento in particolare,
usato nella vita quotidiana, in cui emergono preziosi piatti da pesce come quello ovale con
perlinatura sul bordo da Kaiseraugst, che a sua volta deriva da un gruppo di vassoi in bronzo
prodotti in Gallia alla fine del II e nel III sec. d. C. (cfr. Il tesoro nascosto. Le argenterie imperiali
di Kaiseraugst, catalogo della mostra a cura di H-M. von Kaenel, A. Mura Sommella, M. Cima,
Milano- Roma 1987, p. 118, cat. 54, p. 60 e ss., fig. 55); i catini ovali, ma profondi, che servivano

per la toilette femminile, atti a contenere acqua, o per i banchetti, secondo quel criterio che vedeva
il banchetto e la cura del corpo strettamente collegati, cosicché spesso gli oggetti da toilette, come
catini e piatti appunto, trovavano posto anche sulla tavola e non solo in Italia, ma anche nelle
province a nord delle Alpi, tra i Germani romanizzati, e nella Gallia Settentrionale, presso i Galli-
Romani, e spesso al centro dei piatti, le lances, c’era una ciotola per le salse, il cosiddetto
acetabulum (cfr. W. Hilgers, Lateinische Gefassnamen, Dusseldorf 1969, pp. 206-209, n. 209, pp.
91-92, n. 1 e L. Pirzio Biroli Stefanelli, L’argento dei Romani. Vasellame da tavola e d’apparato,
Roma 1991, p. 298, fig. 242, n. 169). Trasferito in ambito funerario, il piatto simboleggiava la
mensa su cui era appoggiato il vaso per le libagioni funebri oppure il vassoio per le offerte dei cibi
(sull’uso di vere e proprie mensae per pasti funebri cfr. J Ortalli, Il culto funerario della Cisalpina.
Rappresentazioni ed interiorità in Palilia 8, cit., p. 231, fig. 12). In questo senso, il pezzo in esame,
costituito da lanx ed acetabulum, potrebbe essere interpretabile come un offertorio connesso con il
rito del Silicernium, realizzato in una classe ceramica, quella della sigillata, decisamente alla portata
della defunta di probabile estrazione libertina. Infatti, i vasi adorni di decorazioni in rilievo
venivano preferiti dalla piccola borghesia che non poteva permettersi il prezioso vasellame
metallico o di vetro, riservato piuttosto ai ceti sociali con un più elevato potere di acquisto.
Dalle parole di Properzio II, 13, 23: “ Desit odoriferis ordo mihi lancibus, adsint plebei parvae
funeri exsequiae” si evince inoltre un altro possibile utilizzo di queste lances o vassoi: quella di
espositori di essenze odorose che, una volta bruciate, emanavano profumi, convertendoli in
incensieri, oggetti cari al mondo funerario romano perché legati ai riti della purificazione, connessi
con le cerimonie di seppellimento (cfr. G. Donato, M. E. Branca, A. Rallo, Sostanze odorose del
mondo classico, Venezia 1975, pp. 67-69: incenso e mirra non hanno odore se non bruciano). E’
stato dimostrato, infatti, come la presenza di incensieri non interferissero con l’impiego di balsamari
di vetro ( cfr. F. Berti, La Necropoli del Verginese e altre di età romana nel territorio di Ferrara in
Mors Inmatura. I Fadieni e il loro sepolcreto.Quaderni di Archeologia dell’Emilia Romagna 16,
Bologna-Firenze 2006, p. 3).
In questa sede riteniamo però di poterci spingere anche più lontano nella ricerca dei modelli
ispirativi di questo reperto, che, sfuggendo ad una classificazione tipologica puntuale,
automaticamente risulta enigmatico nella sua funzione. Colpisce a riguardo, infatti, la sua
somiglianza con certi oggetti d’argento, i cosiddetti portauova
( rappresentati non solo in pitture ma
anche in un mosaico a Daphne-Antiochia: a riguardo D. Levi, Antioch Mosaic Pavements,
Princeton 1947, pp. 132-133, tav. XXXVI e CLIII e Il tesoro nascosto, cit., p. 58, fig. 55, con due
cochlearia e una ciotola per salse su di un piatto-vassoio circolare rinvenuti all’interno di preziosi
servizi da tavola come quelli dalla Villa “della Pisanella” a Boscoreale e dal Tesoro del Menandro a
Pompei: al primo servizio appartengono tre coppette su stelo formanti un unico pezzo con la base
rettangolare piatta decorata inferiormente a niello con un fiore stilizzato al centro e palmette lungo
il bordo, che consente, rovesciata, di essere trasformata in supporto; al secondo, quattro coppette
emisferiche su base piatta dal contorno in parte ricurvo e in parte diritto (per facilitarne
l’inserimento in un sostegno di legno), datati tutti all’età augustea e tiberiana, cioè vari decenni
prima dell’eruzione, e la cui tesorizzazione dimostra il gusto imperante per l’argenteria
d’antiquariato (cfr. L. Pirzio Biroli Stefanelli, Le argenterie nel mondo romano. Catalogo in
L’argento dei Romani. Vasellame da tavola e d’apparato, Roma 1991, p. 265, n. 60, figg. 274-275
e nn. 82-83, figg. 87, 152; C. Cerchiai Manodori Sagredo, Cibi e banchetti nell’antica Roma, Roma
2004; Argenti a Pompei, catalogo della mostra a cura di P. G. Guzzo, Milano 2006, p. 134, nn. 152-
153, mensulae o acetabula, dal Balneum delle Terme di Sarno)
Una risposta soddisfacente alle nostre ricerche ci viene offerta da un papiro del I sec. d. C. (inv.
8935. Staatliche Museum, East Berlin, colonna 5) che reca un inventario di argenti dove compaiono
20 piatti da uova, che potevano servire anche da porta-pesce, descritti come rotondi con manici,
rettangolari, e, soprattutto, ovali decorati con perlinatura come quello in esame.
La ricerca in questa direzione è giustificata non solo dall’analisi della tettonica del nostro pezzo,
anch’esso come quelli in argento usabile da ambo le parti, e ispirata a questi portauova persino nella

