Pochi son quelli che entrano per la "Porta stretta".

Commentando il passo evangelico (Lc 13,23-29) in cui il Signore fu interrogato sul numero dei salvati, S. Agostino (Disc. 111) scrive: «Sono senz’altro pochi quelli che si salvano. Al Signore fu chiesto: Sono forse pochi quelli che si salvano? Che cosa rispose il Signore? Non disse: “Quelli che si salvano non sono pochi ma molti. Non rispose così. Ma poiché s’era sentito rivolgere la domanda: Son forse pochi quelli che si salvano? rispose: Sforzatevi di entrare per la porta stretta. Avendo dunque sentito la domanda: Son forse pochi quelli che salvano?, il Signore confermò quello che aveva sentito. Pochi son quelli ch’entrano per la porta stretta».
In un altro passo lo afferma Lui stesso: «Difficile e stretta è la via che conduce alla vita e pochi son quelli che entrano per essa. Larga e spaziosa è invece la via che conduce alla morte e son molti quelli che la percorrono». Sforzatevi di entrare per la porta stretta! Con più esattezza, il Signore non disse semplicemente «sforzatevi». Usò un verbo assai più pregnante: «lottate», affermò, usando un imperativo che svela tutto il profilo agonistico della vita cristiana: in greco agonizete! La vita cristiana è una milizia. È una vera e propria lotta: la fede è un dono, la salvezza è un invito alla gioia dell’eterno Banchetto, ma richiede la nostra corrispondenza personale, come scrive Paolo a Timoteo: «Tu, uomo di Dio, combatti la buona (bella) battaglia della fede» (1 Tim 6,12).
Il compito della Chiesa è sempre stato quello di aiutare e sostenere i suoi figli nell’agone della vita per entrare nella “porta stretta” di cui parla il Vangelo, attraverso la quale – soltanto – si entra nel Regno dei Cieli: con la grazia dei Sacramenti, con il tesoro delle indulgenze, con il suo Magistero perenne, la sua immutabile Tradizione, gli esempi e l’intercessione dei Santi e tutti gli altri molteplici canali della grazia. A questo fine ha usato sempre insieme la spada della correzione e il balsamo della misericordia. Ancora S. Agostino ricorda che «il Signore spesso in questo mondo insieme con i malvagi flagella anche i buoni, perché questi sono negligenti a correggere i peccati di quelli». L’omissione della correzione è un peccato che può talvolta assumere proporzioni ciclopiche, se la negligenza viene dai Pastori incaricati di guidare il gregge.
Durante la III sessione del Concilio Vaticano II, nel 1964, quando – nell’ambito della Gaudium et Spes – si discusse circa i fini del matrimonio (che vennero in quella sede scandalosamente invertiti: la procreazione posposta all’amore coniugale), il cardinal Browne, Maestro generale dei Domenicani, si alzò e disse a gran voce: «Caveatis, caveatis! Se accettiamo questa definizione, andiamo contro tutta la tradizione della Chiesa e pervertiremo tutto il significato del matrimonio». Il grido di questo figlio di san Domenico non venne ascoltato e la prima gravissima conseguenza fu la mancata condanna, in sede di Concilio, della contraccezione. Un peccato di omissione (oltre a quella del comunismo), da cui sono discese in una sorta di “effetto domino” le aberrazioni morali cui assistiamo da 50 anni, che pare non conoscano limite.
A partire dal Vaticano II, volendo usare “solo” la medicina della misericordia, è stato tentato, in realtà, un sovvertimento del Vangelo. Invece di aiutare i fedeli ad entrare per la “porta stretta”, a lottare come militi per il Regno dei Cieli, si è tentata l’ingloriosa operazione di “allargare la porta”, dimentichi che la Parola del Signore è immutabile e che, infine, Egli stesso è “la Porta” (Gv 10,7).
Un esempio eclatante e particolarmente eloquente di questa operazione è avvenuto nel campo della sacra Liturgia, che è di diritto divino, prima ancora che in quello morale. Quando nel 1969 entrò in vigore il Novus Ordo Missae, con esso vennero de facto introdotti un numero interminabile di abusi liturgici che andavano molto oltre la lettera della riforma e che divennero ben presto incontrollabili. Che cosa avvenne? «Roma – scriveva Micheal Davies – adottò la tattica di far terminare le innovazioni illecite rendendole lecite e ufficiali. La Comunione veniva illecitamente data in mano? E allora! che sia data in mano ufficialmente! La Comunione era illecitamente distribuita dai laici? Dunque, nominiamo dei laici come ministri straordinari dell’Eucarestia! C’era chi (non senza logica), ritenendo che la Messa fosse un comune pasto, riceveva la Comunione a più di una Messa nello stesso giorno? E allora! lo si permetta in numerose circostanze! I sacerdoti iniziavano ad usare illecitamente preghiere estemporanee? Che venga, dunque, fornita una provvista di preghiere estemporanee nella riforma ufficiale! (…) La Comunione era distribuita sotto le due specie alla Messa domenicale senza tener conto delle direttive del Vaticano? Ecco che la pratica fu legalizzata, e così non si poteva più sostenere che la legge riguardante la Comunione sotto le due specie veniva trasgredita! La legge liturgica era violata ammettendo “accolite” donne sul presbiterio? Dunque le accolite furono legalizzate, e così la legge che permetteva solo accoliti uomini non era più violata! La disciplina liturgica era stata ristabilita».
La “porta stretta” era stata allargata. Legalizzando gli abusi, tutto l’illecito divenne lecito. Anzi, si giunse al paradosso che il lecito (la Messa tradizionale) divenne illecito, tanto che sono occorsi ben due interventi pontifici (la Lettera Quattuor abhinc anno sotto il pontificato di Giovanni Paolo II e il motu proprio Summorum Pontificumdi Benedetto XVI) per convincere la cristianità che la Messa di san Pio V non era illecita, non lo era mai stata, né mai potrà esserlo.
Questa strisciante operazione sta ora avvenendo nel campo della morale familiare. Si vuol tentare di rendere lecito l’illecito, allargando la “porta stretta” voluta dal Signore. Operazione pericolosa e sacrilega, com’è stata quella perpetrata ai danni della sacra Liturgia. Né vale a suffragare l’allargamento della porta la questione dei tempi cambiati o del ridotto numero di coloro che possono osservare la legge divina. «La verità rimane verità, anche se perde la voce. – affermava il cardinal Mindszenty – La menzogna rimane menzogna anche se milioni di persone la professano e l’impongono».
Quando si stratta di Verità, i numeri non contano. Ancora S. Agostino pone sulle labbra del Signore queste incisive parole: «Perché rallegrarsi di parlare alle folle? Ascoltatemi voi che siete pochi. Io so che siete molti a udirmi, ma pochi a ubbidirmi.(…) Pochi sono dunque coloro che si salvano a paragone dei molti che si perdono. Ma i pochi formeranno una gran massa. (…) Questa è la verità che Egli proclama senza ingannare nessuno».
Il grido del cardinal Browne “Caveatis, Caveatis” riecheggia fino ai nostri giorni e si rivolge ora alle autorità della Chiesa, affinché, se si ostinano a ripetere i peccati di omissione commessi in sede conciliare o la sacrilega operazione postconciliare di rendere lecito l’illecito, non accada loro di restare fuori della sala del Banchetto. Allora sarebbe inutile bussare alla porta – che comprenderanno, allora, essere davvero “stretta” – , perché la risposta del Padrone dal di dentro sarebbe inesorabile: «Non vi conosco».

di Cristiana de Magistris
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