Il buon vino di Meghiddo
Giuseppe Caffulli19 novembre 2025
Il buon vino di Meghiddo
Gli archeologi israeliani hanno portato alla luce un'antica struttura in pietra di fattura cananea utilizzata come torchio per la produzione del vino. Cinquemila anni fa a Meghiddo la bevanda era un prodotto commerciale di valore, ma anche profondamente intrecciato con rituali e pratiche religiose.
Una pressa per vino risalente a circa cinquemila anni fa ritrovata nelle vicinanze di Tel Meghiddo, nel nord di Israele, sta offrendo agli archeologi nuove e preziose chiavi di lettura sulla cultura cananea e sul ruolo centrale di questo insediamento nella storia del Levante. Il ritrovamento, avvenuto a poca distanza dalle celebri rovine della città considerata tra i siti più importanti dell’archeologia biblica, getta nuova luce sulle pratiche economiche, religiose e sociali del III millennio a.C.
La struttura, una delle più antiche individuate nel Paese, rappresenta, secondo gli archeologi della Autorità israeliana per le antichità (Aia), la prima prova certa di produzione vinicola organizzata nell’area di Meghiddo da parte di una comunità cananea attiva attorno al 3.000 a.C. Il vino, prodotto commerciale di valore, era profondamente intrecciato con rituali e pratiche religiose: un elemento che lega la scoperta alle dinamiche spirituali delle popolazioni del Levante antico.
La pressa cananea consiste in una struttura in pietra: una grande vasca dove l’uva veniva pigiata con i piedi e collegata tramite un piccolo canale a una seconda vasca più profonda, in cui defluiva il mosto. Accanto al torchio, gli archeologi hanno rinvenuto oggetti cultuali, tra cui un particolare contenitore ceramico a forma di ariete. Il che suggerisce l’esistenza di rituali domestici legati alla trasformazione e al consumo del vino, forse concepiti come offerte o pratiche propiziatorie. Il vino non era solo un prodotto agricolo: aveva un ruolo simbolico, sociale e religioso, parte integrante dei culti cananei legati alla fertilità e al ciclo della natura.
Meghiddo, strategicamente posta sulla Via Maris, l’arteria che collegava Egitto e Mesopotamia, è stata per secoli crocevia di popoli, commerci e credenze. Qui si sono combattute battaglie decisive, ricordate nella Bibbia, e si sono intrecciate tradizioni diverse, da quelle cananee a quelle israelitiche. La pressa aggiunge un tassello importante a questa lunga storia: mostra una comunità viva, produttiva e spiritualmente complessa, molto prima che Meghiddo diventasse un simbolo della memoria biblica. Qui, secondo le fonti storiche, fu combattuta attorno al XV secolo a.C. la celebre battaglia del faraone Thutmose III, considerata una delle prime battaglie documentate in modo dettagliato nella storia militare.
Nella tradizione biblica, Meghiddo riappare più volte come teatro di eventi drammatici: dal confronto tra re Giosia e il faraone Necao, che costò la vita al sovrano di Giuda, fino alla trasformazione simbolica del nome del luogo nel termine Armageddon, evocato nel libro dell’Apocalisse come scenario dello scontro finale tra le forze del bene e del male.
La scoperta conferma che la zona era abitata da una popolazione cananea dinamica e articolata, parte di un mosaico etnico e culturale tipico del Levante per millenni. Cananei, amorrei, ittiti, israeliti e diversi gruppi tribali convivevano, commerciavano e si scontravano in un territorio che non fu mai culturalmente monolitico. I culti cananei, con le loro divinità legate alla fertilità, alla natura e ai cicli agricoli, esercitarono una profonda influenza su tutto il bacino siro-palestinese, lasciando tracce che si intrecciano con le narrazioni bibliche e con la formazione delle prime identità israelitiche.
Il ritrovamento del torchio per il vino e gli scavi correlati sono stati presentati al pubblico degli studiosi giovedì 6 novembre, alla Conferenza annuale dedicata ai ritrovamenti nel nord d’Israele, organizzata congiuntamente dall’Autorità israeliana per le antichità e dalla Facoltà di archeologia e civiltà marittime dell’Università di Haifa.