decorazione (perlinatura, fiore stilizzato al centro), ma soprattutto perché confortata dall’alto
significato simbolico dell’uovo, che, secondo il modello cosmogonico dell’Orfismo, allude alla
rigenerazione della vita, e la cui presenza in ambito funerario si riscontra essenzialmente in tombe
femminili e infantili
(cfr. i resti cremati raccolti all’interni di piccoli nidi di uccello in M. Tirelli, I
rituali funerari ad Altinum tra offerte durevoli e deperibili in Palilia 8, cit., Roma 2001, p. 248,
dalle tombe della necropoli della strada di raccordo, datate tra la fine del I sec. a. C. e tutta la metà
del I d. C.; e C. Guarnieri, La presenza dell’uovo nelle sepolture di Spina (Valle Tebbia): un
problema aperto in Studi sulla Necropoli di Spina in Valle Tebbia. Atti del Convegno 1992 (1993),
pp. 183-195, in nota 2 ampia bibliografia, cfr. le note 3 e 4, relativamente all’uso di deporre uova
reali o modelli di queste nei corredi
).
Si tratta quidi un pezzo interessante ma ambiguo che attende un ulteriore approfondimento sia
nell’ambito dello studio tipologico all’interno della vasta e sfuggente classe di sigillata decorata a la
barbotine sia in seno allo studio delle tradizioni e dei riti legati agli oggetti dei corredi funerari
romani del II sec. d. C.. Un dato acquisito comunque ci viene offerto dal fatto che esso è stato
rinvenuto nel’intercapedine tra il taglio della fossa ed il sarcofago, sottolineando i rituali in atto nel
sepolcro scanditi da offerte primarie ed offerte secondarie introdotte in momenti diversi ( cfr. il caso
della necropoli dei Fadieni: F. Berti, Oggetti d’argento e di bronzo, ferro e altre piccole cose in
Mors Inmatura, cit., p. 96, tav. 13, cat. 15 e 16, p. 97, cat. 32, tomba 7, a proposito di una pisside
d’argento inserita nell’urna di vetro durante l’ossilegio, mentre l’urna stessa fu posta sopra ad un
astuccio di bronzo contenente un paio di pinzette da toilette).

Alda Luisa Corsini, dal corredo di una bambina colpita da mors immatura rinvenuta nella necropoli di Via Barbarano, Via Cassia a Roma.
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Siamo in ambito pasquale e questo portauovo romano in sigillata, oggetto di una mia passata ricerca e pubblicazione, si rivela quanto mai consono nell'ottica del significato di "rigenerazione" ispirato dall'uovo da parte dei Romani pagani.
Marziale
" Incenso e mirra non hanno odore se non bruciano."
Quanti santi e bei pensieri si possono elaborare da questo enunciato: dal sacrificio di Abele al Sacrificio di N.S.Gesù Cristo, dalla fede di Abele all'ultimo uomo che avrà fede in Gesù Cristo prima della consumazione di questo Mondo. Passando dal profumo di soave odore di tutte le preghiere, le sofferenze e le croci offerte a Dio in riparazione …Altro
" Incenso e mirra non hanno odore se non bruciano."
Quanti santi e bei pensieri si possono elaborare da questo enunciato: dal sacrificio di Abele al Sacrificio di N.S.Gesù Cristo, dalla fede di Abele all'ultimo uomo che avrà fede in Gesù Cristo prima della consumazione di questo Mondo. Passando dal profumo di soave odore di tutte le preghiere, le sofferenze e le croci offerte a Dio in riparazione dei peccati e per la salvezza delle anime. L'incenso, la mirra, il fuoco, il calore e il buon odore che ne deriva, che altro non è che la buona volontà dell'anima tutta intenta nel piacere a Dio e nel volerLo sempre più amare.
La Buona Volontà. Padre Pio diceva:" La volontà è tutto!". Passi scelti dall'intero corpus valtortiano per la comprensione di questo concetto di importanza capitale per la salvezza di ognuno